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Il metodo di Montecarlo
di
Oreste Parise (Mezzoeuro Anno
VII num. 9 del 1/3/2008)
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Rende, 28 febbraio 2008
Qualche giorno fa il Partito Democratico ha tentato di imboccare
un'altra scorciatoia per la democrazia. Sono stati convocati gli Stati
generali del Partito per una consultazione franca e sincera finalizzata
alla
scelta dei candidati alla Camera ed al Senato. Sono stati chiamati solo
i carichi e le figure, tralasciando le scartine, per usate un
linguaggio da taverna. Il gioco si è svolto a carte scoperte, dovendo
ciascuno fare affidamento sulle proprie debolezze. "Apertis verbis" bisognava
dichiarare di non gradire il potente assessore, l'erede designato, il
grand commis, il senatore in pectore, e tutti i potenti schierati in
prima persona o attraverso gli occhi scrutatori dei propri scherani a
difesa della libertà di opinione. Ciascuno ha dato spontaneamente e
liberamente la propria indicazione.
Ciascuno ha valutato solo capacità, competenza e
rappresentatività. Ne
è scaturito un elenco mirabile per il tasso di novità, per l'alto
profilo dei soggetti interessati, per la vasta notorietà degli inclusi.
La novità più clamorosa è che non vi è nessuna novità: vi sono
ricompresi tutti i soliti
noti. Coloro che sono responsabili da anni ormai del destino di questa
regione, un fulgido periodo di crescita economica e civile. La cultura,
poi, ha fatto passi da gigante e siamo diventati la regione con il più
elevato tasso di emigrazione intellettuale.
Peccato che, a gustare la festa, quasi in contemporanea è
intervenuta la relazione
della Commissione Parlamentare antimafia ad interrompere questo sogno
ed evidenziare l'insieme dei legami perniciosi, gli intrecci
inestricabili tra politica, imprenditoria e criminalità organizzata.
Tutte cose già note, si direbbe. Ripetute da un pulpito autorevole
fanno ancora un po' di impressione, però. E così quell'elenco
pubblicato con grande risalto su tutti
i giornali faceva insorgere qualche perplessità.
Intendiamoci. Si tratta di brave persone, tutte
degnissime. Il gotha della nostra classe politica.
Ma allora chi c'è in quell'intreccio pernicioso? Una frase di Solone
riportata in "Società sparente" pare scritta apposta per la bisogna.
"La giustizia è come una tela di ragno: trattiene gli insetti piccoli,
mentre i grandi trafiggono la tela e restano liberi". Però questi greci
che continuano a rompere dopo secoli! Che voleva dire
Solone? Che forse qualche potente riesce a sfuggire alla giustizia,
riesce a crearsi una impunità, riesce a gestire le sentenze? Non
vogliamo crederci, ma quell'elenco sembra cadere a fagiolo. In fondo
cosa costa allontanare il sospetto per chi è abituato a pensare
all'interesse collettivo, per chi si è sempre sacrificato per il bene
comune? Basta chiedere a tutti costoro di fare un passo indietro, di
restare fermi per un giro per interrompere quella trama. Facile no? Ma
potrebbe esserci chi potrebbe perdere la trebisonda per questo. Non per
difendere i propri interessi, ma per il principio di rappresentatività.
Chi
è maggiormente rappresentativo di chi è stato eletto? Chi può
rappresentare meglio la società di chi già la rappresenta e ne ha
sviluppato gli strumenti di governance?
Ecco allora le primariette, e le sue regole approssimative. È
difficile trovare un sistema efficace, idoneo a secernere
adeguatamente senza ingenerare giustificate geremiadi. Si dimentica il
piccolo particolare che la democrazia non conosce
scorciatoie, ha nelle norme, nella ritualità giuridica la sacralità del
potere. Lo stravolgimento e l'improvvisazione danno luogo ad arbitri e
stravolgono il senso stesso della democrazia, trasformandola in
qualcos'altro. Basta riandare con la memoria ai ritocchi costituzionali
che hanno consentito la nascita legale delle dittature, salite al
potere con libere elezioni democratiche e trasformatesi in regimi
sanguinari.
