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Cavallerizzo un anno dopo

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno V num 10 dell'11/3/2006


Rende, 8 marzo 2006

Il 6 marzo appena trascorso è iniziato con un cielo grigio, ricoperto da neri nuvoloni carichi di pioggia, trattenuti un po' dal vento. Nel corso della giornata fredda ed umida, la pioggia si è fatto più fitta ed insistente, fino a trasformarsi in una scia di acqua che ha continuato a cadere dolcemente per tutta la notte. Chi ha vissuto ore di ansia e di apprensione un anno fa a Cavallerizzo, rivive quei momenti, gli ritornano alla mente i rumori sinistri dello scricchiolare delle mura, frammisti all'ululato del vento e lo scrosciare della pioggia, insistente, inesorabile fino a riempire le viscere della terra, fino a costringerla a rigurgitare in sul fare dell'alba in un possente conato che ha trascinato con sé alberi e case, tra gli sguardi attoniti ed assonnati della gente. In tanti hanno continuato a stropicciarsi gli occhi per convincersi che quello che stavano vivendo non era il prolungamento di un sogno mattutino, ma la realtà che si dipanava con crudele lentezza.

È passato un anno, ma quella notte rimane un ricordo indelebile nella memoria di chi l'ha vissuta. Non vi è solo nostalgia di un mondo perduto, quello nodo alla gola che prende quando si rimesta nei ricordi, ma anche tanta voglia di lasciarsi alle spalle una esperienza, di riprendere il cammino della speranza che si era interrotto in quel momento.

Il primo anniversario della catastrofe che ha cancellato Cavallerizzo evidenzia luci ed ombre, un bilancio in chiaroscuro. L'aspetto più positivo è che si è di fronte ad un progetto preliminare predisposto dagli architetti Spalla e Cesarini, avvalendosi della consulenza di Tommaso Carleo per gli espropri, predisposto a conclusione dell'incarico ricevuto dalla Protezione Civile, a seguito dell'ordinanza 3472 del 31 ottobre scorso. Sarà necessario un po' di tempo per passare alla fase esecutiva, ma le premesse sono positive, così come la concezione architettonica che appare rispettosa della orografia dei luoghi e dello spirito del vecchio borgo abbandonato.

Non sono previsti ciclopici interventi di cemento armato, né movimenti di migliaia di metri cubi i terra, che costituiscono la gioia delle impresa e un incubo per l'ambiente. Si è evitata la soluzione "IACP", il famigerato modello di case popolari postbellico che ha devastato centinaia di periferie in tutta Italia. Secondo quanto si legge nella relazione illustrativa nella costruzione del nuovo centro abitato si cerca di conservare "un sistema di relazioni coerente con quello originario", riproducendo le "gjitonie". Questo obiettivo cerca non solo di soddisfare una esigenza ripetutamente espressa dagli abitanti, ma altresì risponde alla alla salvaguardia dell'anima della comunità ed alla tutela della popolazione anziana, che ne costituisce una parte importante. Nel sistema di relazioni di vicinato, l'anziano, la persona sola, il bisognoso, riceveva un contributo importante per combattere la solitudine ed il suo disagio. Il rinchiudersi in un pur comodo condominio avrebbe prodotto un senso di estraniamento ed alienazione al di la degli agi e delle comodità che si potevano offrire.

Un anno è lungo per chi ha subito un così grave sradicamento dalla sua realtà, ma si può considerare un tempo record per una progettazione complessa, che deve necessariamente porsi molteplici obiettivi, tenendo in debito conto le esigenze di residenti e proprietari, che insieme formano una comunità che si estende in gran parte del mondo attraverso i suoi emigrati, un popolo molto più numeroso di quelli che si trovavano presenti al momento del triste evento. Nel momento di maggiore crescita, nell'immediato dopoguerra, la frazione è arrivata ad ospitare fino a mille persone. Dopo di tale picco è iniziata la grande fuga migratoria, che lo ha portato alle circa 300 persone presenti all'atto della sciagura, ed alla formazione di una Cavallerizzo allargata multietnica e multiculturale con presenze in tutti i continenti. 

