Le cause di una sconfittadi Oreste Parise (Mezzoeuro Anno IX num. 13 del 3/04/2010) |
Rende, 2 aprile 2010
Vince Scopelliti. Viva Scopelliti. Ancora una volta la Calabria chiede a "gran voto" un cambiamento. In Consiglio però siedono facce ben conosciute. Si spera nel miracolo di San Peppe.
Una leggenda metropolitana narra che sabato 27 marzo c'è stato un viavai di valvassori a casa del governatore che li riceveva in pompa magna visibilmente soddisfatto. Ciascuno portava su un vassoio d'argento la sua dote elettorale, la conta dei suoi clientes che per una forma naturale di riconoscenza avrebbe deposto nell'urna una dichiarazione di amore per i favori ricevuti. Numeri espressi in migliaia che si sommavano fino ad arrivare a cifre iperboliche tanto da richiedere una correzione prudenziale. Ma anche con tutti i tagli e cautele il risultato era inequivocabile. Una sonante vittoria avrebbe seppellito sotto un assordante coro di pernacchie tutti gli scettici e le cornacchie che sommessamente tentavano di mettere in evidenza che vi era in giro un'aria di malcontento che non prometteva niente di buono. Negli ultimi giorni si era fatto uno sforzo immane per distribuire fondi, inaugurare fontane, promettere l'impossibile per cui la vittoria era certa e si faceva fatica a smorzare l'entusiasmo.
Non è il caso di indagare se questo sia veramente avvenuto. Le leggende sono tali proprio perché non possono essere dimostrate. Tuttavia, la prima dichiarazione rilasciata da Loiero, la fa apparire quanto meno verosimile: “ Vince la destra anche se non riesco a rinvenirne le cause”. Un epitaffio che esprime con molta chiarezza proprio una delle cause prime della sconfitta. La chiusura in un bunker, l'incapacità di ascolto dei mugugni che nei bar, nelle piazze, nei pullman, nelle pizzerie, in qualsiasi luogo pubblico esprimevano chiaramente un dissenso, un disappunto, uno scontento, evidenziavano un disagio crescente, una insofferenza nei confronti di questa esperienza sciagurata. L'opinione diffusa era che rispetto al disastro della giunta Chiaravalloti era quasi impossibile fare peggio. Anche questo miracolo è stato possibile. Poco importa se questo sia vero o meno, ma l'impressione diffusa era questa e non lo si poteva ignorare, come veniva segnalato dagli indici di gradimento che sono un segnale approssimativo. Alla fine però ci azzeccano, come direbbe Di Pietro. La farmacia era il luogo ideale per poter misurare il tasso di gradimento di una giunta che come suo primo atto aveva abolito il ticket e come ultimo l'aveva reintrodotto al triplo. Se come i vecchi Sioux avesse avuto l'umiltà di accostare l'orecchio al suolo avrebbe sentito chiaramente il rumore degli zoccoli proveniente da destra.
"Siamo partiti tardi, ci sono stati conflitti interni, ma tutto questo non è sufficiente a spiegare questa sconfitta", continua l'ex-governatore. Questo non corrisponde alla verità, ma solo chi è troppo impegnato nell'orgia del potere può ignorarlo. Il suo viaggio verso il baratro è cominciato cinque anni fa, qualche mese dopo il suo insediamento, con la costituzione di un partito personale per proteggere i suoi amici. Questo ebbe a dire il governatore in una sua improvvida dichiarazione che lasciò annichiliti tutti coloro che avevano votato per giunta di cambiamento, per una discontinuità con una esperienza affossata da una valanga di bocciature. Questo nonostante il centrodestra, molto più attenta ai segnali provenienti dal territorio, avesse provveduto a cambiare cavallo con Sergio Abramo. La campagna elettorale di Abramo cercava in tutti i modi di differenziarsi nei metodi, nei modi e nei programmi con il predecessore. Non è bastato a rassicurare gli elettori i quali hanno firmato una cambiale in bianco a Loiero nella speranza di poter vedere qualche segnale di speranza in questa terra ultima in tutto.
Nel corso dei cinque lunghi anni del suo mandato, è stata una incessante corsa alla occupazione del potere, che è apparsa l'unica vera preoccupazione del governo regionale, nella scia di una continuità storica di una pratica nepotistica e clientelare. Si condannava il nepotismo degli altri, premiando i propri congiunti, si rispolveravano tutti i suoi vecchi amici democristiani per riportarli in auge a dispetto del loro passato border-line, sempre in bilico tra destra e sinistra, pronti ad occupare qualsiasi interstizio di potere. Chi non ricorda la perla di Paolo Naccarato passato da sottosegretario di Chiaravalloti a sottosegretario di Loiero senza muoversi dalla stessa poltrona. Una operazione che ha segnato il senso del cambiamento e della discontinuità chiesta a "gran voto" dagli elettori. C'è voluto poco per capire che la sua vittoria era frutto di un trasversalismo che ne ha condizionato tutta l'attività.
