Il Piano "sola"di Oreste Parise Mezzoeuro Anno X num. 5 del 5/2/2001 |
Rende, 3/2/2011
Annunciato con grande strombazzamento di fanfare, il piano casa è fallito in tutta Italia. Berlusconi tenta un rilancio che assomiglia a un gioco di prestigio. Ma i sindaci sono impegnati su altri fronti stretti tra tagli ai bilanci e la necessità di una nuova programmazione territoriale.
Che fine ha fatto il “Piano casa”? A decretarne il fallimento non è qualche disfattista di sinistra, ma lo stesso Presidente del Consiglio, suo ideatore ed artefice. Dopo una poderosa costruzione legislativa costituita da una legge nazionale, venti leggi regionali e migliaia di deliberazioni comunali per la zonizzazione, il tutto si è risolto con qualche migliaio di interventi in tutta Italia.
Non si è trattato di un boicottaggio da parte dei governatori comunisti che hanno voluto frapporre ostacoli, poiché lo scarso entusiasmo nell’applicazione delle nuove normative non ha risparmiato neanche regioni saldamente in mano a governatori di sicura fede governativa, come la Lombardia e il Veneto. Alla fine sarebbe stato necessario un nobile gesto di riconoscere l’impraticabilità di un simile strumento per rilanciare il mercato edilizio e sforzarsi di trovarne altrii.
Un “piano sola”, lo avrebbe definito con la sua caustica ironia Tomaso Staiti di Cuddia, il quale ha in una intervista ha definito Berlusconi “Re sola”, in assonanza all’epiteto di “Re Sole” attribuito a Luigi XIV.
Lungi dal prendere atto dell’impraticabilità di questa strada il governo intende rilanciare immaginando una serie di modifiche che dovrebbero quasi per miracolo rimuovere tutti gli ostacoli che ne hanno fin qui frenato le potenzialità propulsive.
E’ necessario interrogarsi quali sono i motivi dello scarso entusiasmo con cui è stato accolto da tutti gli operatori, enti locali, imprese edili, consumatori.
Bisogna prima di tutto sciogliere un equivoco. Di tutto si tratta tranne che di un “piano casa”, com'è stato ribadito in tutte le salse nelle poche occasioni (poche proprio per lo scarso interesse del provvedimento) in cui si è tentato di discutere e approfondire il tema. Non si parla di senzatetto, di immigrati costretti a vivere sotto i ponti o in fatiscenti ricoveri di periferia, delle esigenze delle giovani coppie in cerca di abitazione che devono scontrarsi con affitti mirabolanti e prezzi di acquisto stratosferici, non si fa alcun accenno al recupero dei centri storici, al risanamento urbanistico delle tante periferie degradate delle nostre città, della manutenzione dell’immenso patrimonio immobiliare pubblico in gran parte fatiscente e abbandonato, del rilancio dell’edilizia popolare per assicurare un tetto decente alle famiglie sempre più numerose che si collocano di sotto alla soglia di povertà. Secondo recenti studi esse rappresentano circa un quarto del totale in una realtà come quella meridionale.
Di tutto questo non se ne fa alcun cenno e non per incapacità, ma per la mancanza di fondi. In un momento di gravi ristrettezze del bilancio pubblico non vi sono risorse per poter immaginare interventi del genere che richiedono l’investimento di ingenti risorse finanziarie. In compenso provocherebbero un effetto moltiplicatore in grado di dare una scossa all’economia. Si è immaginato una manovra di rilancio con le tasche dei cittadini, senza preoccuparsi dei possibili effetti che un tale procedimento avrebbe provocato sull’ambiente, sul paesaggio urbano, sul senso civico dei cittadini, sull’ingordigia dei costruttori. Queste sono considerate quisquilie rispetto alle superiori esigenze dell’economia, dimenticando che l’equilibrio naturalistico e il patrimonio architettonico sono da sempre i pilastri che hanno consentito al paese di superare i momenti più difficili.
