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Il volo di Riace

di Oreste Parise (Mezzoeuro Anno VIII num. 43 del 24/10/2009)


Rende, 23 ottobre 2009


Un borgo in via di spopolamento si rianima grazia gli immigrati. Non si tratta dei “soliti” extra-comunitari ma dei rifugiati politici protetti dalla convenzione di Ginevra. Una esperienza unica che Wim Wenders vuole raccontare in un cortometraggio. Il sindaco racconta come è nata questa idea.

Cos'è Riace? Il suo nome evoca la Magna Grecia per via di quei bronzi che sono stati ritrovati nel suo mare. In realtà quel ritrovamento è frutto del caso, un puro accidente che con Riace non ha niente da spartire. Il paese non ha niente da spartire con il mare, poiché il paese è appollaiato in collina, per difendersi dalle incursioni di saraceni e turchi. Le sue viuzze denunciano la sua struttura medievale, costruita al tempo degli aragonesi.

Murales Peppino Impastato

Il mare è sempre stato un pericolo con i suoi infiniti orizzonti, i suoi abissi inesplorati. La sua cultura, la sua economia è agricolo-pastorale, legata alla montagna, alla pastorizia piuttosto che alla pesca.

“Per esatte informazioni prese dal lodato D. Angelo Fasano allorché visitò la Provincia, costà, nel giorno 7 febbraio del 1783 circa le ora ventidue italiane il Jonio che bagna il lido di Stilo si elevò colle sue onde in una scala di un'altezza smisurata, e spaventevole talmente, che gli Stiloti guardandola dalla distanza di sopra miglia quattro, ed elevata più di una stessa parte di miglio, se ne atterrirono assai più del Tremuoto de' cinque: imperroché per la faccia, che per la scala alla loro vista, temevano che sbalzandosi sul loro territorio l'avrebbe tutto inondato, e desolato” scriveva Giovanni Vivenzio nel 1788. Parlava del terribile terremoto e del maremoto che aveva sconvolto tutto il reggino: “Fu Stilo reso inabitabile: Camini, Riace, e Stignano rimasero in parte distrutti, e nel rimanente lesionati; e solamente Guardavalle fu meno bersagliato, non avendo sofferto, che delle lesioni.”

Il terrore del mare è stato superato solo in questo lungo dopoguerra quando si è riscoperto la sua marina, con uno sviluppo edilizio abnorme, disordinato e disarticolato, senza un piano regolatore che ha finito per svuotare il centro storico senza creare presupposti di sviluppo a valle. Dal mare sono venuti gli immigrati che hanno ripopolato il centro storico, per il progetto visionario di un sindaco Mimmo Lucano, che ha creduto nell'impossibile ed ha cercato di realizzarlo, trovando anche i canali per finanziarie le sue utopie. Un personaggio di altri tempi, che unisce la rivoluzione culturale e la politica del fare, che cerca di realizzare l'utopia di Campanella, il cui spirito aleggia ancora tra queste contrade.

A Riace si sta attuando un progetto di accoglienza che può costituire un modello, non solo per la rinascita dei centri interni della regione, interessati ad un processo di inarrestabile spopolamento, ma anche esperimento di integrazione culturale.

L'arcobaleno dei colori dei suoi murales si sposano con la tavolozza dei colori dei suoi nuovi ospiti provenienti da mondi esotici lontani, Iran, Iraq, Eritrea, Somalia, Afghanistan …, con la babele di lingue che risuonano nei vicoli.

Un dato che colpisce sono i bambini che si rincorrono per strada, tutti stranieri che si parlano in italiano poiché è l'unica lingua che li unisce tutti, l'unica cultura che li accomuna.

Murales nel centro storico

Lungo le sue strade sono evidenti i segni di una presenza, di un rinnovato interesse degli abitanti verso il loro borgo, le strade pavimentate, molte case ristrutturate, le finestre aperte, il viavai di gente che salutano con gentilezza. E poi questi laboratori dove persone con esperienze terribili alle spalle hanno ritrovato il sorriso dietro un telaio greco, o la ruota che modella l'argilla: lavori tradizionali e prodotti locali si incrociano con prodotti etnici che profumano di giungla, in un sofisticato bouquet di profumi esotici.

