Un carcere incarcerato

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno X num. 23 del 25/06/2011


Rende, 20/6/2011

La storia urbanistica di Cosenza è altalenante e controversa, di sicuro negli ultimi anni è venuta fuori una città con cemento fuori controllo. È il caso delle costruzioni a due passi dal penitenziario oggi anche sotto la lente della magistratura.


Può succedere solo in un paese immaginario che un carcere si ritrovi incarcerato, stretto in una morsa di cemento, a ridosso delle cui mura di cinta siano costruiti enormi edifici con vista sulla passeggiata quotidiana dei detenuti. I discepoli di Cesare Lombroso avrebbero una ghiotta occasione per sistemarsi in un attico per studiare il comportamento dell’homo brutius in stato di cattività per confrontarlo con il modello antropometrico del delinquente congenito.

Certamente è stato questo nobile scopo scientifico che ha portato privati e istituzioni a collaborare per la realizzazione di uno scempio edilizio, uno schiaffo alla pianificazione urbanistica, un pugno nello stomaco della logica e della decenza politico-amministrativa. Non si capisce, infatti, chi potrebbe avere la curiosità e l’interesse a investire in un immobile con queste caratteristiche. È soprattutto in una città con iniziative edilizie ridondanti di là da qualsiasi ragionevole previsione di fabbisogno abitativo o di edilizia economico-commerciale.

Non sarà mai ripetuto abbastanza che la storia urbanistica di Cosenza è stata altalenante, alternando momenti di reale sviluppo. L’espansione del ventennio fascista ancora oggi costituisce un buon esempio di pianificazione, come si può facilmente costatare de visu dallo splendido panorama serale che si gode dal colle Pancrazio, fermandosi lungo i tornanti che costeggiano il monastero delle Cappuccinelle. Il disordine del dopoguerra è ben visibile seguendo la scia ordinata delle luci di Corso Mazzini che confluiscono in una galassia indistinta di reticoli che denunciano l’arrivo di un periodo di caos e di disordine, il cui carattere predominante è stato il dell’abusivismo rapidamente maturato in metastasi urbana. Un paese vivo, dinamico, sfrontato ha prodotto una città tamarra, disordinata. Tutti hanno contribuito al grande sfascio, ma almeno vi era spazio per la protesta, l’indignazione, la richiesta di legalità, la domanda di programmazione. Vi erano colpevoli da mettere al bando per lavarsi la coscienza.

L’inizio del nuovo millennio inaugura uno scenario completamente diverso, quello dello scempio legalizzato, degli abusi programmati, delle disordinate colate di cemento in ossequio alle licenze edilizie, o permessi a costruire come si deve dire oggi, rilasciate con generosità dal comune.

Non vi sono più abusi, ma trucchi e trucchetti nascosti dietro i piani particolareggiati che consentono qualsiasi cosa nel pieno rispetto dei “civitatis jura”. Le liste di fuorbando oggi non hanno alcun senso poiché tutto è lecito, tutto è consentito, tutto è tollerato, tutto è autorizzato. Non vi sono colpevoli perché non vi sono colpe, non vi sono delinquenti perché abbiamo derubricato i reati edilizi a permessi a costruire.

Laddove erano previste piazze o attività commerciali si rilasciano permessi per immobili residenziali e qualcuno destinato altri servizi, con prevalenza di market, supermarket, superette, centri commerciali e qualche pizzeria. E’ una vera e propria follia, pensare solo a una città dormitorio, una espansione senza limiti, con la moltiplicazione dei formicai senza servizi primari, secondari, terziari e quaternari. Un ritorno alle palafitte, come luogo di rifugio e di difesa nella notte.

