Ai referendum io voto si

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno X num. 23 del 11/06/2011


Rende, 09/6/2011

Dalla privatizzazione dell'acqua al nucleare, al legittimo impedimento: referendum importanti che danno voce agli italiani e a quall'Italia che ha bigogno di scelte coraggiose

Michele Santoro lascia la RAI. Un buon motivo per andare a votare tanti si ai quesiti referendari con la speranza che in politica si ritorni a un sano equilibrio. Privatizzare laddove c'è un mercato e affidare alla mano pubblica i monopoli naturali che devono essere gestiti nell'interesse di tutti e non in una logica di profitto.

Qualche riflessione sul caso di Michele Santoro aiuta a riflettere sulla necessità di ritornare a ragionare sulle questioni senza affidarsi a slogan e sondaggi che misurano l'umore del momento, ma non sono in grado di sostituire una riflessione seria e trovare soluzioni efficaci per problemi complessi. Il kit del candidato è stata una operazione di marketing politico che ha introdotto nella nostra realtà il populismo berlusconiano, costruito con slogan e sondaggi di opinioni buoni a misurare l’umore da soddisfare con martellanti campagna propagandistiche, che consentono di dividere i fatti dalle opinioni.

Non sono un fanatico santoriano, anche se spesso seguo le sue trasmissioni. Mi ha particolarmente colpito la finta esitazione nell'esprimere liberamente la sua scelta elettorale nei referendum per non alterare il delicato equilibrio voluto da una legge assurda come la par condicio. Era evidente a tutti quale fosse il suo orientamento che veniva rafforzato dalla drammatizzazione scenica del divieto a cui doveva obbedire. Quella legge è stata voluta dal centrosinistra poiché non ha avuto la forza e il coraggio di sciogliere il nodo di Gordio televisivo e ha voluto porre una pezza a una situazione allucinante come il plateale conflitto di interessi impersonato da Berlusconi, padrone e signore del duopolio dell'etere.

Santoro fa audience e ha diritto ad esprimere liberamente il proprio pensiero, senza essere costretti a subire un contraddittorio imposto per assicurare un confronto dialettico, ma che si risolve in dibattiti inconcludenti che impediscono un approfondimento reale delle problematiche. L'essenza della democrazia è una sana contrapposizione delle idee, una libera partigianeria che consente di approfondire i punti di vista di ciascuna posizione e un confronto quando e come lo si vuole organizzare. Michele Santoro forse sarà ospitato da La7 ed è una chiara dimostrazione che il vero pluralismo si ottiene con una pluralità di voci indipendenti non con il controllo del dissenso.

L'etere è diventato un vero e proprio mercato poiché la moltiplicazione delle reti consente l'esistenza di una molteplicità di voci, per cui è diventata assurda l'esistenza di una televisione pubblica per la quale tutti sono chiamati a pagare il conto delle sue spese a pie' di lista, pur continuando questa a scimmiottare le TV commerciali con una spietata concorrenza per l'acquisizione della pubblicità e l'offerta di spettacoli non proprio edificanti. È veramente difficile trovare una giustificazione alla qualifica di "pubblica" a una offerta televisiva nel suo complesso indecorosa, salvo qualche nicchia rigorosamente confinata nelle ore più improbabili. Quello televisivo è proprio il caso di un monopolio diventato mercato concorrenziale, nel quale sarebbe opportuno e saggio intervenire per abolire la TV pubblica, conservando solo una rete per l'informazione e la cultura, senza pubblicità e canoni, ma con un contributo statale annuale chiaramente quantificato e definito.

Qualcuno dovrebbe provare a spiegare la ratio del pagamento del canone pubblico dopo che si è scelto l’abbonamento Sky o Mediaset Premium, rinunciando di fatto alla fruizione dei programmi trasmessi dalla RAI e gustificare la liquidazione milionaria. Il nodo è costituito dalla definizione di rigorose regole antitrust che pongano un divieto assoluto al possesso di una, o al massimo due reti, a ciascun operatore per assicurare il pluralismo, in ossequio a quanto solennemente stabilito nel secondo comma dell'art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, in base alla quale "La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati". Per inciso, non sarebbe male dare un rapido sguardo al primo comma dello stesso articolo: "Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera". Chissà se il premier si può considerare una autorità pubblica o non sia l’estrinsecazione pubblica di un interesse privato?

La questione RAI mette chiaramente in luce come il dilemma tra pubblico e privato continua a produrre conclusioni assurde. Nella cosiddetta prima repubblica si era arrivati a far produrre allo Stato persino panettoni e merendina, con la Motta e l'Alemagna, società del gruppo IRI. Bisogna però ricordare come si è arrivati a quella situazione e cosa ha comportato. Nessuno ama ricordare che il miracolo economico italiano è stato realizzato da un sistema quasi completamente pubblico, poiché tali erano le principali industrie, le banche e fondamentale il sostegno della mano statale. A questo bisogna aggiungere che la nazionalizzazione dell’economia è stato il frutto del fallimento dell’iniziativa privata. Il mercato funziona se vi è concorrenza, e richiede la definizione di rigorose regole che solo lo Stato può garantire. La crisi attuale ha ancora una volta dimostrato che la mano invisibile dell’economia funziona benissimo quando c’è da “prendere”, quando vi sono i presupposti per accumulare profitti, ma dimostra tutti i suoi limiti nella periodica esplosione dell’equilibrio.