Una esperienza interessante che ha già animato convegni e dibattito ed ha acceso l'interesse di Wim Wenders che ha deciso di dedicargli un cortometraggio in 3D intitolato "Il Volo", con il patrocinio e il cofinanziamento della Regione Calabria. Una occasione importante per lanciare il nome di Riace nel mondo, che può dare un contributo decisivo a trasformare una esperienza nata sull'onda dell'entusiasmo e sorretta dallo spontaneismo dei protagonisti, in un modello solido, capace di reggere all'urto della perdita dei finanziamenti ed al rischio dell'indifferenza che segue sempre lo slancio ideale.

Riace è l'ultima fiammella di speranza che si è accesa in una terra da sempre ostaggio della 'ndrangheta, dopo il fallimento delle cooperative sociali di Bregantini che più che dare una via di uscita ai giovani disoccupati sono finite direttamente sotto il controllo di questa, per l'aver voluto inglobare le pecore nere per il desiderio di redimerle. Anche l'esperimento di Badolato è durato lo spazio di un mattino che si è esaurito dopo lo slancio iniziale di solidarietà.

"Questa nostra terra, qualche volta disperata e disperante, ha bisogno - oggi soprattutto - della solidarietà concreta, fattiva, dei soggetti sociali ed istituzionali più sensibili del nord”, sostiene Tonino Perna.

Mimmo Locanto sembra voler dimostrare che senza una presa di coscienza dei meridionali e delle sue istituzioni non si uscirà mai da questa condizione di subalternità.

Intervista a Mimmo Lucano, sindaco di Riace

Come nasce questa idea dell'accoglienza? Come nascono questi laboratori artigianali?

Sembra davvero incredibile di essere arrivati fin qui. Io vengo dall'impegno politico di Lotta Continua e Autonomia Operaia. Mi sono avvicinato a questa esperienza con un approccio fortemente emozionale. Come Impastato provengo ma piccolo borghese, mi piaceva interpretare l'istanza della cultura popolare, più legata ad una dimensione spontanea, ad un approccio relazionale. Per alcune estati mi sono divertito a riscrivere la storia di questi luoghi attraverso il teatro popolare in occasione delle manifestazioni estive. Mi sono soffermato a capire l'emigrazione riacese nel mondo. In una fase in Italia in cui queste istanze di utopie sociali si stavano spegnendo, immaginavo di poter ricostruire qualcosa che rompesse quell'apatia sociale che era rassegnante nei piccoli luoghi. In questi luoghi si respirava la cultura della rassegnazione sociale, evidenziato da un esasperata ripetizione di una cantilena di ormai. Tutta l'attività istituzionale del comune era legata a Riace Marina, dove c'era l'economia.

Mimmo Lucano

Qui siamo in uno dei vecchi magazzini dove ora vi è un laboratorio di tessitura, come nascono, chi li ha ristrutturati, di chi sono?

Si è arrivati a questo con un processo graduale. Questa voglia di fare le cose incontrava grandi difficoltà. dovevamo capire come intervenire sul tessuto sociale, sul terreno politico per invertire la tendenza di tutti questi comuni a programmare lo sviluppo sul modello di Rimini, con una cementificazione selvaggia. Vito Teti definisce le nostre marine luoghi fantasma dove manca il respiro della storia. Tutte sono attraversate da una lunga striscia di asfalto, questa famigerata statale ionica che causa grandi problemi per l'alta velocità. Io sono nato a Riace Superiore, questo luogo impregnato di una storia millenaria in via di abbandono. Ho cercato di trovare una strada, una linea di intervento che fosse in grado di dare un segno di ripartenza.

Vi è stato un momento che segna simbolicamente l'inizio di questa avventura?

Nel 1998 c'è stato uno sbarco di curdi sulla nostra spiaggia, come avvenuto qualche anno prima a Badolato. In quel momento vi era una forte tensione politica in Medio Oriente, tra la Turchia e l'Iraq, ed i curdi scappavano da quel teatro di guerra. L'esperienza di Badolato mi aveva incuriosito. L'accoglienza offerta da queste comunità che sono qualche anno primo erano andate spopolandosi proprio per una massiccia emigrazione, mi sembrava un segnale di speranza. Mi affascinava l'idea di Tonino Perna, che sosteneva che questi paesi fantasma potevano essere ripopolati dagli immigrati, per ricostruire un tessuto sociale, poiché la presenza dell'uomo riattiva le attività, rivitalizza il territorio. I luoghi deserti, dove manca il calore dell'uomo non consentono alcuna attività di programmazione.

