Esistono ancora rimorso e pentimento nella società  contemporanea?

di Oreste Parise

Luzzi, 26 maggio 2007

Si può rispondere a domande così impegnative? Bisognerebbe chiedersi sotto quale profilo affrontare la questione che presenta molteplici sfaccettature.

Cominciamo con un momento definitorio necessario per tentare di capirne il senso.

Il rimorso

Cos'è il rimorso? "Turbamento, rovello interiore che nasce dalla consapevolezza di una colpa commessa", secondo la definizione del De Mauro. Vi sono quindi due elementi che entrano nel rimorso. La consapevolezza di compiere una azione ritenuta riprovevole, di agire consapevolmente infrangendo una regola, un codice accettato dalla nostra coscienza. Nel momento in cui si compie l'azione la coscienza avverte una sensazione di disagio, vacilla. Ma prevale il desiderio, la vendetta, la ricerca del piacere, il perseguimento di un fine. La coscienza morde, ma noi andiamo avanti lo stesso.

Il rimorso si manifesta successivamente, quando ritorniamo con la memoria a quei momenti, riviviamo quelle sensazioni e la nostra coscienza ripresenta il conto, morde nuovamente, ricrea quella sensazione di disagio, ci avverte che non possiamo essere soddisfatti di noi stessi per l'azione compiuta.

Il rimorso è quindi un rigurgito della coscienza, una riproposizione dell'infrazione al "nostro" codice, da noi accettato e che abbiamo scientemente infranto, un'analisi critica del nostro comportamento che si traduce in una condanna che provoca un senso di riprovazione e di disagio nei confronti di noi stessi.

Il pentimento

Il De Mauro, propone la seguente definizione: "sentimento di rimorso o rammarico per aver trasgredito una legge morale o religiosa, cui si accompagna il proponimento di evitare la stessa azione nell'avvenire". Il pentimento segue un percorso analogo al rimorso. Ma vi sono almeno due elementi che lo caratterizzano e lo differenziano. Differenze che non sono puramente stilistiche o semantiche ma fattuali.

Pentirsi vuol dire prendere coscienza di aver compiuto una azione riprovevole accompagnato dalla determinazione di non volerla ripetere per il futuro. Il comportamento nasce da un impulso, da uno stimolo, da una reazione, da uno stato di incoscienza nell'atto che si compie. In quel momento la coscienza è silente, non morde non si è consapevoli di infrangere un codice. Si agisce nella consapevolezza di essere nel giusto.

Nel nostro ragionamento consideriamo l'uomo "normale”, l'uomo che agisce in una condizione cosciente e sciente, lasciando da parte gli stati patologici che alterano la capacità di intendere e di volere in maniera permanente o temporanea. Per questi sono necessari altri strumenti di analisi.

Per dare una rappresentazione immediata dei due sentimenti, consideriamo due situazioni.

Pentimento. Uccido per difendermi, convinto della mia buona ragione, e poi mi pento.

Rimorso. Stupro per soddisfare un impulso, un desiderio sapendo di compiere un'azione non lecita; la coscienza mi rimorde quando si è placata la tempesta ormonale.

Il codice

Rimorso e pentimento sono due stati d'animo, due momenti che attengono alla coscienza e quindi all'individuo ed al suo modo di relazionarsi con i propri simili. Ma esistono solo se viene definito un codice di comportamento, se vi sono un insieme di regole intimamente condivise che costituiscono il riferimento del proprio comportamento. Come direbbe Savater "dobbiamo sottoporre la questione davanti al tribunale interno della nostra volontà". Che per poter operare ha bisogno di un riferimento.
Fin dai primordi della civiltà si è tentato di definire il confine tra il lecito e l'illecito, il buono ed il cattivo, il morale e l'immorale. Il Codice di Hammurabi, i dieci comandamenti, le XII tavole romane, le dotte disquisizione della Scolastica, le "Magna Charta" degli Stati moderni oggi chiamate “Costituzione”, fino ai moderni testi unici, agli accordi internazionali che cercano di definire un codice etico universale come "la dichiarazione dei diritti dell'uomo". Ma non bastano le codifiche per definire questo confine. Scrive Fernando Savater: “l'etica non è altro che il tentativo razionale di indagare su come vivere meglio” materialmente e spiritualmente relazionandoci con i nostri simili. “Morale è l'insieme di comportamenti, e norme che tu, io e alcuni di color oche ci circondano consideriamo in genere come validi”, sostiene lo stesso filosofo, rimarcando la derivazione etimologica del termine da latino “mores”. “O tempora o mores” gridava infatti Catone il Censore per condannare la decadenza della società romana.

