Piano casa: questa legge va cambiatadi Oreste Parise Mezzoeuro Anno IX num. 41 del 15/10/2010) |
Rende, 10 ottobre 2010
Il PD riflette sulla nuova normativa
Nel Salone di Rappresentanza del Comune di Cosenza, tecnici e amministratori parlano ancora della Legge Regionale 21. Il Piano Casa non piace a nessuno. “Non è un piano casa, ma un tentativo di rilancio dell’edilizia con fondi privati”, dicono i sindaci
Nel salone di rappresentanza del comune di Cosenza, la settimana scorsa si è tenuto un secondo incontro sul Piano casa, dopo quello organizzato dal consigliere regionale Mimmo Talarico. Questa volta è Carlo Guccione, consigliere regionale del Pd e componente della IV Commissione regionale "Assetto e utilizzazione del territorio, protezione dell'Ambiente" ad aver chiamato tecnici e amministratori locali a riflettere sulle possibili conseguenze che la nuova normativa può provocare nella regione. L’incontro è stato programmato a ridosso del termine concesso ai comuni per la delimitazione delle aree di applicazione della nuova normativa e degli eventuali vincoli e prescrizioni da introdurre nelle specifiche realtà.
La legge regionale (L.R. 21 del 13/8) presenta numerosi profili di criticità. Si tratta in primo luogo di un provvedimento temporaneo della durata di 24 mesi. I comuni sono chiamati a un tour nel ristretto termine di 60 giorni per costruire un impianto normativo di breve durata, ma in grado di lasciare un segno indelebile sul territorio.Vi è poi un dubbio di costituzionalità poiché interviene in un settore di esclusiva competenza degli enti locali: la questione non è stata ancora sollevata davanti alla Corte Costituzionale proprio per il carattere temporaneo nel provvedimento con la concreta possibilità che la decisione possa arrivare allo spirare del termine di vigenza. Il terzo problema riguarda l’introduzione dello SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), che consente di avviare immediatamente i lavori senza alcun controllo da parte dei comuni e affida inoltre al progettista e direttore dei lavori il controllo e la conformità dell’immobile costruito ai regolamenti urbanistici. Un vero esproprio di competenza che confligge con il dettato della legge sul Piano casa e di tutta la regolamentazione edilizia.
Sono particolarmente i sindaci a contestare la nuova normativa non solo per una questione di competenza, ma per l’assenza di qualsiasi pianificazione degli interventi per rimediare alle distorsioni del mercato edilizio e alle esigenze abitative della parte più debole della popolazione.
Riportiamo una sintesi degli interventi che rappresentano una valutazione critica delle problematicità sollevate dalla legge da parte dei responsabili a vario titolo della gestione del territorio..
Giuseppe Soriero, assessore all’urbanistica del comune di Catanzaro. L’uso del territorio è al centro di uno scontro di interessi in un competizione tra l’affermazione del diritto individuale e il rispetto dei diritti collettivi. Qui più che altrove il territorio è il contesto di uno sviluppo sostanzialmente pilotato e avviluppato attorno al ruolo trainante dei lavori pubblici e dell’edilizia seguendo le fasi cicliche che caratterizzano questo settore. Oggi è momento di difficoltà per la caduta degli investimenti e dell’occupazione. Quando si pensa di ripartire ancora una volta si pensa agli interventi sul territorio, che è continuamente esposto a illusioni e distorsioni. Il segretario dell’ANCE regionale ha fatto un appello affinchè vengano rispettate le scadenze relative al piano casa, convinto che questo possa dare un impulso all’intera economia. Tuttavia bisogna sottolineare che non sarà l’incremento di volumetria consentito dalla legge per ampliare le abitazioni private che può consentire alle imprese edili di superare la crisi profonda in cui sono cadute. La vera ragione della crisi risiede, infatti, nei tagli dei fondi per le opere pubbliche come è successo con la sottrazione di 20 miliardi di Fondi FAS destinati alle infrastrutture del Sud. Né sono possibili forzature, poiché iI comuni hanno i loro tempi che devono essere rispettati, né si può pensare di procedere con il commissariamento degli enti.