E' sempre dal mare che arrivano le sollecitazioni positive, prima i bronzi, poi i curdi.

Il mare è sempre stato lo strumento di comunicazione con il mondo, da lì sono venuti i saraceni, i turchi che ci hanno costretto a rifugiarci nelle montagne.

Quando sono sbarcati i curdi, non vi era alcuna organizzazione di accoglienza in Italia, non c'era il Centro di Crotone, eravamo all'anno zero. Questi curdi li abbiamo ospitati in una struttura parrocchiale, la Casa del Pellegrino. Il vescovo di Locri Bregantini ha dovuto lottare contro una cultura reazionaria di quelli che lo circondavano, ed ha dovuto dare lo sfratto a questa comunità perché sopraggiungeva la festa patronale di San Cosma e Damiano a settembre. Lui proveniva dalle comunità di base ed aveva una grande apertura verso gli immigrati, ma alla fine ha dovuto cedere alla pressione del suo entourage.

Io ero attratto dall'idea di rigenerazione sociale attraverso la loro integrazione, ma anche da questi mondi in arrivo, 300 persone dall'odore che sapeva di oriente, curdi iracheni e curdi iraniani. Per un mese ho frequentato la loro comunità e ho fatto amicizia con alcuni di loro che hanno iniziato a frequentare Riace. Il problema curdo era all'attenzione nazionale per il caso Ocalan, in Italia in quel momento. Abbiamo trovato delle case e da lì che Riace diventa un luogo dell'accoglienza.

Ma di chi erano queste case, come ne avete avuto la disponibilità?

Sono state offerte con grande spontaneità dagli emigrati riacesi che le avevano ormai abbandonate. Personalmente ho chiamato mio cugino e gli ho chiesto la sua casa vuota da molti anni e si è dichiarato subito disponibile. Molti altri hanno seguito il suo esempio. E' romantico rievocare quei primi momenti.

Il vescovo di Locri gli da l'ultimatum intimandogli di liberare subito la Casa del Pellegrino, i curdi raccolgono le loro poche cose e si dirigono verso la marina per continuare il loro viaggio in treno o in macchina con la voglia di raggiungere la forte comunità curda tedesca. Li abbiamo riuniti sotto il maestoso pino davanti al comune. Ricordo in particolare un curdo iraniano molto attivo e determinato, un bravo giornalista molto politicizzato. Era entusiasta di poter rimanere ancora in questi luoghi che gli ricordavano il suo paese. Abbiamo deciso di utilizzare le tante case vuote, di proprietà degli emigranti riacesi che ormai avevano smesso di ritornare per le vacanze e siamo riusciti a dare a tutti un tetto. Quell'inverno è passato così senza un progetto, senza una chiara idea di come affrontare il futuro. Noi non avevamo alcuna forza economica per sostenere questa comunità, ma i curdi si sono adattatati a qualsiasi lavoro, dalla raccolta delle olive al lavoro nei frantoi, al lavoro in agricoltura o altro. Quello che ha sorpreso è stata la coralità del sostegno della comunità che ha contribuito con quello che aveva, una incredibile solidarietà soprattutto nei confronti dei bambini. Quell'inverno del '98 mi ha fortemente preso emotivamente.

L'anno successivo vi erano le elezioni comunali e abbiamo presentato un programma a crescita zero, una vera rivoluzione culturale poiché proponevamo di rifiutare la logica della cementificazione, avevamo tutti contro imprese edili, progettisti, ma gli stessi cittadini preoccupati della crisi che avrebbe provocato. La filiera del cemento ha il suo terminal nelle cave di inerti e del trasporto dei materiali edili che hanno le loro radici nella geografica mafiosa. Si crea una situazione di complicità tra le imprese, le istituzioni, gli uffici comunali, i professionisti. Non si intravedeva alcuna possibilità di scardinare quel sistema. Il nostro capolista aveva un tumore incurabile e questo ci dava una carica particolare, poiché combattevamo una lotta ideale e di solidarietà personale.

Avete vinto poi quelle elezioni?