Si è preferita la scorciatoia dello stimolo degli investimenti privati. Ridotto all’osso, il “piano casa” può essere sintetizzato in semplice motto “fate quello che volete purché tirate fuori i soldi”. In molti casi questo si traduce in una vera e propria autorizzazione a delinquere, poiché consente di superare la normativa urbanistica vigente e realizzare abusi edilizi nel pieno rispetto della legge, un condono preventivo generalizzato. Il piano consente di ampliare le cubature, stravolgere le facciate, demolire i vecchi edifici per ricostruirli più belli e più grandi che pria. Tutto questo sottraendo ai comuni il controllo. Con l’introduzione della SCIA (Segnalazione Certificata d’Inizio Attività) sarà il progettista e direttore dei lavori a dover garantire la conformità del progetto alla normativa urbanistica e certificare ex-post l’esatta esecuzione dei lavori.
Per fortuna questo non è bastato per il particolare momento attraversato dal mercato immobiliare che è stato colpito in pieno dalla crisi economico-finanziaria, di cui è anzi stata una delle cause non secondarie.
Questo è vero in generale, com’è dimostrato dagli scarsi risultati in tutte le regioni, ma è ancora più vero nella realtà dell’area urbana cosentina. Negli anni precedenti proprio qui si sono verificati gli
episodi immobiliari più significativi che hanno coperto di cemento ogni spazio vuoto nel territorio
di Cosenza, hanno avviato una competizione devastante a Rende impegnata a superare il capoluogo
in nuova cubatura, ha inondato tutti i paesi circostanti, come Castrolibero e Montalto nella zona
valliva. Si è costruito un volume enorme di nuove unità immobiliari in gran parte rimaste vuote e
che stentano a trovare un acquirente.
Tra i vari motivi che si possono addurre per spiegare una tale vivacità del settore, vi è anche
l’esigenza finanziaria dei comuni che hanno tentato di rispondere alle restrizioni di bilancio operate
con le leggi finanziarie, con espedienti vari, il più efficace dei quali è la trasformazione degli
oneri di urbanizzazione in entrate correnti utilizzare per la gestione ordinaria. Un comportamento
scellerato che prima o poi si tradurrà in appesantimento dei bilanci, per l’esigenza di dover
assicurare i servizi primari a tutti questi nuovi complessi immobiliari. Molti di questi non sono
in aree urbanizzate e richiedono la costruzione delle reti idriche, fognarie, le strade attrezzate con
arredo urbano e così via. Pensare di poter ripetere all’infinito questo comportamento è assurdo
poiché è estremamente dispendioso sotto il profilo del consumo di terreno che soprattutto in alcune
aree sta per raggiungere il suo limite fisico.
Potremmo anche attribuire qualche responsabilità all’impegno e allo zelo del nuovo procuratore
capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, il quale con la sua azione ha intralciato il flusso degli
investimenti della ‘ndrangheta che sarebbe stata uno dei principali investitori immobiliari dell’area.
I successi nella lotta alla criminalità organizzata sono inversamente proporzionali al rilancio del
settore edilizio, che senza i soldi del riciclaggio diventa asfittico e perde la sua capacità trainante.
Ora cosa c’è più da cambiare per invogliare i privati a investire nel settore? Abolire tutte le
normative urbanistiche a qualsiasi livello e privatizzare la gestione del territorio attribuendo ai
privati il totale libero arbitrio nelle loro proprietà per dare qualche mese di fiato all’economia. Finita
la sbornia converrà prendere la via dell’esilio volontario poiché le uniche zone fertili e pianeggianti
di questa saranno diventate un’enorme distesa di cemento armato e saremo costretti a predisporre
un mirabolante piano di agricoltura verticale per la produzione di pomodori all’ottavo piano degli
edifici.
“Sono convinto che bisogna prendere atto dell’impraticabilità di una idea che in condizioni normali
avrebbe potuto avere qualche probabilità di successo”, dice Orlandino Greco sindaco plebiscitario
di Castrolibero un comune conurbato di fatto con Cosenza. “Credo che si un'idea da accantonare,
perché non vi sono le condizioni per rilanciare l'edilizia con strumenti come questi. Abbiamo
bisogno di una politica di rigore, di ridare prestigioso alle istituzioni. La libera iniziativa in questo
settore ha prodotto solo danni”, continua Orlandino Greco, “ i comuni devono acquisire il controllo
del territorio, dopo anni di una gestione dissennata, favorita dal lassismo amministrativo e dalla
teoria di condoni”.
“Soprattutto i piccoli comuni interni hanno ben altri problemi che quello di consentire ulteriori
scempi urbanistici”, gli fa eco Stanislao Martire sindaco di Pedace, “noi rischiamo lo spopolamento.