Vi è però un aspetto positivo nell’impianto della legge, costituito dalla possibilità di interventi di riqualifazione nelle aree degradate. In queste si può procedere a una contrattazione con le imprese, gli operatori economici, e i privati che vogliano misurarsi con la riqualificazione di interi plessi per poter ridisegnare l’assetto urbanistico della città. A Catanzaro lo stiamo affrontando in una vasta area dismessa dalle Ferrovie dello Stato, con le Ferrovie Calabro-lucane, e nell’area dell’ex-cementificio a Catanzaro Sala, per limitarci a qualche esempio significativo. In questi casi l’interlocuzione positiva tra pubblico e privati può consentire una intesa istituzionale che metta davvero in moto un meccanismo di investimenti produttivi, la creazione di posti di lavoro e crei occasione di sviluppo. Vi sono tuttavia molti aspetti che vanno corretti nella legge perché vi sono molte ambiguità, altri sono lasciati in sospeso e altri ancora meritano un approfondimento. Vi sono termini da definire con maggiore precisione per consentire l’espletamento di tutto quanto necessario per completare l’impianto normativo. Nella delibera che abbiamo predisposto per la città di Catanzaro abbiamo accluso una planimetria con la delimitazione delle aree totalmente escluse dall’applicazione della nuova normativa, e di quelle in cui sono state imposte delle prescrizioni. Nei successivi sessanta giorni chiederemo all’assessorato all’Urbanistica della Regione di stare accanto ai sindaci per chiarire i mille dubbi che la legge non è riuscito a chiarire, poiché si possono produrre contenziosi tra gli imprenditori che pongono delle domande, i dirigenti che non sanno cosa rispondere, gli assessori che vengono bersagliati.
Non si tratta di una lotteria, di un esercizio astratto, ma di un’azione concreta per definire dove è possibile utilizzare la premialità prevista, che consenta di investire e guadagnare ma nel rispetto della legge e delle normative urbanistiche. Noi ci troviamo in un territorio fragile, dove vi sono montagne che camminano come nel caso tragico di Maierato, paesi che franano come Cavallerizzo, abitati sommersi sotto il fango come si è verificato a Longobardi di Vibo e potremmo continuare con gli esempi. La migliore cultura meridionalista aveva già individuato la fragilità della nostra regione. Il grande geografo Giuseppe Isnardi descriveva la Calabria come “un paese isolato fatto di isole instabili”. Giustino Fortunato parlava di “uno sfasciume pendulo sul mare”. Francesco Compagna scriveva della crisi dei presepi, l’improvviso fenomeno del superamento dell’arroccamento nei centri interni con una proiezione sulle coste e una dilatazione edilizia senza governo e senza pianificazione. Secondo i dati pubblicati dallo Svimez, nell’ultimo quindicennio in Calabria sono stati edificati ben 269.560 ettari pari al 26,13% dell’intero territorio regionale libero frutto di una politica miope del territorio consentito dagli amministratori e da tutti i governi che si sono succeduti alla guida della regione. Nella regione vi è stata una politica ondivaga con una alternanza di politiche coraggiose portata avanti con strumenti avanzati seguiti da momenti di una colpevole tolleranza che ha portato a costruire persino sugli arenili, sulle scarpate, sulle frane attive con gravi danni per l’ambiente e per l’economia. Noi non ci possiamo permettere una nuova ondata di cementificazione. A Catanzaro si è tenuto un convegno “better cities, better life” per sottolineare lo stretto rapporto esistente tra le qualità urbane della città e la vita dei cittadini. La vita di un’intera comunità è migliore se la città migliora.
Salvatore Perugini, sindaco di Cosenza. Il compito dell’amministrazione è quello di dire no a tutte quelle richieste che contrastano con lo spirito della legge e l’interesse della collettività. Noi oggi viviamo nella emergenza per le conseguenze di condizioni climatiche particolarmente severe degli ultimi inverni. Molti danni si sarebbero potuti evitare se ci fosse stata una politica più attenta verso la difesa del suolo e lo sviluppo ordinato del territorio, nel pieno rispetto delle regole.
Questo provvedimento definito anticiclico, avente poteri salvifici, non produrrà che effetti molto limitati, come è avvenuto nelle regioni partite prima di noi. Il Sole24 Ore in una sua inchiesta ha certificato che siamo di fronte a un vero e proprio flop, lasciando irrisolti i veri nodi dell’edilizia..