Alla popolazione di Cavallerizzo che disperatamente cerca una normalità si può dare oggi - a distanza di un anno - un momento di fiducia e di speranza. Pur tra tante difficoltà il processo si è messo in moto e si può legittimamente sperare in una sua rapida conclusione. L'importante risultato che si sta celebrando è il frutto dell'impegno dei Presidenti della Provincia di Cosenza e della Regione Calabria, che non si sono fatti scudo dei compiti istituzionali per trovare un alibi che giustificasse l'affievolimento dell'impegno solennemente preso nella scorsa campagna elettorale. È doveroso altresì ricordare l'operato della Protezione Civile che cercato di superare grandi ostacoli e vincoli ma non si è lasciata intimorire dalla gravosità del compito né scoraggiare dalle difficoltà incontrate.  Ha con prontitudine affidato il compito a tecnici di sua fiducia, superando esitazioni e perplessità. Bisogna enfatizzare la sua disponibilità di voler favorire le imprese calabresi nella ricostruzione, accogliendo i rilievi mossi dalle associazioni degli imprenditori. Questo è giusto ed ha trovato un plauso unanime.

Bisogna tuttavia sottolineare che fin qui gli sfollati di Cavallerizzo hanno beneficiato ben poco delle attività connesse all'emergenza prima e rischiano di essere esclusi totalmente dalla ricostruzione, pur essendo i principali danneggiati. Il gruppo di professionisti cui è stato affidato l'incarico di redigere il progetto ha grandi competenze tecniche, esperienza e capacità di dialogare con il luoghi e con la legge per interpretarne l'intima correlazione e tradurla in elaborati grafici.

Tuttavia, è doveroso osservare che anche nella progettazione, proseguendo l'esperienza negativa della gestione della fase emergenziale che non ha dato alcun sollievo occupazionale agli "sfollati", non si è tenuto in nessun conto delle professionalità esistenti nella comunità, che potevano essere utilizzati nei compiti, magari più semplici, ma nell'interazione con il gruppo avrebbero avuto una grande opportunità. Architetti come Paola Figlia o Virgilio Lento potevano essere integrati nel gruppo anche in funzione di cerniera con la comunità. Sarebbe stata un'occasione unica ed irripetibile di formazione, di crescita ed arricchimento professionale.

La ricostruzione del centro abitato potrebbe risolversi in un investimento inutile, un borgo moderno e funzionale destinato al declino seguendo il trend di tutti i centri delle aree interne della Calabria. Se si vuole evitare un simile esito, il primo obiettivo è quello di creare delle opportunità per i suoi giovani di poter restare in quel luogo, di poter trovare occasione di lavoro. Non risulta che si sia tentato di analizzare sociologicamente la comunità degli sfollati, ma qualche semplice osservazione appare possibile. Non si è di fronte ad una umanità sofferente, abbrutita dagli stenti e dalla miseria. Si tratta di una società civile, costituita da un elevato numero di anziani, ma anche di giovani indistinguibili dai loro coetanei più fortunati, di professionisti, laureati e studenti che hanno una gran voglia di vivere, di partecipare alla creazione del proprio destino. Hanno subito uno choc, si sono trovati disadattati. Ma questa esperienza li ha obbligati a diventare uomini e donne all'improvviso, e se vengono coinvolti nel processo, la ricostruzione potrebbe diventare un formidabile strumento per costruire un futuro diverso per la propria collettività.

