Modello Reggio, La grande chance del Pd calabrese

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno X num. 22 del 04/06/2011


Rende, 1/6/2011

Una débâcle senza precedenti ha mandato in frantumi il Pd a Cosenza. Non solo si è consegnato il comune alla destra, ma è andato in frantumi il disegno di creare un grande partito riformista distrutto dalla guerra fra bande, la politica della pizza per la spartizione del potere, la protervia dei soliti noti che si considerano depositari dei destini dell'umanità. Le ceneri di un modello fallimentare possono costituire il cemento per tentare di costruire un soggetto nuovo con personaggi svincolati dalla casta.

Finalmente la sinistra ha perso la sua roccaforte cosentina. Non sarà certo la difesa del bastione crotonese a lenire le ferite di una storica sconfitta. In controtendenza rispetto al resto del paese in Calabria si consolida il modello Scopelliti: una nuova alleanza tra la destra e i moderati del terzo Polo che costituisce un tentativo di costruire lo scenario del post-berlusconismo. Questa operazione sembra qui facilitata dall'assenza di una forza ingombrante come la Lega Nord chiusa nel suo imbarazzante provincialismo nordista.

La via della costruzione di una simile alternativa incontra però molti ostacoli. Intanto il Terzo Polo è lungi dall'aver definito una linea unitaria soprattutto per la resistenza dei finiani che qui trovano una capatosta come Angela Napoli che non si piega alla logica della real politik e insiste nel voler pretendere un minimo di decenza etica e morale nella rappresentanza politica.

Una impresa disperata soprattutto nell'area dello Stretto dove la criminalità organizzata ha avvinto in una morsa l'intera società ed è presente direttamente nei più elevati livelli del potere locale. Gli scioglimenti dei consigli comunali per mafia, diventano sempre più frequenti, ma non riescono a interrompere i legami perniciosi tra la criminalità organizzata e gli organismi elettivi.

La politica delle mani pulite ha portato Angela Napoli a disertare le elezioni nel suo stesso paese dove il resto del Polo ha cercato collocazioni utili in un contesto molto chiacchierato che aveva determinato lo scioglimento dell'Amministrazione comunale. Gli stessi personaggi che sedevano in quel consesso, si sono candidati a rappresentare il futuro.

Né può essere considerato un gesto di avvicinamento tra le varie anime terzopolitste la posizione assunta da Sergio Nucci, rappresentante dell’Fli a Cosenza, che ha barattato la sua indipendenza per un piatto di lenticchie, che difficilmente riuscirà a ottenere poiché i commensali sono troppo numerosi.

L'API ha scavalcato a destra Fli con un appoggio diretto a Mario Occhiuto, ponendo una seria ipoteca sulla possibilità di poter giocare un ruolo autonomo nei prossimi passaggi elettorali. Il "prezzo" della vendita della sua credibilità gli impedirà di poter proclamare la sua autonomia e la sua indipendenza, svelando nello stesso tempo la sua natura di macchina puramente opportunistica alla ricerca del maggior profitto per la sua miserrima rendita di posizione trasversalistica. Una fine ingloriosa per un personaggio come Francesco Rutelli che da aspirante premier acclamato dall'intera sinistra si è ridotto all'accattonaggio politico per pietire qualche posticino nelle amministrazioni locali, con la creazione del suo movimento da prefisso telefonico.

L'elemento di maggiore debolezza del quadro politico emerso a Cosenza è costituito dalla precarietà degli equilibri su cui si regge la nuova giunta, che non potrà evitare i contraccolpi dei nuovi scenari che si vanno delineando a livello nazionale con una divaricazione sempre più netta tra il Pdl e l'UDC.

Si ipotizza, e potrebbe essere una ipotesi molto credibile, una alleanza tra Bersani e Casini, che non potrebbe non avere ripercussioni anche a livello locale. L'esito non è del tutto prevedibile perché il declino del berlusconismo potrebbe provocare l'implosione del suo partito e la formazione di uno scenario completamente nuovo.

Quello che è ancora più preoccupante è l’impatto del “metodo Scopelliti” sulla finanza locale. In una interpellanza parlamentare firmata dai rappresentanti del Pd calabrese (Lo Moro, Laganà, Minniti ecc.) si traccia un quadro drammatico della condizione finanziaria del comune di Reggo Calabria, con un debito complessivo di 330 milioni di euro. “La situazione del comune di Reggio Calabria è drammatica e mi auguro che, anche attraverso questo mio intervento, giunga alla Ragioneria generale dello Stato il quadro della situazione: 330 milioni di euro di debiti. Una situazione, tra l'altro, confermata anche dagli uffici della prefettura, di incapacità di rispondere a creditori, siano essi lavoratori dipendenti del comune, siano ditte che hanno cooperato e lavorato con il comune da lunghissimi anni” dichiarava Marco Minniti nella replica al sottosegretario Giovanardi. Era la fine del 2010, ma la situazione, che si è verificata proprio durante la gestione dell’attuale governatore della Calabria, non è migliorata affatto da allora, tanto che si parla apertamente di un possibile default del comune, con la dichiarazione dello stato di dissesto.