Nella regione vi sono due grandi problemi, la difesa del suolo e l’emergenza abitativa, che tocca le fasce sociali deboli. Nella sola città di Cosenza vi sono 700 casi di emergenza abitativa. Io mi sarei aspettato che il Piano casa si preoccupasse di questi problemi, mentre qui avviene esattamente il contrario, si incentiva la costruzione di nuove unità abitative e l’ampliamento di quelle esistenti mentre le emergenze vengono trattate con grave e colpevole ritardo. Basti ricordare quanto si è verificato per i danni provocati dalla piogge negli scorsi due inverni. Nel 2008 i comuni sono stati autorizzati a impegnare somme per affrontare l’emergenza e poi i fondi promessi non sono arrivati che in minima parte mettendo in grave difficoltà i già magri bilanci comunali. Il solo comune di Cosenza ha dovuto affrontare spese per due milioni e settecentomila euro e non ha avuto ad oggi che 400mila, con notevoli disagi per imprese che hanno eseguito le opere con il meccanismo della somma urgenza e oggi devono penare per ottenere il pagamento di quanto dovuto.
Vi è un grande problema legato a tutte le famiglie che non solo non riescono a comprarsi una casa, ma che non riescono a prenderla nemmeno in affitto. Mi sarei aspettato che su queste questioni si intervenisse con celerità, poiché quando le risorse sono scarse, bisogna disegnare una scala di priorità. E’ certo che nella regione queste due questioni meriterebbero una attenzione molto più significativa.
Questa legge è una chiara dimostrazione che oggi l’urbanistica non c’è più. La legge urbanistica regionale imponeva di superare la logica dei vecchi piani regolatori e approvare i Piani strutturali, con gravi difficoltà organizzative e finanziarie dei comuni. Manca ancora lo strumento di programmazione regionale a cui dovremmo attenerci, abbiamo solo le linee guida, vi è solo il Piano territoriale di coordinamento. Siamo chiamati ad approvare con urgenza i nuovi strumenti urbanistici senza un quadro certo di riferimento per un governo complessivo del territorio. Il nostro PSC è in itinere e questo mi sollecita una domanda. Considerato che questo piano casa va in deroga agli strumenti urbanistici, dal punto di vista della razionalità delle scelte, non sarebbe stato più opportuno attendere l’approvazione dei nuovi strumenti? Che senso ha consentire nel comune di Cosenza di intervenire in deroga del Piano regolatore generale, seppur datato, nel momento in cui si sta per approvare uno strumento urbanistico nuovo?
Aggiungo che i Piani strutturali comunali non hanno come obiettivo l’incentivazione di nuova edilizia, ma la riqualificazione dei territori. Come conciliare la legittima pretesa dei cittadini di voler approfittare delle opportunità concesse dalla legge di poter aumentare il volume, con un ampliamento della superficie o l’innalzamento del soffitto della propria abitazione con l’interesse pubblico alla riqualificazione? Rispettiamo la legittima aspettativa dei professionisti e della imprese di voler cogliere le occasioni di lavoro, ma occorre un minimo di sensibilità comune per coniugare il diritto dei singoli con uno sviluppo più equilibrato del territorio.
L’edilizia pubblica è finita, mentre c’è di disagio sociale che non interessa più solo la fascia più debole della popolazione, ma che investe anche il ceto medio che ha drammaticamente perso potere di acquisto e non è più in grado di procurarsi una abitazione. Ebbene a Cosenza non si costruiscono case popolari da oltre vent’anni. Mi sarebbe piaciuto che col Piano Casa si fossero autorizzate le Aterp a costruire nuove case popolari, che si fosse agevolata la stipulazione di accordi con i privati per l’espansione dell’edilizia convenzionata a favore delle classi più deboli. Mi sarebbe piaciuto che i comuni avessero avuto il potere e le risorse per decidere su questioni sulle quali vi è una domanda sociale e affrontare le emergenze abitative. Colgo l’occasione per chiedere che venga rimosso l’ostacolo che ha cancellato l’applicazione dei contratti di quartiere che puntano alla riqualificazione delle aree degradate, come quello di San Vito. In questa area centinaia di famiglie vivono un disagio sociale, a cui il Contratto tentava di dare una risposta. Noi abbiamo avviato tutte le procedure secondo la vigente legge, predisponendo anche i bandi di gara. Per sospendere tutto è stato sufficiente una firma all’assessorato regionale per chiarimenti interpretativi.