Etica e morale sono entità non definite in maniera precisa e rigorosa con validità generale nello spazio e nel tempo. Non si è ancora riusciti a definire un insieme di valori universalmente condivisi.

Persino una affermazione come "tutti sono uguali di fronte alla legge senza distinzione di razza, di religione, di sesso ..." non trova un consenso unanime. Il sistema delle caste persiste in India, l'inferiorità delle donne è un dogma in tanti parti dell'Islam, la religione di Stato tenta di imporre le sue regole all'intera collettività e non solo alla "ecclesia", la comunità dei fedeli. E questo nella civile e laica Italia.

Nonostante tutte le difficoltà e le approssimazioni abbiamo necessità di definire una cornice per misurare i nostri comportamenti.

Sentimenti individuali o collettivi

Parlando di stato dell'animo, pensiamo che siano sentimenti strettamente individuali. Ma sempre più di frequente gli stessi concetti sono riferiti all'insieme di individui, alle collettività, alle comunità, agli Stati. Queste entità collettive vengono considerate come organismi viventi, dotati di coscienza e di capacità di esprimere emozioni in forma collettiva.

Questi concetti possono essere pertanto utilizzati, e vengono spesso utilizzati, per analizzare eticamente i meccanismi che regolano i rapporti sociali, per indagare l'evoluzione dell'economia ed il grado di soddisfacimento dei bisogni dell'insieme di individui che compone la collettività.

Fin dalla sua origine l'indagine economica è stata finalizzata alla ricerca di metodi e strumenti per conseguire la soddisfazione dei bisogni attraverso l'utilizzo dei beni economici. E si definiscono economici i beni disponibili in quantità limitata. L'economia nasce come la scienza delle scelte, la ricerca di metodi di allocazione delle risorse, per l'ottimizzazione dell'ofelimità marginale, per la massimizzazione del benessere collettivo. La distinzione tra beni economici e non economici è fondamentale nella costruzione teorica. La distinzione viene effettuata “a contrariis”, con una definizione tautologico: sono beni non economici tutti i beni che non possono definirsi economici! Non si tratta di un semplice gioco di parole.

Non è un bene economico tutto ciò che è disponibile in quantità illimitata rispetto ai bisogni individuali e collettivi e può essere liberamente usata da tutti gli individui: l'aria, il mare, le foreste, l'acqua e così via. I beni non economici sono il presupposto della nostra esistenza, il liquido amniotico che ci consente di vivere.

Uno dei problemi più drammatici della società contemporanea è il drastico restringimento dei beni non economici, il consumo delle risorse "naturali", il progressivo esaurimento delle capacità di rigenerazione del pianeta. Portare un bene nella sfera dell'economia significa asservirlo al nostro egoismo, trasformarlo in un oggetto di ... rapina, sottraendolo al resto dell'umanità ed alle generazioni future.

Può un processo evolutivo così devastante avvenire senza la definizione di un quadro di riferimento etico-morale prima che giuridico? Può essere lasciato al “laissez-faire”, alla capacità di autoregolamentazione della società conciliando egoismo individuali e interessi collettivi?

Alle regole va aggiunto l'autoritas, il potere che ne imponga il rispetto. Nella Città del Sole, Tommaso Campanella immagina che questo possa avvenire per una sorta di autoregolamentazione, per la formazione di una coscienza collettiva.

Nella realtà, senza autorità e legge si determina una condizione di sopraffazione, l'instaurazione della legge della giungla. I meccanismi economici hanno bisogno di una cornice di valori e dell'organizzazione dei rapporti per consentire ad ognuno di poter svolgere la propria attività, sviluppare la propria personalità., vivere la propria vita, ricercare il completamento della propria identità. Senza una forma superiore organizzata, lo Stato, non sarebbe possibile alcuna attività economica, poiché varrebbe la legge della giungla: nessuno si sentirebbe sicuro di poter accumulare ricchezze, poiché sarebbero n balia di facinorosi e prepotenti.

Abbiamo bisogno di una società-Stato che fornisce l'organizzazione e l'autoritas, di una tavola di principi etico-morali, per regalare i rapporti tra gli individui in quanto parte di una collettività. Una società ordinata crea il proprio ordine etico e morale, in aggiunta ai codici. Senza questa cornice di principi e di valori non sono possibili rimorsi e pentimenti, poiché non viene definito alcun confine all'etica, alla morale, alle libertà individuali.