Ma anche nella fase esecutiva l'intera operazione potrebbe passare sulla testa degli sfollati, con appalti affidati a grandi imprese, che non sono tenute a tenere in nessun conto il particolare stato di disagio in cui versa la comunità. Le grandi calabresi hanno chiesto di poter concorrere con una suddivisione in lotti dei lavori, per consentire loro di poter partecipare ed hanno trovato disponibilità come detto. È una esigenza giusta e condivisibile, ma questo pone anche il problema della tutela dei legittimi interessi della comunità ferita. Nella piccola frazione non vi erano grandi imprese edili che possono aspirare a quel ruolo. Vi operavano tuttavia ottime piccole imprese, di carattere artigiano ma di grande perizia tecnica, come Pietro Golemme, Luigi Splendore e Giovanni Ricioppo che potrebbero essere far parte di ATI (Associazioni Temporanee di Imprese), o essere utilizzati in outsourcing, o vedere riservati loro particolari lavori dove è richiesta una maggiore manualità, una maggiore intensità e qualità di lavoro. Allo stesso modo si dovrebbe tener conto delle altre lavorazioni artigiane, il legno, gli impianti elettrici, la lavorazione dell'alluminio. La rinascita della falegnameria Lento è stata spesso citata come un simbolo della rinascita economica della frazione travolta dalla frana. Si deve ricordare che una lunga e forzata inattività comporta una perdita quasi totale dei rapporti commerciali, un azzeramento di quello che ragioneristicamente viene definito come "avviamento", che potrebbe trovare soluzione proprio con la partecipazione ai lavori di ricostruzione. La ricostruzione a misura d'uomo che si vuole sperimentare richiede una integrazione con l'ambiente circostante e l'utilizzo di materiali che si coniughino con la storia, seguendo tecniche che solo la tradizione artigiana può offrire.

Ma soprattutto è necessario pensare ai giovani, che vivono in una condizione di estremo disagio, psicologico ma anche economico. Nella nuovo giunta regionale si fa un gran parlare di ripresa della concertazione. Questa è un ottima occasione per speriementarne gli effetti, con un serrato confronto tra le associazioni datoriali ed i sindacati dei lavoratori  per la sottoscrizione di un Patto di Solidarietà Sociale, frutto di un accordo con le autorità locali, con il quale si cercano modi e strumenti per riservare loro - ai giovani di Cavallerizzo - un congruo numero di opportunità di lavoro. Il lavoro serve non solo a lenire le pene, ma consente altresì di superare più agevolmente il disagio di una provvisorietà e di una precarietà economica.

Accanto a questi aspetti certamente positivi, qualche considerazione critica è opportuna. In primo luogo, l'alta mortalità registrata in questi mesi tra la popolazione di Cavallerizzo, che si è notevolmente elevata rispetto all'andamento "normale" del fenomeno. I più deboli ed i più provati, hanno così trovato nel "grande" riposo sollievo alla propria sofferenza. Certamente il disagio e la perdita della propria identità, le difficoltà della sistemazione e lo sgretolamento del sistema di relazione hanno avuto un forte peso. Ad essi si devono aggiungere la prostrazione psicologica che ha colpito un numero rilevante di persone, che vivono unicamente nella speranza di poter superare questo stato di provvisorietà che incide sul quotidiano, sul rendimento scolastico dei loro figli, sullo stato d'animo della comunità che non trova neanche più dei luoghi di aggregazione dove poter condividere il ricordo di un mondo perduto. Questo prolungato lievitare nell'attesa di una comunità spalmata in tanti centri abitati, da Mongrassano a San Marco Argentano, da Torano a Cerzeto e San Giacomo rischia di trasformarsi in una lenta agonia. Solo la rapidità della ricostruzione può impedire che si risolva in un completo sfaldamento della unitarietà, del senso di identità che ha tenuto uniti nei secoli questa comunità. Una volta operata una scelta non vi deve più essere spazio per polemiche e contrapposizioni che possano ritardarne l'esecuzione.

Il secondo problema riguarda la progressiva frattura che si va registrando nella collettività di Cerzeto. Il 6 marzo il sindaco aveva organizzato una "hit parade", con la partecipazione di tecnici e politici che parlava ad un pubblico estraneo, accorso da ogni dove. I cerzitani e la comunità di Cavallerizzo l'hanno ignorata polemicamente. Per loro conto avevano organizzato una manifestazione diversa più intimistica e partecipata. La sera, alla chiusura dell'esibizione del potere, una fiaccolata suggestiva ha raggiunto il cimitero di Cavallerizzo, con la partecipazione commossa di tutta la popolazione. Si è svolta sotto una pioggia battente e nel buio più totale rischiarato dal tremolio delle fiammelle. Le lacrime si univano ai rivoli della pioggia bagnando le labbra ed insaporendo la tristezza con il calore della partecipazione collettiva, emotiva ed intensa. "Non ce ne siamo accorti, nessuno ha badato all'acqua che continuava a scendere a catinelle, avevamo nel cuore la notte di un anno fa, i volti di chi ci ha lasciato, volevamo assicurarli che lotteremo anche per loro, per ricostruire il loro mondo", dice Luciana.

