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"Vi è troppa pressione sul suolo, poiché è l'unica ricchezza della
regione".
Intervista a Pasquale Versace
di Oreste Parise (Mezzoeuro Anno IX num. 9 del
06/03/2010)
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Rende, 06 marzo 2010
Sull'ambiente la Calabria vuole fare sul serio.
Ottocento milioni di euro da spendere in pochi anni per affrontare le emergenze
con un piano organico. Si partirà subito con un primo stralcio di 175 milioni
che saranno destinati a sanare le situazione di maggiore criticità. Lo assicura
Pasquale Versace, nell'intervista in cui le criticità vengono raccontate da un
protagonista e testimone oculare.
L'Unical ha deciso di costituire una task force per dare un contributo alle
strutture tecniche degli enti locali - comuni, province e regione, nella
gestione delle emergenze frane,. L'unità sarà costituita da docenti e
ricercatori universitari e sarà coordinata dal Prof. Pasquale Versace,
componente della Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile calabrese.
Nel corso di questo bimestre di piogge ininterrotte ha percorso in lungo e
largo la regione all'inseguimento di frane, smottamenti, crolli di edifici,
interruzioni di condotte d'acqua, pipeline di metano e gas, interruzioni di
strade. Un vero e proprio bollettino di guerra, disastri che si sommano a
quelli del precedente inverno altrettanto inclemente nel mettere a nudo le
fragilità orografiche di un territorio, che l'azione dell'uomo ha contribuito a
indebolire.
Il mondo delle professioni non ha accolto molto positivamente questa
ingerenza dell'ateneo cosentino nella gestione dell'emergenza, poiché teme che
possa essere l'amo per pescare nel grande business del risanamento ambientale,
un problema diventato prioritario e non più eludibile.
Come succede sempre a ridosso di qualche evento catastrofico, anche l'anno
scorso, infatti, si annunciarono grandi interventi. Dopo l'emergenza,
generosamente finanziata, tutto è tornato nell'ombra. Il governatore Loiero si
era impegnato a finanziare un piano per 800milioni di euro, una cifra enorme
per un territorio come quello calabrese abbandonato da decenni, praticamente
dalla chiusura della Cassa per il Mezzogiorno. Il meccanismo non si è però
interrotto, e si annunciano novità a breve.
Il prof. Pasquale Versace ha accettato ben volentieri di parlare della sua
esperienza sul campo e annuncia l'imminente avvio del primo stralcio di
interventi di quel famoso piano che aveva destato qualche speranza e qualche
attesa per il contributo che avrebbe potuto dare all'asfittica economia della
regione. Sono pronti circa 175milioni di euro da spendere subito in 200
interventi che rispondono ad una logica sistemica, poiché dovrebbero
rappresentare il superamento della politica dell'improvvisazione e della
ricerca del consenso elettorale con qualche generosa elargizione.
L'avvio della fase esecutiva con la redazione dei progetti cantierabili e
l'indizione delle gare è prevista subito dopo le elezioni. Questo potrebbe
lasciare qualche dubbio sull'esito finale, ma le premesse sono
incoraggianti.
"Vi è troppa pressione sul suolo, poiché è l'unica ricchezza della
regione".
Intervista a Pasquale Versace
- Cerchiamo di fare il punto della situazione calabrese, per poter valutare
in che misura i disastri che si sono verificati sono attribuibili a cause
naturali e in quale misura si possono attribuire all'azione dell'uomo.
L'uragano Xynthia ha sconvolto mezza Europa, in una delle aree meglio
governate, che noi indichiamo come esempio. Forse la natura ci vuole far
sapere che le opere dell'uomo non la possono fermare. Cosa è successo in
Calabria, quale tipo di danno si è prodotto e quali rimedi sono possibili?
- Il punto di partenza del nostro ragionamento è che sono due inverni che
piove. Noi abbiamo raccolto alcuni dati in determinati punti come San
Sosti, Montalto, Santa Cristina d'Aspromonte. In circa 500 giorni sono
caduti qualcosa come quattro metri e mezzo d'acqua, 4500 millimetri: un
volume impressionante che non si era mai registrato nel passato. Se
togliamo l'estate quando si ha naturalmente un periodo di tregua, sono
stati più i giorni in cui ha piovuto che quelli in cui non ha piovuto.
