Quale futuro per le BCC commissariate?Mezzoeuro Anno IX num. 26 del 3/07/2010) |
Rende, 2 luglio 2010
Alla fine del mese la Banca d’Italia potrebbe emettere la sua sentenza
Nessuno ha un piano alternativo, sembra probabile che la soluzione sia cercata al di fuori della regione, ci vorrebbe un colpo di reni per spingere verso una soluzione per rafforzare il debole sistema delle BCC locali. La politica latita, sindacati e associazioni di categorie sono muti. Non sembra ci siano molte proposte in giro. La grande imprenditoria sembra molto preoccupata per le sorti del Cosenza. Il calcio è tutto in un clima da mondiali, le BCC un accidente, un pensiero da rimuovere.
di Oreste Parise
Per le BCC commissariate di Cosenza stiamo per arrivare al dunque. In questo mese di luglio si dovrebbe concludere la “due diligence”, il processo ricognitivo del portafoglio crediti per stabilire se vi è del marcio che si annida nei conti e quanto è profonda la voragine che ha prodotto. Il processo che porta alla classificazione dei crediti benché ammantato di metodi che dovrebbero garantire la scientificità e asetticità della valutazione è in larga parte arbitrario. Di là dalle formule e gli astrusi anglicismi, dietro ogni posizione creditizia si nascondono pur sempre delle persone con la loro tradizione e la loro cultura. Ratio patrimoniali, credit scoring, risk management sono ottime tecniche che aiutano nel processo valutativo. Nei momenti di crescita riescono a individuare le anomalie, a simulare il probabile esito di un’operazione di finanziamento. In un momento di crisi s’imballano, saltano i parametri e tutto diventa più difficile. O più facile se si preferisce, poiché mostrano immediatamente l’evidenza delle crisi aziendali. L’avvertimento è chiaro: c’è burrasca, cercate un porto sicuro e tirate i remi in barca in attesa che passi la buriana. Questo comporta di dover lasciare in alto mare tanti naufraghi che tentano di raggiungere la riva. La logica aziendalistica non può occuparsi di loro.
Esistono però degli elementi che sfuggono a tali metodi. Quanto vale un impegno fideiussorio di un nullatenente? Patrimonialmente niente perché non vi è associato alcun che di tangibile. Tuttavia l’esperienza delle banche etiche ha mostrato con ogni evidenza che l’impegno di onore ha un grande valore non solo etico e morale, ma ha un significato tangibile poiché sono molti coloro che si sforzano con ogni mezzo per mantenere fede alla parola data con la conseguenza che i prestiti chirografari, assistiti da fideiussioni personali hanno a un bassissimo tasso di mancato pagamento. Il prezzo da pagare è piuttosto in un certo disordine nei piani di rimborso che non vengono rispettati spesso per oggettive difficoltà.
Senza scomodare Mohamed Yunus è sufficiente ricordare tutta la vicenda tuttora oscura che ha portato alla completa distruzione del sistema creditizio meridionale. Il Banco di Napoli, la Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania, il Banco di Sicilia per non ricordarne che alcuni degli istituti più importanti sono stati svenduti, smembrati, condannati alla “damnatio memoriae” con la giustificazione che si trattava di entità meramente clientelari, che i crediti erano tutti inesigibili, concessi senza alcun criterio e con valutazione scriteriate. Si è adottata una terapia d’urto, una chemio devastante per sconfiggere il terribile morbo del meridionalismo che aveva infettato il sistema bancario. La grave crisi che aveva colpito l’economia meridionale dopo il 1992 non è stata proprio presa in considerazione. Si trattava di cattiva gestione e basta. Non si può certo nascondere che vi era una larga arbitrarietà nel comportamento degli amministratori. Gran parte del marcio si annidava proprio nei piani alti degli istituti, poiché la governance era quasi totalmente di nomina politica e seguiva la logica dominante. Il sistema creditizio era all’epoca totalmente pubblico o in mani pubbliche attraverso l’IRI. Le banche di conseguenza non erano certo immuni dal sistema di corruttela messo chiaramente in luce da Tangentopoli. Tuttavia le banche settentrionali non facevano certo eccezione. Operavano solo in un sistema produttivo più evoluto, dove la crisi aveva avuto un minore impatto e la congiuntura aveva subito raggiunto il suo turning point riprendendo la marcia della crescita. La corruzione più rilevante qualitativamente e quantitativamente si annidava proprio al Nord, nei santuari del credito, nelle grandi industrie, nelle partecipazioni statali.