La mattina del 7 marzo si è tenuta la cerimonia religiosa in ricordo di coloro che non ci sono più da quel giorno e, nel pomeriggio il convegno tenutosi nella Chiesa parrocchiale di Cerzeto. La scelta non aveva alcuna valenza religiosa, non era dettata a motivi ecumenici, ma dalla frattura che si è venuta a creare tra la comunità e l'Amministrazione comunale, incapace di rappresentare istanze e bisogni, di stare in mezzo alla gente, solo preoccupata di una pomposità ufficiale. Si è opposto un rifiuto alla richiesta di utilizzare i locali della scuola elementare, il primo luogo di accoglienza subito dopo il forzato esodo.  Sono intervenuti il Prof. Teti, il quale ha tenuto una dotta relazione di grande partecipazione emotiva, intrisa di sentimento, i progettisti della Nuova Cavallerizzo ed il Vescovo. Un momento di riflessione, una occasione per coordinare le idee ed imprimere un'ulteriore accelerazione alla ricostruzione con la condivisione delle scelte che si vanno operando.

La contromanifestazione degli "sfollati", snobbata dal Sindaco e dalla giunta,  ha raccolto tutta la comunità di Cavallerizzo accorsa da ogni dove per essere ancora una volta unita nel dolore e nel ricordo, nella gioia e nella speranza. È il segno evidente di una lacerazione, una frattura che ha visto contrapposti la rappresentanza del Comune con la comunità degli sfollati.. Sindaco e giunta hanno mostrato una vistosa incapacità di cogliere il senso profondo di una tragedia che ha ferito una parte della cittadinanza, ma che ha profondamente ed emotivamente colpito l'intero comune.

Insediatasi solo un mese dopo la frana, avrebbe dovuto da subito assumere il ruolo di "giunta di salute pubblica", di lasciare da parte divisioni e rancori che da troppo tempo caratterizzano la vita sociale del comune, il cui catalizzatore è proprio l'amministrazione ed i piccoli e grandi - gli unici significativi - interessi della collettività. Il primo obiettivo avrebbe dovuto essere di dare una rappresentanza alla comunità ferita, di porre i  suoi problemi al centro dell'azione amministrativa, essere a fianco di coloro che soffrono, dare una parola di conforto, rappresentare con verità ed obiettività la situazione e l'iter della ricostruzione per arrivare alla conservazione del senso comunitaria in attesa della rinascita del centro abitato, che può suturare questa grande ferita.

Si è scelto una linea di ambiguità, un equilibrismo tra gli interessi di una coalizione elettorale e la comunità degli sfollati, si è preferito alimentare speranze assurde di un possibile ritorno sullo stesso sito, quando era evidente fina dal primo momento che non vi erano più le condizioni di stabilità, si è a lungo oscillato nella scelta della localizzazione, alimentando speranze nei proprietari che erano contrari alla cessione dei terreni, si è provocato uno strappo con i rappresentanti popolari, non si è tenuto in debita considerazione le legittime attese dei giovani, e dell'intera collettività gravemente colpita, di avere qualche attenzione in sede di conferimento di incarichi. A questo bisogna aggiungere il malumore creato dall'aver affidato la gestione a personaggi estranei alla comunità per origine, affinità linguistica e interazioni personali, gratificandoli con lauti compensi. Il dissenso ha assunto prima la veste anonima di un Lucignolo, che ha denunciato comportamenti non proprio cristallini per poi sfociare oggi in una contestazione aperta.

Il convegno rappresenta una sconfitta della politica locale, della capacità di intermediare, un'amministrazione  che si è ridotta ai margini del processo. Mentre è doveroso ringraziare la Protezione Civile senza il cui impegno nessuna ricostruzione sarebbe stata possibile, e la comunità di Cavallerizzo si augura che continui a dedicare anche nel prossimo futuro quello stesso impegno continuità, fino al taglio finale del nastro. Con rammarico si deve registrare l'incapacità della politica locale di gestire un evento al di fuori dell'ordinario, di uscire dal campanilismo e dialogare con le autorità ad ogni livello, con una ricaduta certamente negativa sulla capacità di rappresentare le esigenze ed i bisogni della collettività. Il futuro della comunità è legato al "panariello" calato dall'alto.