Questo ha portato ad esasperare tutti i problemi e mette in moto una
serie di frane molto estese e profonde che nel corso degli anni si erano
fermate, erano quiescenti. Se a questo fenomeno sommiamo le modificazione
indotta all'ambiente dall'antropizzazione gli effetti si esasperano.
- Se considieriamo un periodo sufficientemente lungo, è facile prevedere
che vi possano essere eventi di eccezionale virulenza.
- Non vi sono dati attendibili per un periodo sufficientemente lungo che
possa consentire di analizzare le ciclicità e le ricorrenze dei fenomeni.
Abbiamo serie statistiche sufficientemente attendibili estese su un
periodo di 70-80 anni. In questo arco di tempo non si erano mai
verificate precipitazioni atmosferiche di tale internsità. Prendendo i
500 giorni più piovosi, non troviamo mai una quantità di acqua
paragonabile a questa. Certo si sono sempre registrati fenomeni
temporaleschi anche di rilevante entità con una cadenza molto irregolare,
ma mai si era verificata una persitenza così prolungata. E'
impressionante vedere, girando per la regione, che tutti i corsi d'acqua,
anche i più piccoli, sono pieni, le sorgenti straripano, il terreno è
inzuppato. Si ha proprio la sensazione di un terreno completamente
imbimbito che non riesce più ad assorbire altra acqua. Siamo di fronte ad
un evento abnorme e straordinario.
- Si pone allora l'interrogativo se con le attuali conoscenze e con la
strumentazione tecnica di cui disponiamo, siamo nelle condizioni di poter
disporre di una mappa attendibile dei rischi per delimitare le aree e gli
interventi necessari per prevenirli, o almeno limitarne i danni? Ogni volta
si ha l'impressione che si brancola nel buio e si ricomincia con gli
studi.
- Queste frane così grandi sono note da sempre, sono già indicate negli
studi dell'Ottocento che le localizzavano con precisione, vi sono carte
geologiche che indicano con chiarezza questi corpi di frane, e
recentemente sono stati ulteriormente indicati dall'Autorità di Bacino
nel piano di assetto idrogeologico. E' sicuramente vero che in tutta la
regione una serie di paesi storici, con un centro arroccato su una roccia
solida, si sono espansi su questi corpi di frana.
- Questo sarebbe comprensibile nel caso dell'abusivismo che non segue
alcuna norma, ma solo l'interesse del proprietario del terreno. Come è stato
possibile che questo sia avvenuto nel rispetto della legalità, con
l'approvazione di strumenti urbanistici corredati da pareri tecnici,
relazioni geologiche. Cosa è che non ha funzionato?
- Questo può essere il risultato di una inadeguatezza dei tecnici che
hanno progettato quell'espansione, hanno espresso pareri geologici e
valutato la probabilità del dissesto. Credo che il lungo periodo di
inattività di quei corpi di frana, ha portato a considerare ormai
quiescente anche il pericolo, per cui si riteneva che non si sarebbero
messi mai più in movimento. In qualche caso eccezionale può esservi stata
una voluta sottovalutazione del rischio per assecondare il desiderio
della politica di trovare risposte alle pressanti richieste della
gente.
- Possiamo dire che si è preferito favorire l'espansione urbanistica
piuttosto che preoccuparsi del rischio, ritenuto improbabile, di un possibile
disastro.
- Molti comuni sono costretti ad ingrandirsi per soppravvivere. Se
rimangono nel ristretto cerchio delle mura antiche sono destinati a
morire.Devono reperire aree per costruire ospedali, scuole o offrire ai
giovani la possibilità di avere un alloggio con tutti i confort moderni,
altrimenti sono destinati allo spopolamento.
- Possiamo illustrare qualche caso emblematico?
- Gran parte dei comuni della catena costiera del cosentino hanno fatto
espandere le loro città in zone a rischio. Gimignano, in provincia di
Catanzaro, è un centro abitato costruito su una costone roccioso molto
solido, ma tutta l'espansione che risale ormai agli anni
cinquanto-sessanta del secolo scorso poggia su un ampio conoide di frana.