Le abbiamo perso, ma sono stato eletto consigliere di minoranza. L'amministrazione uscente era in carica da 15 anni, un potere consolidato. Per valutare cosa questo significasse la nostra proposta, basta ricordare che il programma di fabbricazione del 1980 era stato costruito sull'ipotesi di un incremento demografico abnorme, che avrebbe dovuto portare Riace a dai 1,700 abitanti circa a 25.000 nel 2005, mentre vi è stata addirittura una diminuzione seppur lieve e la popolazione si è spostata in massa alla marina. Il vecchio centro storico rischiava il completo abbandono e degrado. Nonostante tutto abbiamo lottato per imporre alcune proposte programmatiche nel settore dell'accoglienza, che venivano considerate innocue, poiché non alteravano gli equilibri di potere.

Quella amministrazione l'ha comunque favorito o non ostacolata, altrimenti si sarebbe interrotta come esperienza.

Non l'ha osteggiata, ci guardavano con molta sufficienza, con benevolo paternalismo e poi il sindaco non si poteva più ricandidare. Per noi la cosa più importante era dimostrare di saper essere coerenti con le nostre idee. In un panorama di profonda rassegnazione dove manca l'impegno della politica, chi gestisce il potere cerca di guardare in prospettiva e coinvolgere le persone dinamiche. A noi minoranza consiliare hanno proposto di collaborare, offrendomi un posto in giunta per proseguire l'impegno sociale chiedendo in cambio una condivisione della politica del mattone. Pur avendo rifiutato la collaborazione, la tregua che ci è stata offerta è stata utilizzata per realizzare alcune linee guida del nostra programma di accoglienza.

Quella folle previsione di crescita demografica sulla base del quale era stato costruito il Programma di Fabbricazione, serviva solo alla speculazione, a giustificare la colata di cemento che ha vandalizzato la marina di Riace. Noi puntavamo sulla riqualificazione del centro storico, sul recupero dell'antico abitato. Vi era poi un continuo richiamo ai Bronzi …

Quante persone hanno scoperto Riace a seguito della scoperta dei bronzi? Poteva essere una occasione per iniziare un processo di rilancio.

Qui non è venuto nessuno. Io non mi sono mai interessato ai Bronzi, perché sono un frutto puramente casuale. Se i due guerrieri li avessero trovate qualche metro più in là oggi parleremo dei Bronzi di Monastarace. Qui non ci sono mai stati e non vi è stato alcun effetto indotto, li hanno subito portati al Museo Nazionale di Reggio Calabria.

Ritorniamo al vostro progetto di accoglienza.

Abbiamo costituito l'associazione Città Futura, dedicata a don Giuseppe Puglisi, il prete ucciso dalla mafia, ed abbiamo avuto la disponibilità di Palazzo Pinnarò, nel cuore dell'antico borgo, divenuto sede di incontri, di convegni, dello scambio culturale tra mondi lontani. Nel 2000 lo abbiamo inaugurato con convegno che ha avuto una partecipazione davvero eccezionale: sono venuti Don Luigi Ciotti, il vescovo Bregantini e numerosi politici.

Quale era la peculiarità del vostro progetto?

Noi ci siamo rivolti ad una particolare tipologia di immigrati, i richiedenti asilo politico in base all'accordo di protezione di Ginevra. Nel 2001 Riace aderisce al Recosol (Rete dei comuni solidali).

Laboratorio artigiano
Su quali base stabilivate che si trattava di richiedenti asilo e non immigrati qualsiasi spinti qui dalla fame e dalla miseria?

Questa risposta la vorrei dare a Maroni, che tratta tutti come clandestini. Tutti coloro che scappano da una persecuzione sono clandestini poiché non hanno alcun permesso da parte del loro governo, e spesso neanche documenti. Quando vengono in Italia sono protetti dalla convenzione sottoscritta anche dal nostro paese, e vanno classificati come richiedenti asilo. La comunità internazionale sa bene che in paesi come la Somalia, l'Afghanistan o l'Eritrea c'è la guerra, che il regime iraniano perseguita gli oppositori.