Si sarebbe dovuto essere tutti insieme a ricordare un evento e valutare i passi verso il superamento dell'emergenza. Come quel giorno di un anno fa le cattive condizioni atmosferiche accompagnano il ricordo, facendo ricevere quei momenti di rabbia e di paura, di sconforto e di rancore per quanto si sarebbe potuto fare e non si è fatto.

È doveroso tentare qualche riflessione sulle conseguenze di quel evento. Molto è stato fatto, come si è detto, ma solo per affrontare un aspetto della tragedia. Quella notte si è prodotta una lacerazione multipla:

Ebbene oggi si tenta di porre rimedio solo a qualcuna di queste lacerazioni, con la ricostruzione dell'abitato, mentre altre restano. Ma soprattutto si deve sottolineare siamo in presenza di una soluzione che sin dalla sua origine nasce da una contraddizione: la divisione tra il nuovo centro abitato situato nella zona Pianette e la sua zona artigianale, per non volerla classificare come industriale considerato che allo stato, non sono previsti insediamenti industriali di qualche rilievo, collocata a Colombra. Chiunque abbia un minimo di conoscenza dei luoghi non può che rendersi conto di quanto l'ubicazione della zona artigianale rappresenti una irresistibile attrazione della futura espansione, o meglio dello scivolamento naturale di tutto il comune verso la valle, proprio per inseguire il naturale trend dello sviluppo economico, con il rischio che si possa produrre una forte spinta allo spopolamento. Questo viene accelerato da due elementi fondamentali, la perifericità dei centri abitati del Comune di Cerzeto e la scarsa disponibilità di area di espansione.

In particolare, il primo aspetto è fondamentale. La distruzione del tratto della provinciale in località Cavallerizzo, ha rotto un equilibrio secolare. La rete di comunicazione, che qui significa solamente strade, è rimasta inalterato da quel sette marzo scorso, solo qualche rattoppo ha reso meno disagevole il collegamento con la Colombra, rendendo lontano e periferico la parte collinare del territorio comunale dove sono ubicati i centri abitati. La prevista bretella della strada provinciale, benché approvata dalla Provincia, stenta a trovare una soluzione e proprio per l'incapacità dell'Amministrazione Comunale di offrire una soluzione idonea, di individuare un tracciato che possa attutire l'isolamento del comune e consentire di riattivare quel sistema di connettività areale ripristinando il tessuto socio-commerciale tradizionale. Sotto questo aspetto appare fondamentale coinvolgere i comuni limitrofi, San Martino di Finita, Rota Greca, Torano, Mongrassano, Cervicati e San Marco Argentano poiché ognuno di essi subisce un rilevante effetto negativo per l'interruzione della vecchia provinciale.

Al di là della ricostruzione del centro abitato, non si accenna ad alcun tentativo di affrontare il problema delle proprietà fondiarie, della rigenerazione naturalistica dell'area, a dare una rigorosa regolamentazione urbanistica ad un comune così duramente colpito per colpa del fato avverso ma anche per l'incuria degli uomini, la superficialità delle analisi, l'assenza di qualsiasi ipotesi di soluzione.

Cavallerizzo non sarà mai più abitata e bisogna dirlo con chiarezza per non continuare ad alimentare illusioni. Ma attraverso una rigenerazione ambientale bisogna programmare il recupero della funzionalità agricola. Infatti, una delle conseguenze più rilevanti è costituita proprio dalla perdita dei terreni agricoli e della loro possibilità di utilizzo per una economia di sussistenza, basata su piccole attività agricole artigianale, sulla diffusione della "banca del tempo", secondo una moderna terminologia diffusa nei Paesi scandinavi, dove viene considerata come una grande scoperta. Ma il baratto di servizi e piaceri è una tradizione consolidata nelle nostre comunità e da sempre fornisce quell'insieme solidale che permette di affrontare dignitosamente livelli di reddito spesso al di sotto del livello minimo di sussistenza.

