Questo numero della rivista sarà in edicola nel giorno del silenzio elettorale e della meditazione per esprimere un voto decisivo per le sorti della nostra regione. Non si sceglie, infatti, solo il governo locale, ma inizia un decennio cruciale in fondo al quale vi è il suo riscatto economico o il definitivo ancoraggio al sottosviluppo.
Nella prossima legislatura regionale si conclude, infatti, il settennio del Programma d'investimenti comunitari che va sotto il nome di Agenda 2000, ed inizia il nuovo, e quasi certamente ultimo, programma di coesione comunitaria.
Proprio sull'utilizzo dei fondi comunitari e sullo stato di attuazione degli investimenti vi sono rilevanti divergenze tra i due poli, che ha costituito motivo di contesa elettorale. Da parte della Giunta uscente si sottolinea che finora tutti i fondi disponibili sono stati utilizzati e si è evitato il "disimpegno automatico" previsto dalle norme comunitarie, vale a dire lo storno dei fondi a favore delle altre regioni europee più virtuose che si sono dimostrate capaci di realizzare gli investimenti programmati.
Lo schieramento di centro-sinistra, al contrario, accusa che si è trattato di un'occasione mancata, poiché non vi sono visibili segni di uno sviluppo della regione legato a questi investimenti, e che le risorse non sono state utilizzate. Soprattutto si mette in dubbio la capacità di sostenere il rush finale per il completamento delle iniziative di spesa.
Per tentare di fare chiarezza sull'argomento si devono fare alcune precisazioni. In primo luogo, è mancato la programmazione economica e un chiaro indirizzo per utilizzo proficuo delle risorse. Un lettura dei documenti del POR e connessi, si rimane impantanati in una costruzione ridondante, tanto minuziosa da apparire una foresta inestricabile entro la quale sorge il castello kafkiano delle procedure burocratiche. Gli strumenti previsti da quelli generali come PIT, PIS, PIAR ecc. ai bandi relativi alle singole azioni sono talmente numerosi che non si riesce ad avere un quadro chiaro e preciso di quali sono le misure previste, quali sono i settori che si intende agevolare, quali sono i soggetti e così via. Vi è un incentivo per qualsiasi cosa, poiché si è evitato accuratamente di operare qualsiasi scelta perseguendo il massimo vantaggio elettorale. La predisposizione di questo complesso impianto normativo ha richiesto un tempo infinito che ha inesorabilmente rallentato l'intero cammino dell'utilizzo dei fondi.
Quello che è peggio è che le agevolazioni comunitarie vanno a sommarsi e confondersi con quelle nazionali e regionali, tanto che finora nessuno è stato in grado di coordinare le varie provvidenze e redigere un piccolo bignamino delle opportunità disponibili per le imprese. In una nota pubblicata su www.lavoce.info si legge: "Pur senza considerare il dato formale delle novantacinque norme ancora in vigore, sono ben diciassette gli interventi più importanti e ne nascono di nuovi, come i contratti di localizzazione." Nell'intrigo delle norme, vi è sempre chi è pronto ad approfittarne, tanto che non sono mancati casi di piani di investimento che hanno goduto di agevolazioni plurimi, o, sotto diverso nome sono stati presentati in misure diverse, in una sorte di lotteria agevolativa Si tratta spesso di un uso illegittimo dei fondi, ma il sistema dei controlli non è così pervasivo da impedire abusi ed illeciti. I professionisti delle agevolazioni sono, infatti, ben agguerriti ad approfittare di ogni occasione.
In queste condizioni la via verso l'ottenimento dei benefici appare una lunga via crucis agli imprenditori veri più adusi alla gestione delle proprie aziende che all'intrigo. Questo percorso accidentato limita la capacità di spesa e certamente non avrebbe consentito di utilizzare appieno le risorse comunitarie.