Il pericolo sembra lontano, ma senza una opera di prevenzione,
quando
arriva è sempre tardi per poter organizzare una resistenza. Non è certo
il caso delle primariette, che sono solo un surrogato di democrazia,
una farsa di pseudo-partecipazione, poiché è il potere che interroga sé
stesso
per la sua conservazione. In confronto al dichiarato carattere
monarchia dello
schieramento del PDL può considerarsi un gradino più su, un tasso di
democraticità leggermente superiore. Ma il confronto non può avere
carattere assolutorio: siamo
di fronte a due assassini della democrazia. Si può discutere
dell'efferatezza dell'uccisione, della minore o maggiore crudeltà
dell'esecuzione, ma resta comunque un efferato delitto.
Questo delle primarie è insomma diventata una vera e propria
coglionetta: per ogni evento
una
regola. La democrazia adattata alla bisogna. Quando si dà alla gente
l'opportunità di partecipare, il coinvolgimento è elevato, il numero
dei partecipanti sorprende sempre. È un segnale importante che il seme
della democrazia ha prodotto piante tenaci ben radicate nel terreno
sociale. Come la gramigna rispuntano sempre nonostante tutti i
tentativi di estirparle.
Viviamo però un momento delicato, con una organizzazione criminale
terrificante, la più forte tra quelle operanti in Italia. La
sua crescita ed il potenziale economico sono sostenute dalla struttura
familiare e dalla stretta alleanza con i "poteri forti", dalla politica
all'economia. Essa si è annidata dappertutto, persino nella
Magistratura, come sostiene Salvatore Borsellino, nella intervista che
proponiamo sotto.
Un momento eccezionale richiede risposte eccezionali. Sul piano
normativo, approvando finalmente il disegno di legge Lazzati, che fa
divieto di propaganda elettorale ai sospettati di appartenere alle
organizzazioni criminali: sorvegliati speciali, confinati, condannati
per quel genere di delitti. Ma soprattutto prevede la decadenza per gli
eletti per i quali risulti evidenti che hanno usufruito dell'appoggio
strumentale delle cosche. Ed è questa previsione che rende così
difficile la sua approvazione. È da oltre quindici anni che il giudice
Romano De Grazia si batte in tutte le sedi, ma attende ancora
invano.
Sul piano politico, le elezioni anticipate
offrono
una occasione d'oro ai vertici del Partito Democratico. Dispongono di
un preziosissimo elenco "ad
excludendum", delle proposte di candidature
da evitare, da mettere in naftalina per dare un senso alla coglionetta
delle primariette.
Le regioni meridionali, in particolare quelle in cui
la mafia ha prodotto metastasi, come in Calabria ed in Campania, sono
il terreno dove si misura la volontà di rinnovamento del Paese. C'è
bisogno di una ripartenza, di rifondare le basi della democrazia, con
una forte azione di discontinuità rispetto al passato.
Il tasso di
novità in queste regioni avrà una ricaduta d'immagine in tutta Italia,
sarà uno degli elementi più importanti per valutare la reale intenzione
di voltare pagina, di misurare la determinazione di voler finalmente
costruire uno Stato forte che si riappropria del territorio, che
combatte adeguatamente le organizzazioni criminali.
Non è possibile
attendersi una rivoluzione dai politici di sempre adusi a servirsi del
potere, che hanno costruito delle nicchie blindate di privilegio. Nuove
regole e nuovi comportamenti hanno bisogno di una rappresentanza
rinnovata, che non abbia legami con il vecchio potere. Una impresa
disperata, come quella che si trovava di fronte Enrico Fermi nello
studiare le proprietà del neutrone, refrattario a qualsiasi regola, a
qualsiasi formulazione matematica. Tutti i metodi si
dimostrarono inadeguati. La soluzione gliela fornirono John von Neumann
e Stanisław Marcin Ulam con il metodo di Montecarlo, una tecnica di
calcolo di carattere stocastico, basato sulla uniformità del
comportamento probabilistico. Con il suo gruppo arrivò a costruire la
bomba atomica, a vincere la guerra.