Le ripercussioni sociali nella città dello Stretto, la cui economia è largamente dipendente dalle risorse pubbliche, sarebbero molto serie e l’immagine del governatore gravemente compromessa.

La sua gestione della Regione non differisce molto, con lo spregiudicato utilizzo dei fondi regionali per la nomina di uno stuolo infinito di consulenti di ogni ordine e grado, portatori di una gamma sterminata di specifiche competenze nei campi più diversi.

Queste generose elargizioni sono finalizzate a creare un potere personale sulla scia e in continuità con quanto operato dal suo predecessore. Anche il nuovo governatore ha organizzato le sue liste personali, presenti in tutti i maggiori comuni della Calabria, compresa la stessa Cosenza, con le quali condizionerà gli amministratori locali per l’imposizione del potere reggino in tutta la regione.

In tutti i settori, la presenza dei reggini appare sempre più incombente, scelti non per le specifiche competenze e professionalità ma per la loro origine e fedeltà al capo di cui sono espressione.

Le conseguenze sono particolarmente pesanti ed evidenti proprio a Cosenza fortemente penalizzata dalle scelte della gestione Scopelliti.

Le conseguenze di una dichiarazione di default del comune coinvolgerebbero l’ex sindaco non tanto sul piano dell’immagine, quanto per i possibili addebiti da parte della Corte dei Conti e le pretese delle aziende che hanno eseguito i lavori, che nel reggino potrebbero rivelarsi “turbolente”. Con il berlusconismo declinante è difficile sperare nello “scudo Scapagnini”, l’ex sindaco di Catania e medico personale del cavaliere, che ha disastrato le finanze dell’ente da lui amministrato ed è stato salvato dal suo riconoscente paziente con una legge “ad Cataniam”, che lo ha sottratto dalla conseguenze penali e civili del suo allegro amministrare.

È possibile immaginare oggi un intervento “ad Regium” dopo la sberla elettorale che ha toccato anche le verdi gote leghiste?

Mario Occhiuto si ritrova a dover rappresentare la cosentina nei modi e la difesa degli interessi dei tanti bruzi che si sono affidati a lui e fidati della sua capacità di costruire una trincea contro l’arroganza reggina.

La sconfitta di Enzo Paolini può avere molte chiavi di lettura. Senza dimenticare lo spargimento di veleni nell’ultimo scorcio della campagna elettorale. I suoi consiliori, immemori di quanto accorso a Milano, dove le accuse a Pisapia si sono dimostrate un micidiale boomerang per Letizia Moratti, lo hanno indotto a riempire i muri di Cosenza di accuse nei confronti del suo avversario. Sono stati molti i cosentini che hanno poco apprezzato il tentativo di far scadere lo scontro politico in beghe di carattere personale, tanto più serbate “in cauda”.

La prima causa della sconfitta è costituito certamente dal giudizio pesantemente negativo sulla giunta uscente per il suo immobilismo, l’assenza di un governo della città. Pur riconoscendo grandi doti morali ed etiche al sindaco, l’accusa più ricorrente era quello di aver consegnato il comune nelle mani dei partiti, lasciandosi condizionare nella scelta degli assessori, a cui ha devoluto tutto il potere rinunciando al suo ruolo di coordinatore e guida.

Molto tempo prima della scadenza del suo mandato, partiti come l’Idv e lo stesso Pd, avevano espresse molto riserve sulla sua ricandidatura, favorendo la ricerca di soluzioni alternative anche per l’indecisione dello stesso sindaco uscente.

Il fronte della sinistra si è presentato spappolato all’elettorato, incapace di trovare una sintesi che dovrebbe essere molto più semplice nel contesto locale, molto meno influenzata da contrapposizioni ideologiche. L’elemento di rilancio avrebbe dovuto essere la discontinuità per il rilancio dell’azione amministrativa, il rinnovamento della rappresentanza.

Questo ha reso particolarmente evidente l'incapacità della sinistra di rappresentare una proposta politicamente innovativa, sganciata dal condizionamento dei partiti e dei potentati politici. Le alchimie romane hanno prodotto un clima di rigetto per una proposta giunta fuori tempo massimo, imposta dall’alto e senza una adeguata rappresentazione sul territorio.