Il mercato

Una società ha bisogno di meccanismi efficienti per poter regolare il districarsi dei rapporti di interesse tra gli individui, per regolare la distribuzione della ricchezza ù, la sua distribuzione finalizzata al soddisfacimento dei bisogni individuali.

Il sistema per poter affrontar e risolvere i problemi dell'economia è il mercato, inteso come il "libero" esplicarsi della domanda e dell'offerta. Oggi sembra l'unico strumento in grado di produrre ricchezza, distribuirla tra i componenti della società, raggiungere l'optimum paretiano. Sono stati tentati altri metodi, come l'economia pianificata, o in piccola scala, le società fabiane, ma si sono mostrate inefficienti. Dopo una lunga battaglia il liberismo economico ed il liberalismo etico-politico sembrano essersi imposti su tutti gli altri sistemi.

Il mercato ha consentito un processo di accumulo della ricchezza, un aumento del benessere individuale, ha favorito l'esplosione tecnologia che con l'automazione dei processi e l'informatizzazione della conoscenza ha sostanzialmente affrancato l'uomo dal lavoro. Nelle società evolute il lavoro usurante si è drasticamente ridotto, consentendo un ampliamento del grado di libertà degli individui, che possono liberamente disporre di una parte sempre più grande del proprio tempo. Ha, infatti, consentito un incremento esponenziale della produzione che sembra non aver limiti fisici, con lo sfruttamento della capacità delle macchine, con l'automazione dei processi.

Vi è una importante corrente di pensiero, rappresentata in Italia da Antonio Fazio e dai teocom, che considerano morale il profitto perché è l'unico in grado di estendere il benessere a strati sempre più larghi della popolazione ed ad aree sempre più estese del mondo, come la Cina e l'India.

I limiti del mercato

Vi sono almeno tre limiti del mercato.

1) Il sistema per poter funzionare ha bisogno di una crescita senza limiti che impone di consumare quanto si produce. Il paradosso è che il consumo non è più un utilizzo di un bene per soddisfare un bisogno, ma il frutto di una continua creazione di nuovi bisogni. La società moderna per sopravvivere ha bisogno di mantenere alto il livello di tensione, di produrre una insoddisfazione continua, di spingere i consumatori verso nuovi beni e nuove sensazioni, oltre ogni limite fisico. Carlo Marx parlava di crisi da sovrapproduzione, come l'incapacità da parte dei consumatori di poter assorbire interamente la produzione capitalistica. Il 1929 è stato un esempio euristico della predizione marxista. Il mercato è imploso gettando nella disperazione e nella miseria tutto il mondo industrializzato.

La risposta è stata nella teoria keynesiana del "deficit spending", che prevedeva un incremento della domanda attraverso la politica di spesa pubblica, che avrebbe sostenuto la domanda e consentito al sistema di crescere. Un tale rimedio si è mostrato efficace ma temporaneo, poiché non è espandile oltre certi limiti, mentre la deve continuare a crescere in maniera esponenziale.

La seconda risposta è l'alienazione del consumatore, la fuga dalla realtà.

Jean Baudrillard, un filosofo sociale francese scomparso recentemente, arriva a sostenere che la società post-moderna ha bisogno di ricorrere alla simulazione per superare le contraddizioni del mercato. La realtà non è più in grado di offrire un modello di consumo e pertanto si deve far ricorso al cyberspazio, alla realtà virtuale della televisione, dei computer, delle rappresentazioni sceniche di consumatori trasformati in manichini griffati.

La simulazione ci offre il modello da seguire, indica i bisogni attraverso la pubblicità, impone le soluzioni sotto forma di beni volatili soggetti al capriccio della moda ed alla evoluzione della tecnologia. Beni da consumare velocemente, sotto la pressione del mercato in un mondo iperreale effimero ed eternamente cangiante.

Nella concezione di Baudrillard la semiurgia, intesa come l'invasione delle immagini, delle informazioni e dei segni prende il posto della produzione, che è costretta ad adeguarsi ad essa.

Le masse cercano una immagine non un significato: il vestito non serve a vestire, ma a mostrare la propria capacità d'acquisto, l'orologio che si porta al polso non indica l'ora ma lo status nella scala dei consumi, il carrello del supermercato non si riempie di beni utili per soddisfare dei bisogni, ma esaudire dei desideri, rispondere alle sollecitazioni degli spot.