Le difficoltà procedurali e la gestione accentrata presso la regione ha privilegiato il rapporto clientelare, ha esaltato il ruolo del politico a scapito di una rapidità delle decisioni e di una scelta qualitativa dei progetti d'investimento. Più che di ipotesi innovative ci si è trovato di fronte a progetti-fotocopia, la cui valutazione è stata affidata a una serie infinita di commissioni e sottocommissioni, costituite da burocrati regionali ed una pletora di esperti esterni. Per scongiurare il rischio di non utilizzare i fondi disponibili, si è fatto quasi esclusivamente ricorso ai progetti-sponda. Questi sono progetti esecutivi presentati in una delle tante altre leggi agevolative (come la 488/92, ad esempio) in corso di esecuzione, avendo già ottenuto il decreto di concessione.
Si è evitato il disimpegno, ma di fatto si è sostituito l'intervento dello Stato con quello comunitario, liberando risorse da destinare ad altri interventi. Giova ricordare che con l'istituzioni del "Fondo Unico per Aree Sottoutilizzate", i fondi disponibili non sono più destinati al solo Mezzogiorno, ma possono, e vengono, essere utilizzati su tutto il territorio nazionale. Si tratta di un vero e proprio esproprio ai danni del Sud. In conclusione, fin qui si è rispettato il calendario imposto dalla Commissione Europea, ma a scapito degli altri strumenti d'incentivazione, ragion per cui l'effetto sullo sviluppo è stato molto modesto se non nullo. Con il ricorso ai progetti-sponda, infatti, l'agevolazione comunitaria perde il carattere di addizionalità voluto dal legislatore europeo. Di fatto questo si è tradotto in un rilevante danno per l'economia meridionale, poiché ha trasformato i fondi comunitari in fondi sostitutivi dell'intervento ordinario. Ancora una volta il Mezzogiorno fa da sponda per intercettare risorse comunitarie, dirottando quelle nazionali ad altre regioni: ci si danna l'anima intorno a dei programmi complicati, farraginosi, astrusi per non ottenere nulla. Il livello complessivo della spesa disponibile per le politiche di sviluppo locale permane basso, tale da non riuscire a stimolare la crescita dell'economia, che specie nell'ultimo anno ha manifestato un tasso di sviluppo al di sotto di quello nazionale. Tutto il Mezzogiorno si è fermato in una secca sabbiosa e non vi sono segnali di ripresa, né sono previsti interventi governativi per dare l'aire necessario a farlo ripartire.
Un altro rilevante effetto è costituito dalla scarsa qualità della spesa e dal carattere di disorganicità degli investimenti, che sono legati tra loro da un carattere di pura casualità, lontana dalla filosofia posta alla base della programmazione dei fondi europei. Le centinaia di pagine di studi del POR sono risultati dei meri esercizi di retorica economica, senza alcuna ricaduta positiva sulla politica di sostegno alla sviluppo.
Per il completamento di Agenda 2000, bisogna impegnare tutti i fondi residui entro il 2006, e spenderli entro il successivo biennio. Tutto ciò che non sarà speso entro il 2008, dovrà essere restituito all'Unione Europea. Si è oggi ben oltre la metà del guado, e non vi è un tempo sufficiente per un completo mutamento di rotta, solo qualche piccola correzione. La nuova giunta dovrà preoccuparsi di accelerare la realizzazione degli strumenti di programmazione già previsti, senza troppi stravolgimenti che finirebbero per impedire il completo utilizzo dei fondi e penalizzare, in questo modo, l'intera regione. Tuttavia, deve essere fatto uno sforzo corale dell'intero esecutivo regionale per evitare la continuazione della beffa dell'utilizzo dei progetti-stralcio.
Gli investimenti previsti da Agenda 2000, devono raccordarsi con il prossimo intervento della politica di coesione per definire il percorso di sviluppo della regione nel prossimo decennio. La Calabria sarà l'unica regione italiana che resterà tra quelle ad obiettivo 1, e destinataria di cospicui fondi. Tuttavia le risorse saranno più scarse seguendo il trend che ha già portato ad una diminuzione dei fondi disponibili per il settennio 2000-2006 rispetto al precedente ciclo 1994-99. La restrizione delle risorse complessive si accompagna ad un aumento del numero delle regioni da sostenere, per effetto del progressivo allargamento dell'Unione a paesi con grande ritardo di sviluppo, come la Romania o la Bulgaria.
