Rende a passi veloci verso il Piano Strutturale Associatodi Oreste Parise Mezzoeuro Anno IX num. 31 del 07/08/2010) |
Rende, 7 agosto 2010
La nuova urbanistica si affaccia oltre il Campagnano. Un ritorno ad una pianificazione territoriale più rispettosa per l’ambiente alla riscoperta della diversità rendese. Un modello da imitare che presenta una crisi di crescenza
Fuor di dubbio è stata una gestazione lunghissima. Solo ora a distanza di otto dalla sua approvazione, la Legge Urbanistica Regionale approvata nel lontano 2002 comincia a produrre i suoi effetti. Solo da pochi mese qualche comune ha già approvato uno dei nuovi strumenti di pianificazione urbanistica previsti come il PSC, il “Piano Strutturale Comunale”, che costituisce la struttura portante della nuova normativa comunale nella materia.
Ci sono voluti più di sei anni per predisporre le norme di attuazione, arrivati dopo un robusto aggiustamento della riforma approvato sul finire del 2006. Il lungo tempo che è stato necessario per completare l'iter da una misura della complessità dell'impianto normativo introdotto con la novella regionale. Un altro elemento è la fitta trama che devono intessere i comuni per dotarsi di un ordito urbanistico. I documenti di pianificazione territoriale sono, infatti, il Quadro Conoscitivo/Documento Preliminare (QC/DP), il Piano Strutturale Comunale (PSC), il Regolamento Edilizio Urbanistico (RUE) e il Piano Operativo (POC): tutti rigorosamente menzionate con il loro incomprensibile acronimo. A questo bisogna aggiungere tutta una serie di strumenti attuativi, un'altra lunga teoria di sigle dall'aspetto semantico ancora più terrificante. Sembra un impianto studiato ad arte per trasformare l'urbanistica in un mistero orfico, una faccenda iniziatica per i soli adepti.
Meno male che la “novella” calabrese si proponeva di coinvolgere nel processo di formazione della pianificazione territoriale tutte le forze attive del territorio, prevedendo una partecipazione popolare nelle diverse fasi di formazione dei “documenti” previsti. Forse il labirinto è stato studiato ad arte per tenere alta l'attenzione del pubblico in questi incomprensibili dibattiti.
Sarà per questo che le varie fasi del rito iniziatico si svolgono nei santuari politici, in lunghe riunioni dove si discute dei massimi sistemi, di eco-compatibilità, rispetto dell'ambiente, governo del territorio e tante altre declamazioni che strappano l'applauso dello scarso uditorio.
Basta affacciarsi da una qualsiasi finestra per constatare “de visu” che la normativa barocca non ha prodotto l'unico risultato che avrebbe salvato questo regione: fermare lo scempio edilizio, l'edificazione selvaggia, il consumo di territorio per una scellerata espansione dei volumi fabbricati che non trovano alcuna giustificazione dell'andamento demografico della regione. Come nel seicento milanese le grida non hanno avuto alcuna efficacia pratica. La situazione di fatto si è aggravata. Il mercato edilizio è drogato e affetto da una dipendenza da cui non riesce a liberarsi. L'uso (o forse sarebbe meglio dire l'abuso) della terra è valutato sulla base degli effetti congiunturali, poiché l'edilizia costituisce uno dei pochi motori trainanti di questa regione dove l'imprenditoria è affetta da un inguaribile nanismo.
Si sono affannati tutti a sottolineare l’importanza della partecipazione come elemento strutturale dei processi di pianificazione. ANCI, UPI e Lega autonomie hanno firmato un accordo per spronare i comuni a servirsi delle necessarie competenze nel predisporre i nuovi strumenti di pianificazione, per introdurre i principi innovati della nuova legge urbanistica. Concretamente vi è solo una parvenza di partecipazione, mentre le scelte vere e fondamentali sonon comunque demandate al palazzo.
La nuova legge non fa altro che accentuare gli squilibri regionali senza porse minimamente il problema delle aree interne soggette ad un corrosivo fenomeno di spopolamento. Cosa possono farsene Carpanzano o Scigliano di un PSC? Si sprecheranno preziose risorse per concludere che il futuro è segnato, che le elezioni comunali le faranno al bar giocando a padrone e sotto. Tanto i maggiorenti del paese sono tutti li ogni sera a ricordare i bei tempi passati quando il contado era infestato dai briganti, e i vicoli pullulavano di belle ragazze.
