La festa triste
di Oreste Parise (Mezzoeuro Anno VI num 17 del 28/4/2007) |
Rende, 26 aprile 2007
Quando l'ultimo colpo scuro rimbomba giù per la valle di Colombra scoppia un lungo applauso. Appassionato liberatorio, quasi un sollievo per una angoscia repressa, un senso di disagio e rassegnazione. Con la batteria è finita la processione e con essa la festa.
È la terza volta che la ricorrenza di San Giorgio, il patrono di Cavallerizzo, viene festeggiata lontana dalla sua Chiesa, in esilio forzato. Ha trovato rifugio nella Chiesa del Madonna del Buon Consiglio a San Giacomo. Accanto all'austero Sant'Attanasio, padre della Chiesa orientale, dove sicuramente si rafforzerà nei principi della dottrina, Lui guerriero e martire.
Il primo anno, a qualche settimana dalla frana che ha cancellato l'intero paese, i festeggiamenti di San Giorgio, ridotti a mero rito religioso, erano una sorta di cerimonia di ringraziamento. Un profondo sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Il Santo patrono non era riuscito a salvare le case, ma aveva steso il suo manto protettore su tutti i suoi devoti fedeli e li aveva salvati.
Erano tutti lì quel giorno di due anni fa, ad asciugarsi le lacrime della disperazione. Immensa gioia di essere insieme, di aver ritrovato un senso comunitario, riscoperto la voglia di unirsi per affrontare le avversità, con il fermo proposito di continuare una storia secolare, riunendosi attorno ad un simbolo che per molti costituiva l'unico punto di riferimento, l'unico sicuro rifugio.
Eppure in quel piccolo mondo si annidavano inimicizie e rancori, a volte mal repressi. Per incanto tutto sembrava dimenticato, prevaleva la voglia di ricominciare, il desiderio di ricomporre una unitarietà spezzata in uno slancio di generosità. Anche per continuare a coltivare i piccoli momenti di rancori, gli odi ed i pettegolezzi che occupano le ore in appassionati inciuci. Consentivano di riempire quel senso di vuoto che costituisce la maggior parte delle noiose giornate passate ad aspettare l'imprevedibile nulla, alla ricerca di qualche sensazione che ravvivi il ricordo delle mille piccole avventure della loro vita.
È un minuscolo villaggio Cavallerizzo, ma vi sono suoi concittadini sparsi in tutto il mondo. Lo era, perché ora è un non-luogo, un rifugio di lepri e volpi che si aggirano nei vicoli interrogandosi sul perché di una fuga. Lo è perché continua nei ricordi, nei sogni, nel vissuto quotidiano di ciascuno degli sfollati che ne parlano come se stessero ancora li.
Basta incontrarli, scambiar qualche parola con loro per
accorgersi che c'è chi mastica un po' di inglese, altri chiacchierano
tra di
loro in francese, il tedesco è conosciuto da molti. Frammenti di lingue
apprese
oralmente, mandate giù a memoria, spezzoni di parole che costituiscono
un mix sorprendente. Raccontano storie di paesi lontani, di luoghi dove
hanno sudato per sopravvivere. In molti erano ritornati a godersi la
loro vecchiaia, a ritrovare gli amici di infanzia. Una gioventù
perduta, una vecchiaia spezzata.
Cosa è cambiato rispetto a quel momento. Dopo la rabbia e l'intenzione di ricominciare affiora qualche dubbio, iniziano i primi momenti di riflessione. Vi sono motivi di speranza. La Protezione Civile non ha abbandonato il progetto, lo persegue con tenacia a dispetto delle difficoltà, degli ostacoli che incontra soprattutto nella realtà locale. Sono iniziati i lavori di livellamento del terreno, tanto della zona industriale di Colombra che del nuovo centro abitato in località Pianette.
Tuttavia i lavori procedono a rilento. Non vi è ancora il progetto definitivo ed i tempi di completamento si allungano. Per una comunità vecchia, con una larga maggioranza di popolazione anziana il fattore tempo gioca un ruolo fondamentale. Non implica solo un moltiplicarsi dei disagi, una provvisorietà infinita. Per molti può significare la fine del viaggio senza aver visto il futuro, senza imprimersi negli occhi il luogo della propria continuità, dove figli e nipoti perpetueranno il ricordo.