Dobbiamo assicurare un controllo del territorio e garantire servizi efficienti ai cittadini. Col
piano casa gli unici che potrebbero trarne qualche esiguo vantaggio sono i proprietari di seconde
case, perché i residenti non hanno sufficienti risorse da mettere in moto un significativo flusso di
iniziative edilizie. I cittadini vogliono sentire che le istituzioni sono vicine, che si preoccupano
della loro condizione. Abbiamo bisogno di viabilità, di trasporti pubblici efficienti, di mantenere in
ordine il territorio. Abbiamo grandi risorse naturali che dobbiamo valorizzare”.
“Se si vuole realmente rilanciare il settore, bisogna dare maggiore autonomia ai sindaci. Essi
conoscono la realtà del proprio territorio e sono in grado di valutare quali sono gli interventi
possibili, senza stravolgere la storia e la cultura locale”, aggiunge Orlandino Greco, “passare dalla
logica del tutto è proibito alla valutazione cosciente degli amministratori”. “Fin qui, operazioni
come la demolizione e la ricostruzione sono state considerate operazioni sospette, colpite da una
giudizio preventivo di speculazione immobiliare. In un momento di grande disagio morale, si può
avere qualche dubbio sulla buona fede della rappresentanza politica, ma questa è migliore di come
viene rappresentata”.
“E' soprattutto nei piccoli comuni che sta nascendo una nuova categoria di persone pronte a mettersi
al servizio della comunità. Vi è una consapevolezza che dobbiamo ricercare in noi stessi la forza
per superare queste difficoltà. Ormai non troviamo più alcun sostegno da parte del governo centrale
e con il federalismo fiscale sarà ancora peggio. Dobbiamo tesaurizzare le risorse che abbiamo”,
incalza Stanislao Martire.
Proprio nella fiscalità, il piano casa incontra un ostacolo difficilmente superabile. Il patrimonio
abitativo della Regione è largamente superiore alle esigenze della popolazione residente e
sarebbe sufficiente a fornire un adeguato alloggio a 500-800mila persone. Ma vi sono asimmetrie
e distorsioni che impediscono di raggiungere un equilibrio: i centri interni sono in gran parte
abbandonati e in via di progressivo spopolamento, nelle conurbazioni urbane si è creata un eccesso
di offerta che non ha calmierato il mercato degli affitti, né ha costituito un un incentivo per il
recupero dei centri storici. Persino quelli di Rossano, Rende o Cosenza subiscono una continua
erosione di servizi. Vengono chiusi uffici postali, banche, uffici pubblici e questo provoca un
progressivo esodo della popolazione.
E' difficile e costoso vivere senza servizi e la situazione non può che peggiorare. I non residenti
tendono ad abbandonare i piccoli centri e recidere il legame affettivo e familiare che li lega con essi,
a causa della fiscalità, tra Ici (poiché i proprietari di seconde case devono continuare a pagare) e
Tarsu è un bel salasso per i già magri bilanci familiari. Se dovesse passare l'introduzione dell'IMU,
i piccoli comuni non solo riuscirebbe a ricavarne ben poco, quanto vedrebbero progressivamente
abbandonate gran parte del patrimonio immobiliare dei centri storici.
“La zonizzazione l'abbiamo fatto, così come ci è stato richiesto dalla legge”, dice Orlandino
Greco, “e non si sono prodotti effetti devastanti poiché la flessibilità è stata utilizzata con molta
parsimonia dai cittadini. Ora ci auguriamo che questa fase si chiuda, poiché in campo urbanistico
abbiamo impegni molto più seri come l'attuazione del PSC, che interessa la pianificazione
nell'intero territorio comunale”.
“Noi abbiamo avviato un esperimento di cooperazione con una serie di comuni vicini per verificare
la possibilità di coordinare la rispettiva politica territoriale e l'aspetto urbanistico è essenziale.
Siamo impegnati nella definizione del Piano Strutturale Associato con i comuni di Casole Bruzio e
Trenta e abbiamo avviato una collaborazione per la definizione di un piano strategico territoriale a
cui partecipano numerosi comuni dei due versanti della Valle del Crati. Il piano casa è un capitolo
chiuso senza infamia e senza gloria”, afferma Ladislao Martire.
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