Si è accelerato moltissimo per l’approvazione di un discutibile Piano caso, mentre questa problematica non ha trovato alcuna considerazione.
Tuttavia, noi dobbiamo adottare i provvedimenti richiesti da questa nuova legge perché abbiamo il dovere di occuparci della gestione del territorio e non possiamo lasciarlo al libero arbitrio dei privati. Noi non possiamo modificare la legge, non la possiamo ignorare, ma possiamo assumere delle decisioni forti per quanto di nostra competenza, possiamo essere testimoni e protagonisti di un buon governo di quel poco di territorio che è rimasto sotto il completo potere delle amministrazioni comunali.
Abbiamo una fantasia infinita per creare nuove figure e istituti giuridici, PSC, PSA, VIA e poi la DIA che oggi viene sostituito dalla SCIA che costituisce un ulteriore arretramento nella gestione e controllo del territorio da parte degli enti locali. Con essa viene meno l’autorizzazione e il controllo nell’attività edilizia che vengono affidate a un professionista abilitato. Non abbiamo riserve mentali sul loro operato, tuttavia viene meno il principio che il governo del territorio è di esclusiva competenza dei comuni. Siamo contro la burocratizzazione e una deregolamentazione è necessaria per semplifica il rapporto dei cittadini con la pubblica amministrazione. Ma questo non deve significare un arretramento dei controlli e della gestione di alcuni settori fondamentali come l’urbanistica. Questa esigenza non può costituire un alibi per un allentamento dei controlli e non deve andare in conflitto con gli strumenti urbanistici che stanno per essere approvati.
Giovanni Manoccio, sindaco di Acquaformosa. Diciamo chiaramente che questa è una legge che favorisce gli speculatori, una classe imprenditoriale che rappresenta la solita cricca che cerca di mettere le mani sull’unica nostra ricchezza che è il territorio. Il loro compito dovrebbe essere quello di dare delle soluzioni ai problemi dei cittadini. Il principio della nuova legge è il non rispetto delle prerogative dei governi locali che sul proprio territorio fanno un’analisi delle trasformazioni e dei flussi demografici per individuare le esigenze abitative della popolazione, per dare una risposta in termini di una logica, di una razionalità nell’uso del territorio. Gli amministratori fanno delle scelte i cui effetti ricadono sul futuro della comunità e per questi saranno valutati. Come sindaco ho una esperienza di partecipazione attuata attraverso un confronto diretto con i cittadini e i tecnici per discutere delle problematiche del territorio.
Abbiamo approvato il PSA, un Piano Strutturale Associato riunendo cinque comuni (Acquaformosa, Altomonte, Firmo, Lungro e San Donato di Ninea) per dare una organizzazione razionale e coordinata a tutta l’area. Circa l’80% dei comuni della Calabria sono in calo demografico. Solo una piccola minoranza registra un aumento con la creazione di agglomerati urbani caotici e privi di servizi. Drammatica è la situazione delle coste che hanno subito un processo di deturpazione irreversibile, con una vita intensa concentrata in estate in un tempo che diventa sempre più breve, dai due mesi si è passati a una quindicina di giorni.
