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La lenta agonia di una promessa mancata
di Oreste Parise
Mezzoeuro Anno X num. 27 del 9/07/2011
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Rende, 06/7/2011
Il
paradosso del porto, una crisi provocata da un mercato in crescita e
opportunità non colte. Una responsabilità tutta politica, per l'incapacità di
scelte coraggiose, si è consentito di far nascere e crescere concorrenti nel
Mediterraneo, che oggi rappresentano una minaccia pur senza avere gli stessi
requisiti naturali.
C’è ancora chi ricorda i tempi eroici del pacchetto Colombo: duemila
miliardi delle vecchie lire destinati allo sviluppo della Calabria. Per
apprezzare quello sforzo è necessario trasformare quell’importo considerando
l’andamento inflattivo e trasformandolo in euro. Oggi sarebbe un piano di
investimenti di circa 20 miliardi di euro, una mezza finanziaria tutta dedicata
alla Calabria. Quel piano prevedeva 1300 miliardi di lire per la creazione del
V Centro Siderurgico di Gioia Tauro, che avrebbe dovuto costituire un volano
per lo sviluppo industriale della regione, e altri 360 per altri interventi nel
settore chimico e meccanico e la creazione di quindicimila posti di lavoro.
È facile oggi criticare quel piano, che è totalmente fallito. Era stato
concepito sull’onda emotiva della rivolta di Reggio Calabria che rischiava di
estendersi all’intera regione con conseguente metastasi che avrebbe potuto
investito l’intero Mezzogiorno. Erano investimenti finanziati in deficit
spending, addossandone l’onere sulle generazioni future. Ancora oggi ne
paghiamo le conseguenze con l’enorme onere del servizio del debito che
impedisce qualsiasi formulazione di una politica di sviluppo. Si trattava,
inoltre, di ipotesi di investimento che si fondavano su una errata analisi
microeconomica dei settori: siderurgia, chimica e meccanica stavano in quel
momento attraversando una fase di rapida ricollocazione della produzione su
scala mondiale. L’Europa perdeva il suo primato che aveva resistito per secoli
in favore dei paesi emergenti dell’Asia. Un faraonico investimento in tre
settori in crisi.
Tuttavia quel piano era stato concepito da una classe politica che aveva il
coraggio delle scelte, che non si tirava indietro quando era necessario
assumersi delle responsabilità. L’iniziativa del governo si è risolta in un
disastro per l’errore di programmazione, non certo per l’entità
dell’investimento e per il metodo di copertura finanziaria. Il bilancio dello
Stato avrebbe dovuto ritrovare il suo equilibrio con l’incremento delle entrate
che sarebbe derivato dal valore aggiunto che quell’investimento avrebbe
generato. La crescita autofinanzia gli investimenti, questo era il presupposto
di quella manovra.
Rimpiangere la vecchia repubblica? Si. Si trattava di uomini con tanti
difetti e ai quali vanno imputati molti errori. Ma avevano il senso dello Stato
e il coraggio delle scelte.
Il porto di Gioia Tauro è il frutto miracoloso di quelle scelte sbagliate:
un investimento improduttivo finché non è arrivata Lady Contship ed ha
inventato il transhipment, per caso o per scommessa. Cecilia Battistelli merita
una menzione e un rinascimento per l’invenzione di Gioa Tauro, anche se oggi è
disposta ad abbandonare la sua creatura al suo destino. È stata una intuizione
molto felice che ha provocato una rivoluzione in quel porto abbandonato. In
pochi anni è diventato il principale porto del Mediterraneo, con grande
sorpresa di tutti. La cosa sorprendente è che oggi il porto di Gioia Tauro è in
crisi, mentre il mercato del transhipment gode di buona salute. Ottima direi,
secondo un noto slogan di Carosello. Il Mediterraneo sta riguadagnando
posizioni nel traffico marittimo internazionale, e il volume della merce che
transita è in costante aumento. La crisi dei paesi della sua sponda sud
dovrebbe aiutare Gioia Tauro ad intercettare una fetta più elevata ed acquisire
un sicuro vantaggio competitivo. Anche con un po’ di fortuna, avrebbe dovuto
riacciuffare il primato che aveva perso.
La colpa non è di chi oggi prende atto del sostanziale fallimento politico
di quell’investimento, poiché la scelta coraggiosa di Lady Contship ha trovato
un muro di silenzio e di diffidenza, un coro di approfittatori. Ma non
interesse e risorse per accompagnare la crescita del porto con le
infrastrutture necessarie. Anno dopo anno il vantaggio competitivo di Gioia
Tauro nei confronti dei suoi competitor vecchi e nuovi è andato scemando perché
essi (Algesiras, Port Said, ma anche Cagliari, Taranto e Gevona …) hanno
risposto con strategie aggressive e importanti investimenti
infrastrutturali.