Alla scarsezza delle risorse si associa la restrizione del problema meridionale alla sola Calabria, venendo a declassarsi da priorità nazionale ad un problema marginale, secondario. La solitudine della Calabria costituisce un fattore di forte debolezza, poiché viene meno l'interesse collegiale delle altre regioni meridionali. In questa circostanza, come non mai in passato, essa dovrà imparare a camminare sulle proprie gambe facendo affidamento sulle risorse umane di cui dispone. Come sperimentato dai Paesi che hanno tratto maggior benefici dalla politica dell'Unione, Irlanda e Spagna, la Calabria dovrà predisporre uno staff tecnico per dialogare direttamente con la burocrazia di bruxelloise.
Con le reiterate riforme del sistema di incentivazione del Mezzogiorno attuate nelle ultime leggi finanziarie, sono proprio i fondi europei ad essere le uniche risorse realmente disponibili per la Calabria, che sono e devono restare aggiuntive all'intervento ordinario.
Diventa, pertanto, fondamentale una riflessione sul nuovo meridionalismo, che finirà per coincidere con la politica di sviluppo della nostra regione, e sul corretto utilizzo delle risorse disponibili nell'arco del prossimo decennio. Bisogna individuare quali sono state le debolezze riscontrate nella programmazione dei fondi e quali i possibili rimedi, per evitare il ripetersi degli stessi errori.
La regione deve immediatamente decentrare agli enti locali la gestione amministrativa, concentrando la sua azione sulle funzioni proprie: l'attività legislativa e regolamentare, la programmazione ed il coordinamento delle attività degli enti locali ed il controllo.
Finora sono stati predisposti dei piani settoriali, dai trasporti alla sanità, ma è mancato un coordinamento, un'armonizzazione, un "tableau économique", per riprendere l'espressione di François Quesnay, un quadro economico di riferimento per guidare l'azione di tutti gli attori locali dello sviluppo, in uno sforzo concertativo in cui la Regione rappresenti il motore. Nella definizione di una politica di sviluppo, si deve avere il coraggio di abbandonare la logica assistenzialistica ed il metodo degli shock continuati e ripetuti, seguendo pochi principi.
In primo luogo la semplificazione. L'eccesso di regolamentazione, con la predisposizione di una serie infinita di "piani-cornice", con i quali si è voluto offrire un insieme completo di misure, azioni, e procedure minuziose ha portato alla paralisi ed alla impossibilità operativa.
Nella programmazione dei fondi ci si deve limitare ad indicare gli obiettivi che si intendono perseguire: la concentrazione su settori strategici ed innovativi e la realizzazione di politiche di contesto. La politica di incentivazione industriale al di fuori di una politica industriale e senza alcun intervento pubblico non ha portato ad alcun risultato concreto. Occorre una decisa programmazione regionale e un piano di investimenti infrastrutturali per eliminare le strozzature, creare delle aree idonee alla localizzazione delle unità produttive.
In secondo luogo, la rigorosa selezione degli investimenti, la sburocratizzazione delle procedure con la conseguente automaticità delle concessioni, il raccordo con le istituzioni comunitarie ritornando a sistemi come il credito d'imposta. Non si possono più sprecare risorse con distribuzioni a pioggia di agevolazioni, in una polverizzazione degli investimenti, che non hanno lasciato alcuna traccia nel sistema produttivo della regione. La politica industriale deve procedere con la definizione di pochi poli di industrializzazione, dove favorire la nascita di imprese medio-grandi ed innovative, in grado di competere sui mercati internazionali, operare una politica di marketing territoriale per attrarre investimenti esterni, senza preoccuparsi dell'immediato impatto occupazionale. Nel mondo industrializzato si va verso uno sviluppo jobless o forse joblose, vale a dire che le nuove imprese che non creano lavoro o potrebbero anche provocare immediatamente una perdita di posti di lavoro, ma costituiscono un forte fattore di sviluppo per il sorgere di attività collaterali, creano quella spinta verso al nascita di costellazioni di attività che offrono opportunità di crescita dell'economia locale. In un mondo dinamico le opportunità si creano in tante forme diverse. Tutte le risorse devono essere utilizzate sostenere le iniziative meritevoli, non conta tanto il numero, ma la qualità, il contenuto tecnologico, il grado di innovazione, la capacità di competere.