Credo che occorra il coraggio di dire che non si può pretendere che in sessanta giorni il Consiglio comunale adotti provvedimenti che potrebbero esser in contrasto con quanto stiamo faticosamente elaborando in sede di PSA, vanificando le analisi, l’illustrazione del territorio, le valutazioni che sono emerse nella redazione dello strumento urbanistico. Dobbiamo avere il coraggio di dire con chiarezza al governo regionale che noi andremo ad approvare strumenti urbanistici a incremento zero. Nei nostri piccoli centri non abbiamo bisogno di deturpare altre aree, quando si registra una decrescita demografica e disponiamo di un fabbisogno abitativo doppio rispetto alle esigenze della popolazione. Non riesco a capire perché attardarci a discutere di incrementi del 30% dei fabbricati o di nuove aree di insediamento. Dobbiamo assumerci la responsabilità politica di dire che una stagione di speculazione, di deturpazione dell’ambiente deve finire, dobbiamo sottolineare che in tutti i nostri comuni vi sono zone R3 e R4 dove non è stato previsto alcun intervento di prevenzione né da parte dello Stato né della Regione. Ci viene chiesto di individuare delle aree dove siano consentiti alcuni interventi, ma il vero nostro dramma è il dissesto idrogeologico che non trova alcuna attenzione. Chi ha a cuore il territorio e lo vuole conservare per chi verrà dopo di noi resta sconcertato da normative così dissennate. Recentemente un vecchietto del mio paese mi raccontava che in certe aree nel passato non si costruiva perché così dicevano da sempre i contadini, i veri geologi, architetti e ingegneri perché avevano un rapporto diretto con la terra. Conoscevano ogni zolla e controllavano il territorio giorno dopo giorno. Il disastro è avvenuto negli anni sessanta e settanta dovuta anche alle rimesse degli emigrati, particolarmente cospicue nei centri interni che sono vissuti e vivono di emigrazione. Con i loro risparmi si è costruito dappertutto dimenticando i moniti dei nostri vecchi saggi. Noi oggi dobbiamo fare delle scelte qualitative, fare una battaglia sulla qualità degli interventi, occuparci dell’assetto idrogeologico per un completo governo del territorio. Il nostro compito è di aiutare i cittadini a migliorare la loro qualità di vita.
Beniamino Tenuta, geologo. In tema di difesa del suolo tutte le giunte che si sono succedute sono ugualmente colpevoli. Ancora oggi la regione Calabria è l’unica a non avere un Servizio geologico per una questione di competenze e di deleghe. Istituito nel ‘98 con Assessore Nicola Adamo, è stato cancellata dalla Giunta Loiero nel 2005. Inoltre, la Protezione Civile regionale non ha alcun geologo nel suo organico, l’Autorità di Bacino è stato praticamente svuotata delle sue funzione e delle sue competenze con un organico ridottissimo, le Province non hanno strutture che si occupino esclusivamente della difesa del suolo come avviene nelle regioni più avanzate. Nella gestione del territorio vi è una organizzazione politico-amministrativa molto carente. L’ordine dei geologi ha sollecitato il Presidente a provvedere al Piano della difesa del suolo per rendere operativi i finanziamenti per il recupero dei danni prodotti negli ultimi due inverni. Come risposta il Presidente ha dato mandato all’Assessore ai Lavori Pubblici di provvedere all’avvio delle procedure.
Ma l’impianto normativo è già presente, si tratta solo di dotare il meccanismo di personale, di tecnici e risorse per poter funzionare, di destinare finanziamenti adeguati alla prevenzione. Dobbiamo completare un disegno di difesa del suolo. Oggi abbiamo solo il Piano Stralcio di assetto idrogeologico che non si è occupato di tutto il territorio regionale, ma solo di una piccola parte costituito dai comuni e dalle dai centri abitati superiori a 200 abitanti. Non si è passati ai Piani di Bacino, per mancanza di fondi e di personale tecnico per cui non si è potuto avviare. Molti dei disastri si sono verificati in aree non considerate dal Piano Stralcio, dove sono saltati i collegamenti, sono franate le strade. La Giunta Loiero non ha avuto il coraggio di approvare il Piano Casa con i correttivi necessari. Devo dare atto a Guccione di aver recepito i nostri suggerimenti e di averli proposti come emendamenti che non sono passati poiché in aula il testo è stato blindato.
Questo mette ancora di più in risalto la contraddizione introdotta dal Piano casa, poiché impone delle scelte immediate pur in assenza di un adeguato strumento di valutazione del rischio idrogeologico e mentre si stanno predisponendo i nuovi strumenti che nascono da una analisi dell'intero territorio comunale.
Il problema serio è che nella considerazione del rischio fa riferimento al Piano stralcio che come abbiamo detto comprende solo una parte del territorio, lasciando al libero arbitrio degli operati tutto il restante.
Giuseppe Rizzo, sindaco di Cerzeto. Il PSC deve essere lo strumento principale per la programmazione del territorio e non sono consentite scorciatoie. I nostri territori soffrono di un abbandono ultra ventennale e noi abbiamo dimenticato la cultura urbanistica. Questo piano casa è un condono mascherato. Non abbiamo bisogno di interventi di ampliamento dei fabbricati esistenti, ma di un piano di ristruttuazione delle abitazione esistenti e del recupero dei centri storici. Abbiamo un enorme patrimonio edilizio e storico che rischia il totale abbandono. L’amministrazione pubblica deve essere un soggetto attivo nella gestione del territorio e non subire le scelte speculative dei privati.
