Cosenza, anno zerodi Oreste Parise Mezzoeuro Anno IX num. 48 del 4/12/2010) |
Rende, 3 dicembre 2010
Sorgono due nuove palazzi in aderenze alle mura di recinzione del carcere
Mancano le condizioni minime di sicurezza. Quando tempo ancora potrà resistere quella sede. La struttura rischia di essere chiusa e trasferita altrove. Ma lontano, oltre il Pollino …
“Fra’, che stai dicendo, non è possibile.”
“Si nun mi cridi, viani ca jamu a vidiri”.
Siamo davanti al cancello di uno dei palazzi di Via Manuela e Carlo Alberto Dalla Chiesa a Cosenza. Una traversa di Viale Cosmai proprio di fronte al comando provinciale della Guardia di finanza. Qualche centinaio di metri più sotto vi è il carcere di Via Popilia.
Franco Calandra si agita per non essere creduto.
“Allora andiamo, sono quattro passi”.
“Pigliamo ‘a machina ca facimu prima”.
Ormai a Cosenza la cronica inefficienza dei trasporti pubblici ha portato a una consolidata abitudine di vivere con il sedere appiccicato al sedile dell’auto. La si usa per tutto, anche per comprare il giornale dietro l’angolo, parcheggiando in quarta fila, con qualche automobilista impaziente che strombazza infastidito.
“Nu momentu, pigliu i sigaretti e viagnu …”
Scendiamo in via Antonio Scopelliti, il giudice del primo maxiprocesso alla ‘ndrangheta ucciso nel 1991. Una scritta sui muri ricorda ancora la primigenia denominazione: “14° Strada Bosco De Nicola”, che lascia immaginare la preesistenza di un’Arcadia, con gli uccellini che si rincorrono trillando tra i rami degli alberi. Ora vi è solo una selva di palazzi, attorno a uno spiazzo. Piazza Strage di Capaci recita la lapide, già 1° Piazza Bosco De Nicola.
“Con ‘sta storia abbiamo passato un guaio”, ricorda Franco. Solo da poco tempo hanno intitolato vie e piazze, dopo che si sono succedute varie denominazione provvisorie, obbligando tutti a uno slalom tra vari uffici per aggiornare la residenza sui vari documenti. Ancora oggi vi sono molte divergenze tra carta d’identità e patente, ad esempio. E la polizia è inflessibile quando rileva queste incongruenze.
Alla fine della strada, proprio di fronte al carcere, vi sono molti bei palazzi che sembrano ancora impacchettati da Christo. Opere d’arte desolatamente vuote, in cerca di autore. Vendesi, fittasi appartamenti (chissà perché nessuno scomoda a consultare una grammatica e scrivere correttamente “vendonsi”, “fittansi” al plurale). Tutto Viale Mancini è diventato un muro del pianto dei costruttori, una lamentosa geremiade per tutto l’invenduto che rischia di trasformarsi in un’ecatombe economica che potrebbe portare al fallimento molti dei costruttori. Di fronte all’evidente crisi irreversibile di una politica edilizia sembrerebbe logico che vi sia un fermo totale. Nel panorama circostante, però, svettano le mastodontiche gru che continuano a tirar su piani su piani. Chi ha iniziato un complesso immobiliare si svena per completarlo nella speranza di una ripresa del mercato. Chi si ferma è perduto, diceva la buonanima e lo scriveva a caratteri cubitali su tutti i muri d’Italia. Bisogna stringere i denti e andare avanti.
Quello che appare meno comprensibile è che vi siano ancora imprenditori disposti a lanciarsi oggi in questa avventura, diventata molto rischiosa poiché il mercato è saturo per i prossimi decenni.
“Ti l’avia dittu”, si infervora Franco, “stanno costruiannu propriu dintra u carceri”.
Siamo arrivati al cantiere cui faceva riferimento. A ridosso del lato sud del muro di cinta del carcere, oltre la recinzione vi sono due grossi scavi, con una foresta di piloni di ferro e cemento che emergono dalle viscere della terra. Si nota chiaramente che sono in costruzione due enormi palazzi. Dopo il completamento delle fondamenta, si apprestano a gettare il primo solaio. Si lavora alacremente per completare l’opera al più presto.
Leggiamo il cartello esposto in bella evidenza: “Nova Casa, Lavori di costruzione di due edifici per n° 75 alloggi di edilizia sociale (L. Reg, n° 36/2008), uffici ed attività commerciali. Permesso di costruire n. 36 del 14/7/2010. Progettisti Arch. Antonio Coscarella, Ing. Michele De Caro, Arch. Simona Jacino. Direttore dei lavori: Arch. Antonio Coscarella. Impresa di costruzione: SAPT Costruzioni coop rl, Cosenza”.