Quando nel 2001 arrivano intere navi di profughi provenienti dal Congo, dal Darfur o da altri teatri di guerra, vi era una sola commissione in Italia che poveva decidere se attribuire lo status di rifugiato politico, accordare la protezione umanitaria oppure rigettare l'istanza perché non ricorrevano i presupposti della convenzione di Ginevra. Se non proponevano ricorso venivano etichettati come clandestini, e destinati ai CPT, oggi CIE (Centri di Identificazione e Espulsione).

Con la Bossi-Fini, ne sono state istituite sette, di cui una a Crotone ed in questo modo si accorcia il tempo necessario per una risposta e questo ha consentito di velocizzare la regolarizzazione dei nostri ospiti. I nostri immigrati hanno tutti lo status di rifugiati politici sulla base di un programma di assistenza. Riace diventa un punto di riferimento per i rifugiati politici o che hanno la protezione umanitaria.

Nel 2001 viene approvato il Programma Nazionale Asilo, nei centri di prima accoglienza ci sono dei funzionari che gli ospiti vengono sollecitati a prepararsi all'udienza, corsi di lingua italiana, oltre a vitto ed alloggio.

Sono previsti dei finanziamenti?

Un finanziamento calcolabile intorno a 20 euro pro-capite pro-die, omnicomprensivo di casa, vitto assistenza legale e sanitaria, assistenza scolastica e pocket money. Noi abbiamo aggiunto le borse-lavoro per favorire la crescita di piccole attività imprenditoriali. A questo bisogna aggiungere lo stipendio degli operatori.

Come si è organizzato il comune di Riace? E' stato istituito un ufficio, un centro di accoglienza?

Nel 2001 il comune aderisce al PNA, e viene inserito nella Recosol (rete dei comuni solidali), un “patto di mutuo soccorso” fra i Comuni impegnati in progetti di solidarietà e ne affida l'attuazione ad un soggetto attuatore che è Città Futura, che aveva maturato una esperienza nel settore. L'associazione viene ammessa allo SPRAR - Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ed oggi ospita numerosi profughi palestinesi, afgani, eritrei.

Quante persone lavorano in questo settore?

Qui nel centro storico vi sono dieci operatori. Oggi abbiamo attivato un servizio anche a Riace Marina dove operano sei addetti, per un totale di sedici persone, tutte con regolare contratto di lavoro. I fondi che ci vengono destinati sono sufficienti a coprire anche i loro stipendi, poiché cerchiamo di ottimizzare le risorse. A ciascun nucleo familiare noi diamo una abitazione autonoma e dignitosa qui nel borgo.

Chi ha provveduto alla ristrutturazione di questi immobili, chi ne ha la proprietà?

Abbiamo rifiutato la logica dell'acquisto, abbiamo chiesto ai nostri emigranti solo la disponibilità dell'immobile. In una prima fase gratuitamente, ma oggi paghiamo un regolare fitto. Con i fondi del PNA l'associazione Città Futura è stata in grado di intervenire per recuperarli e fornirli dei confort necessari, alcuni di questi sono stati utilizzati per la creazione dei laboratori artigiani, per la produzione di tessuti etnici, ceramiche, ricami, e così via. Come comune abbiamo dato un piccolo contributo alla riqualificazione estetica del paese.

Tutto questo solo con i soldi messi a disposizione dal Ministero degli Interni?

Città futura ha anche realizzato un albergo diffuso, che ci ha consentito di attivare un consistente flusso di turismo solidale. Disponiamo di 120 posti letto, che sono completamente pieni per tre mesi l'anno. C'è poi qualche privato che inizia ad offrire ospitalità nella propria casa, è un processo lento ma potrebbe consolidarsi. Ormai il turismo non è più il flusso di ritorno degli immigrati, ma vive di un processo proprio.

Quanti sono questi laboratori e come sopravvivono? Vi è un mercato per questi prodotti?

Oggi vi sono sette laboratori, e quelli che vi lavorano hanno tutti un regolare contratto: si sta creando una economia ecosolidale. Questo movimento ha consentito anche di rivitalizzare l'economia del paese, si è riaperto il bar, la macelleria, la lavanderia. Qui non vi era rimasto più niente, oggi il paese è di nuovo vivo. Nel 2006 abbiamo avuto due milioni di euro per la riqualificazione del centro storico che ci ha consentito importanti interventi come il Parco della Montagna.

Quale insegnamento si può trarre dall'esempio di Riace?