La società è dominata dalla iperrealtà, dalle simulazioni mediatiche: le Disneyland, i Parchi di divertimenti, i centri commerciali, i reality televisivi.

La soddisfazione dei bisogni non è nella consunzione degli oggetti, ma nella loro espansione oltre la loro dimensione reale: il bello della moda diventa più bello del bello, il reale televisivo diventa più reale del reale, il sesso nella pornografia diventa più sessuale del sesso. E noi non riusciamo a riprodurre quei modelli. Pornostar e pornodive si esibiscono in prestazioni che richiedono capacità acrobatiche, le veline offrono modelli di perfezione che contrastano con l'adipe e la cellulite che ci affligge, la sontuosità delle dimore delle telenovelas stride con l'ordinarietà dei condomini. Viviamo nel continuo sforzo di trasfigurare la nostra realtà per farla coincidere con l'iperrealtà, che cambia sotto i nostri occhi con una velocità sconvolgente. Non riusciamo mai a trasfigurare la nostra realtà per farla coincidire con il modello virtuale, come il mulo che non riesce a raggiungere la carota che gli viene fatta penzolare davanti ai suoi occhi dal cavaliere che lo monta.
Questo continuo sforzo di adeguamento ci obbliga ad uno stato di alienazione, per sfuggire al quale finiamo per identificarci nella realtà virtuale. Viviamo allora in quella realtà, ci identifichiamo in quelle immagini, i personaggi diventano parte del nostro mondo, nostri compagni ed amici. Li chiamiamo per nome, ne raccontiamo le storie, diventano oggetto di discussion e di pettegolezzo, come accadeva alle comari sefute sugli usci nei vicoli. Quella iperrealtà vogliamo costantemente "possederla", possederne i simboli trasformati in simulacri.

Costantino assiso su un trono nei locali di tutta Italia dispensa sogni erotici, riproduce l'iperrealtà davanti a noi, un "oggetto" tangibile di un mondo intangibile. Platinette onnipresente in tutti i talk show televisivi diventa un modello e dette le regole etico-morali. Flavio Briatore l'eroe consumistico turba l'immaginario femminile.

Questo processo deve essere portato fino alla sua conseguenza estrema. "Certo che le cose che possediamo allo stesso tempo possiedono noi: ciò che possediamo ci possiede", afferma Savater. Baudrillard, negli ultimi suoi scritti immagina che l'oggetto finisca per trasformarsi in soggetto in un processo di metamorfosi kafkiana. Il consumatore si identifica con i suoi consumi, sommerso dai rifiuti che produce, dalla spazzatura che finirà per sommergere tutta la società post-moderna.

Il dramma che vive la Campania in questi giorni sembra fatto apposta per prefigurare il futuro che ci aspetta, la maledizione di una società che per liberarsi dai bisogni finisce per essere travolta dai suoi beni, vittima dei suoi consumi. Si ricerca il colpevole di questo disastro, ma nessun rimorso o pentimento per un sistema che genera una quantità enorme di rifiuti, gran parte dei quali di beni futili, volatili, inutili.

La critica di Baudrillard si colloca tutta all'interno di una società opulenta, dominata dalla crapula quotidiana, dove persino il sesso viene travolto dalla copula virtuale senza inibizioni morali, alla distruzione di beni per obbedire all'insopprimibile desiderio dei segni, la firma, le griffes, l'ultimo ritrovato tecnico.

La sua concezione è influenzata da Georges Bataille e Frederich Nietzsche. Presuppone una società dove vivono individui superiori dediti alla esaltazione dei propri consumi, che vivono in eccesso, nella sovrabbondanza e in un processo di intensificazione delle energie creative ed erotiche. Ma il superuomo non è caratterizzato dall'intelligenza, dalla forza creativa, dalla capacità di dominio, di speculazione filosofica. Il superuomo è l'uomo consumistico, chiamato a rispondere alle sollecitazioni della pubblicità, di assorbire un produzione costantemente crescente, un enorme mole di rifiuti che infestano l'ambiente con i miasmi ed i veleni, i prodotti chimici, la plastica, i medicinali, le scorie nucleari infestano ed inquinano, distruggendo l'ambiente. La società dei consumi è elitaria, poiché non può essere estesa all'intero pianeta. Quel limite pensato da Malthus come regolatore della popolazione in un Paese ricompare su scala globale.

La società del  valore segno ha bisogno di un mondo diseguale, in cui tutti si prodighino a favore degli eletti del mondo sviluppato, dei veri uomini dotati di una coscienza consumistica che possano godere delle prostitute-bambine della Thailandia e degli organi di ricambio dei "niños de rua" brasiliani.