Fondamentale è l'apporto del "cortile", con in suoi animali ed il contributo dell'orto. Nella tradizione arbëresh "nusia mirrei me pulë". La giovane coppia veniva invitata da parenti ed amici e si regalava una gallina viva per costituire il pollaio, che avrebbe costituito il primo passo verso la costruzione di una propria autonomia. L'economia del cortile, o della gjitonia, offriva una integrazione di reddito alle tante famiglie in bilico sulla soglia della povertà, come l'economia del vicolo nella realtà urbana, che si ricrea immediatamente nei nuovi insediamenti moderni. A Napoli, il modello Forcella si è riprodotto nelle vele di Scampia, ad esempio, con effetti devastanti per la mostruosità di quelle costruzioni. La dimensione più "umana" del nuovo borgo consente di immaginare soluzioni originali, magari facendo tesoro della esperienza di proprietà collettiva che ha consentito la sfruttamento agricolo per circa tre secoli della Montagna Magna, secondo un regolamento che consentiva di assegnare ogni anno alle famiglie i terreni disponibili per la coltivazione o la raccolta delle castagne.

Ma la rigenerazione ambientale è necessaria anche per motivi di sicurezza, poiché altri centri abitati sono minacciati come Mongrassano e l'abbandono non fa che aumentare il degrado fino al momento in cui la natura non troverà da sola un nuovo equilibrio che potrebbe risolversi in una condizione con effetti anche più devastanti di quelli registrati finora.


Commenti.

1) Buon giorno Oreste, Vorrei complimentarmi per l'attenta analisi fatta nel tuo articolo pubblicato su mezzoeuro del 11 marzo, hai veramente colto nel segno, cercando di fondere tutti gli aspetti del nostro piccolo grande cosmo. Se mi permetti, vorrei suggerirti di inviare questo pezzo ad un giornale a tiratura nazionale sperando che venga pubblicato, per far si che le nostre sofferenze e i nostri disagi possano avere voce, forse anche questo potrebbe farci stare meglio. Ringraziandoti porgo distinti saluti. Carlo Calabria (Inviato: lunedì 13/03/2006 8.00)

2) Ciao Oreste, ho letto il tuo articolo sulla giornata del 6 (e del 7): molto bene. Sono contento che le persone come te amino, comunque, i propri luoghi...
Grazie per l’affettuosa citazione. Ti allego il file, che comprende quanto è stato pubblicato su “Il quotidiano”.
Un’avvertenza: ho scritto tutto in due ore, di notte, per non fare passare sotto silenzio l’anniversario (da parte degli esterni). C’è qualche refuso e qualche imprecisione. Se credi “intervieni”...
Penso che gli studenti hanno molto da imparare dalla vicenda Cavallerizzo. Tu ne puoi parlare.
Non ti nascondo, per correttezza, che anch’io, prima o poi, vorrei raccogliere i miei articoli su Cavallerizzo, magari insieme agli altri che pubblico nella rubrica “Il senso dei luoghi”. C’è tempo per pensarci, ma ritengo che i nostri scritti non fanno altro che sostenersi e rafforzarsi.
Anch’io sono mosso soltanto da profonda simpatia umana e vicinanza per la bella gente del tuo luogo di origine, bella come i la gente dei paesi quando non viene contaminata da politicanti e affaristi.
Il tuo discorso è stato molto incisivo e propositivo...
A presto. Un abbraccio
Vito (Inviato mercoledì 15/03/2006 18.58)

