La profezia Mayadi Oreste Parise Mezzoeuro Anno X num. 13 del 2/4/2011 |
Rende, 29/3/2011
Un evento imprevisto nel cuore tecnologico del pianeta fa improvvisamente crollare ogni nostra certezza. Possiamo continuare a costruire la fine dell'umanità con le nostre mani? La profezia Maya rischia di avverarsi perché stiamo sapientemente costruendo le premesse per l'Apocalisse.
Sei giorni e sette notti
soffia il vento, infuria il diluvio, l'uragano livella il paese.
Quando giunse il settimo giorno, la tempesta, il diluvio
cessa la battaglia,
dopo aver lottato come una donna in doglie.
Si fermò il mare, il vento cattivo cessò e il diluvio si fermò.
Io osservo il giorno, vi regna il silenzio.
Ma l'intera umanità è ridiventata argilla.
Come un tetto è pareggiato il paese.
È il racconto della grande calamità naturale che si legge nell'epopea di Gilgamesh, il più antico poema epico scritto dai sumeri, dove si trova la prima testimonianza di un evento che ha lasciato una traccia profonda in tutta l'antichità. Fu subito classificato come diluvio universale, avvenimento menzionato in quasi tutti i culti antichi ed è presente nelle religioni asiatiche, europee ed africane. Anche la Bibbia, scritta molti secoli dopo, contiene un racconto alquanto dettagliato dell'evento. Ecco alcuni versi che si leggono nella Genesi. "Il diluvio durò sulla terra quaranta giorni: le acque crebbero e sollevarono l’arca che si innalzò sulla terra. Le acque divennero poderose e crebbero molto sopra la terra e l’arca galleggiava sulle acque. Le acque si innalzarono sempre più sopra la terra e coprirono tutti i monti più alti che sono sotto tutto il cielo. Le acque superarono in altezza di quindici cubiti i monti che avevano ricoperto. Perì ogni essere vivente che si muove sulla terra, uccelli, bestiame e fiere e tutti gli esseri che brulicano sulla terra e tutti gli uomini”.
Si trattò di un disastro immane che ha lasciato una traccia profonda nella memoria dell'uomo. "I miei figli riempiono il mare come larve di pesci", esclama Enkidu, l'eroe sumero. Si salvarono in pochi e provocò una rigenerazione dell'umanità quasi completamente annientata insieme a tutti gli esseri viventi sulla terra.
« Quando avvenne il cataclisma che noi chiamiamo diluvio oppure inondazione, tutta la razza umana perì a eccezione di Deucalione e Pirra che si rifugiarono sull’Etna, il monte più alto (si dice) che sorga in Sicilia. Essi non potevano sopravvivere per la solitudine; perciò pregarono Giove di concedere loro degli uomini oppure di annientarli come era successo agli altri. Allora Giove ordinò di gettare delle pietre dietro la schiena: quelle gettate da Deucalione divennero uomini, quelle da Pirra donne. Questa è l’origine della parola laos (“popolo”), poiché in greco Laas significa pietra.».
Cosa è successo circa dodicimila anni fa? Nessuno sa dirlo con certezza, anche se molti scienziati tendono ad associare il diluvio al disgelo dopo l'era glaciale. Molti interrogativi rimangono senza risposta nel nostro passato. Per non citarne che alcuni. Perché la Siberia, il luogo oggi più inospitale della terra, è il cimitero dei dinosauri? Come è scomparsa la civiltà cretese? Cosa provocò le glaciazioni? E perché avvenne il disgelo? Il diluvio universale raccontato dai sumeri è lo stesso di quello biblico e del mito di Deucalione e Pirra? E' mai esistita Atlantide? L'archeogeologia cerca delle risposte, spesso molto fantasiose, ma la scienza è ancora incapace di offrire spiegazioni credibili.
La vita della terra è misurabile in milioni di anni e a stento noi conosciamo qualche particolare degli ultimi secoli, una parte infinitesima che non consente di formulare ipotesi attendibili della sua possibile evoluzione. A dispetto di tutte le energie scientifiche spese per indagare, siamo incapaci di spiegare la causa di questi eventi eccezionali.
