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Candidature nuove per Cosenza, Rende e
Rossano
di Oreste Parise
Mezzoeuro Anno IX num. 44 del
6/11/2010)
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Rende, 5 novembre 2010
Parla il nuovo
segretario regionale Maurizio Feraudo
Idv non vuole
più essere un partito taxi, ma deve cercare una nuova classe politica con un
forte senso di appartenenza. I congressi movimentati sono un'arena importante
per un vero confronto democratico.
Cos'è oggi Idv e cosa rappresenta nelle realtà locale. Come si comporterà
nelle prossime consultazioni amministrative. Sono queste le domande alle quali
abbiamo cercato di rispondere nell'intervista al neo eletto segretario
regionale Maurizio Feraudo.
Un partito in piena crisi di crescenza, che mostra tuttora instabilità e
convulsioni tipiche della tempesta ormonale che caratterizza l'adolescenza. La
scommessa è di creare un partito completamente nuovo con una classe dirigente
formata attraverso una selezione sul territorio. Molto lontana dall'idea del
partito taxi, uno strumento utile per le proprie ambizioni personali, da cui si
sale e si scende a piacere.
Si è celebrato solo da qualche giorno il terzo congresso regionale, tra
contrapposizione feroci e polemiche non ancora sopite. Il primo segretario, è
bene ricordarlo, è stato Beniamino Donnici, cui ha fatto seguito Aurelio
Misiti. Curioso che nessuno dei due oggi si trovi a militare nella formazione
che ha rappresentato così autorevolmente. Ma sono tante le trasmigrazione e le
transumanze, in entrata e in uscita. Un equilibrio sempre instabile, a cui si è
cercato di rimediare con espedienti vari. Come il famoso contratto notarile
fatto firmare ai candidati prima delle elezioni regionali, che prevede una
penale in caso di cambiamento di casacca.
Sarebbe questo il motivo che tratterrebbe il deputato regionale cosentino
dal trasmigrazione: dovrebbe pagare una penale di 100.000 euro, chissà quanto
legittima sotto il profilo legale alla luce della richiesta indipendenza dei
componenti delle assemblee elettive scritta nella Costituzione repubblicana.
D'altronde la sua scelta del partito è considerato una sorta di asilo politico,
poiché le varie formazioni in cui avrebbe dovuto identificarsi si erano nel
frattempo liquefatte. Sarà una scelta definitiva o anche questo un
transhipment?
Non basta certo questo a creare il senso di appartenenza. Lo stesso Pippo
Callipo, candidato presidente mostra molta indecisione nel voler aderire al
partito. Anche la sua presenza assume il carattere di una meteora, un passaggio
fugace. Lo danno in approdo nel porto dei futuristi, una collocazione più
vicina alla sua anima politica.
Finora si è inseguito un modello sbagliato che si è rivelato molto fragile.
Il modello alternativo è quello della Lega, che, a prescindere dalla
condivisione della sua politica, sotto il profilo organizzativo ha dato
risultati molto migliori: ha rifiuto il riciclaggio e ha puntato direttamente
alla formazione di una nuova classe dirigente, che costituisce l'ossatura del
movimento e ne delinea i contorni e la politica.
Così parlò Maurizio. Intervista a Maurizio Feraudo, segretario regionale di
Idv
- L'Idv è un partito nato e costruito attorno a un leader, con i pregi e i
difetti di un sistema centralizzato, privo di democrazia interna.
- Da qualche anno si è aperta una nuova fase nel partito, che non vuole
apparire l'apparato di un leader, ma una organizzazione politica in grado
di esprimere progetti e programmi, un luogo di incontro con i territori e
con la gente. I quadri e i dirigenti del partito devono essere
espressione della base, dirigenti politici che sappiano leggere i bisogni
del territorio e riportarli nelle sedi istituzionali attraverso i nostri
rappresentanti.
- Tuttavia nel simbolo vi appare in bella evidenza il nome del suo leader.
Questo non contrasta con la pretesa di voler diventare un partito
democratico?
- Il nome di Di Pietro appare ancora nel simbolo, poiché così ha deciso
l'Esecutivo Nazionale che si è espresso all'unanimità, e non vi è stata
alcuna voce di dissenso o di critica rispetto a questa posizione. Bisogna
dire che era lo stesso Antonio Di Pietro che spingeva al rinnovamento
anche del simbolo per sottolineare la novità di questa percorso politico.
Il suo non è però il nome del proprietario, del padre-padrone secondo un
modello in voga nel centrodestra, ma un riconoscimento dell'attualità
della sua azione politica, un omaggio al fondatore del movimento. Alla
stregua di quando avviene nei grandi giornali. La vita del partito,
poiché tale è e tale vuole essere, è improntato a regole democratiche
stabilite nello statuto che pretendiamo siano rispettate sul territorio.