Oops. Qui è tutto a posto, tutto regolare, “secundum nostrae civitatis jura”. Incredibile, non ci si può neanche incazzare. Gli scempi a Cosenza avvengono nel rispetto della legge. Forse allora è proprio la normativa comunale che è uno scempio, una vera aberrazione della logica e della razionalità urbanistica. Forse sarà una questione di interpretazione, di gestione delle regole che chiama in causa direttamente la responsabilità politica, un’amministrazione civica dominata dalla lobby dei costruttori al di là di qualsiasi logica economica, a giudicare dalle disastrose condizioni del mercato.
“Nun hai capitu nenti, Ore’. Qua ci guadagnano di sicuro. E’ un affare garantito”, insiste Franco.
Allora cerchiamo di seguire il filo del ragionamento. Intanto, si tratta di due costruzioni di edilizia sociale, che godono di un consistente contributo regionale che abbassa notevolmente i costi, soggette ad alcune prescrizioni di cui nessuno se ne impipa.
E poi … Una “voce di dentro” sussurra che vi sia in corso una trattativa tra il ministero degli Interni e la ditta costruttrice per riservare i primi piani agli operatori della struttura penitenziaria. Un po’ come la vittima che paga il proprio carnefice per accelerare la fine. Sarà vero? A rigor di logica è difficile crederlo, ma senza un qualche intrigo è difficile immaginare che si possa investire su un progetto così palesemente assurdo.
Tra il contributo regionale e l’affitto garantito del Ministero si realizzerebbe il miracolo del raggiungimento di un equilibrio economico che tutti gli altri costruttori nei dintorni possono solo sognarsi o organizzare un pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo invocando un intervento miracoloso.
Dice una ragazza intelligente quanto bella. “Cercavo un appartamento. Ho letto in un annuncio che a Via Cosmai affittavano a 300 euro al mese. Roba da non credere. Sono andata a vedere. Si trattava di un palazzo proprio di fronte al carcere. Appartamenti belli, spaziosi con vista dei detenuti nell’ora di aria. Mi è venuto un senso di angoscia e anche un po’ di paura. Ho rinunciato. Pago di più per ottenere meno, ma sono più tranquilla e serena”. Come dargli torto?
Se il mercato immobiliare attraversa un momento di difficoltà, la condizione dell’area adiacente il carcere ha un handicap in più. Come giustificare allora due nuovi mastodontici interventi? Un cliente sicuro e garantito come il Ministero renderebbe tutto più facile.
La “voce di dentro” insiste. Qui è tutto regolare. Non vi è alcuna norma statale, regionale o comunale che impone limiti particolari nella costruzione in prossimità degli istituti penitenziari, anche in aderenza. Valgono le regole generali e sono state applicate rigorosamente. E’ prevalsa la tutela del diritto di proprietà e della facoltà di costruire attenendosi alla disciplina urbanistica comunale. Dominium est ius utendi ac abutendi … E’ un principio del diritto romano rifluito nell’art. 832 del nostro codice civile. Quindi … Quindi un corno. Perché quell’articolo recita: “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Ma quali sono questi limiti e questi obblighi? Non esistono poiché qui l’ordinamento è utilizzato non per tutelare la collettività e il bene pubblico, ma per legittimare scempi e abusi. Di abuso in abuso (legale, per carità!) si è arrivati al paradosso di riempire ogni metro quadrato disponibile. Il trionfo della legge!
La “voce di dentro” insiste. Avrebbe dovuto essere il Ministero degli Interni a intervenire chiedendo al comune di acquisire le aree con l’esproprio. Con fondi a carico dello stesso Ministero, ma se ne è guardato bene. Ha fatto lo gnorri, e non può certo intervenire il comune. Con questi chiari di luna di ristrettezze finanziarie, poi.
Ministero degli Interni, Amministrazione penitenziaria, Regione Calabria, Comune. Una pletora di enti e nessuno è responsabile. Di chi è la colpa? Uno scaricabarile pazzesco in cui a perderci è solo la logica e il buon senso comune. Nessuno si è agitato adeguandosi all’insegnamento dantesco. “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”. Tanto ormai non c’è più nulla da fare! Questa Calabria è perduta, bisognerebbe ricominciare da capo.
Solo il Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) ha provato a fare la voce grossa. In una lettera del 12 giugno 2008 indirizzata – tra gli altri - al Sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, e al Capo del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria Ettore Ferrara scriveva:,
“L’area circostante la Casa Circondariale di Cosenza è stata interessata, di recente, da un consistente sviluppo urbanistico, che ha portato alla costruzione di numerosi palazzi di considerevoli proporzioni, che raggiungono i 10 piani, minando la sicurezza dell’istituto penitenziario cosentino, realizzato su tre livelli e con un muro di cinta alto appena 7 metri rispetto ai 50 metri dei palazzi in questione, costruiti a una distanza di non più di 100 metri dalla struttura carceraria. Come se non bastasse, pare si voglia ulteriormente edificare sul lato sud dell’Istituto e precisamente nell’area immediatamente adiacente il muro di cinta tra l’Istituto penitenziario e Via Scopelliti. Per quanto sopra, si chiede un urgente intervento, finalizzato alla destinazione sia della citata area presente sul lato sud che di quella opposta, presente sul lato nord, ad aree di servizio della struttura penitenziaria da dichiarare comunque non edificabili. E’ utile evidenziare che l’eventuale costruzione di edifici nelle aree sopra descritte metterebbe in dubbio e in serie difficoltà l’utilizzo del carcere di Cosenza, per ovvi motivi di sicurezza, con conseguente danno per l’Erario”.