Quello stesso metodo può essere di grande
aiuto ora, per creare quella discontinuità necessari al cambiamento. Si
possono estrarre a sorte i candidati (escludendo le liste delle
primariette!), con metodo scientifico in modo da ottenere un campione
piccolo ma rappresentativo del nostro universo mondo. Le aree di
collusione sono diffuse in tutte le categorie, ma la grande maggioranza
della società è sana ed il risultato sarebbe certamente molto più
accettabile di tutti gli espedienti utilizzati dalla politica per poter
conservare sé stessi.
Non c'è da preoccuparsi della competenza e della esperienza. Gli
uscenti non hanno certo brillato. Non vi sono state molte occasione per
aver potuto apprezzare il loro impegno.
Chissà che il Metodo di Montecarlo non riesca produrre la bomba
della
legalità, che con la sua deflagrazione spezzi il nodo gordiano che
impedisce la crescita economica e civile della Calabria e della
Campania.
Intervista a Salvatore Borsellino
Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ucciso il 19 luglio del
1992 in quella che viene ricordata come la strage di Via Amelio, dove
vennero fatti esplodere 100 chili di tritolo per sbriciolare un
ostacolo per la mafia, un cocciuto magistrato che si ostinava a voler
condannare i suoi membri. Vi persero la vita anche uomini della
sua scorta. Quella tragedia ha provocato una dura reazione
dell'opinione pubblica che ha costretto il legislatore ad intervenire,
lo Stato a reagire segnando un percorso di vittorie che hanno
significativamente indebolito la mafia siciliana, ed ha segnato la sua
vita. Da ingegnere ed imprenditori ha sentito dentro di sé il dovere
morale di continuare la lotta per la legalità in nome della quale si
era immolato Paolo. Cerca di essere presente in tutte le occasioni che
siano utili per questa causa. È venuto a Cosenza per presenziare ad una
udienza della causa di diffamazione intentata contro gli autori del
libro "La società sparente", convinto che solo liberando le coscienze,
denunciando senza reticenze gli intrecci tra il malaffare la politica,
i poteri dello Stato e l'imprenditoria sia possibile iniziare un
percorso virtuoso di rinascita della società meridionale.
Oggi è proprio la Calabria la nuova trincea, il campo di battaglia
dove
è schierato l'esercito criminale più potente e pericoloso. La
'ndrangheta è diventata l'organizzazione più forte che riesce ad essere
presente con i suoi tentacoli in tutto il territorio nazionale ed anche
oltre. È qui che si combatte la battaglia campale, dove si fronteggiano
due eserciti: l'uno ben organizzato, una temibile falange, dall'altro
lato lo Stato, che spesso appare come una armata Brancaleone che vuole
combattere la sua crociata con gli spadoni di cartone.
Salvatore Borsellino è venuto qui per un atto di testimonianza non
avendo alcun ruolo nella vicenda, solo per sostenere la causa di due
kamikaze che gridano la loro verità, che non si rassegnano a dover
subire il silenzio. Le sue parole sono un duro atto d'accusa, ma
rappresentano anche un barlume di speranza per chi voglia mantenere
accesa la fiaccola della legalità in questa regione.
- Come mai si trova in Calabria? Qual buon vento la mena?