Ing. Giovanni Greco, Settore Programmazione e Gestione Territoriale della Provincia di Cosenza. La legge sul piano casa è inutile poiché priva di qualsiasi ricaduta sia sul terreno economico che occupazionale ed è dannosa per gli influssi negativi sul piano sociale e culturale.
Parliamo di una terra dove l’abusivismo è un fenomeno endemico che investe anche la sicurezza. Il governo del territorio è di esclusiva competenza dei comuni, una funzione attribuita loro dalla Costituzione, che hanno il diritto-dovere di decidere gli interventi. L’unico aspetto positivo è costituito dalla possibilità di recupero di intere aree urbane. Una possibilità però già previste dalla legislazione precedente e ampiamente utilizzata da tutte le amministrazioni. Le novità sono comprese negli articoli 4 e 5. Il primo articolo consente ampliamenti dei fabbricati entro il 20% in deroga a tutte le normative urbanistiche. L’art. 5 consente invece la demolizione e la ricostruzione, con l’esclusione di una lunga serie di aree soggette a vincoli vari ci si riduce alle espansioni urbanistiche degli anni sessanta e settanta che hanno creato le orribili periferie che conosciamo. Siamo sicuri di volere un incremento di volumetria proprio in queste aree? Vi sono molti dubbi, ma anche se lo consentissimo di certo non avremmo quel boom che ci si potrebbe aspettare, poiché si tratterebbe di qualche intervento marginale utile solo per aumentare il degrado di quelle aree. Un cenno particolare meritano le aree agricole dove la legge consente di utilizzare immobili di qualsiasi natura (depositi, stalle, e così via) da demolire per costruire immobili destinate a civile abitazione con il rischio di vedere deturpare le nostre campagne.
Non abbiamo bisogno di ulteriore espansione edilizia, ma piuttosto di sicurezza perché il nostro territorio è molto fragile e geologicamente instabile. Non si può certo dire che nel corso degli anni l’edilizia non sia stata incentivata sia da un punto di vista finanziario che normativo. La crisi del settore trova origine nell’assenza della domanda, che risente in maniera drammatica della crisi economica generale e dell’eccesso di immobili rispetto al fabbisogno di mercato. Quello che appare assurdo è proporre una legge per il rilancio dell’edilizia con le risorse dei bilanci familiari che sono già in grande crisi. Per coloro che hanno esigenza di intervenire, l’investimento in edilizia è sostitutivo di altri consumi per cui è difficile immaginare un effetto incrementale.
Le condizioni dell’economia fanno si che questa legge non porterà grandi conseguenze sul territorio proprio per la scarsa capacità di investimento delle famiglie, ma avrà una conseguenza nefasta sulla percezione dei diritti dei cittadini che si sentiranno padroni e unici decisori del governo del territorio. In questo senso l’introduzione della SCIA assume un carattere devastante. Il precedente regime della DIA consentiva di iniziare immediatamente i lavori ma non escludeva il controllo del comune sulla realizzazione dell’opera. La SCIA mette tutto nelle mani dei privati, poiché sarà unicamente il professionista che ha redatto il progetto che certifica la regolare esecuzione dei lavori e la rispondenza ai requisiti previsti dalla normativa.
In Germania sono arrivati a togliere ai comuni il potere di monitoraggio e controllo in edilizia e urbanistica e lo hanno attribuito ai lander, poiché viene ritenuto che la vicinanza con il cittadino e con in suoi bisogni rende debole i responsabili locali non solo per l’individuazione degli abusi, ma per la comminazione dell’eventuale sanzione fino ad arrivare alla demolizione, che viene immediatamente eseguita.
Nel nostro caso si è addirittura pervenuti alla totale eliminazione dei controlli e la devoluzione di tutta la procedura ai professionisti privati. Sembra una soluzione azzardata specialmente per una regione come la nostra. Chi decide di costruire abusivamente oggi sa che agisce in maniera illegittima e si assume tutti i rischi, mentre con questo sistema è sufficiente la connivenza di uno solo per poter agire indisturbato senza rischiare nulla. Può completare l’opera in tutta tranquillità. Alla fine il solo rischio è che il direttore dei lavori possa non certificare l’opera, ma non è prevista alcuna sanzione. Si è consentito legalmentela costruzione e tra qualche tempo ci dovremo porre il problema di come condonare queste “anomalie”, perché non si tratta più né di abusi né di reati.
