Quale futuro per le BCC calabresi? Intervista a Giovanna Tripodidi Oreste Parise Mezzoeuro Anno X num. 8 del 19/2/2011 |
Rende, 17/2/2011
Calma apparente sul fronte delle BCC calabresi. Il commissariamento delle BCC in crisi prosegue senza sussulti e non si è ancora arrivati alla definizione di un piano per affrontare organicamente il problema. Abbiamo auscultata in proposito la responsabile nazionale del settore della FISAC-CGIL, una organizzazione molto sensibile e con orecchie ben incollate al suolo per sentire da lontano lo scalpitio degli zoccoli della cavalleria che si avvicina. La Calabria sarà deprivata anche delle piccole banche?
La crisi delle BCC calabresi è stata dimenticata, sepolta tra il bunga bunga del premier e il crepitio delle mitraglie sul fronte africano del Mediterraneo. Eppure sono cinque quelle già commissariate, e qualche altra rischia di fare la stessa fine. Sono piccole banche se confrontate con i colossi che si confrontano sui mercati monetari e finanziari internazionali. In Calabria, però, sono l'ultima testimonianza di una presenza storica e molto significativa. Ma non è certo l'aspetto sentimentale a costituire la preoccupazione maggiore. Pecunia non olet, lo dicevano anche i latini e nessuno si preoccuperebbe se le grandi banche nazionali scese in massa a occupare il territorio avessero impresso un'accelerazione allo sviluppo locale, se avessero svecchiato il sistema offrendo al sistema imprenditoriale strumenti moderni e sofisticati che si traducono in una maggiore professionalità e costi più contenuti.
Alla luce dell'esperienza ormai pluridecennale non si è prodotto niente di tutto questo. Il ritardo del Sud (per non parlare sempre e solo della Calabria) nella più ottimistica delle ipotesi è rimasto inalterato, il credit crunch ha penalizzato anche coloro che plaudivano alla discesa degli unni, la forbice dei tassi si è ampliata e le condizioni del credito si sono appesantite. La crisi ha prodotto una trasformazione radicale del mercato, con una modifica strutturale della struttura produttiva e il credito è stato indirizzato in misura sempre maggiore a sostenere i consumi piuttosto che gli investimenti delle imprese. Il credito al consumo costituisce ormai una componente maggiorataria. Le banche si sono adeguate, ma la parte del leone lo hanno fatto le società finanziarie, molte delle quali hanno comportamenti e praticano condizioni che si potrebbero definire usuraie.
A presidiare il territorio ci sono rimaste solo che BCC con le loro forze limitate. Esse hanno cercato di dare una risposta ai bisogni sempre più urgenti e pressanti delle imprese strette tra una crisi senza apparente via di uscita e la necessità di rispondere con gli investimenti necessari per affrontare le mutate condizioni di mercato. Ma è una lotta dura e, forse, dall'esito scontato. A seguire il bollettino fallimentari si tratta di una vera e propria palingenesi industriale in atto. Non si tratta più di salvare il salvabile, ma di ricreare il sistema. Mai come in questo momento è diventato realmente palese il grave danno prodotto dalla cancellazione del sistema creditizio meridionale. Le BCC svolgono un lavoro lodevole, uno sforzo sproporzionato rispetto alle loro dimensioni e alle capacità tecniche. Si tratta pur sempre di un pugno di istituti di piccole dimensioni, ma potrebbero essere preziose qualora si decidesse di concepire e attuare un piano industriale. Ma forse per la Calabria questo sarebbe troppo utopistico.
Quello che si è verificato in Calabria è realmente preoccupante. Cinque su tredici delle BCC operanti nella regione sono state commissariate. Un record per la regione, che da sola supera il resto dell'Italia. Una tale performance impone qualche riflessione per capire se si tratta del riflesso della crisi o vi sono cause endogene, degli elementi strutturali legati alla particolare organizzazione aziendale.
Si potrebbe affermare che proprio lo sforzo di restare a fianco delle imprese nel momento della difficoltà le ha indebolite e alcune (o molte considerato che rappresentano circa il 40% del totale in Calabria) ci hanno lasciato le penne. Si potrebbe, ma in realtà non si può nascondere che vi sono cause endogene, come la scarsa qualità della governance, il clientelismo eccessivo, la sottopatrimonializzazione, la carente organizzazione aziendale, le procedure "allegre" e così via hanno avuto pure un loro ruolo. Nel complesso, però, bisogna sottolineare che la grande rivoluzione normativa le aveva chiamate a una trasformazione epocale. Dalla nicchia di mercato protetta, con una operatività molto limitata, sono state spinte in mare aperto, ad affrontare una navigazione con strumenti sofisticati da collaudare senza una ciurma adeguata ai nuovi compiti. Le verifiche ispettive della Vigilanza hanno messo in evidenza non solo la sottopatrimonializzazione conseguenza dell'eccesso di concessioni creditizie, ma anche carenze tecniche e gestionali e la persistenza di una mentalità clientelare, di una visione ristretto del ruolo che i rappresentanti degli istituti sono chiamati a svolgere. La crisi ha solo messo in maggiore i difetti del sistema, li ha amplificati e prodotti delle conseguenze ben visibili nei bilanci delle aziende di credito.
Cosa succederà ora. Sono tanti gli interrogativi. Che fine faranno le banche commissariate? Qual'è lo scenario ipotizzato dalla Banca di Italia (considerato che gli attori locali, politici, imprenditori e sindacati non hanno avanzato alcuna ipotesi credibile, alcuna traiettoria perseguibile? La crisi finirà per investire anche il resto del sistema o l'emorragia si è fermata? A queste preoccupazioni si aggiungono le nuove regole di Basilea-3, che impongono ulteriori vincoli all'attività e la necessità di un ulteriore rafforzamento patrimoniale degli istituti. Forse è ancora presto per preoccuparsi di tale eventualità considerato che la sua entrata è prevista per il “lontano” 2019. Una banca sana ha qualche difficoltà, per dei piccoli istituti in crisi potrebbe imporre un drastico cambiamento di strategia.
Abbiamo cercato risposte rivolgendo qualche domanda a un osservatorio nazionale che ha orecchie particolarmente sensibili. La responsabile del settore è Giovanna Tripodi che è anche componente del coordinamento nazionale del sindacato.
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