Per gli investimenti più complessi, indispensabile appare il coinvolgimento del sistema creditizio, soprattutto quello locale, che deve essere chiamato ad una scelta rigorosa, e dichiararsi disponibile a partecipare al finanziamento aggiuntivo necessario per la realizzazione dell'investimento. La copertura finanziaria deve, pertanto, essere garantita, dalla contribuzione pubblica, dal finanziamento bancario e dal capitale di rischio dell'imprenditore. Non esistono imprenditori senza il diretto coinvolgimento nel capitale di rischio.
In terzo luogo, bisogna ritornare alla programmazione bottom-up, all'esperienza di quella stagione di programmazione negoziata, che pur tra approssimazione ed errori è stato un esempio positivo e coinvolgente, che ha costretto le forze attive del territorio a riflettere sulle proprie potenzialità, ad assumersi delle responsabilità. Nel complesso il risultato non è stato eccessivamente brillante poiché l'obiettivo dello sviluppo locale non si è realizzato. Si è trattato di un primo passo, si è acquisita un'esperienza preziosa che può essere utilizzata per evitare quegli errori, soprattutto mancanza di una sicura indicazione dei settori da agevolare, di un coordinamento degli interventi con le altre misure, di una esclusività del soggetto gestore a disegnare lo scenario di sviluppo del territorio. Laddove, come è il caso di Vibo Valentia, quella politica è stata attuata con maggiore convinzione ed insistenza, si è riusciti a caratterizzare il territorio. Non a caso, è diventato il polo turistico di maggior interesse, avendo puntato su quella direttrice di sviluppo.
A questo vanno aggiunte le politiche di contesto a sostegno dello sforzo degli investitori privati. Le risorse aggiuntive devono essere accompagnate con una politica di bilancio regionale tendente ad eliminare le strozzature, le externalities negative, con un vasto programma di opere infrastrutturali concentrato su priorità da definire nel "Tableau".
Il settore dei trasporti, ad esempio, appare quello che risulta più arretrato e necessita di interventi urgenti e radicali: non è tollerabile che una delle meno sviluppate regioni d'Europa debba fare affidamento quasi esclusivamente sul trasporto privato su gomma. Inoltre, quasi per un miracolo disponiamo del porto più importante del Mediterraneo, quello di Gioia Tauro, che deve essere l'assoluta priorità della politica di sviluppo della regione, con il completamento del raccordo con il sistema complessivo dei trasporti, la realizzazione di interporti per gli scambi modali con il sistema stradale e ferroviario. L'altro importante obiettivo è la gestione del territorio, la eliminazione delle emergenze delle aree interne, la bonifica delle coste, la difesa dei centri minori delle aree interne, la valorizzazione delle risorse locali, e si potrebbe continuare con la sanità, la formazione e via discorrendo.
Molte altre sono le azioni necessarie, ma soprattutto è necessario un ritorno alla politica, alla consapevolezza che una classe dirigente deve riappropriarsi del proprio ruolo, operare delle scelte, indicare la strada, creare i presupposti dello sviluppo. La Calabria più che mai ha bisogno di una forte mano pubblica che aiuti l'iniziativa privata nella crescita.
Appare indispensabile una maggiore attenzione verso il mondo bancario, senza continuare nelle lamentazioni di Geremia sulle condizioni praticate e sull'accesso al credito. Con la prossima entrata in vigore delle regole di Basilea-2 si preparano grandi innovazioni, e imprese meridionali si potrebbero trovare i grandi difficoltà a digerire le nuove norme. Il sistema creditizio meridionale è stato quasi completamente azzerato, restano alcuni banche locali che vanno aiutate e valorizzate, che devono essere chiamate a collaborare in questo sforzo di rinnovamento.
Domani sarà un altro giorno. Si spera.