Si è lungamente accusato il sistema bancario pubblico italiano di essere una foresta pietrificata che ingessava l’economia. Si è dimenticato di dire che per lungo tempo l’ha protetta evitando crisi sistemiche. Bisognerebbe chiedersi oggi se la privatizzazione degli istituti e la creazione di questi mostri finanziari non sia in buona parte responsabile di questo crack. È molto dubbio se il mercato bancario sia oggi più concorrenziale o piuttosto non si è creato un oligopolio che privilegia la speculazione sui mercati finanziari internazionali ed è alquanto distante dai bisogni dell’economia reale.

Oggi si vuole privatizzare anche la giustizia e la sicurezza pubblica con una evidente rinunzia da parte dello Stato al suo ruolo di tutela dell'interesse generale. Vi sono due momenti irrinunciabili da parte della mano pubblica: la gestione delle funzioni fondamentali e i monopoli di fatto, come l’acqua dove non è possibile ipotizzare una pluralità di soggetti che forniscano il servizio in regime di concorrenza. È possibile affidare la gestione del servizio in regime di concessione temporanea e sotto lo stretto controllo pubblico, un sistema ampiamente sperimentato che ha prodotto effetti contradditori, a volte eccellenti, altre volte decisamente fallimentari. Non è tuttavia possibile prescindere da un rigoroso controllo pubblico e dall’assicurare l’erogazione del servizio anche laddove non vi sono le condizioni di economicità, come ad esempio i piccoli comuni montani. La politica del territorio non può essere definita in considerazione della profittabilità dell’iniziativa, ma vi sono priorità sociali che non possono essere dimenticate, a cui bisogna aggiungere l’imprescindibile esigenza di tutela del patrimonio storico archeologico ed artistico. Un territorio degradato e privo di servizi pubblici essenziali è destinato a un rapido spopolamento. Non vi è bisogno di alcuna indagine particolare per dimostrare la profonda crisi in cui versano i comuni interni della Calabria per la folle politica economicistica e di tagli lineari operata da un governo miope. Né potrebbe essere altrimenti considerato la difficoltà di collegamento per lo stato deplorevole delle strade, la decurtazione dei servizi dalle poste agli uffici periferici dello Stato, e dal crescente costo dell’acqua, della raccolta dei rifiuti, dei servizi sociali ecc.

Il voto sull’acqua prescinde dallo specifico contenuto della norma, ma assume un chiaro significato di definizione dell’importanza della mano pubblica, di demolizione della concezione dello Stato come una azienda, preoccupata solo della redditività dei propri investimenti. La finalità pubblica è quella di creare le condizioni di benessere collettivo, di salvaguardare il patrimonio sociale costituito in primo luogo dai membri della propria collettività e preservare l’ambiente per le generazioni future.

In Calabria abbiamo un “luminoso” esempio di pseudo privatizzazione dell’acqua. La nostra sorella Sorical un essere transgenico che non è riuscito a definire la propria identità. Privato nella forma, poiché è una società per azione, pubblica nella sostanza poiché la Regione detiene più del cinquanta per cento delle azioni. Privato negli interessi, poiché soggiace allo “spoil system” e utilizzato come un comodo paravento per sistemare politici in ombra sotto le mentite spoglie di una dubbia competenza. Nessuno si è mai preoccupato di spiegare quali fossero le specifiche esperienze nel settore vantate dal “past president” e dall’attuale nominato in quota Scopelliti. Società privata nella definizione delle tariffe e pubblica nell’inefficienza, che non è riuscita a definire una corretta gestione finanziaria per cui molti comuni hanno accumulato enormi arretrati, spesso accompagnati da intricati contenziosi. Tra le pieghe del suo bilancio si nasconde un enorme problema finanziario che grava sul sistema pubblico calabrese, destinato prima o poi ad esplodere. I comuni hanno avuto problemi nel passato, saranno sicuramente impossibilitati a onorare questi debiti per le restrizioni imposte ai loro bilanci. Per carità di patria è meglio astenersi dal considerare le possibili ricadute del federalismo se mai dovesse realmente realizzarsi.

La sua nascita aveva lascito intravedere la possibilità che il socio privato, la Veolià - General des Eaux da parte di Enel che detiene il 46,5% del capitale, avrebbe fatto importanti investimenti per un miglioramento del sistema di distribuzione. Nulla di tutto ciò è stato fatto, mentre si assiste al fatto sconcertante di una società regionale che acquista intere pagine di quotidiani per sostenere la campagna contro la gestione pubblica del servizio. Una contraddizione nella sostanza e un onere che ricade sull’intera collettività, che già è costretta a pagare il costo dell’inefficienza del servizio.