Si è troppo presto cercato di dimenticare le devastanti inchieste che hanno interessato molti dei componenti della giunta e del consiglio, chiudendosi nella litania di una verità giudiziaria che non assolve dalle responsabilità politiche. Forse qualcuno avrebbe voluto sapere un briciolo di verità sullo sperpero dei fondi destinati alla Fondazione Campanella, sui metodi utilizzati per finanziare il sistema "Why Not", sugli sprechi di denaro pubblico con il quale si sono finanziati i corsi fasulli di tante aziende che non sono mai entrate in funzione. Che tutti siano innocenti davanti alla legge, non giustifica il metodo, non assolve dalle responsabilità politiche. Sarebbe stato opportuna una operazione verità per dare conto delle scelte operate e dei risultati ottenuti. Si è preferito la scorciatoia della demonizzazione delle inchieste, associandosi al coro di accuse nei confronti della magistratura, ma ci si è ben guardati da offrire uno squarcio di verità. Oggi come non mai sarebbe necessario un autodafè, una ordalia per squarciare il velo di omertà che ha impedito l'accertamento della verità sulle mille storie occulte che hanno riempito le pagine dei giornali e formato nell'opinione pubblica la consapevolezza di una sostanziale omologazione verso il basso di tutta la classe politica senza una chiara distinzione di colore politico.
Gran parte del debito della sanità è stato generato nel passato, ma l'emorragia non si è fermata con l'insediamento della nuova giunta. In questi cinque anni ha continuato a crescere senza che sia stato mai approvato alcun serio piano sanitario. Doris Lo Moro è stata buttata alle ortiche insieme alle sue proposte, ma non si è mai chiarito fino in fondo quale era la vera posta in gioco. Da sola la sanità vale quasi il 70% del bilancio regionale, il fallimento della sua gestione equivale al fallimento della politica regionale. L'interim mantenuto per tanto tempo dal governatore ha segnato un momento di riflessione nel totale immobilismo fino all'esplosione del bubbone ed alla ineluttabile necessità di far pagare a tutti i calabresi gli errori, le indecisioni, le cautele, le coperture a metodi chiaramente clientelari che sono continuati senza sosta in tutto questo lustro.
Il dato elettorale impone qualche riflessione, al di là della chiara e netta vittoria di Scopelliti. Anche questa volta vi è un chiaro segnale di discontinuità, una bocciatura senza appello di una esperienza che sarà ricordata per le indimenticabili apparizioni televisive di un governatore fiero del suo clientelismo, della machiavellica interpretazione del potere, pronto a distribuire favori e prebende ad amici ed amici degli amici, migliorando il metodo con fine intuito e valutazione delle ricadute elettorali. Neanche questa volta si è inteso porre un serto di allora sulla fronte del vincitore, quanto piuttosto di punire la protervia e l'arroganza di chi dopo aver interpretato il suo ruolo nel dispregio dell'opinione pubblica, non riesce a capire perché questa gli abbia girato le spalle.
L'astensionismo è una misura del disagio, una sorta di rassegnazione di fronte all'impossibilità di vedere un po' di luce in questo quadro fosco. E' stato meno di quanto registrato nel resto d'Italia. Se consideriamo lo stato di bisogno e i vincoli clientelari che dominano ogni aspetto della vita calabrese, è un dato impressionante, in una consultazione regionale dove prevale una stretta logica clientelare e la ricerca di soluzioni dei propri disagi con un rapporto personale con il candidato. Una larga fetta di elettori ha maturato la consapevolezza che non vi è alcuna risposta clientelare possibile alla domanda di lavoro, che il clientelismo non è idoneo a risolvere i problemi di una società sempre più povera ed arretrata.
Sono in molti a considerare disperata e disperante la situazione calabrese, ma la maggioranza degli astenuti appartengono al popolo della sinistra che non sa più a quale santo votarsi per trovare una alternativa seria e credibile. Il voto ha dimostrato che il bisogno muove un magma elettorale, ma non è sufficiente a garantire il risultato. L'occupazione del potere consente di raccogliere una massa di consensi, di costruire un potere personale, ma non regala la vittoria.
Lo scellerato patto di Caposuvero ha avuto effetti devastanti poiché ha dato l'immagine di una sinistra cinica ed immobile, chiusa nel suo recinto, indifferente ai giudizi della gente. Più del decreto salva-liste con cui il governo ha cercato di porre inutilmente rimedio agli errori degli apparati del Pdl, le deroghe concesse in quella sede per superare i limiti imposti dallo statuto del partito alla candidatura di coloro che avevano tre mandati regionali alle spalle è stata una vera "porcata", molto di più della legge elettorale di Calderoli. Si è infranto un codice di onore, si è fatta prevalere la logica di apparato e di occupazione del potere rispetto alla voglia di cambiamento e di rinnovamento della classe politica. Si è turlupinato quel popolo bue accorso nei gazebo a votare alle primarie del partito convinti di compiere un gesto democratico, di contribuire alla creazione di una linea politica. Si è voluto dimostrare che qualsiasi regola si infrange di fronte agli interessi delle nomenklatura.