La filosofia di base del provvedimento è che le regole e i controlli sono dannosi poiché frenano l’economia, inibiscono l’iniziativa privata, impediscono lo sviluppo.
Un ultimo aspetto è che la deroga agli strumenti urbanistici vale anche nei confronti dei nuovi Piani che saranno approvati nei prossimi mesi, poiché chi ha intenzione di commettere un abuso lo farà subito e pertanto le nuove norme saranno inefficaci poiché non potranno certo avere effetti retroattivi. L’assurdo è che il cittadino che oggi non approfitta del Piano casa, magari per difficoltà economiche, domani potrà essere penalizzato dall’entrata in vigore di norme molto più rigorose. Sorge qualche dubbio sotto il profilo della costituzionalità. Non è però automatico che i sindaci debbano per forza consentire l’applicazione di queste norme, possono porre rimedio escludendo gran parte o addirittura l’intero territorio. Senza perderci quasi nulla, poiché alla fine si potrà chiudere qualche balcone in un fabbricato in condominio a condizione che siano d’accordo tutti, perché è possibile solo se sono autorizzate tutte le unità immobiliari che lo compongono.
Luigi Stasi, sindaco del comune di Longobucco. Ai comuni interni non serve parlare di Piano Casa poiché stanno sparendo. Noi abbiamo bisogno della messa in sicurezza del territorio e del recupero del nostro patrimonio edilizio che rischia di degradare irrimediabilmente. Il nostro vero problema è come reperire risorse. Negli ultimi inverni sul nostro territorio abbiamo subito danni per circa trenta milioni di euro, di cui cinque per una strada che non era ancora stata collaudata ed altrettanti ne ha subiti la strada ANAS 177. Come posso parlare ai miei cittadini di piano casa e non di emergenza e di tutela del territorio? Fino a qualche anno fa vi erano squadre di forestali che procedevano a operazioni di rimboschimento, ma soprattuto vi era una presenza di popolazione rurale che monitorava il territorio, provvedeva alla manutenzione delle opere di canalizzazione delle acque. Oggi la terra è abbandonata alla speculazione e all’incuria, si procede a tagli indiscriminati che creano paesaggi lunari nel completo disinteresse di tutti. Bocchiegliero non c’è più, si è ridotto a circa mille abitanti, Longobucco si è ridotto sui tremila su 23.000 ettari, dagli ottomila di solo qualche decennio fai. Allora il problema vero è che cosa fare di questi territori, quale politica si intende attuare, scegliere tra il completo abbandono o il rispristino delle condizione di vivibilità.
Carlo Guccione, consigliere regionale Qualche anno fa il Governo ha deciso di ricorrere allo stimolo dell’attività edilizia per superare una crisi che dura da molto tempo, nella consapevolezza che si tratta di un settore trainante per l’intera economia. Ha approvato un decreto imponendo alle regione di intervenire con disposizioni più attinenti alle varie realtà locali. Vi sono state e permangono grandi perplessità su quel piano e molte di queste sono emerse anche in questa sede. Molto importanti e significative sono le testimonianze dei sindaci che vivono la difficoltà dei centri interni della Calabria, sono stati richiamati i gravi danni prodotti da un abbandono dei territori. Essi hanno posto l’accento ai problemi veri della gente e dei territori, hanno posto l’accento sulla tutela del suolo e ai problemi di sicurezza che devono essere prioritari negli interventi edilizi. La risposta è stata l’approvazione in pieno agosto della Legge regionale 21, meglio nota come Piano casa.