Il tempo è galantuomo ed ha dimostrato che il sistema non era così marcio, ma occorreva una generosa diluizione delle scadenze per uscire dal tunnel. La crisi delle banche meridionali non derivata dalla cattiva qualità del credito, ma da un collasso dell’economia che impediva a famiglie e imprese di onorare i propri impegni. In tutti i casi citati sopra il recupero di quella enorme massa creditoria è stato superiore a ogni più rosea aspettativa proprio perché diluita in un arco temporale molto ampio. Un’analisi serena, possibile per il tempo trascorso e la conclusione dei procedimenti relativi, mostra senza ombra di dubbio, che le tanto vituperate banche meridionali avevano operato molto meglio di quelle del Nord sul proprio territorio. Se si confrontano i crediti che avevano concesso nel Mezzogiorno i maggiori istituti bancari, si evidenzia senza ombra di dubbio che le perdite più rilevanti le hanno registrate proprio le banche del Nord poiché non hanno saputo adattare i sistemi e i metodi alla peculiarità della società meridionale. Si tratta di una magra consolazione per le banche meridionali, poiché questa semplice verità non le ha salvate allora e non ne ha riabilitato la memoria oggi. Almeno bisognerebbe restituirgli l’onore, lavare il fango di cui sono state ingiustamente coperte.
Oggi il Sud è nel pieno di una crisi più grave di quella del 1992-3 e non se ne intravede l’uscita. Le grandi banche settentrionali operanti nel Mezzogiorno sono corse ai ripari restringendo il credito per tentare di minimizzare le perdite. Hanno chiuso l’ombrello proprio nel bel mezzo della bufera. Questo comportamento ha aggravato la crisi e la condizione del sistema imprenditoriale provocando una spirale perversa che rischia di portare al collasso l’economia del Mezzogiorno.
Non è fuori luogo ricordare che la crisi attuale è stata provocata dalla enorme massa di liquidità che ha generato un processo speculativo di enormi dimensioni. Le banche sono le principali responsabili. Il nodo non era costituito dai crediti concessi alle imprese, ma dalle grandi manovre speculative sui derivati, sulle operazioni borsistiche a rischio, dal finanziamento di attività immobiliari molto discutibili. Si è creata una gigantesca bolla finanziaria che ha messo in ginocchio l’intera economia mondiale. La risposta è ridare priorità all’economia reale, ritornare ad auscultare il territorio, sostenere lo sforzo delle imprese e delle famiglie a ritrovare un equilibrio. La risposta delle banche è stata disastrosa colpendo la parte sana dell’economia, facendo ricadere tutti gli effetti sulle imprese e il sistema produttivo.
In questo frangente risalta in maniera drammatica il prezzo pagato dal Mezzogiorno per l’assenza di banche locali di grandi dimensioni. Non c’è stata una risposta sistemica alle difficoltà delle imprese, ma il peso è ricaduto quasi esclusivamente sulla parte più debole che non è riuscita a sostenere l’intero edificio.
Sono rimaste solo piccole banche locali che si sono assunte l’onere di sostenere l’economia: hanno fatto quello che hanno potuto e non poteva certo essere sufficiente considerata la loro dimensione. La crisi si è nel frattempo rivelata più severa di quanto si potesse immaginare inizialmente con una contrazione della produzione e dei consumi che si è riversata sui conti delle banche. Questa è la causa principale che ha provocato il commissariamento delle tre BCC cosentine, cui si sommano due effetti.