Un'altra situazione molto enfatizzata in questi giorni è quella di
Janò-Rombolotta. Quella frazione di Catanzaro è in larga misura sorta in
modo abusivo, come riconoscono gli stessi abitanti. Successivamente tutti
gli edifici sono stati condonati: un caso di un centro abitato non solo
costruito in maniera illegittima, ma senza alcuna opera di sistemazione
urbanistica, di regimazione delle acque. Ognuno ha pensato per sé, senza
un piano organico di sistemazione idraulica. Su questi fatti spesso si è
voluto chiudere gli occhi. La combinazione abusivismo-condono ha dato
luogo a situazioni davvero incredibili. Le stesse norme che impedivivano
di sanare situazioni che presentavano elevati livelli di rischio,
paradossalmente hanno peggiorato la situazione. Un edificio costruito su
di una frana, o si abbatte o si realizzano quelle opere che possano
diminuire il rischio. Spesso ci si è comportati come l'asino di Buridano
e non si è fatto né l'una né l'altra cosa, affidandosi alla casualità
della meteorologia.
- In questo la politica è stato molto debole. Quando ci si trova di
fronte ad una zona, quartiere o frazione costruita in maniera irregolare
bisogna avere il coraggio delle scelte. Se non si vogliono danneggiare le
persone, le quali spesso non sono responsabili degli abusi, commessi dai
propri parenti o magari dagli speculatori che le hanno vendute, allora
bisogna correre ai ripari e realizzare le necessarie opere di
sistemazione. Nei sopralluoghi a Janò-Rombolotta abbiamo avuto modo di
verificare che è possibile ottenere delle ragionevoli condizioni di
sicurezza con una spesa non iperbolica con una serie di interventi
alquanto semplici.
L'altro fatto è che quando si realizzazione degli insediamenti in aree
che non sarebbero idonee, questo viene fatto in modo completamente
sbagliato. A mano a mano che si procede nella costruzione, si perde la
memoria dei luoghi, se io realizzo un palazzo di 4 piani, il mio vicino
si spinge a 5, quello successivo a 6 e così via in una rincorsa che
produce un vero e proprio trauma all'area interessata. Un altro aspetto
essenziale è il sistema di smaltimento delle acque viene trascurato e i
pochi interventi che vengono realizzati sono sbagliati: l'acqua piovana
viene fatta scorrere liberamente, o concentrata in pochi punti e filtra
dove vuole. In presenza di precipitazioni particolarmente violente, la
spinta delle acque può riattivare vecchie frane dimenticate.
Arrivo a dire che se si vuole autorizzare un intervento edilizio su un
conoide di frana, occorre usare tutte le accortezze tecniche per tenere
sotto controllo il rischio. Vi sono comuni che non hanno scelta alcuna,
poiché tutto il loro territorio ha problematiche simili.
- Mi sembra che questo mette bene in luce i limiti della programmazione
urbanistica affidata ai comuni, che si trovano spesso nell'impossibilità di
gestire il proprio territorio. La gestione del territorio in primo luogo
dovrebbe essere affidata alla razionalità e alla logica. Non si possono
consentire la creazione di situazioni di rischio semplicemente perché un
comune non sa dove espandersi.
- Credo che bisogna prendere atto delle situazioni e attuare le cautele
necessarie. Non si può sempre ricercare soltanto responsabilità e
colpevoli.
- La questione è di trovare un metodo razionale di gestione del territorio.
Secondo una corrente di pensiero i fenomeni metereologici sono destinati a
diventare sempre più violenti ed estremi e non si può continuare a fare
affidamento sul caso. Quest'anno non vi sono stati morti, almeno in Calabria,
ma ... Vi devono pur essere delle regole alle quali non si deve assolutamente
derogare.