Cosa significa per chi è giunto prossimo al termine della propria avventura umana, poter portare con sé la gioia di lasciare dietro di sé una comunità? Non si tratta di un risvolto puramente spirituale. Vi sono anche ripercussioni contingenti. Attorno ad essi si creano rapporti ed interessi, si produce un flusso di rapporti che continueranno anche dopo, si crea una anima comunitaria che può dare vita ad una costruzione artificiale, che nasce in uno studio professionale senza quel contributo di imprevedibilità prodotto nel corso dei secoli dalle divisioni ereditarie, dalle spartizioni, dai piccoli abusi, dagli intrecci amorosi che hanno lasciato un segno nella compenetrazione degli edifici, avvinghiati in un amplesso murale.
Il pericolo è infatti che il completamento dell'abitato arrivi in un momento in cui la maggioranza ha trovato un futuro altrove, ha coagulato interessi, stretto rapporti dai quali è difficile svincolarsi. Il rischio è che diventi un paese fantasma, un agglomerato di seconde case eternamente vuote per assenza di una qualche forma di interesse turistico.
Si avverte una sensazione di stanchezza. "La festa sarebbe cominciata adesso, li a Cavallerizzo", dicono alcune ragazze con un velo di tristezza sul viso. Miruzza e Faustino piangono quando ricevono la visita di San Giorgio. Vecchie querce mostrano qualche crepa oggi di fronte al riaffiorare di tanti ricordi.
"Ognuno avrebbe portato a casa un 'bandista',
in ogni caso si sarebbe sentito il vociare degli ospiti". A tavola le
polpette di ricotta in brodo vegetale, l'arrosto di agnello, i
biscotti ricoperti di zucchero avrebbero riprodotto quei sapori
familiari che danno il senso di un giorno particolare. Tutti raccolti
lì intorno ad un tavolo.
"Per noi giovani il pomeriggio era il momento più atteso, quando ci
aggiravamo in luoghi familiari tra volti nuovi, in piena libertà fino
alla sera per il concerto, la riffa. E poi i fuochi d'artificio in
piena notte". Una libertà immaginaria, una libertà vigilata, sotto il
controllo dei luoghi e delle persone presenti in ogni angolo.
Oggi è una festa sommessa, triste. La giornata è bella, la folla
straripante. Tutto sembra una replica di tante altre feste. Ma c'è
qualcosa che si avverte. La fascia tricolore del sindaco si aggira
isolata, in una solitudine irreale. Segna la frattura che si è creata
tra la comunità degli sfollati e l'Amministrazione comunale. Perché non
farla a Cerzeto la festa? Perché non tentare di abbattere quel
diaframma che divide? Sono domande senza risposta, segni di una
inquietudine.
La sera prima un piccolo gruppo sotto la "direzione" di Carmine Stamile
che pur non essendo di Cavallerizzo interpreta l'anima popolare ha
intonato antichi stornelli.
"Eni sat shtiem një vjershë". Vengono in tanti, Nina, Ilia e Kartelës,
Casimiri e via dicendo. Cantano alla luna la loro rabbia e la loro
speranza.
"Oj i bukur Kaiveric më ti se hëna
mua sat t' godirnja nëng më la furtuna".
Tra un verso e l'altro affiorano i motivi di preoccupazione. Il
sindaco di Mongrassano ha proibito il passaggio
dei mezzi pesanti che trasportano il necessario alla ricostruzione
del centro abitato abbandonato e della area industriale. Il viavai crea
disagi ai cittadini di Colombra, e questo è un motivo per bloccare
tutto in una assurda guerra tra poveri. I lavori si interrompono e
nessuno sa quando e come possano ricominciare.
La tragedia non ha eliminato gli egoismi ed i campanilismi, non ha
prodotto una qualche forma di cooperazione per affrontare insieme i
disagi e l'emergenza.
Si dimentica facilmente la fragilità del territorio che minaccia il
vecchio abitato di Mongrassano, San Giacomo, San Martino e via
continuando lungo il crinale della faglia lunga 50 chilometri e
profonda 10 che attraversa tutta la montagna da San Fili a San Marco
Argentano.
Si dimentica che l'assenza di pianificazione ha creato strozzature che
limitano interi territori costretti all'isolamento, che l'interruzione
del vecchio tracciolino che attraversava Cavallerizzo ha interrotto non
ha creato una difficoltà nei trasporti. Ha rotto la rete, ha
squilibrato l'intero assetto viario ed impedisce di trovare agevoli
soluzioni in grado di rispondere alle attuali esigenze. Camion ed
autoarticolati per le merci, ma anche pullman e bus per il trasporto
passeggeri si trovano imbrigliati in percorsi obbligati, che li
costringono a lunghe deviazioni ed impongono lunghe circumnavigazioni
per collegare località distanti pochi chilometri.
La festa è finita, si va a mangiare. L'odissea continua.
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