L’elemento aggiuntivo che ha deteriorato il portafoglio credito delle banche è da addebitarsi alla cattiva gestione, ma sarebbe più corretto dire alla governance, agli organi amministrativi delle stesse banche. In generale la gestione degli organi interni è stata molto migliore degli organi sociali. Presidenti e componenti del Consiglio di Amministrazione si sono mostrati molto sensibili ai richiami e alle pressioni del territorio. Il freno opposto dalla dirigenza interna non è stato spesso sufficiente a contenere i danni. Non si può nascondere che più che la qualità del management e la qualità della governance che ha provocato i guasti più rilevanti. E’ un effetto che si andato cumulando con le difficoltà congiunturali, poiché da solo non sarebbe stato sufficiente a provocare il deterioramento della gestione. Le BCC hanno composto i propri organismi decisori e di garanzia facendo ricorso al notabilato locale, piuttosto che a professionisti di provata cultura aziendalistica e di elevata competenza professionale nel settore bancario. La competenza e la professionalità sono elementi che valgono tanto per i primari negli ospedali che per i presidenti di una banca. Mentre nel primo caso sono tutti d’accordo nel considerare assurda l’ipotesi di mandare in sala operatoria un ingegnere, nel secondo nessuno si fa scrupoli di affidare la gestione di una banca a medici o periti agrari. Questo è un rilievo costantemente mosso da parte dell’organo di Vigilanza. Gli avvertimenti in proposito sono sempre stati disattesi.
Fatta eccezione per qualche intervento scritto, l’Organo di Vigilanza non è mai riuscita ad anticipare gli eventi: è arrivato quasi sempre alle porte dell’inferno, quando non vi erano più possibilità di risanamento. Il caso del Banco di Napoli, in cui l’ispezione decisiva è partita solo dopo la morte del protagonista indiscusso, è da manuale: qualche mese dopo l’approvazione del bilancio che mostrava una situazione florida da superstar del credito, la Vigilanza certifica che l’Istituto è sull’orlo del fallimento. Una veloce discesa da una montagna russa, che ha reso necessaria la cessione alla BNL a 50miliardi di lire. Nella stragrande maggioranza dei casi, e sempre per quel che concerne il Mezzogiorno, si è trattato di un intervento tardivo che ha reso inevitabile la ricerca di soluzione esterne, e la svendita degli istituti. Forse tutto ciò rientrava in un disegno che ora trova il suo compimento con l’azzeramento di quel poco che è rimasto in piedi.
Per ripartire bisogna fare affidamento sull’economia reale, aiutare le imprese ad attraversare il tunnel, prepararle a confrontarsi in mare aperto con le concorrenti estere. Per questo sarebbe necessario un sano e robusto tessuto creditizio in grado di sostenere le imprese e consentirgli di effettuare gli investimenti necessari per rafforzarsi e aumentare la produttività e la redditività di gestione.
Nel caso delle BCC cosentine le voci che si raccolgono negli ambienti qualificati non sono affatto rassicuranti. Entro la fine di questo mese, e comunque prima dell’inizio delle ferie estive, si sarà delineato il quadro degli interventi previsti.
La BCC di Spezzano Albanese è troppo piccola perché continui il suo cammino da sola. Sembra che sia stata già decisa la sua cessione alla Banca Sviluppo, un istituto ben patrimonializzato con sede a Roma che fa parte della galassia delle BCC. La BCC di Spezzano perderebbe non solo il nome, ma l’autonomia e la territorialità. Sembra che si stiano già preparando le insegne per iniziare l’attività sotto la nuova denominazione.
Per la BCC di San Vincenzo La Costa, si è mossa la BCC Mediocrati con l’approvazione di una delibera del suo Consiglio di Amministrazione con la quale chiede di poter assorbire la consorella. Le due banche sono complementari e la loro fusione rafforzerebbe la Mediocrati che diventerebbe la più importante della Calabria con un territorio di competenza che comprenderebbe gran parte della Provincia più vasta e popolata della regione. La Vigilanza non si è ancora espressa perché è probabile che le intenzioni siano ben altre: ricercare un partner forte ancora una volta al di fuori. A spingere verso una soluzione esterna è la condizione in cui versa l’istituto, poiché il livello delle sofferenze sfiora il 30% del portafoglio crediti con una completa perdita di operatività. In questo caso, è molto probabile che il binomio di un cattivo management interno e di una governance troppo sensibile ai richiami della foresta locale abbia prodotto una miscela esplosiva.