Questo è quando appare. Nessuno ha chiaramente la visione della città futura. Sono ancora da rilasciare permessi a costruire per oltre due milioni di metri cubi. Praticamente una città di trentamila e passa abitanti. Un incubo che trasformerebbe Cosenza in una Gotham City dalle strade buie, e desolatamente deserte. Chi è il Lex Luthor che ha consentito di trasformare tutta l’area urbana cosentina in terra di nessuno? La città demograficamente muore, mentre si espande la sua escrescenza di cemento.

Si possono individuare tre colpevoli. In primo luogo lo scellerato patto della politica con il clan dei costruttori che hanno imposto la logica della cementificazione selvaggia in cambio di una stabilità amministrativa che ha retto per qualche lustro. In secondo luogo, le difficoltà finanziare del comune che sono state coperte dagli oneri di urbanizzazione trasformati in entrate ordinarie a copertura delle spese correnti. Le conseguenze ricadranno sulle gestioni future di cui la giunta Occhiuto rischia di essere la prima vittima. Non è, infatti, possibile quadrare i bilanci con il rilascio di nuovi permessi a costruire poiché non vi sono al momento operatori economici disposti a rischiare per la saturazione del mercato immobiliare. E’ la crisi ad avere imposto uno stop, non certo la lungimiranza politica.

In terzo luogo si sta combattendo un’assurda guerra di supremazia territoriale con la città “Ultra Campagnano” a suon di metri cubi, una battaglia quantitativa che ha sostituito quella basata sulla diversità urbanistica, sulla qualità degli insediamenti e l’organizzazione dei servizi.

Oggi è intervenuta la Procura della Procura della Repubblica con un provvedimento di sequestro dei due palazzi in costruzione lungo il muro di cinta del reclusorio. Per un giorno si è posto il focus su una vicenda che si può definire allucinante. A rigor di logica in nessun paese al mondo sarebbe ritenuto possibile costruire lungo i muri di recinzioni di un penitenziario, per tante ragioni, la più importante delle quali è certamente la sicurezza.

Va osservato che l’intervento della Procura è stato tempestivo e doveroso e va riconosciuto che il procuratore capo Dario Granieri, coadiuvato dall’aggiunto Domenico Airoma, hanno svolto un ottimo lavoro. Poiché a fronte di una situazione così enorme, una pausa di riflessione era necessaria e acquisire gli atti per valutare la posizione degli indagati: il legale responsabile della cooperativa che stava eseguendo i lavori, il progettista e il dirigente del settore pianificazione e gestione del territorio del comune di Cosenza, ai quali è contestata la violazione della legge urbanistica e la turbativa alla regolarità dei servizi della casa circondariale.

Probabilmente, tuttavia, il provvedimento non produrrà altro risultato che regalare alla città una sagoma di due fantasmi edilizi, due totem posti a testimonianza della totale mancanza di pianificazione urbanistica. La vicenda giudiziaria sarà certamente lunga e intricata e non sarà facile venirne a capo in tempi brevi. Quei cantieri incompiuti e le trame degli edifici, entreranno a far parte del panorama urbano della città, a testimonianza di una stagione politica disastrosa che costituisce l’eredità spirituale del grande vecchio.

Da un punto di vista logico l’intervento appare comprensibile e giustificabile. In punta di diritto la questione è molto più intricata, poiché la denuncia presentata dalla direzione della casa di reclusione, che ha provocato l’intervento di tutela, appare tardiva. Soprattutto dimostra che vi è stata una gestione poco accorta dell’intera vicenda fin dall’inizio: Sarebbe stato opportuno un intervento preventivo del Ministero per trovare una soluzione insieme all’Amministrazione comunale. Uno strumento urbanistico non si confeziona in qualche ora, ma occorrono anni, e vi sono molteplici momenti in cui si possono avanzare proposte, presentare eccezioni, proporre ricorsi avverso decisioni considerate errate. In tutto questo tempo risulta un silenzio tombale da parte dell’Amministrazione penitenziaria, che a qualcuno ha potuto scambiare per acquiescenza, colpevole tolleranza, tanto che il ricorso arriva solo dopo che la ditta ha gettato il secondo solaio creando una situazione di fatto che incide sul sistema di sicurezza. «Sull'area limitrofa al penitenziario di Cosenza sono in corso di realizzazione interventi edilizi che poiché insistono a ridosso del muro di cinta consentiranno la possibile introspezione all’interno del carcere, con evidenti gravissime, ripercussioni negative in termini di sicurezza, ossia, comunicazioni fraudolente con i detenuti, rilievi fotografici non autorizzati, lancio di oggetti», si legge nella denuncia presentata dall’Amministrazione penitenziaria. Si denuncia, inoltre, che si è reso necessario la predisposizione di servizi di vigilanza supplementari proprio per il pericolo rappresentato dai cantieri di lavoro, che offrono un’agevole via di fuga, e la possibilità che possono costituire una base per attentati. Non ha avuto prima alcun sentore di quanto stava per succedere?