- La Calabria è una regione poverissima, dove non c'è nulla. Non c'è
l'oro, l'argento, il petrolio. C'è solo il territorio. L'una forma di
guadagno, sia per il manovale che porta la carriola, sia per il
palazzinaro che si compra lo yacht di 40 metri e la Ferrari, è di
sfruttare il territorio. Questo porta ad una tensione enorme sul fronte
dell'occupazione delle aree, che si tenta di fronteggiare con una serie
di sindaci o amministrazioni comunali di paesini di poche migliaia se non
di poche centinaia di abitanti. Vi è un evidente sproporzione tra la
spinta economica dei costruttori e la resistenza che può essere loro
contrapposta. Il migliore sindaco di questo mondo troverebbe difficoltà a
fronteggiarla e, in qualche modo, deve cercare di convivere con questa
spinta.
- In questi termini, c'è poca speranza di poter razionalizzare l'uso del
territorio, e si pone il problema di mettere in discussione il sistema di
attribuzione delle competenze degli enti locali. Qual'è e quale dovrebbe
essere il ruolo della Provincia e della Regione?
- Sono convinto che ci vuole un livello superiore al comune, che ponga
dei vincoli assoluti ed ineludibili che non possono essere derogati
dall'Amministrazione comunale.
- La gestione del territorio è affidata ad una serie di enti ed organismi e
spesso non si riesce a capire bene che deve fare cosa, vale a dire i limiti e
le competenze di ciascuno. Lei è a capo di una struttura, cosa è e cosa
fa?
- Adesso c'è un piano di bacino che indica con chiarezza quali sono le
zone a rischio di frana e le zone a rischio di inondazione. E' vietato
costruire e realizzare insediamenti in queste aree e do per scontato che
da quando vi è questo piano, nessuno ha realizzato alcunchè.
- In tutta evidenza questo è contraddetto dai fatti, e poi sono state fatte
anche delle deroghe, su queste aree.
- Non sono possibile deroghe, ma solo aggiornamenti sulla base di una più
precisa valutazione del rischio. Se in una zona classificata a rischio
posso presentare una ipotesi di intervento che prevede la sistemazione
del territorio è possibile dare un parere favorevole. Come nel caso di un
fiume, ad esempio, con la costruzioni di opportuni argini, può
restringersi la zona di rispetto. L'Autorità di Bacino ha delle norme di
revisione che gli consentono di dare dei pareri valutando di volta in
volta.
- Questo è avvenuto a Rende nel caso del fiume Surdo, ad esempio, tante è
vero che sta crollando e si è stati costretti a chiuderlo. Si sono
autorizzati dei lavori e ...
- Non conosco nel dettaglio quella situazione. Bisogna dire, però, che il
comune non può concedere deroghe, rispetto alla classificazione della
situazione di rischio. L'Autorità di Bacino può procedere ad una
riclassificazione sulla base delle opere che si vogliono realizzare per
la sistemazione idraulica dell'area. Credo che questo venga fatto con
molto rigore. La vera domanda da porsi è: ma davvero in questi anni
nessuno ha costruito nelle zone a rischio? Mi pare che in qualche caso
ciò è avvenuto in dispregio a qualsiasi considerazione sul rischio.
- Nel caso di Maierato nelle carte del PAI sembra ci fosse una linea rossa
ben visibile che delimitava la zona a rischio, che nei piani urbanistici è
andata restringendosi e declassata a R2, vale a dire rischio quasi nullo.
- Non ho motivo di ritenere che quella era un'area R4, poi diventata R2,
ma quest'ultima classificazione gli era stata attribuita fin dall'inizio.
Queste sono operazioni che si fanno difficilmente ed a ragion veduta.
Penso piuttosto che nella maggior parte dei casi probabilmente non si è
voluto tenere conto delle indicazioni date dalla Autorità di Bacino e si
è fatto di tutto per superarle.
- Sembra che ai piedi della collina franata vi fosse una cava.
- Si dice, ma non c'è una evidenza. Guardando le foto e la situazione dei
luoghi oggi non si capisce. Io ho cercato di ottenere qualche
informazione, ma non sono riuscito a trarne una convizione. Questi sono
terreni calcarei, per cui è molto facile che si creino dei fenomeni
carsici, con una serie di cavità e di grotte. Nel caso specifico le
caratteristiche non sono tali da favorire questo carsismo. Da quello che
è crollato non c'è questa evidenza, com'è successo a Sarno. L'eventuale
presenza di una cavità avrebbe potuto innescare il fenomeno, come si può
vedere dal filmato, e poi ha richiamato il resto. Tutto questo è successo
perché il terreno era saturo d'acqua che gli era piovuto sopra e quella
che proveniva dagli edifici e dagli insediamenti realizzati sul pianoro,
anche a distanza di qualche chilometro dal bordo della frana.