L’azione pubblico non può essere costruita sull’egoismo e la soddisfazione di bisogni immediati, ma avere una visione ampia dei problemi proiettata in una dimensione temporale molto lunga. Nel medio e lungo periodo saremo tutti morti e questo ci potrebbe indurre a consumare e sprecare le risorse e penare unicamente in termine del benessere personale e immediato. Vogliano tutto e subito, secondo uno slogan in voga negli anni della contestazione sessantottesca da sapore dichiaratamente provocatorio nella lotta per l’abolizione delle marcate differenziazioni sociali.

La storia del nostro passato recente insegna che è possibile gestire in maniera efficiente l’economia pubblica con la definizione di regole rigorose nella scelta e nella formazione del management e un rigido controllo della loro attività. Quando i monopoli naturali cadono nelle mani dei privati danno l’occasione per l’accumulo di ingenti profitti a danno della collettività e costituiscono un nido di incubazione di corruzione e scandali, altrettanto gravi se non maggiori di quanto non si registra nella pubblica amministrazione.

La privatizzazione di fatto della protezione civile, e la formazione della cosiddetta Cricca, costituisce un chiaro esempio delle degenerazioni che comporta l’affidamento a privati di servizi pubblici al di fuori delle regole e dei controlli previsti dalla legislazione che ne regola l’attività.

L’egoismo generazionale ci ha indotto a costruire il nostro benessere a scapito delle future generazioni con la creazione di un enorme debito pubblico che pesa sul nostro sviluppo attuale e peserà ancora nel prossimo futuro. I nostri figli si trovano davanti la prospettiva di un arretramento delle loro condizioni poiché non abbiamo le risorse per sostenere uno sviluppo adeguato.

Le pesanti conseguenze di quella miopia programmatica ci devono indurre oggi ad evitare di commettere errori ancora più gravi nella politica energetica, che deve essere realizzata sotto il controllo pubblico e finalizzata alla conservazione dell’ambiente. La tecnologia e lo stadio della conoscenza consente di costruire una condizione di benessere senza essere costretti a dormire sull’apocalisse generata da scelte scellerate. L’atomo non è sicuro, poiché non garantisce l’invulnerabilità degli impianti in caso di disastri gravi come si è verificato con lo tsunami in Giappone. L’arco di tempo da considerare è talmente lungo che non si può escludere alcuna evenienza. Si pensa che in Italia, ad esempio, uno tsunami non potrebbe mai avvenire e si tratta di una opinione del tutto falsa, poiché si è già verificato nel 1908 nello Stretto di Messina, causando i danni più rilevanti e maggiori di quelli prodotti dal disastroso terremoto. Questo è dovuto all’attività vulcanica sottomarina dovuto alla presenza del più imponente sistema vulcanico proprio nel cuore del Mar Tirreno, il vulcano Marsili. L’aspetto più preoccupante è la gestione delle scorte e lo smantellamento degli impianti che continuano a rappresentare un potenziale pericolo per migliaia di anni. Ancora non si è trovata alcuna soluzione idonea per le scorie prodotte dai pochi anni di attività delle centrali nucleari italiane e ciò dopo quasi cinquant’anni dalla loro dismissione.

Il no al nucleare è un dovere nei confronti delle generazioni future poiché non potremmo riposare in pace se la nostra coscienza rimorde per la mortale eredità lasciata ai nostri figli. Le energie alternative offrono valide soluzioni e soprattutto occasioni occupazionali in un momento in cui rischiamo un decadimento demografico a causa delle drammatiche prospettive economiche di intere nuove generazioni. Non saranno incentivati a procreare dei figli se non hanno le risorse per garantire loro un futuro.

Le perplessità riguardanti l’esistenza di numerosi impianti ai nostri confini non deve costituire un ostacolo a un voto consapevole. È sempre meglio essere a qualche centinaio di chilometri da un eventuale disastro nucleare che nel pieno del cratere. E poi è nostro preciso dovere contribuire alla nascita di una sensibilità ecologista e combattere per la definizione di una politica comune per l’energia. Meglio aver ragione in pochi che torto in tanti.

Del legittimo impedimento c’è poco da dire. Costituisce un chiaro tentativo di ottenere l’impunità per un solo individuo che si considera “legibus solutus” con uno sconvolgimento della condizione di uguagliana di fronte alla legge di tutti i cittadini. La presunzione di innocenza è fondamentale, ma una intera collettività non può essere rappresentata da una persona sulla quale penda un dubbio di colpevolezza o peggio che voglia rifuggire il giudizio. Jean-Claude Trichet docet. È diventato presidente della BCE, incarico svolto con onore, solo dopo aver risolto i suoi problemi con la giustizia.


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