La conseguenza più nefasta di questo risultato elettorale per la sinistra non è la sconfitta, quanto piuttosto l'impossibilità di una catarsi, di poter costruire una alternativa per i futuro. In consiglio siederanno tutte le cariatidi che finora hanno gestito il potere, rimasti aggrappati al carro di Loiero nella speranza di poter continuare a sedersi nella cabina di regia. Sono dei naufraghi in un mare in tempesta comodamente seduti in una scialuppa. Hanno presto dimenticato che sono proprio loro i responsabili del naufragio. Non rappresentano il nuovo, mentre c'è assoluto bisogno di un rinnovamento profondo, di un azzeramento di questa classe dirigente delegittimata. C'è assoluto bisogno di aria nuova, di esperienze diverse che coinvolgano i giovani, i professionisti, tutti i delusi della politica, di questa politica.
La presenza di Pippo Callipo rappresenta l'unica vera novità, anche se la terza via ha di fatto impedito la nascita di una alternativa vera e credibile a questa regione, all'insegna di una vera discontinuità. Non si è cercato fino in fondo una proposta di superamento. Ciascuno si è arroccato sulle proprie posizioni, per poter avere un risultato utile, la vittoria nell'uno caso e una presenza significativa nell'altro. Tuttavia, lo stesso Idv ha mancato in gran parte l'obiettivo di creazione di classe dirigente, continuando nella politica di imbarcare un gran numero di riciclati. Vi è una continua rincorsa alla costruzione di una identità che non favorisce la formazioe di una proposta politica coerente e di lungo respiro. Ieri attraverso la leadership di Aurelio Misiti, che si è dimostrata transeunte, oggi con nuovi personaggi. Sarebbe utile considerare con attenzione il percorso della Lega, che nel corso degli anni è riuscita a portare alla ribalta una nuova classe dirigente giovane e motivata.
C'è chi si dichiara vincitore, chi vorrebbe una resa dei conti e rivendica una leadership dimenticando che si tratta di uno sconfitto, fingendo di credere che le responsabilità sono di altri, mentre fino all'ultimo hanno condiviso la responsabilità politica della gestione. In Consiglio siederanno il governatore e i suoi assessori responsabili del disastro di ieri e che impediranno di costruire l'alternativa di domani. Già si avvertono i primi tentativi di far valere il risultato elettorale come una vittoria personale in vista dei prossimi appuntamenti, perché la politica non va mai a dormire. Le trombe della vittoria intonano una marcia funebre. L'anno prossimo ci saranno le elezioni comunali a Cosenza e Rende e si farebbe bene a ritornare tra la gente per sentirne gli umori, che soprattutto nel capoluogo non sono molto favorevoli. A giudicare dagli indici di gradimento, qualche preoccupazione è legittima.
Il PD è diventato un partito di plastica, come e forse ancor di più del suo omologo del centrodestra. Continua a vendere gli stanchi riti delle primarie per legittimare scelte calate dall'alto. Si illude di poter interpretare i bisogno e le istanze della gente chiusa nel loft romano o a prendere le sue decisioni degustando una pizza, in dispregio della gente, degli elettori che dovrebbero votarli. Vi è una chiara responsabilità della direzione del partito nell'aver consentito che prevalesse l'arroganza e la difesa di interessi di personali, di aver assecondato una politica che dice di voler combattere a livello nazionale. Tutto lasciava intendere che c'era l'esigenza di un completo rinnovamento della proposta politica, della ricerca di candidature che potessero vantare un alto profilo morale. Nella sconfitta la sinistra avrebbe pianto i semi della rinascita.
Il lavoro eccezionale della giunta uscente è ignota ai più. La cittadella regionale non è stata ancora completata ed il vero problema sarà quello di liberarsi dalla morsa dei proprietari che da decenni speculano sugli affitti degli uffici regionali; la programmazione dei fondi europei segna ritardi abissali ed è stata costruita sullo schema e seguendo la stessa logica del precedente POR che non può certo vantare molti successi. Al di là della proliferazione degli incarichi di consulenza è arduo trovare qualche altro progetto di grande respiro lasciato in eredità.
L'augurio come calabrese è che la nuova giunta sia in grado di offrire qualche speranza ai calabresi, di dare una risposta ai suoi bisogni. Ancora una volta più che di un vero rinnovamento siamo di fronte ad un riproposizione di personaggi che rinascono dalle ceneri della giunta Chiaravalloti. Dietro il giovane Scopelliti, che di quella giunta era un elemento di spicco, si affollano vecchi personaggi e vi è il rischio concreto che riaffiori la solita logica spartitoria.
Da quando si è introdotta l'elezione diretta del presidente nessuno è fin qui riuscito ad avere una riconferma in Calabria. L'elettorato si è dimostrato mobile e sempre insoddisfatto e questo ha impedito di governare in una logica di lungo periodo. Loiero chiedeva dieci anni per rivoltare la Calabria come un calzino. Se ne è sentito solo l'olezzo. Lo stesso chiede oggi Scopelliti.
La Calabria chiede un segno di buon governo, di moralizzazione della vita pubblica. La classe politica deve riconquistare quella credibilità che neanche i vincitori di oggi posseggono. Hanno le chiavi del potere, devono conquistare il cuore dei calabresi. In hoc signo vinces. Ma sarà molto dura per tutti.
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