È comprensibile che non ci riuscissero i nostri antenati, che non avevano le conoscenze scientifiche e i sofisticati strumenti di cui l'uomo dispone oggi. Il loro armamentario di conoscenze era rudimentale e dovevano subire le ire dl tempo, la furia dei venti, il dilagare delle piogge, la distruttività dei terremoti, tanti demoni vendicativi che si accanivano contro gli uomini per punirli della loro malvagità.
Terrifficante il racconto dell'Apostolo Giovanni nell'Apocalisse. "Avvenne un gran terremoto e il sole divenne nero come un panno da lutto, la luna diventò come sangue e le stelle del cielo caddero sulla Terra (...) la volta celeste si squarciò e si arrotolò come una pergamena e ogni montagna e ogni isola vennero rimosse dai loro siti."
La scienza e la tecnica ci hanno consentito di conseguire grandi traguardi, ci hanno dato un controllo della natura. Possiamo quasi dichiararci onnipotenti e sfidare gli oceani, e la furia delle acque, la forza del vento. Quasi. È stato sufficiente qualche giorno di pioggia intensa per mettere in ginocchio la ricca e industriosa Germania nell'estate di qualche anno fa. Lo Eyjafjallajökull, il vulcano islandese, è riesploso all'improvviso lanciando cenere a lapilli a chilometri di altezza oscurando i cieli d'Europa. Dopo 150 anni di completa inattività inattività, quando tutti gli scienziati della terra lo davano per spento. Chiunque avrebbe potuto costruirvi un grande albergo, uno scintillante casinò. Si sarebbe ritrovato sbriciolato a dieci chilometri sopra le nuvole senza neanche accorgersene.
In questo stadio delle nostre conoscenze pretendiamo di voler maneggiare una forza distruttiva come quella nucleare che può provocare danni irreversibili non solo nel luogo dove si sprigiona, ma espandere la sua forza distruttiva su tutto il pianeta. Una energia incontenibile, un mostro che non può essere domato, poiché è impossibile costruire centrali che non presentino un grado di rischio, anche minimo. Ma quella minima probabilità potrebbe provocare la distruzione dell'umanità, rendere il pianeta completamente inabitabile e provocare una mutazione genetica della specie umana producendo generazioni di mostri.
Vi sono tanti in archeogeologia che ipotizzano che l'uomo ha già vissuto una era nucleare provocando la propria distruzione. Noi stiamo lavorando per realizzare quella fantasia. La distribuzione di Poisson studia la probabilità del verificarsi degli eventi rari, di cui si perde facilmente memoria poiché il loro presentarsi è erratico e con intervalli temporali molto lunghi. I grandi eventi naturali obbediscono alla legge di Poisson, e noi tendiamo a dimenticarli, a rimuoverli dalla nostra esperienza quotidiana poiché appartengono al nostro passato remoto e ricordarli sarebbe un incubo.
E poi il Giappone. È stato colpito da un terremoto di una intensità di cui l'uomo non aveva memoria. Quanto tempo sarà passato da un evento simile, duecento, trecento anni? Nessuno sa dirlo con certezza poiché quando si è verificato non si disponevano strumenti idonei a una precisa misurazione e la narrazione dei danni causati non può tener conto della differenza della tecnologia. Cos'è stato il diluvio, uno tsunami gigante? Del passato del pianeta non ne conosciamo che qualche attimo e pretendiamo di conoscerne il futuro, di programmarne l'assetto per i prossimi millenni.
La centrale di Fukushima non ha retto alla violenza dello tsunami, che ha travolto anche la barriera frangiflutto che avrebbe dovuto assorbire lo tsunami, contenere la potenza dell'onda. Una meraviglia della tecnica che si è sbriciolata come gli stabilimenti industriali, le abitazioni, le strade, i ponti. L'evento è eccezionale, ma una ricostruzione è possibile immediatamente qualsiasi danno prodotto.