- Cosa si può fare per porre rimedio a questa situazione, a parte il
rispetto rigoroso delle regole, che ci sono ma vengono ignorate.
- Dovrebbe essere impossibile realizzare qualsiasi cosa in un'area a
rischio R3 o R4, sia di frana che di inondazione. Se questo viene
consentito o tollerato c'è qualcosa che non funziona nel sistema dei
controlli. Anche lasciate a sè stesse le zone R3, R4 presentano un grado
di rischio, per le infrastrutture, come le reti idriche o elettriche.
- Cosa si dovrebbe fare per favorire un equilibrio? Uno degli aspetti messi
sotto accusa è l'abbandono dei terreni e il disboscamento.
- La Calabria è stata fortemente rimboschita in questi ultimi anni, sono
rari i disastri causati dalla mancanza del bosco. Sono soprattutto gli
incendi a causare i problemi maggiori. L'anno scorso la maggior parte
delle frane e franette superficiali coincidevano in larghissima misura
con le aree percorse dal fuoco le estati precedenti. Uno o due anni prima
si erano verificati una serie spaventosa di incendi. E' chiaro che in
questi casi è necessaria ripristinare il manto arboreo. La questione
principale, tuttavia, rimane la regimazione delle acque. Il territorio è
stato ricoperto da una serie di strade, acquedotti, reti elettriche e
così via e non ci si è minimamente curati delle acque. Molte aree sono
state impermeabilizzate e si sono concentrate le acque in alcuni punti.
Quando si verifica una frana, è sempre alla confluenza di uno scolo
d'acqua di una strade, uno scarico di qualche agglomerato urbano o di una
condotta d'acqua o cose simili.
- Non è quindi un caso che nella grande maggioranza dei casi, le frane
interessano strade, perchè è la tipica opera che stravolge l'equilibrio
idraulico di un'area.
- Le strade necessitano di una tecnica molto sofisticata, che oggi sembra
persa. Le strade borboniche erano molto ben fatte, perché i tecnici
dell'epoca erano molto attenti al regime delle acque: erano attenti alle
pendenze, alla costruzione delle cunette, ai tombini che passavano sotto
la strada. La strada diventa un tipico collettore, un raccoglitore delle
acque che corrono lungo il versante, per cui essa ha una pendenza
naturale che deve essere rispettata per consentire che l'acqua defluisca
in maniera ordinata. Bisogna evitare che in un punto si concentri tutta
l'acque del versante, poiché si genera una bomba potenziale che i
fenomeni meteorologici fanno esplodere creando danni incacolabili. Anche
quando si costruiscono edifici sul ciglio di un burrone o parcheggi o
superfice coperte, si produce una concentrazione di acqua che senza una
regolazione, diventa un possibile punto di innesco di una frana, che può
trascinarsi un intero versante. Vorrei però ricordare che nei miei giri
di questi giorni ho riscontrati molte aree dove non vi erano centri
abitati o opere infrastrutturali che hanno ceduto lo stesso.
- Quando si verificano episodi meteo così estremi vengono alla luce gli
episodi di aree violentate per una cattiva antropizzazione, ma anche aree
vergini subiscono alterazioni di notevole entità. Questo significa che il
territorio è fragile e l'azione dell'uomo contribuisce ad esaltare gli
effetti, ma non è l'unica causa del verificarsi di questi episodi. Certamente
è necessario analizzare e contemplare i disastri, per poter trovare soluzioni
tecniche idonee a minimizzare gli effetti di questi eventi.