Per la BCC di Cosenza la “due diligence” non è ancora conclusa e si lotta strenuamente per definire il limite delle anomalie necessarie per classificare le varie posizioni creditorie. Anche in questo caso, l’occhio è puntato altrove.
La logica sottostante ai previsti provvedimenti che la Banca d’Italia intenderebbe adottare è il territorio non esprime competenze e professionalità abbinate ad autonomia di giudizio e capacità decisionali tali da consentire il rilancio degli istituti. L’idea di base è racchiusa nella massima “tant pire tant mieux”: le crisi sono rigenerative perché consentono il totale rinnovamento di manager e governance degli istituti. In tal modo, però, si crea un ostacolo insormontabile alla formazione di una classe dirigente locale che sia in grado di governare i processi di crescita e di sviluppo.
I commissari adoperano il bisturi, chiudono qualsiasi comunicazione con il personale e la clientela, pretendono sistemazioni immediate. Stanno mettendo in ginocchio il sistema economico. Sono ben consapevoli che il loro compito è di gestire la transizione, sono una meteora destinata a scomparire in poco tempo e devono solo rispondere alle regole d’ingaggio ricevute. Fin dall’inizio di quest’avventura la Banca d’Italia ha ben chiare strategie e obiettivi da raggiungere con grande sangue freddo, e servendosi d’inoppugnabili dati tecnici per dimostrare l’ineluttabilità delle decisioni che si andranno a formalizzare.
E le stelle stanno a guardare. La logica conclusione è la ripetizione di un film già visto, con la differenza che dietro le BCC in Calabria c’è solo il deserto. L’imperativo categorico dovrebbe essere una mobilitazione di tutti gli enti e organismi locali per scongiurare l’eventualità di un ulteriore depauperamento del territorio. La grande imprenditoria sembra molto occupata e preoccupata per le sorti del Cosenza calcio per occuparsi di un problema noioso come quello delle BCC. In termini di consenso e popolarità una piccola mossa nella kermesse calcistica vale molto di più di un impegno nel settore del credito.
Bisognerebbe avere una proposta alternativa, non difficile da concepire, ma quasi impossibile da realizzare per lo scarso entusiasmo che incontra tra le forze politiche e sociali. Le stesse banche interessate si dichiarano pronte a rafforzarsi patrimonialmente con un prestito subordinato che esse stesse s’incaricherebbero di emettere e collocare. Il loro grande problema è che le BCC commissariate hanno bisogno dell’autorizzazione dei Commissari per agire e non possono ottenere la garanzia del Fondo. Senza il rafforzamento patrimoniale non hanno margini per risalire la china. Un gatto che si morde la coda e, di fatto, porge su di un piatto d’argento qualsiasi decisione nelle mani della Banca d’Italia. La soluzione potrebbe risiedere nel trovare qualcuno che sia disponibile a venire in soccorso delle banche offrendogli quella garanzia che gli manca. Un nome a caso. La Regione attraverso Fincalabra, che fin qui ha rincorso farfalle.
Resta la questione se la Mediocrati può assorbire la consorella facendo ricorso a un prestito subordinato con la garanzia prevista. E’ in bonis, ma l’assorbimento potrebbe costituire un boccone indigesto tale da giustificare la prudenza dell’Organo di Vigilanza. Anche in questo caso una piccola spinta potrebbe consentire il miracolo.
Se si vuole uscire dalla crisi, è necessario salvare prima le banche locali che costituiscono il sistema arterioso dell’economia e questo dovrebbe essere interesse e della Federazione delle BCC e soprattutto della Camera di Commercio di Cosenza. A ragione il presidente Pino Gaglioti può rammaricarsi dell’inutile tempo perso per la costituzione della Banca di Garanzia, che oggi potrebbe offrire la giusta sponda per far partire l’ambizioso progetto di irrobustire il mercato del credito. Un organismo che ancora naviga in alto mare. Oggi sarebbe stato prezioso come strumento di manovra in una politica del credito che non si limiti ai soliti piagnistei sulla forbice dei tassi.
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