Quello che è mancato e manca non è la regolamentazione sempre più pervasiva e complicata. È mancata e manca tuttora una programmazione regionale dell'uso del territorio. Una visione sistemica della pianificazione territoriale, che solo nelle area a vocazione urbana coincide con la programmazione urbanistica. Quando questo compito è affidato al livello comunale si scatenano gli appetiti locali con una accentuazione delle tendenze in atto: i poli di attrazione antropica diventeranno più forti e si accentuerà lo spopolamento dei territori interni. Le amministrazioni comunali non sono in grado di armonizzare le loro scelte con quelle dei territori circostanti.
Quando si consideri con più attenzione il fenomeno del consumo del territorio si osserva un andamento dicotomico: una folta vegetazione ricopre le terre abbandonate, recuperate dai boschi e dalla macchia mediterranea, cancellando ogni traccia della presenza dell'uomo, mentre le zone vallive o costiere lentamente vengono ricoperte da un interminabile nastro di cemento e catrame.
La nuova legge urbanistica non solo attribuisce ai comuni una piena autonomia nella regolamentazione urbanistica, in assenza di qualsiasi quadro di riferimento regionale, ma attribuisce loro un’autonomia nella definizione dei volumi da edificare, nei parametri edilizi, nell’utilizzo del suolo in maniera ampiamente discrezionale. Questo consente una contrattazione con i soggetti interessati, proprietari e imprenditori edili. La flessibilità aveva lo scopo di favorire un uso razionale del territorio nell’interesse collettivo per realizzare infrastrutture e recuperare spazi versi. È diventato semplicemente lo strumento clientelare per assecondare gli interessi dei costruttori e coprire con una colata di cemento ogni metro quadrato utile.
Il caso dell'area urbana cosentina è emblematica al riguardo. I due comuni maggiori si sono combattuti a colpi di cemento armato, senza alcuna idea di città. La conurbazione sta avvenendo nel peggiore dei modi possibili, poiché ognuno dei protagonisti cerca di conquistare degli spazi di contrattazione con la propria forza di attrazione misurata in metri cubi. Il concetto di area urbana, per non parlare di città unica, è un mero espediente retorico di sapore chiaramente elettorale. Sono quasi passati cinque anni dai solenni impegni delle nuove amministrazioni di Cosenza e Rende e non è stato fatto alcun passo avanti. Al contrario si hanno chiari segni di una volontà di separatezza. Basti pensare alla nuova toponomastica. In tutte le grandi metropoli come Londra e Parigi, ma neanche Roma fa eccezione, si evita accuratamente la duplicazione dei nomi, per evitare confusione. Nell'area urbana cosentina vi è una corsa alla duplicazione dei nomi con sconcerto dell'ignaro viaggiatore che si troverà a dover risolvere il dilemma di Piazza Matteotti. Il nodo di Gordio rimane quello si stabilire chi deve fare un passo indietro. Chi sarà l'Alessandro che avrà il coraggio di tranciare quel nodo? Non è certo sufficiente qualche opera pubblica progettata in comune per usufruire delle agevolazioni regionali a provocare l'unificazione amministrativa che avrebbe effetti benefici non solo sull'efficienza dei servizi, ma porterebbe anche un flusso di risorse aggiuntive per le premialità previste dalla legge, che in tempi di magri bilanci dovrebbe essere ben gradito. Ognuno però continua a procedere per proprio conto, né si intravedono segnali di un cambiamento di rotta.
Rende è in procinto di approvare il “Piano di Indirizzo e di Azione verso il PSC”, che dovrebbe mettere in ordine il sistema urbano rendese che la colata di cemento che si abbattuta a seguito dell'approvazione della variante al Piano Regolatore, ha completamente stravolto. Vi sono esempi di cattiva espansione urbana anche qui. I Dattoli, Contrada Rocchi, Quattromiglia hanno visto uno il crescere di un alveare su un reticolo di strade interpoderali. Le colline di Arcavacata sono afflitte da frequenti fenomeni franosi: i piovosi inverni hanno impietosamente messo in rilievo la fragilità di un sistema che non era in grado di sopportare un carico edilizio di simili proporzioni. Il cedimento strutturale del ponte sul Surdo ha evidenziato i limiti di una espansione edilizia più preoccupata di cedere alle pressioni delle imprese che a tutelare il territorio. Tuttavia, la legge urbanistica offre grandi opportunità ad una politica lungimirante, è sufficiente volgere lo sguardo verso la tutela dell’interesse pubblico, a riscoprire la voglia di lasciare una traccia profonda nel processo di costruzione di una città a misura d’uomo.
Eraldo Rizzuti è Assessore all'Ambiente del comune di Rende, nonché geologo. Ha una sua visione quasi mistica della sua funzione e crede fermamente nella possibilità di coniugare gli interessi dei singoli con quelli dell'ambiente; è un convinto assertore del metodo partecipativo nella predisposizione degli strumenti urbanistici.
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