Se dovesse fondersi il nucleo si produrrebbe un disastro senza precedenti che mette a rischio il futuro di quel paese per secoli. Né è possibile circoscrivere le conseguenze poiché le radiazioni non sono catturabili, non possono essere ingabbiate, insabbiate, incapsulate resistono a qualsiasi tentativo di metterle sotto controllo. Tutto ciò non è successo in Unione Sovietica con una tecnologia approssimativa, non è successo in Italia con la precarietà che la caratterizza, i rinvii e le polemiche che impediscono una seria programmazione. È successo nel cuore tecnologico del mondo, tra il popolo più operoso, che è stato in grado di ricostruire una autostrada in venti giorni. Ma vive l'incubo della morte silente, del massacro senza volto, del veleno immateriale che viene dall'acqua, dall'aria, dalla frutta, dagli ortaggi.
Il paese di samurai, degli eroi senza paura rischia di svanire nel nulla, sconfitto da un nemico senza volto, inghiottito nel baratro della contaminazione nucleare.
Non si può vivere nel perenne terrore del terremoto, o di una disastrosa inondazione, ma bisogna utilizzare gli accorgimenti di cui disponiamo per limitare i danni. Il disastro nucleare è altra cosa, appartiene alla categoria della punizione divina, realizza la profezia dell'Apocalisse, costruisce il 21 dicembre 2012, la fine del mondo preconizzato dai Maya. Un evento eccezionale, e perciò non prevedibile, potrebbe ripetersi. La forza della natura associata alla potenza dell'atomo. Questo è l'eredità che lasceremo ai nostri discendenti.
Può un disastro nucleare essere classificato come un evento raro? Può la distruzione dell'unanimità essere considerato un evento possibile sul quale costruire il nostro futuro?
E poi non si ha alcun sistema per stoccaggio dei residui radioattivi. Neanche oggi, pur se le centrali nucleari di nuova generazione diventassero a rischio zero. Possiamo immaginare soluzioni che oggi appaiono convincenti e razionali, ma non abbiamo alcuna possibilità di prefigurare le evoluzioni del pianeta. Non possiamo congetturare se la Siberia diventerà una zona temperata ancora una volta per qualche fenomeno sconosciuto e non prevedibile, come è già avvenuto molte migliaia di anni fa.
Si era ipotizzato di inabissare nelle spelonche del Gran Sasso le scorte nucleari. E se un movimento delle zolle terrestri dovesse stritolare gli involucri e sprigionare la loro potenza distruttiva? Non domani, ma tra qualche secolo. Avremmo costretto i nostri pronipoti a vivere sulla loro tomba, gli avremmo lasciato in eredità la più atroce delle morti, silenziosa, inesorabile.
E poi esiste il rischio “uomo” con la sua follia. Cosa sarebbe successe se i kamikaze che si sono schiantati con degli aerei civili sulle Twin Towers avessero mirato a una centrale nucleare. E se avessero usato aerei carichi di esplosivo? Meglio non pensarci, ma non si può escludere che chi ha deciso di immolare la propria vita possa compiere un gesto così estremo. Senza preoccuparsi delle conseguenze, perché per lui il futuro è segnato dalla sua scelta suicida.
L'uomo è in grado di plasmare il pianeta, ma non ne ha il controllo, poiché qualsiasi soluzione tecnica, qualsiasi espediente viene frantumato di fronte alla furia delle forze della natura.
Qual'è la risposta? Un ritorno al Medioevo, al freddo e al buio, alla povertà e alla miseria? L'uomo ha inventato potenti strumenti di morte, ma anche la possibilità di utilizzare le risorse naturali per soddisfare i propri bisogni, per difendersi dall'aria e dall'acqua, dal gelo e dal calore. Dobbiamo solo saper rinunciare agli eccessi, moderare il superfluo, guardare alla natura come una madre benigna che può darci quanto è necessario non solo alla nostra sopravvivenza, ma al nostro benessere.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Cantava il frate d'Assisi e noi per tutti questi secoli abbiamo continuato a poter godere di "frate sole", "sora luna e le stelle", "frate vento e sora acqua" e per "frate Focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte".
Abbiamo ricevuto in dono un pianeta meraviglioso e abbiamo il dovere di conservarlo per i nostri figli e pronipoti, perché la morte non è la fine della vita, ma la sua continuazione.
Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
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