- Sono venuto in Calabria per la prima volta per seguire da vicino
la vicenda De Magistris, perché ritenevo che qui si stesse combattendo
una battaglia, la battaglia di Fort Alamo, l'ultima battaglia in difesa
della Magistratura. Io ritengo che in Italia sia in atto un attacco
frontale e coordinato all'indipendenza della Magistratura e che proprio
qui si stesse svolgendo l'atto cruciale di questa battaglia. L'attacco
a De Magistris avviene nel momento in cui nelle sue indagini si era
avvicinato ai poteri forti. Poteri politici nella fattispecie, poiché i
poteri forti costituiscono un riferimento molto più ampio. De Magistris
è stato attaccato duramente, ma non credo che fosse un attacco a De
Magistris, ma un tentativo fin troppo scoperto di imbavagliamento della
Magistratura, come dimostra il contemporaneo attacco alla Forleo.
- Però questa battaglia la sta combattendo anche una parte
importante della Magistratura, che ha fornito agli assedianti un
significativo contributo. Non c'è stato bisogno di alcun cavallo di
Troia ...
- L'attacco frontale viene sicuramente dal potere politico e
purtroppo c'è una buona parte della Magistratura che è entrata in
questo sistema di potere ed è connivente con l'attacco dei politici. La
strategia seguita da Mastella di chiamare al Ministero magistrati
proveniente da diverse correnti in maniera di tacitare tutte le
possibili opposizioni all'interno della stessa Magistratura ha dato i
suoi frutti. Sicuramente una parte rilevante della Magistratura si è
lasciata cooptare in questo sistema di potere diventandone complice.
- In una recente intervista sulla stampa De Magistris lamenta che
hanno colpito lui, mentre non si è mai punito un magistrato corrotto.
- Questo fa parte della strategia di cui parlavamo prima. I
magistrati corrotti sono utili al sistema.
- Ma qui stiamo parlando del CSM, del più alto livello del potere
giudiziario ...
- Certo, certo si tratta di un fatto di estrema gravità. Nel CSM
d'altronde non vi sono solo componenti togati. Una buona parte è
diretta emanazione del potere politico. Come vice-Presidente è stata
scelta una persona assolutamente dubbia come Mancino, in perfetta
sintonia con la strategia di depotenziamento della Magistratura che ha
trovato un coronamento nella nomina a guardasigilli di Clemente
Mastella. Inizialmente egli era titubante ad accettare quell'incarico.
È stato convinto da Andreotti e Cossiga per "compiere una missione",
secondo quanto dichiarato a caldo dallo stesso. La missione che doveva
compiere - ed in buona parte vi è riuscito - è proprio quello
dell'imbavagliamento della Magistratura.
- Con il siluramento di fatto di De Magistris è persa la battaglia
per la legalità in Calabria?
- Credo che non sia ancora del tutto persa. Sicuramente è arrivata
ad un punto molto critico, tragico direi. Peggio di quello che è stato
fatto a De Magistris è il silenzio che è caduto sulla
vicenda. Dopo gli iniziali clamori vi è un oscuramento irreale da parte
della stampa, e non me ne meraviglia. Un silenzio da parte della
società civile, distratta da altri interessi. Non ci sono più i
movimenti di partecipazione emotiva,
come quelli suscitati da AnnoZero di Santoro ed altre trasmissioni
televisive che hanno avuto un grande impatto sull'opinione pubblica. La
battaglia non è persa,
ma stiamo in un punto molto tragico perché non vi è una reazione delle
associazioni, dei giovani, degli intellettuali come succedeva solo
qualche mese fa a fronte degli iniziali attacchi a De Magistris. Adesso
che questo processo si sta compiendo - e si sta compiendo nella maniera
più ignominiosa qual'è il pronunciamento del CSM, non vedo alcun tipo
di reazione. Siamo in un vicolo cieco. Quando De Magistris ha
chiamato a raccolta la società civile a difesa dell'indipendenza della
Magistratura, poiché questo era il senso delle sue esternazioni, le
interviste, le apparizioni in televisione, ha trovato risposte
entusiaste. Quella chiamata alle armi
aveva prodotto i suoi effetti, aveva galvanizzato un movimento. Oggi
non può ricorrere a quelle armi perché tutto sarebbe usato contro di
lui, per metterlo definitivamente a tacere. Si è creato un circolo
vizioso. Da un lato De Magistris non può parlare perché verrebbe
attaccato, dall'altro con una sentenza ignominioso come quella che è
stata fatta gli viene tolta persino la possibilità di fare il giudice
monocratico. Ecco la dimostrazione evidente che questo accerchiamento
sta producendo i suoi frutti amari.