Il sottosegretario Caliendo era troppo occupato dalle faccenduole della P3 e a partecipare alle riunioni segrete a casa Verdini (secondo le accuse dei magistrati che stanno indagando sul caso) per potersi distrarre a pensare al carcere di Via Popilia.
Damiano Bellucci, responsabile provinciale s’infervora tutto pensando all’indifferenza generale. “Finalmente qualcuno se ne occupa di questo problema”. Sollecita un intervento a tutti i livelli. Ma sarà un fuoco fatuo, una fiammella effimera, poi tutto ripiomberà nel silenzio.
Il 5 agosto scorso una delegazione del Sappe scende in Calabria per constatare quanto sta succedendo a Via Popilia e dintorni. In una ulteriore nota spedita al Ministero viene comunicato in maniera molto allarmata. “Abbiamo appreso che altri palazzi saranno costruiti a breve nelle aree immediatamente adiacenti l’istituto de quo, a distanza di pochissimi metri dal muro di cinta. Ciò abbasserà di più il livello di sicurezza dello stesso istituto, attesa che a distanza di 10-15 metri dal perimetro che delimita l’area detentiva saranno costruiti, con ogni probabilità, le aree di parcheggio delle abitazioni impedendo, di fatto, ogni controllo sui mezzi che sostano nei pressi del carcere. Ciò posto, ci si rende conto come sia facile per chiunque attentare alla sicurezza dell’istituto e all’incolumità degli operatori. A conferma della necessità di garantire maggior sicurezza nell’area circostante l’istituto cosentino, basta ricordare che tale area, negli anni addietro, è stata più volte teatro di diversi attentati di mafia. Sarebbe quindi opportuno rideterminare la destinazione della suddetta area, consentendone l’acquisizione da parte dell’Amministrazione penitenziaria”.
Non è successo niente, ovviamente. Si potrebbe solo aggiungere che nel lato ovest si sta completando il proseguimento di Viale Parco che costeggia ancora una volta il muro di cinta dello stesso istituto, una utile via di fuga all’occorrenza. E per fortuna che gran parte dei palazzi costruiti sono ancora vuoti. Cosa succederebbe se si riempissero? Un caos continuo, una congestione costante del traffico che impedirebbe qualsiasi intervento tempestivo in caso di necessità.
“L’hannu fattu apposta, oi co’. Fannu nu carceri nuavu a Montalto”.
Prendiamo il “Piano carceri”, datato 29 giugno 2010. Sono previsti la costruzione di 11 nuovi istituti di pena per un investimento complessivo di 430 milioni di euro e di 20 nuovi padiglioni in ampliamento di istituti esistenti per una spesa di 231 milioni di euro. Nessuno di questi riguarda la Calabria, che nel Piano non è affatto nominata. Allora addio ipotesi Montalto. E’ solo una bufala per quietare gli animi evitando domande imbarazzanti.
Il rischio vero non è il trasferimento del carcere a qualche chilometro di distanza, ma la sua chiusura definitiva per mancanza degli standard minimi di sicurezza con destinazione al di là del Pollino. Così Cosenza perderebbe un’altra istituzione che crea lavoro per qualche centinaio di persone, tra il personale occupato direttamente nella struttura e l’indotto.
L’organico previsto del carcere, intitolato a Sergio Cosmai, è di 215 guardie penitenziarie, una quarantina di personale tecnico-amministrativo, ed altrettante figure professionali (assistenti sociali, esperti penitenziari, psicologi, medici e infermieri).
“Il personale di polizia penitenziaria è di 185 unità, al di sotto dell’organico previsto, alcune delle quali distaccate in altre sedi”, dichiara Damiano Bellucci.
La beffa è che si tratta di un complesso perfettamente funzionante. La sua costruzione fu iniziata nel lontano1948, ma il manufatto è stato consegnato solo nel 1982, quando è stato chiuso il famoso “Colle Triglio”, celebrato in tante canzoni popolari. E’ stato oggetto di una importante opera di ristrutturazione solo qualche anno fa, e i lavori sono tuttora in corso. Le condizioni generali sono considerate buone anche per la sua ubicazione al centro della città.
Il cemento lo sta ingoiando e finirà per strozzarlo.
“Fra’, aviasi raggiuni. E' propriu na vrigogna!”
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