In questa società non c'è il tempo di fermarsi ad ascoltare la propria coscienza, non c'è tempo del rimorso e del pentimento. Manca la percezione del peccato, quel senso di oppressione che ci assale quando siamo consapevoli di aver infranto le regole di un ordine "naturale", qualunque sia il significato che si voglia dare ad una simile espressione. Quell'ordine e quell'equilibrio che ha governato per millenni le sorti dello sfruttamento del pianeta da parte dell'uomo.

Consideriamo il semplice atto quotidiano della spesa in un supermercato: Nessuno ha mai una qualche esitazione a "consumare" buste di plastica, da buttare nella spazzatura qualche minuto dopo appena giunti a destinazione: Chi ha mai avuto rimorso o pentimento per aver letto che ne sono state trovate nei ghiacciai dei poli, nello stomaco dei cetacei, o nell'acqua dove si bagnava nostro figlio?

Vi è un colpevole? Non vi può essere un colpevole, perché non vi è il delitto, poiché quel consumo è necessario all'economia della nostra società

2) La terra è sufficiente per tutti, ma non per la voracità  dei consumatori, scriveva il Mahatma Gandhi. Il problema della diseguaglianza nel pianeta comincia ad essere avvertito in maniera sempre più urgente. Dall'essere si va verso l'apparire, al binomio risparmio-investimento si sostituisce il binomio produzione-consumo. La società del benessere ha bisogno di una quantità enorme di ricchezza da consumare e per questo non può rinunciare al dominio sul resto del mondo.

Secondo uno schema ragionieristico, ad un sistema patrimoniale di accumulo di ricchezza si sostituisce un sistema reddituale di consumazione dei beni. L'espansione di Roma è avvenuta con l'acquisizione dei grandi latifondi da parte dei senatori, e la distribuzione delle terre di confine ai legionari per difenderle dalla pressione dei “barbari”.

Il moderno impero coloniale americano conquista le sue colonie con le catene di fast food, la Coca-Cola ed il sistema Windows. Roma conquistava con gli eserciti, gli USA con il WTO (World Trade Organization) e la World Bank; la guerra è un incidente di percorso.

Il divario divario tra i paesi diventa sempre più insopportabile, molto più accentuato di quanto si è verificato nell'esperienza degli imperi coloniali. Viviamo con fastidio l'arrivo di frotte di immigrati, ma non ci chiediamo neanche da dove provengono e cosa li spinge in questo mondo di disperazione, dove rispetto al nostro standard di diritti, la loro vita appare infernale.

Secondo Amartya Sen, un economista liberale indiano, direttore del Trinity College, uno dei più prestigiosi dell'Università di Cambridge in Inghilterra, l'1% della popolazione mondiale (60milioni di persone) ha un reddito pari a quello posseduto dal 57% della popolazione del pianeta (3,4 miliardi di persone); le 200 persone più ricche della terra dispongono di più risorse dei 2 miliardi di persone più povere. Sono statistiche sconvolgenti, ma se ne potrebbero aggiungere molte altre sulla mortalità infantile, lo sfruttamento dei bambini, la tratta delle prostitute e via dicendo. "Mai nella storia dell'uomo la ricchezza era stata ridistribuita in maniera così diseguale tra le nazioni e all'interno delle nazioni", afferma Amartya Sen.

Le masse dei paesi sviluppati sembrano in sonno, dai Paesi poveri si sono messi in marcia: milioni di persone che premono sui confini dell'Impero. Sotto una apparente indifferenza si sta sviluppando un forte movimento di reazione. Sorge forte una nuova domanda di etica. Una domanda diffusa. e generalizzata che riguarda piccole e grandi scelte della nostra vita quotidiana. Filosofia, scienza e religione vengono reclamate a gran voce per dare delle risposte a domande angoscianti che affliggono un numero crescente di persone.

Amartya Sen sostiene che la ricchezza e la sua misurazione attraverso il PIL (il Prodotto Interno Lordo) non è più sufficiente a descrivere l'attività economica. Lo sviluppo economico deve essere associato allo sviluppo dei diritti e delle opportunità per l'uomo, per tutti gli uomini. Egli propone di affiancare ad una misurazione tecnica della ricchezza, una serie di indicatori del benessere della popolazione come l'alfabetizzazione, il sistema sanitario, il diritto al lavoro, l'assenza di discriminazioni basate sul sesso, sulla razza, sulla religione.