- Possiamo riassumere il nostro atteggiamento nei confronti del
territorio in poche battute. Fino agli anni Ottanta, ci siamo mossi senza
alcun piano, in ordina sparso, ciascuno alla ricerca di soluzioni
personali e il rischio aumentava costantemente, in conseguenza
dell'anarchia degli interventi. Successivamente, con i piani di bacino,
si sono posti dei vincoli, che non servono evidentemente a ridurre il
rischio esistente, ma ad evitare che aumenti. Non tutti hanno li hanno
rispettati, ma vi è pur sempre una gran numero di persone che ha una
coscienza civile e ha un ripetto rigoroso delle norme. E' però mancato il
coraggio di affrontare di petto la situazione investendo risorse enormi
per risanare le situazioni di rischio. Le mappe R3, R4 non devono servire
a decorare le pareti, ma individuano le aree sulle quali intervenire per
ridurre e tenere sotto controllo il rischio. Nella programmazione di
agenda 2000, il vecchio QCS, proposi di concentrare le risorse su un
unico grande progetto per la difesa del suolo, in luogo di dispenderle in
mille rivoli per interventi inutili come era stato fatto negli anni
cinquanta con la Cassa per il Mezzogiorno. Questo serviva anche a mettere
in moto un meccanismo di sviluppo economico, poiché dava lavoro ai liberi
professionsti, geologi, ingegneri, architetti, agronomi; creava
opportunità per le imprese locali e dava un sollievo alla disoccupazione.
Senza considerare gli effetti in termini di sicurezza, di accessibilità e
fruibilità delle aree che avrebbero potuto essere attrezzate per un
turismo consapevole. Tuttora lo considero un progetto di grande
attualità. All'epoca mi risposero che queste erano idee stantie, e
bisognava guardare alla modernità. Quando andiamo a valutare la modernità
degli interventi realizzati con i fondi POR, si ha qualche difficoltà a
capire in che cosa consistesse se non nello spreco di risorse. E oggi
stiamo ancora al punto di partenza, se non peggio ancora. Adesso c'è
stata una importante inversione di tendenza, poiché lo stesso Governatore
ha deciso di destinare alla difesa del territorio una risorsa importante
per 800milioni di euro.
- Ogni tanto si sente parlare di questo fantomatico
stanziamento, ma nessuno sa effettivamente che fine ha fatto.
- Questa
volta sono convinto che si sta facendo sul serio. E' stato creato un
gruppo di lavoro, di cui io sono il coordinatore costituito da
professionisti del CNR, dell'Autorità di Bacino e da altri enti. E' stato
predisposto il primo stralcio di circa 200 interventi per un ammontare
complessivo di 173 milioni di euro. Abbiamo già avuto l'approvazione del
Commissario delegato e della Giunta Regionale.
- Quali sono i progetti più significativi?
- Abbiamo previsto tre tipologie di interventi. In primo luogo vi sono i
centri storici interessati ai fenomeni franosi dell'anno scorso,
Lattarico, San Benedetto Ullano, Montalto Uffugo, Belvedere Marittimo,
per limitarci a qualche esempio. Abbiamo anche indicato che non bisogna
procedere alla cieca, ma secondo un master plan, un quadro complessivo
dove vengono indicati tutti gli interventi necessari su quel territorio
per poi decidere quali sono prioritari da realizzare con le risorse
attribuite. La tendenza precedente era quella di spendere fino alla
concorrenza dell'importo attribuito senza alcun piano razionale. La
seconda serie di interventi riguarda i versanti in frana che incombono
sulle strade provinciali. L'interruzione della viabilità è il danno più
rilevante e serio tra quelli capitati in Calabria. Alcuni centri abitati
sono completamenti isolati, come il caso di Parenti. Per arrivare a
Rogliano bisogna fare il giro della Sila, perché la strada è crollata e
non si passa in alcun modo. E' pericoloso persino a piedi, come abbiamo
potuto constatare direttamente insieme a Bertolaso, quando è sceso in
Calabria per un sopralluogo. Lo stesso avviene tra Lattarico e San
Benedetto, la strada per Malito. Tutta questa fascia di comuni in qualche
modo mostravano una certa vivacità e andavano ripopolandosi o comunque
avevano frenato lo svuotamento. Ho avuto modo di vedere con i miei occhi
e la cosa mi ha fatto molto male, una signora anziana che si arrampicava
su una di questa strada scoscesa per raggiungere la farmacia; vi sono
figli di miei amici che si vedono costretti a dormire dai parenti al di
là della frana per poter frequentare la scuola, altri che sono costretti
a diradare le visite ai genitori perché la distanza di pochi chilometri
d'improvviso è diventata abissale. Persino la gestione della quotidianità
è diventato molto complicata. Se non si dà subito una risposta, avremo
delle pesantissime conseguenze sul futuro di tutti questi paesi, poiché
riprenderanno a svuotarsi. I fondi POR non prevedono la possibilità di
intervenire direttamente sulle strade, per questo abbiamo deciso di
stabilizzare i versanti, poiché questo ne facilità il ripristino.