Il leader mantiene una sua centralità poiché molti cittadini-elettori si
identificano con esso, ma le decisioni più significative e impegnative
sono prese negli organismi collegiali, con discussioni ampie e
approfondite. Non vi è dubbio però che vi debba essere un garante che
sorvegli l'ottemperanza dell'azione politica alle decisioni congressuali
e abbia il carisma necessario per coagulare il consenso. La politica si
fa con i numeri, altrimenti diventa un'azione velleitaria.
- Com'è organizzato il partito?
- Oggi siamo molto lontani da una entità monocratica incentrata sul solo
leader. Oggi il partito è ben strutturato, con dipartimenti tematici che
si occupano dei settori più delicati e significativi, come la sanità o il
Mezzogiorno. A dirigerli non sono state chiamate figure simbolo, ma
persone di grande cultura e capacità che esprimono una capacità
dirigenziale e le cui opinioni vengono tenute in gran conto nelle
decisioni che si assumono.
- Nella celebrazione dei congressi vi sono stati mugugni e malumori emersi
in maniera tutt'altro che riservata ...
- I congressi celebrati poche settimane fa, sono il frutto di questo
spirito nuovo, di questa volontà di marcare una discontinuità rispetto al
passato. La stessa animosità che ha caratterizzato i nostri congressi
calabresi, sono una chiara dimostrazione che niente era costruito a
tavolino, ma vi era una contrapposizione vera tra i vari candidati. Un
esempio di democrazia, di partecipazione attiva degli iscritti e dei
simpatizzanti.
- Fin troppo attiva, si direbbe. Ma vi è chi lamenta che le decisioni sono
state calate dall'alto, che non vi è alcuna democrazia interna. Per dirla
tutta, che si trattava di congressi già scritti prima che cominciassero.
- Posso smentire in maniera categorica che vi siano stati pressioni
dall'alto e imposizioni di nomi per i vari ruoli nelle direzione di tutti
gli organismi del partito, dai circoli fino alla direzione regionale. Di
Pietro si è astenuto dall'intervenire, poiché era il primo e resta un
convinto assertore della tesi che i territori devono esprimere in maniera
autonoma la propria rappresentanza. I congressi sono il luogo dove
confrontarsi, per far emergere i temi dell'agenda politica che devono
essere sviluppati. La contrapposizione può essere anche aspra, ma alla
fine deve prevalere una linea che deve essere condivisa e accettata da
tutti. Ognuno deve rinunciare a qualcosa, poiché a vincere è sempre una
sintesi tra le varie posizioni. Non si deve arrivare a stravolgere i
risultati congressuali con la pretesa che la propria posizione debba
prevalere.
- Come spiega questa polemica che si trascina ormai da qualche settimana e
non accenna a diminuire?
- I congressi sono un luogo catartico dove ciascuno è costretto a mettere
a nudo le proprie capacità e le proprie debolezze. Il risultato dei
congressi è stato determinato dalla forza dei numeri, dal consenso che i
vari candidati hanno saputo far confluire su di loro, nella capacità di
programmazione politica e di proposta. Non vi è dubbio che questo ha
potuto provocare qualche delusione in chi credeva di avere un consenso in
virtù del ruolo ricoperto, o di una posizione acquisita e che ha visto
frantumate le sue attese.
- Ma si lamenta che non vi sia stato alcuno spazio per il confronto.
- In realtà le contestazioni più accese sono avvenute al di fuori del
congresso con interventi sulla stampa locale. Poiché chi voleva un esito
diverso si è reso conto di non aver in numeri per giocare una partita
reale in un confronto congressuale: ha rinunciato cercando di giocare la
carta della pretesa illegittimità o della scarsa democrazia.
- Quale sarà l'atteggiamento del partito nelle prossime consultazioni
amministrative? Vi sono aree calde, dove si profilano esperimenti arditi.
- Partiamo da una premessa. Abbiamo aderito con piena convinzione alla
Cabina di Regia dove si confrontano le varie anime del centrosinistra in
Calabria, un largo ventaglio che comprende il PD, Rifondazione Comunista,
Comunisti Italiani, Verdi e SeL. Noi abbiamo fatto una scelta di campo,
collocandoci in questa area. Tuttavia non siamo favorevoli alla
ricostituzione del vecchio Ulivo, che si è dimostrato una costruzione
farraginosa e artificiosa che non ha retto di fronte all'onere di
governare. Siamo pronti a dialogare con tutti, ma vi deve essere una
preminenza dei partiti maggiori che devono assumersi la responsabilità di
fronte agli elettori.