La giunta di Centrosinistra uscente non ha avuto il tempo o il coraggio di intervenire ed è stato un errore, poiché questa è diventata una priorità per questa giunta. Dobbiamo sottolineare che come al solito noi in Calabria cogliamo sempre le occasioni per intervenire per ultimi e male. Come è stato sottolineato anche in questa sede, è vero che l’applicazione della legge nelle altre regioni è stata un flop poiché le domande sono state poche migliaia. Solo in Sardegna e nel Veneto si è avuto una certa vivacità, ma anche lì non si raggiungono grandi cifre. Non si è riusciti a dare una scossa all’economia, come si voleva ed è stato sbandierato e pubblicizzato sui media, con una operazione di marketing ben riuscita che non ha prodotto risultati concreti, ma nella memoria collettiva è rimasto come un messaggio di liberalizzazione dell’attività edilizia. La Calabria ha approvato una legge tra le più permissive, in un territorio fortemente segnato dall’abusivismo, in una situazione economica molto deteriorata che non consente di sperare in una significativa accelerazione dell’attività edilizia. Dobbiamo dire con chiarezza che questa legge non risponde né alle esigenze del mercato, né alle aziende. Crea però un problema di carattere istituzionale poiché va in deroga ai Piani regolatori vigenti e ai Piani strutturali in corso di redazione. Il decreto e le le leggi attuative dovevano incrementare e dare una risposta a una ripresa dell’attività edilizia. In aggiunta ci troviamo di fronte a una legge provvisoria, che scade, per la Calabria il termine stabilito è di 24 mesi, avendo prodotto nel frattempo danni irreversibili al territorio. Questo significa che dal momento della pubblicazione sul BURC il 18 agosto scorso, essa vivrà 24 mesi. In alcune regione l’effetto si è già esaurito perché il termine è già trascorso e si può fare un bilancio, che si può definire un totale fallimento. Anche i tempi concessi ai comuni sono troppo ristretti che non consentono di procedere a una valutazione rigorose della zonizzazione per rendere applicabile la legge.
Vi è un aspetto inquietante che deve essere sottolineato. Con questa legge si interviene in un campo di esclusiva competenze dei comuni, lasciando molti dubbi sotto il profilo delle costituzionalità. In Consiglio regionale abbiamo cercato di far riflettere sull’impianto normativo che non rispondeva alle esigenze della Calabria, di intervenire a favore di chi ha necessità abitativa, di chi ha volontà di intervenire per bonificare un’area. Questa è una legge che non prevede alcun investimento pubblico, che può produrre qualche limitato effetto solo se i privati decidessero di investire. C’è una sordità a tutti i livelli istituzionali, una incapacità di ascolto che costituisce un passo indietro. I Contratti di quartiere sono sospesi e si tratta di dieci milioni di euro bloccati che potrebbero essere una soluzione, ad esempio, per quelle centinaia di famiglie che abitano San Vito Alto. E’ stata sospesa la legge 24, con 580 opere finanziate ai comuni, hanno revocato i fondi per la costruzione di nuovi alloggi popolari. Oltre 400 milioni sospesi e bloccati, un insieme di misure che potevano sostenere le imprese, e dare una risposta seppur limitate alla domanda di alloggio di una parte debole della popolazione.
Dovremmo puntare alla riqualificazione edilizia con incentivi ai privati, recuperare quello che abbiamo perché il territorio è una risorsa. Un territorio segnato da frane e smottamento. In aggiunta la Calabria è la prima regione d’Italia per incidenza dei terremoti. Introduciamo, quindi, un meccanismo che premi la prevenzione antisismica e anche l’autosufficienza energetica.
In queste questioni siamo disponibili a collaborare unitariamente per trovare delle soluzioni razionali. Viviamo in una regione dove nelle aree interne vive ancora la maggioranza della popolazione, abbiamo un patrimonio forestale enorme e dobbiamo trovare soluzioni per non disperdere queste grandi ricchezze, intervenire prima che si verifichino i disastri poiché è anche più conveniente sotto il profilo economico. La ricostruzione di Cavallerizzo è costata 70 milioni di euro, e forse sarebbero stati sufficienti risorse ben minori per mettere in sicurezza quell’area. Ma è incredibile che il nuovo centro abitato rischia di rimanere isolato per l’assenza di una viabilità decente.
Dobbiamo sforzarsi di chiedere il contributo delle forze attive della regione, dei professionisti, dei sindaci dei rappresentanti politici per dare una configurazione alla nostra regione, per decidere il futuro che vogliamo, l’assetto delle nostre città, la salute del nostro ambiente.
La Calabria poteva fare tesoro degli errori commessi dalle altre regioni dando per esempio alla legge una copertura finanziaria o inserendo incentivi per l’adeguamento antisismico e misure di housing sociale. Il Piano casa così come è stato approvato è una occasione mancata.
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