L'ultima serie di interventi sono sui grandi fiumi. La situazione più
preoccupante è certamente quella di Reggio Calabria con tutte le fiumare
che attraversano il centro abitato, ma c'è anche Vibo, Crotone e la
stessa Cosenza. Anziché procedere con piccoli interventi nei vari punti
dove si sono presentate delle problematicità per non correre il rischio
che ciascun comune si aggiusta il suo fosserello e tutto resta come
prima, abbiamo deciso di procedere con un piano organico con un criterio
rigoroso partendo dalle informazioni date dalle province.
- Quando potrà diventare esecutivo questo piano e si daranno inizio ai
lavori?
- Trattandosi di fondi europei si procede con un cronoprogramma preciso,
poiché se non vengono spesi nei tempi previsti si rischia addirittura di
perderli. Nei prossimi giorni dovrebbe uscire l'ordinanza della
Protezione Civile che autorizza i lavori, ed entro pochi mesi si darà in
appalto i lavori. Questo non risolverà certo tutti i problemi, ma sarà il
primo intervento organico di difesa del territorio. Mi sembra un segnale
molto positivo di inversione di tendenza rispetto ad un passato di
improvvisazione e di interventi emergenziali. Per dare una idea
dell'importanza di questo intervento, si può paragonare l'importo di
questo primo intervento per 173 milioni di euro con lo stanziamento di
200 milioni per l'intero territorio nazionale destinato dal governo
nell'ultima finanziaria. Il nuovo piano nazionale di difesa del suolo,
che viene strombazzato come una grande novità, ha una dotazione
finanziaria di un miliardo, un miliardo e duecento milioni per tutta
Italia. Questo da un valore molto diverso agli ottocento milioni messi a
disposizione dalla Regione Calabria. Quello che bisogna evitare è di
sprecare le risorse. Spesso nel passato gli interventi di difesa del
suolo sono stati affidati a persone incompetenti, e sono state realizzate
opere superflue o addirittura sbagliate che raggiungono l'effetto opposto
a quello voluto.
- Scorrendo l'elenco degli interventi, manca San Martino di Finita che è
uno dei centri in equilibrio molto precario, sembra in bilico su un
precipizio.
- Abbiamo seguito le priorità che ci sono state indicate dalla Provincia,
scegliendo gli interventi che non assorbissero una parte cospicua dei
fondi disponibili. Quello di San Martino è un caso ben noto che va
affrontato con un intervento mirato che non può essere incluso in un
piano stralcio. Non ha avuto grandi danni dall'alluvione dell'anno
scorso, e neanche quest'anno è stato interessato da fenomeni
particolarmente vistosi. Vi è un équipe che lavoro attorno ad un progetto
di risanamento un po' complesso. Noi abbiamo privilegiato le frazioni a
rischio, come Parantoro di Montalto Uffugo, Palazzello di Lattarico, che
si stanno muovendo. Ritorniamo al caso di Janò-Rombolotta. Ci siamo
assunti la responsabilità di evitare l'evacuazione dell'intero centro
abitato, ma abbiamo analizzato la situazione casa per casa decidendo chi
poteva restare in condizioni di ragionevole sicurezza e chi doveva
sgomberare. Abbiamo individuato 5 o 6 edifici in situazione di pericolo.
In quelle condizioni o si interveniene subito per mettere in sicurezza
l'abitato o si rischia di far precipitare l'intera situazione. Il tempo
dell'intervento diventa un fatto essenziale.
-
Quale è stato il ruolo della Protezione Civile?