3) Ciao Oreste, Ho appena letta la tua lettera del 11 marzo e per questo mi sento in dovere di complimentarmi per la lucidità delle analisi e la profondità delle considerazioni che abbranciando il problema in modo ampio individuano aspetti e problemi spesso trascurati.
Mi permetto di aggiungere una piccola polemica a quelle da te sottolineate in merito alla capacità di comunicazione inesistente dell'attuale amministrazione.
Il successo di un operazione di ricostruzione come quella in atto sarà possibile solo attraverso una "gestione" dell'informazione trasparente, con comunicazioni ufficiali alla popolazione residente sia agli emigrati che sappiamo bene sono cittadini a tutti gli effetti avendo mantenuto le loro proprietà, ed in passato attraverso ristrutturazioni delle stesse hanno contribuito in modo sostanziale all'economia locale. Comunicazioni sullo stato di fatto, sulle decisioni intrapese e sulla via da percorrere per ricucire una ferita cosi profonda e sopratutto per evitare false illusioni e la circolazione di favole cittadine.
Informare, anche per far si che tutti possano prendere parte alla discussione in atto, sul futuro della loro comunità e del loro borgo, per evitare la grande frustrazione di chi dopo aver perso la propria casa e i luoghi della memoria, si sentono esclusi dal dialogo sul futuro. La mancanza di informazione ha dato luogo ad uno stato di rabbia diffuso in tutti i nostri emigrati che sentono la necessità di intervenire a tutela dei propri interessi attraverso forme di contestazione ufficiali e non, spaccando l'opinione pubblica sulla credibilità del progetto in atto. Le contestazioni indeboliscono l'azione di controllo sul progetto di ricostruzione e di fatto rendono piu' difficile la sua attuazione.
In sintesi se il comune non è in grado di comunicare allora il comitato cittadino dovrebbe farsi carico di tale funzione se l'obiettivo è la riuscita del progetto di ricostruzione. Un altro aspetto che ritengo di fondamentale importanza che tu hai evidenziato è il coinvolgimento dei professionisti e delle maestranze locali alla ricostruzione, figure capaci di dialogare e tutelare gli interessi locali dalla progettazione esecutiva alla costruzione, ma anche dare sollievo ad un'economia da sempre depressa ma oggi particolarmente in crisi. Cordiali saluti Gerry D'Anza (sabato 01/04/2006 21.48)

5) Dear Mr. Parise, As a child of emigrant parents from Cavallerizzo I spent numerous summers vacationing in such a beautiful and tranquil place. Now the reality of it all is that people like yourself have forgotten your roots and most of all it seems you are naïve and ignorant about this entire ordeal that is unfolding before your eyes.
I am very disappointed in people like yourself, whose origin is from this charming village in Southern, Italy. It seems that you and others DO NOT care about your heritage, your roots, or your ancestry. Your agenda and is warped, on your own website you contradict yourself, something that never ceases to amaze me when I speak with hypocritical people like yourself.
You ignore all the sacrifices of the poor people who worked very hard and sacrificed their families so that they could make a home in THAT beloved town.
I am appalled and disgusted by you actions and your REDICULOUS articles about a “BETTER Cavallerizzo.” You talk about more economic development only 1 (UN) kilometer away from where Cavallerizzo stands. I cannot image how one can lack such intelligence to actually state such a stupid argument – its not like Cavallerizzo will be built right in an area with a VAST difference of population. Ask yourself one question, what can be done in Pianette that cannot be done in Cavallerizzo?
You are coercing these poor naïve people to abandon their roots.
YOU SHOULD BE ASHAMED OF YOURSELF AS WE ARE ASHAMED OF YOU!
Take a stand – where is the Oreste Parise of before? You wanted to save Cavallerizzo! THE FRANA WAS MAN MADE – your own words!
Have you forgotten about la frana del 98 di Sarno? Yes well do some research and investigate all the “frana” that occurred in Italy and you will see Protezione Civile promised, promised and promised, but in some cases 15 years have pasted and these poor people’s town have still not been built.
Please try not to believe too much in LA BEFANA. You should know better.
WHY HAVE YOU CHANGED YOUR MIND?
Hope to receive a response from you. Please right to me in Italian – I understand the language very well.
Sincerely, A CHILD of EMIGRANTS of CAVALLERIZZO (lunedì 03/04/2006 5.19 from traditore6tu@libero.it )