La figura di Mario Occhiuto, ala contrario, aveva un maggior tasso di novità, la sua esperienza professionale rappresentava una promessa di poter offrire una gestione più consapevole del territorio devastato da un piano urbanistico scellerato, concepito unicamente sull'espansione quantitativa senza alcuna considerazione per la qualità dei nuovi insediamenti edilizi e il trend demografico. Si è prodotta una città che si contrae nel numero degli abitanti e si espande nella sua dotazione immobiliare. La grande sfida che si pone di fronte al nuovo sindaco è quella di impedire la nuova ondata di cemento che devasterebbe il restante territorio. Il piano in vigore consente, infatti, la costruzione di ulteriori due milioni e duecento mila metri cubi per una popolazione aggiuntiva di circa trentamila abitanti.

Altrove in Italia, com’è il caso di Milano, Napoli, Cagliari che rappresentano i casi più clamorosi, ha vinto la proposta con il maggior tasso di discontinuità con l’amministrazione uscente, quella contenente una carica maggiore d’innovazione politica. Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli sono fuori dalla logica della coalizione di centrosinistra, mentre il nuovo sindaco di Cagliari è un giovane non appartenente alla nomenclatura di partito.

In Calabria questa regola ha avuto le sue eccezioni. Catanzaro, ad esempio, ha premiato un politico di lungo corso come Michele Traversa, che godeva di una stima personale per la sua lunga esperienza come Presidente della Provincia. Salvatore Scalzo, che pur doveva rappresentare il nuovo, è stato considerato un rappresentante dell'apparato partitico che non aveva la necessaria autonomia e indipendenza per garantire una reale discontinuità. Lo stesso Mario Occhiuto non esprimeva una proposta completamente indipendente, poiché dietro di lui si muovevano i potenti di sempre, presenti sulla scena politica da decenni. Tuttavia i fratelli Occhiuto possono costruire un polo di riferimento per il rinnovamento della politica cittadina, poiché possiedono le doti personali, l’organizzazione politica e esperienza per coagulare un ampio, tenendosi quanto più autonomi e indipendenti, per saper rispondere alle sollecitazioni di un quadro politico molto mobile.

A Cosenza Enzo Paolini si è posto al centro della pista con la volontà di ballare la sua quadriglia. Non vi è stata alcuna scelta preventiva e si è mostrato propenso a intavolare trattative con tutti, mostrando la sua disponibilità a contrarre matrimonio con la dama disponibile che presentava la dote elettorale più cospicua. La sua conversione a sinistra è stata più strategica che frutto di una convinzione ideale, da un’appartenenza a uno schieramento. Molti i perdenti a sinistra che si sono arroccati nella difesa di un sindaco, che al di là dei propri meriti e demeriti, ha avuto il grande torto di aver temporeggiato fino agli ultimi giorni, lasciando che si coagulasse una ipotesi alternativa e scompaginando le carte all'ultimo momento con la protezione del potere romano. L'unico risultato è stato quello di aver disorientato il centrosinistra, senza riuscire a mettere in campo una proposta credibile.

I fini facitori di questa lungimirante strategia non possono che prendere atto del totale fallimento della loro costruzione, del declinante (o declinato) appeal di una intera classe politica che avrebbe già dovuto prendere atto della loro inadeguatezza dopo il tracollo della esperienza di Agazio Loiero e la goffaggine di un partito di apparato sganciato dalla gente e dal territorio. Le imposizioni dall’alto sono una chiara dimostrazione della incapacità di trovare soluzioni adeguate a livello locale, la scarsa rappresentatività dei rappresentanti autoreferenziali.

La sconfitta solitaria del Pd calabrese, in controtendenza del dato nazionale che ha visto una effervescenza di proposte alternative per superare lo stallo di un governo inefficiente, impone un ritorno tra la gente, il coinvolgimento diretto degli elettori. La politica deve uscirà dal “sancta santorum” in cui si era rifuggita e confrontarsi con i problemi reali della gente, tener conto dello loro opinioni, rappresentare le istanze e i bisogni nei palazzi del potere.

Bisogna ricostruire la politica, rottamando questa classe dirigente che ha provocato un regresso economico e morale del paese.

Il prossimo appuntamento referendario rappresenta un’occasione per accelerare il cambiamento. Quattro si per imporre un cambiamento di rotta, la revisione della concezione economicistica del governo. Il mercato e la concorrenza non possono risolvere in maniera efficiente le condizioni di monopolio naturale, come quelle del ciclo dell’acqua che presenta una situazione di monopolio di fatto; né in nome del profitto si possono condannare le generazioni future a restare sospesi su un baratro, in attesa dell’apocalisse.

In quanto al legittimo impedimento, non si può sovvertire il nostro ordine costituzionale basato sulla uguaglianza di tutti di fronte alla legge. La Magna Charta è stata approvata il 15 giugno del 1215 per limitare il potere del re e renderlo uguale a qualsiasi cittadino di fronte alla legge. Non si può sovvertire quel principio senza minare dalle fondamenta il nostro ordinamento democratico


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