L'economia deve produrre la libertà dai bisogni primari, ma anche la libertà dalla schiavitù del consumo. Il benessere non può essere un valore quantitativo, ma qualitativo, come somma di beni e di valori, di soddisfazione di bisogni e risposta alle sollecitazioni etiche e morali.

3) Lo sviluppo equilibrato dell'intero pianeta ripropone il dilemma malthusiano delle compatibilità delle risorse. Il Pianeta è oggi malato perché circa un quarto della popolazione ha un livello di consumo che si dimostra insostenibile per l'equilibrio ambientale ed ecologico. L'estensione dell'area del benessere trasformerebbe il pianeta in un deserto irrespirabile, soffocato dai miasmi delle esalazioni industriali e sommerso dai rifiuti. Stiamo per realizzare l'incubo della società distopica ipotizzata da Ray Bradbury in Farenheit 451, un mondo dominato dalla televisione, dove viene proibita qualsiasi forma di cultura per realizzare il perfetto consumatore, secondo il modello imposto dal potere.

Risulta evidente che il sistema dei valori della società liberale non è sufficiente a condurci nell'era post-moderna, che sarebbe destinata a autodistruggersi per creare la libertà dell'uomo (occidentale!).

Rimorso e pentimento

Viviamo un momento di turbamento per gli sconvolgimenti politici e sociali. Il terrorismo internazionale, i mutamenti climatici, i disastri naturali hanno distrutto l'ottimismo che ha caratterizzato il secondo dopoguerra, quando si pensava che la grande era del benessere avrebbe determinato la fine delle "grandi narrazioni", vale a dire delle grandi ideologie che avevano oppresso le generazioni precedenti. Filosofi come Jean-François Lyotard e sociologi come lo stesso Jean Baudrillard nella fase iniziale della sua originale elaborazione filosofica immaginavano che l'uomo port-moderno non avrebbe più avuto bisogno dell'etica, ma avrebbe potuto vivere pienamente e liberamente per realizzare la propria personalità, seguire il proprio istinto e le proprie inclinazioni.

Liberismo e liberalismo promettevano che ciascuno avrebbe potuto inseguire il "principio di piacere", senza gli intralci dei valori morali, senza il condizionamento dell'etica.

La realtà si è incaricata di dimostrare che si trattava di una illusione, che la nostra libertà, la nostra onnipotenza costituiva la condanna alla miseria ed alla disperazione il resto dell'umanità. Non possiamo prescindere dagli altri, poiché la nostra sicurezza sarà sempre più precaria quanto più sarà acuta la diseguaglianza tra i popoli e quanto più verrà percepita l'ingiustizia di una immorale concentrazione della ricchezza.

Nello stesso mondo sviluppato c'è fame di etica. Il mondo anglosassone ha elaborato il concetto del "politically correct", una sorte di codice etico-morale delle piccole cose, un manuale di riferimento per l'uomo “impegnato”, consapevole. Si sta creando un movimento che va diffondendosi in tutto il pianeta per definire l'insieme delle regole che possono essere universalmente accettate, una sorte di codice dell'ecologia dell'esistenza quotidiana.

Tra le questioni di maggiore preoccupazione collettiva vi è quella ambientale e la consapevolezza che essa è connessa al sistema produttivo, al modello consumistico ed alla ineguale utilizzo delle risorse naturali.

Si disegnano scenari inquietanti sulle modifiche climatiche e le sue possibili conseguenze planetarie, si paventa che la prossima guerra mondiale sarà combattuto per l'acqua, che alla base del terrorismo vi è un intero mondo che si sente discriminato ed è pronto a combattere fino all'autodistruzione. Mai nella storia si è registrato un numero così elevato di kamikaze disposti a sacrificarsi per la "causa", una spinta che nasce dalla profonda delusione del mondo in cui sono chiamati a vivere, del senso di frustrazione dell'incapacità di cogliere i frutti del progresso..

Rimorso e pentimento sembravano scomparsi sommersi nei rifiuti della società globale. Riappaiono oggi sotto forma di una nuova coscienza ambientalista, di un movimento no-global che rifiuta di accettare la diseguaglianza come un dato insopprimibile, un rifiuto nei confronti della dittatura della merce-segno, della sopraffazione dell'irrealtà sulla realtà, dotto la spinta dei bisogni di una umanità sofferente. Costituisce la gran parte della popolazione del pianeta. Saranno i loro bisogni a scrivere il nostro futuro.

Serate culturali al circolo Kyterion