- Questo significa che vi è una preclusione nei confronti del cosiddetto
terzo polo, dove troviamo Api, Mpa e ora anche i “futuristi”?
- La nostra è una posizione chiara, senza equivoci. Il gruppo finiano ha
sempre ribadito la loro volontà di voler restare nel centrodestra. Noi
rispettiamo la loro decisione, ma questo significa che con loro non
abbiamo un progetto politico comune. Non si tratta di delimitare un
recinto, i motivi di inclusione o esclusione, ma di condividere una linea
e questo non c'è.
Certo siamo ben consapevoli delle difficoltà di una chiara lettura del
territorio dove vi sono formazione eterogenee, coalizioni miste con un
alto grado di eterogeneità. In quei casi si tratta di affidarsi ai
dirigenti locali, che sono più in grado di assumere le decisioni più
opportune. Nei piccoli comuni la politica è frantumata, una realtà
difficile da interpretare e governare.
- Cosa si può prevedere per le realtà più significative come l'area urbana
cosentina?
- Ho molta stima per il commissario del PD Mussi, che ha manifestato
l'intenzione di rinnovare nel profondo la rappresentanza negli enti
locali, poiché abbiamo il dovere di trovare una classe dirigente nuova.
Una esigenza avvertita anche da noi. Vi è da aggiungere che laddove i
sindaci uscenti non hanno più quella aderenza con l'elettorato, non
riescono a manifestare l'appeal che li ha portati nello scranno
municipale bisogna trovare soluzioni alternative. Penso ai casi di
Rossano, Rende e Cosenza, ad esempio. Non si tratta di dare un giudizio
negativo sulla gestione amministrativa, ma di riconoscere che vi è uno
scollamento tra l'elettorato e il suo rappresentante. Ne dobbiamo
prendere atto senza indebolire la proposta del centrosinistra. L'esempio
delle regionali ci deve insegnare qualcosa. E' inutile insistere su
soluzioni che già alla vigilia appaiono molto deboli.
- In particolare proprio a Rende, con Idv alla ricerca del terzo polo e
Cosenza, dove si profilano alleanze e candidature inedite.
- Inutile nascondere che a Rende piuttosto che una contrapposizione tra
partiti, vi è una forte contrapposizione tra principiani e
antiprincipiani, che porta ciascuno a collocarsi da una parte o
dall'altra al di là e al di sopra dei partiti. Ritengo che sia un metodo
politico scorretto, poiché anche in quel contesto si deve necessariamente
dialogare con il Pd e far prevalere la logica politica e tutti sono
chiamati ad adeguarsi alla linea del partito, evitando di assumere
posizioni personali.
A Cosenza il panorama politico si presenta ancora più lacerato e vi è una
chiara percezione di un diffuso malcontento dei cittadini. E' giusto
trovare una figura alternativa che sia in grado di portare il
centrosinistra alla vittoria e dia un chiaro segnale di una volontà di
riprendere l'iniziativa politica.
Non dobbiamo mai dimenticare che siamo in un momento molto delicato della
politica nazionale, e le realtà locali sono dei momenti importanti per
l'auspicato cambiamento.
- Ma come superare questo contrasto?
- Siamo impegnati e ci sforzeremo di compilare delle liste dove vi sia
una significativa presenza di giovani e di donne. L'obiettivo è di poter
contare su degli eletti che abbiano una forte carica di entusiasmo e un
senso di appartenenza al partito. Nelle precedenti consultazioni
elettorali ci si è sforzati di intercettare il consenso attraverso uomini
di apparato che potessero garantire voti e organizzazione. L'esperienza
non è stata del tutto positiva, poiché si è assistito con grande
frequenza a trasmigrazione degli eletti da un gruppo a un altro,
snaturando il partito, nato con una forte carica ideale, di voler
innovare e rinnovare la politica. Dobbiamo ritornare allo spirito
originario, per dare una rappresentanza a tutti coloro che si sono
allontanati dalla politica per il comportamento “disinvolto” dei
rappresentanti, da tutti coloro che ancora credono negli ideali e sono
mossi da un forte sentimento etico. Dobbiamo restituire dignità alla
politica e per questo siamo chiamati tutti a uno sforzo di anteporre gli
interessi della collettività alle ambizioni personali. Dobbiamo ritornare
ai valori perduti dell'etica, della morale e della responsabilità. I bei
programmi non bastano, perché poi questi devono viaggiare sulle gambe
degli uomini.
C OP Y R I G H T
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