- Ha agito come organo di
coordinamento. Il governo è intervenuto con uno stanziamento di 30 milioni di
euro, di cui 15 sono quelli già promessi l'inverno scorso. Questi fondi se ne
andranno solo per la gestione dell'emergenzal, rimborsare le spese dei comuni e
delle province e pagare i lavori urgenti già effettuati. Il nuovo stanziamento
di 15milioni non ha ancora una destinazione, ma potrebbero servire per
rimborsare le somme urgenze che si sono prodotte. Certamente resterà ben poco
per interventi di risanamento ambientale.
- Quale è il ruolo dell'università in
questo quadro di interventi?
- Credo che sia un ruolo molto importante, tanto
in questa fase di studio per i vari sopralluoghi che stiamo effettuando, sia
soprattutto nel futuro quando si tratterà di procedere alla valutazione di
questi progetti. Vorrei ribadire che l'aver formato tanti giovani è stato un
elemento essenziale che ha cambiato il clima culturale della regione. Le scelte
progettuali sono spesso non ottimali e c'è stato un impegno serio da parte
dell'università per dare un quadro conoscitivo approfondito. L'altro elemento
importante è evitare che un intervento in difesa del suolo acquisti un
carattere assistenziale, come un mezzo per alleviare la disoccupazione, senza
preoccuparsi del risultato. Questo sarebbe disastroso, perché una pletora di
progettisti o un numero esorbitante di operai sono altamente inefficienti. Il
territorio è una grande risorsa e noi abbiamo il dovere di proteggerla e
valorizzarla. E' necessario che si facciano delle gare di progettazione
rigorose, ed un controllo costante della regione e dell'Autorità di Bacino che
sappia indicare con chiarezza quali sono i criteri di progettualità e della
buona tecnica esecutiva. Se buona parte di questi interventi venissero
realizzati a regola d'arte avremmo fatto un grande passo in avanti.
- Le
professioni, ingegneri, geologi, agronomi, apprezzano il ruolo formativo
dell'Università. Molti di loro si sono formati in quei banchi. Lamentano però
che l'aspetto esecutivo dovrebbe essere lasciato alle libere professioni,
poiché sono loro che operano sul territorio. L'università si inserisce
"abusivamente" per sottrarre il campo di attività propria delle libere
professioni.
- Credo che non vi sia alcuna sovrapposizione, alcuna invasione
di competenza. Ognuno deve fare il suo lavoro. Nella fase esecutiva di
redazione dei progetti e di direzione dei lavori l'università non c'entra
niente. In questa fase abbiamo una serie di problemi enormi e una difficoltà
delle strutture tecniche, l'Autorità di Bacino, i Lavori Pubblici, le stesse
Ammnistrazioni Provinciali, a seguire queste situazioni. Noi siamo stati in
tutti i principali punti di crisi, e il fatto di poter disporre di competenze
tecnico-scientifiche era di gran aiuto ai tecnici locali chiamati ad assumersi
responsabilità molto gravi e delicate. Avevano il conforto del confronto,
potevano verificare la correttezza delle scelta, o avere qualche suggerimento
sugli interventi più opportuni, accortezze tecniche che consentono di rendere
agibili alcuni edifici. Personalmente, mi sono preso delle responsabilità senza
alcun compenso, poiché non è previsto. Forse riusciremo a ottenere un minimo di
rimborso spese per chi va fuori. L'università non dovrà fare i progetti né
appaltarsi i lavori. Sarà la Provincia a decidere se affidarli a propri
progettisti o si emetterà dei bandi di gara per affidarli a tecnici esterni.
Credo che sia importante il ruolo di supporto dell'università in questa fase.
In molte realtà dove siamo andati c'era già un professionista che aveva un
rapporto con il comune consolidato, con il quale abbiamo collaborato e ciò è
risultato molto utile. Nell'università ci sono competenze importanti che devono
essere messe a disposizione della collettività per affrontare questa vera e
propria emergenza regionale. Il territorio è al collasso e siamo ritornati
nella condizione di molti decenni fa quando si discuteva se valeva la pena
difendere gli insediamenti storici a rischio o trasferirli in luoghi più
sicuri. Un dilemma dimenticato tornato di attualità.
C O P Y R I G H T
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