6) Caro Gerry, ti ringrazio per le belle parole, mi incoraggiano a continuare in una azione di stimolo che è quasi inutile visto che si  sta creando molta confusione. In questo senso è proprio il sindaco che sta alimentando questa clima, creando illusioni soprattutto in persone deboli o lontane che non hanno la possibilità di informarsi correttamente.
A dimostrazione delle difficoltà, soprattutto di comunicazione, ti inoltro una e-mail che ho ricevuto senza alcun commento. Come potrai notare non solo non è firmata, ma hanno addirittura creato un indirizzo ad hoc per non farsi identificare. Non capisco tanta diffidenza, non sono membro della CIA o del KGB! Ma il tutto mi  sembra molto significativo, considerato che si è lasciata spargere la voce, soprattutto tra i nostri emigrati all'estero, che la ricostruzione di Cavallerizzo sarebbe possibile e solo menti perverse e criminali (come me!) lo impediscono. Un caro saluto. Oreste
Ciao Oreste, La lettera mi pare una constatazione di cio' che temevo e di cui avevo sentore attraverso un paio di telefonate. Si è fatta strada tra coloro che vivono all'estero che Cavalerizzo è salvabile ma si vuole costruire un intero borgo perche arriverebbero soldi per tutti i politici coinvolti e non, e si sa che l'Italia non è certo un campione di trasparenza in queste occasioni. E per questo motivo che sento una forte necessecità di coinvolgere le persone ed il comitato e chiunque abbia a cuore la riuscita del progetto di comunicare in modo ufficiale tutte le notizie disponibili, facendo uno sforzo di capire che l'informazione e la comunicazione e una delle chiavi per evitare spacchi e lacerazioni tra le popolazioni che indeboliscono il progetto futuro che a mio modesto parere è l'unica strada da percorrere. Ho sempre sostenuto che il mio cuore vorrebbe tornare al vecchio borgo ma la mia mente mi dice che è impossibile data la storia delle frane e l'azione intrapresa nell'ultimo anno per la ricostruzione, ma nutro forti perplessità circa la capacità dei gestori del bene pubblico di portare a termine tale azione senza coinvolgimenti personali. L'unico strumento che la collettività ha a disposizione è la solidarietà intorno ad un unico obiettivo con azioni di controllo e verifica del lavoro svolto prima ancora che questa prende direzioni perverse, trasformando la sfiducia precostituita in certezza. Be finisco qui perchè stavo scrivendo la lettera prima della nostra telefonata. saluti Gerry

7)Mr. Parise, my name is Liliana Tudda. I met you over 20years ago in Cavalerizzo. You and Rosario Golemme were running for office at the time, and also I met you at a wedding. When the un-natural disaster happened in my town of Cavalerizzo, last year a few of us had a meeting here, and you were the only one mentioned who would have helped to organize our home town. We are very disappointed in you and of course the rest of the heartless people that have left our little town and have vowed never to return. Now everyone like us is an emigrant, does not feel good does it. And you also an emigrant, you do not feel the need to walk in those small streets, and to look up and see those beautiful mountains, and look down and see where my grandfather had his property, and his father etc. etc. for almost six hundred years, and now because of negligence and laziness I , an IMMIGRANT for 40years do not have the right to live in my house. I say laziness because the same people that now want a new Cavalerizzo are the same people that knew what was happening to our beloved town, they knew it had water underneath, I knew it had water, 20years ago I was in "BREGGO" and there was a hole near zia Giovanna's house , I looked down and saw a stream running underneath the road, and what did the comune due , they patched it up, and what did the residends do, nothing , they continued to chop the trees in that area, and build homes and rebuild. But Mr.Parise everyone knew what was happening, even Mr.Nino Golemme, he even brought people to measure the sliding of the town 5 years ago. Build a new Cavalerizzo, but why name it Cavalerizzo, why not something else, they have turned ther'e back (and so have you) on our heritage, our homes wich we have worked so hard to rebuild , and support the stores and workers.When we come there and people smirking say I fessi Americani arvuan, and they sucker us we high inflated prices, you see we go outside and pick-up our dollars. We are hard working people here, and our dream once in a while to come back and stay for a few weeks in our little town, but even this has been taken away from us. Not only did my father at the age of 20 had to emigrate all his life, and on his death bed he said he wanted to be buried in his home town , 59 years in Canada and fighting WW2 and immigrating to America, his last wish was to be buried there. And now Mr. Parise where are we going to go, we had a dream, to visit our little old Cavalerizzo, Im not sure I want to visit a New Cavalerizzo, but you dont need our hard earned dollars, you said there will be a new economic boom. Sincerely, Lillian Tudda (lunedì 03/04/2006 3.12)


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