Il caso di Riace dimostra come sono possibili interventi di riqualificazione senza sponsor politici con un'accorta politica della spesa. L'aspetto maggiormente positivo è l'aspettativa positiva della gente, che ha deciso di investire nel proprio luogo non solo materialmente con il recupero delle loro case e l'attenzione ai particolari, ma soprattutto decidendo di rimanere qua, di ricomporre il tessuto sociale. Qui si è invertito il processo di abbandono, di desertificazione antropica che sta interessando i paesi interni della Calabria.

Come è stato possibile tutto ciò?

Ritengo che ci sono altri valori oltre il denaro. Nella prima fase ho rifiutato la logica economica, ma oggi ritengo che è necessario trovare un equilibrio finanziario. Il ricavato delle vendite è sufficiente a coprire l'affitto e le spese, ma le persone vengono pagate con i soldi del progetto. Tutti prendono 500 euro se lavorano solo la mattina o 800 se lavorano anche nel pomeriggio. Hanno storie veramente incredibili, ed i laboratori hanno avuto una funzione terapeutica.

Se non si crea un sistema in grado di reggersi da solo alla fine diventa problematico garantire un futuro.

Fin qui si è retto sulla volontà degli operatori, sulla cooperazione di tutta la comunità. E' mancato però l'apporto dell'associazionismo, del commercio equo. Queste botteghe non hanno mai avuto un ordine di 5.000 tappeti, devono trovare da sole un mercato. Adesso si aprono delle strade per portare i prodotti di Riace anche all'estero. Per un puro caso, un operatore vuole introdurre i nostri prodotti Copenaghen.

Si potrebbe tentare col richiedere uno spazio alle grandi catene commerciali operanti nella regione, alle catene cooperative.

Questo sarebbe di grande aiuto. Finora abbiamo solo il convinto sostegno del comune ed il coinvolgimento dell'intera collettività. Siamo tutti convinti di poter sviluppare Riace attraverso la bellezza urbana, la riqualificazione del propri patrimonio, il ragionare in un orizzonte più ampio, l'operosità negli antichi mestieri. I riacesi credono in un futuro nel proprio paese e investino per valorizzare l'esistente.

La presenza turistica può essere alimentata con gli eventi, come la fiera di San Cosma e Damiano, che richiama una grande folla.

Alla fine le elezioni le avete vinte?

La prima volta nel 2004 tra la sorpresa generale e quest'anno siamo stati riconfermati, con qualche episodio intimidatorio. Questo ha rafforzato la volontà di proseguire per questa strada.

Vi sono tanti bambini per le strade.

Sono la nostra grande risorsa. Consentono alle scuole di Riace di restare aperte, sono un investimento nella speranza.

Quali sono i progetti per il futuro?

I piccoli comuni inferiori a 5.000 abitanti non possono ospitare più di 15 rifugiati. Nel 2001 vi è stata una emergenza per il sovraffollamento dei centri di prima accoglienza Lampedusa, e l'ANCI ha chiesto ai comuni del Recosol di dare la loro disponibilità per ulteriori posti. Noi abbiamo dato la disponibilità di 200 posti, contro i 15 del comune di Milano. In questo progetto ho coinvolto i comuni di Stigliano e Caulonia e ci hanno concesso il finanziamento di un progetto di accoglienza di 170 persone; un progetto che dovrebbe finire quest'anno. Ho avvertito i comuni interessati di non sollecitare gli immigrati ad andare via, poiché noi dobbiamo capire come il nostro territorio può offrire non solo ospitalità ma opportunità di organizzare una collettività operosa e dinamica. Il sindaco di Stigliano ha espresso molti dubbi, in assenza di un sostegno pubblico, di poter avviare un processo di integrazione. Si è insediato a giugno, e si è ritrovato a gestire un problema che non conosce e non condivide. E' una grande sfida che intendiamo affrontare.

Cosa ci fanno gli asini a Riace?

Abbiamo iniziato ad utilizzarli per il trasporto della spazzatura, con l'aiuto di un ragazzo ghanese ed un altro bianco. Con gli immigrati vogliamo realizzare un processo di raccolta differenziata “umanizzata", che aiuta e qualifica la politica dell'accoglienza.


C O P Y R I G H T

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Ultimo aggiornamento del 11/28/2008 17:23:22