L’ultimo atto da un punto di vista urbanistico è stato l’approvazione dei piani particolareggiati, dove vengono chiaramente individuati gli interventi da realizzare in un’area.

L’edificabilità dell’area in questione è stata disciplinata con Piano Particolareggiato approvato con delibera del Consiglio Comunale n.33 del 2003. Sono passati otto anni da allora senza che nessuno si sia preoccupato di andare a leggere cosa il Consiglio aveva approvato.

Il provvedimento era basato sul presupposto dello spostamento della Casa Circondariale e questo consente di non sottoporre ad alcun vincolo l’intera area. È necessario ribadire che il Piano Carceri approvato dal governo non prevede alcuna misura del genere, né è stato mai previsto in precedenza come poteva essere verificato dagli uffici comunali. Al contrario, proprio contemporaneamente all’approvazione di quella delibera consiliare – e per alcuni anni dopo - il medesimo carcere era oggetto di una costosa opera di manutenzione e ampliamento, e il Ministero riaffermava il carattere strategico di quella struttura. Per inciso si deve ricordare che una simile eventualità provoca la cancellazione di qualche centinaio di posti di lavoro, e altrettanti nelle attività complementari. L’eventuale trasferimento non avverrebbe quasi sicuramente nel territorio del comune di Cosenza e probabilmente neanche in Calabria, poiché nella regione non è prevista la costruzione di alcuna casa penitenziaria nei prossimi dieci anni.

Insomma, più che pensare a un possibile trasferimento del carcere, il comune sarebbe dovuto preoccuparsi di predisporre le misure necessarie per impedirlo; tra queste certamente vi doveva essere una diversa destinazione urbanistica dell’area in questione.

L’occasione per una riflessione poteva essere quella dell’approvazione degli strumenti di attuazione del Piano. L’occasione è andata persa perché qui i piani particolareggiati sono stati utilizzati per amplificare gli effetti della cementificazione, per consentire a tutti di fare i propri comodi: PP, ZO, PUR, PIA sono diventate parolacce che hanno introdotto la volgarità edilizia, altrove sono strumenti di crescita civile. Altrove hanno avuto un esito molto diverso e sono stati gli strumenti più efficaci per il riordino del territorio. Nella nuova giunta Katia Gentile ha ricevuto la delega alla riqualificazione urbana e all’emergenza casa, un approccio soft per una problematica che richiede l’utilizzo dei carri armati. Si tratta di reinventarsi la città, ridisegnare l’assetto urbanistico, riconsiderare il piano vigente per impedire la creazione di un tessuto urbano allucinante privo di qualsiasi spazio di vivibilità.