Bisognerebbe che vi fosse una forte reazione dell'opinione pubblica
e fosse così forte da cancellare questo disegno perverso.
- Proprio sulla giustizia il centro-sinistra giocava un atout per
rimarcare la sua diversità rispetto all'era Berlusconi.
- Purtroppo io ritengo che tutte le parti politiche sono concordi
in questa strategia di accerchiamento della Magistratura. Alla fine il
governo si sinistra ha fatto molto peggio dei quello di destra nella
politica per la giustizia. Il governo Berlusconi si era "limitato" a fare delle leggi ad
personam e contra personam. Ad personam per difendere gli interessi del
capo del governo, contra personam come quelle contro Caselli per
impedirgli di assumere l'incarico di Procuratore Nazionale Antimafia.
Con la sinistra abbiamo assistito ad un crescendo di attacchi alla
Magistratura, come quelli messi in atto contro De Magistris e la
Forleo,
che non hanno precedenti nella storia della Repubblica italiana.
- De Magistris sostiene di tenere un diario nel quale annota tutti
i fatti strani che gli accadono, che consentirebbe in caso dovesse
succedere qualcosa di identificare gli eventuali mandanti di
quell'azione scellerata. Sembra il grido di dolore di una persona che
si sente in pericolo. Come se avesse affidato ad un memoriale la sua
difesa.
- Si intende qualcosa di tragico? Ritengo che non succederà perché
la strategia è cambiata. Il tritolo per togliere di mezzo i giudici non
serve più. Adesso i giudici vengono fatti fuori con altri mezzi, legali
o pseudo legali: collegi fatti ad hoc, ispezioni, rimozioni. Quello che
è stato fatto a De Magistris è stato possibile grazie a modifiche
legislative introdotte dal Ministro Mastella. Oggi non vengono
adoperati più i metodi precedenti poiché il terrore provocava la
reazione violenta dell'opinione pubblica. I metodi attuali passano per
metodi
legali, in difesa della democrazia e riescono a passare inosservati.
Ritengo che la politica ha una grande
paura della reazione di massa come quella che si è verificata dopo le
stragi del '92, che ha portato ad un inasprimento delle
pene verso i mafiosi, ad una dura repressione poliziesca. I
poteri forti oggi sono convinti che non bisogna arrivare a tanto,
bisogna tenere basso il profilo. Una strategia diversa, ma più utile,
attuata attraverso l'uso della politica che riesce ad aggirare uno dei
principi
fondamentali della Costituzione quale dell'indipendenza dei poteri
dello
Stato. È contro questo disegno che occorrerebbe la mobilitazione
dell'opinione pubblica, della società civile che si dovrebbe
ribellare. Purtroppo la società civile sembra narcotizzata, non sta
avvenendo
alcuna reazione come mi sarei aspettato.
- Con un pizzico di "humeur noir" si potrebbe pensare che la
rimozione di De Magistris sia stata finalizzata a tutelare la sua
salute e quella dei cittadini?
- Ironia a parte, è proprio quanto si vuol far credere. Nel caso
della Forleo si è addirittura tentato di farla passare per pazza, di
dipingerla come nevrotica. Per De Magistris sarebbe stato difficile
far passare una teoria del genere, poiché ha nel suo DNA il gene del
giudice. Credevo che fosse figlio e nipote di magistrato. Adesso scopro
addirittura che il suo bisnonno faceva parte della magistratura
borbonica. Nella sua storia sono riassunte tre generazioni di
magistrati. Non avendo
potuto far passare questa teoria, hanno adoperato altri metodi
servendosi di una sentenza in cui si leggono motivazioni inesistenti,
non vi si trovano argomentazioni plausibili. Siamo di fronte ad una
abnormità da un punto
di vista giuridico.