La realizzazione dei due edifici è avvenuta in conformità a un permesso rilasciato regolarmente secondo gli strumenti urbanistici vigenti. La Commissione Urbanistica del comune aveva espresso un suo parere negativo sulla loro costruzione, un pio desiderio di natura pilatesca, poiché nessuno ha avuto il coraggio di proporre soluzioni alternative o portare in Consiglio quella posizione. Il piano urbanistico è rimasto invariato e l’Ufficio responsabile è stato lasciato solo a dover togliere le castagne dal fuoco, con il rischio di scottarsi le mani. Non vi era e non vi è alcun elemento ostativo al rilascio di quel permesso, per la logica perversa con cui è stato costruito tutto l’edificio normativo dell’urbanistica comunale. Lo stesso tecnico giudiziale si è limitato alla enunciazione di principi validi in teoria, ma che non trovano riscontro nella realtà normativa vigente nel comune.

Più che di un errore tecnico siamo di fronte ad un errore politico, una sottovaluzione degli effetti che l’impianto del piano avrebbe prodotto sul territorio. A questo hanno contribuito in maniera decisiva la scarsa competenza e rappresentatività politica degli assessori che si sono succeduti nell’era Perugini, attivi e dinamici “tamquam non esset”.

Per inciso, nell’area è stato realizzato o è in corso di realizzazione solo il 45% del previsto. Il che significa che le sorprese potrebbero non essere finite. “Il PP Casa Circondariale prevede la riorganizzazione dell’assetto urbanistico a fronte d’importanti interventi di trasformazione (smantellamento della Casa Circondariale e degli impianti di depurazione nonché il recupero dell’ex rilevato ferroviario). I dati qualitativi e quantitativi sono dedotti dalla Relazione allegata al piano, interventi privati a scopo residenziale che hanno distribuito circa 203.000 mc lungo viale

G. Mancini”, si legge in un documento del comune. L’attività costruttiva ha saturato circa il 45% della capacità insediativa potenziale. Il condizionale è pleonastico, poiché sono già state autorizzate altre concessioni nella stessa area, non ritirate per la difficoltà di pagare gli oneri di urbanizzazione necessari per il rilascio e per una pausa di riflessione resa indispensabile dall’affanno del mercato immobiliare che consiglia prudenza in questo momento per la rarificazione delle risorse destinate al comparto. Costruite, gente, costruite tanto poi qualcuno vi stopperà per la capacità di accorgersi sempre dopo delle conseguenze.

Nulla impedisce che anche il recinto nord della casa circondariale potrebbe essere oggetto d’interesse edilizio completando l’accerchiamento. La risposta non è di tipo giudiziario ma politico. Bisogna immediatamente aprire un tavolo istituzionale per affrontare la questione congiuntamente con tutti gli enti e i soggetti interessati per evitare di creare qualche ulteriore guazzabuglio politico-amministrativo con novello tardivo intervento della Procura e rilevante danno per l’intera città.

Nella sostanza non vi è alcuna normativa di qualsiasi genere (legge, decreto o circolare) a qualsiasi livello (statale o regionale) che disciplini le costruzioni nelle adiacenze dei penitenziari, valgono le regole generali e le disposizioni degli strumenti urbanistici comunali vigenti.

Si esprime meraviglia per la decisione regionale di aver incluso i due edifici come edilizia convenzionata. Ma questo dimostra semplicemente che da un punto di vista formale tutto è in regola e vi sono i requisiti tecnico-legali per usufruire di quelle agevolazioni. Ognuno deve limitarsi a considerare il lato che interesse della medaglia e preoccuparsi della verifica dei requisiti, che in questo caso sono tutti presenti.

I lavori stavano procedendo speditamente senza alcun interevento da parte dei vigili urbani cui compete la vigilanza sui reati edilizi. Eppure sono stati spesso visti nell’area, dove qualche tempo fa (ben dopo l’inizio dei lavori nei due cantieri) è stato aperto l’ultimo tratto cosentino del Viale Parco. Si sono limitati a controllare l’esposizione nei cartelli degli estremi del permesso a costruire.

Per il comune tutto era in regola. La Procura ha ritenuto di intervenire. Chi ha ragione? Non resta che attendere la conclusione di questa ennesima vicenda kafkiana.


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