- Ritiene che la rimozione di De Magistris possa normalizzare la
magistratura in Calabria?
- Il tentativo è quello. Io non conosco abbastanza la
situazione della Magistratura in Calabria per esprimere giudizi. De
Magistris attaccava anche
altri membri della stessa Magistratura in Calabria, accusandoli più o
meno velatamente, più o meno palesamene - ma giustamente - di
inefficienza, di collusione o altro. Ed ha provocato una dura reazione.
Questa è una situazione che è presente anche a livello nazionale. La
Magistratura non è più quella dei tempi di Giovanni Falcone e di Paolo
Borsellino. Anche allora - occorre ricordarlo - vi erano giudici come
Signorino che erano
addirittura collusi con la mafia, esistevano giudici come Giammanco,
come Meli che cercavano di ostacolare l'azione di Falcone e Borsellino
con ogni mezzo. Oggi ritengo che la situazione sia di molto peggiorata.
Vi sono infiltrazioni all'interno della Magistratura. Non sono isolati
i casi in cui i mafiosi, i 'ndranghetisti hanno fatto
studiare e mandato all'università i figli per inserirli in
Magistratura e nei gangli vitali della pubblica amministrazione.
L'accerchiamento stia avvenendo dall'esterno,
dalla parte politica e dall'interno, un attacco concentrico che mina la
credibilità e
l'indipendenza della Magistratura.
- Lei ritiene che questo impegno per le "liste pulite", come
rappresentato in forma emblematico dall'esposizione politica della
figura di sua
sorella in Sicilia, possa rappresentare un argine a questa deriva,
segnare un principio di maggiore legalità nelle nostre regioni?
- Non penso che siamo ancora a quel punto, vi sono ancora
incertezze e titubanze che impediscono una applicazione rigorosa del
principio di eticità nella partecipazione politica. Persino le liste
ipotizzate da Grillo alla fine si sono
ridotte a tre in Sicilia, in Friuli ed in un'altra regione. Non
possono portare a cambiamenti significativi. Ritengo più utile una
mobilitazione totale dell'opinione pubblica con movimenti,
manifestazioni nelle piazze che facciano arrivare la loro voce nei
palazzi del potere. Per ottenere questo risultato è necessario che le
azioni di lotta abbiano una visibilità mediatica. In questo momento
serve portare all'attenzione dell'opinione pubblica il tema della
legalità. Quei pochi che hanno percepito la centralità del problema
debbono fare ogni sforzo per portalo nelle sedi opportune. Al punto in
cui siamo arrivati credo non sia più possibile emendare il sistema
dall'interno: è arrivato ad un punto tale di degenerazione che
provocare un cammino virtuoso di riforma mi pare francamente
velleitario e frustrante.
- Lei oggi è qui per difendere Emiliano Morrone e Saverio Alessio i
quali nel loro libro "La società sparente" hanno duramente
attaccato questo sistema. Cosa lo ha spinto a sobbarcarsi a questa
fatica, considerato che lo ha fatto gratuitamente, come impegno
civile.
- Io sono solito affermare che ho due lavori per vivere, poiché
forniscono i mezzi di sostentamento a me ed alla mia famiglia ed uno
per non morire, per continuare a credere nel prossimo, nella utilità di
un impegno civile. Per tutta la vita ho mantenuto un profilo
riservato, dedicandomi esclusivamente al mio lavoro. Solo con il
sacrificio di Paolo, ho capito che non potevo fuggire di fronte al
terribile dovere di continuare la sua battaglia ideale per la legalità
e la giustizia. Vado dove mi porta il cuore, direi usurpando il titolo
di un noto romanzo. Sono venuto indignato per il tentativo di
imbavagliamento dell'informazione. Ho voluto dare il mio piccolo
contributo di testimonianza. Questa è un'altra battaglia che vale la
pena di combattere per ridare dignità alle nostre regioni.
C O P Y R I G H T
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