La Cassa Integrazione concessa a quasi metà dei dipendenti è una secchiata
di acqua gelida. Serve per prendere atto di una realtà molto dura. Il Porto di
Gioia Tauro è in crisi e le prospettive sono grigie. O nere? Chissà. Il
pessimismo non è legato alla crisi di un settore, poiché siamo di fronte a un
mercato in crescita, ma all’incapacità di assumere le decisioni necessarie per
il rilancio, imbrigliate in un groviglio di veti incrociati, di schizzinosità
da primadonna.
Perché una speranza diventa un incubo? Quarant’anni fa si è trattato di un
macroscopico errore di valutazione commerciale. Oggi è il frutto di un deficit
politico, dell’inconsistenza di una classe politica incapace di assumere
decisioni e responsabilità. Quanti presidenti si sono succeduti in questi anni?
Giuseppe Nisticò, Battista Caligiuri, Luigi Meduri, Giuseppe Chiaravalloti,
Agazio Loiero, Giuseppe Scopelliti. Parole, parole, parole. Fatti zero. Hanno
blaterato e continuano a blaterare invano senza assumere alcuna decisione di
rilievo. Il porto, figlio di morti padri, muore per l’assenza di una strategia
pianificatoria, per la mancanza di infrastrutture, per la mancanza di coraggio
nelle scelte strategiche come il rigassificatore o la zona franca. Nel
frattempo si è consentito la crescita di una concorrenza agguerrita, che ha
investito milioni di euro in infrastrutture, l’unica vera arma vincente sul
piano dei costi e dell’efficienza.
La produttività operaia non ha che un impatto marginale, poiché
rappresentano una quota quasi irrilevante nella struttura dei costi. Le
attività portuali sono investimenti ad alta intensità di capitale: l’incidenza
del costo del lavoro è sempre più marginale. Siamo molto lontani dalla realtà
di “Fronte del Porto”.
Le inefficienze stanno altrove. Un esempio eclatante lo racconta Paolo
Tramonti. Le auto che arrivano dal Giappone vengono spedite in treno a Verona
per le pratiche di immatricolazione per ritornare dopo qualche giorni nei
saloni dei concessionari calabresi. Quale sarà stata l’incidenza del costo
operaio in tutto questo meccanismo?
Gioia Tauro muore perché non abbiamo una classe politica che abbia il
coraggio di assumere delle responsabilità. Perché la nostra classe politica non
ha la rappresentatività di imporre la questione del porto nell’agenda politica
nazionale e sui tavoli comunitari.
Abbiamo chiesto a Saverio Zavattieri, una mente lucida, spesso
controcorrente ma che ha il coraggio delle proprie azione e di esprimere
opinioni spesso provocatorie e controcorrente.
La nostra
classe politica è inadeguata per un problema così importante come il porto
Intervista a Saverio Zavattieri
- La Calabria è la punta più avanzata dell'Europa nel Mediterraneo, ma
nessuno è riuscito a prevedere il gran fermento che attraversava la sua
sponda Sud. Non è una chiara dimostrazione di inadeguatezza della sua classe
dirigente e delle istituzioni accademiche?
- Le trasformazioni in atto nell’area del Maghreb e dell’Asia Occidentale
nascono da un profondo malessere sociale associato alla crescita
culturale delle nuove generazioni che ha prodotto naturali rivendicazioni
per più democrazia e più libertà. Era facile ipotizzare uno scoppio,
difficile intuirne l’esatto momento ed ancor più complicato prevederne la
sua rapida diffusione nell’intera area. Ciò ha colto impreparati non solo
le istituzioni e gli studiosi locali, ma l’intero Paese – distratto com’è
da un ventennio di conflitti interni permanenti - ed ancor di più
l’intera Europa. Se a questo associamo la scarsa vocazione mediterranea e
l’incapacità progettuale dei Governi nazionali e locali e di taluni
partners europei - i cui interessi politici ed economici risiedono in
aree diverse ed opposte – si capisce che dall’apparente negligenza
passiamo al dolo. Ma le responsabilità primarie vanno ricercate in loco,
dove anziché rimboccarsi le maniche e individuare ruoli e funzioni
positive da svolgere nell’interesse dell’intero Paese, continuano in
sterili politiche di rivendicazione di risorse che poi si trasformano in
nettare per clientelismo e malaffare. Un circolo vizioso da cui si esce
solo invertendo l’impostazione politica. In questo, i partiti del Sud,
sono deleteri e ripropongono un meridionalismo vecchio, logoro ed
impresentabile che relega il Mezzogiorno in una condizione di perenne
subalternità.
- Il Porto di Gioia Tauro entra in crisi proprio mentre i suoi concorrenti
più temibili (come Port Said), attraversano un momento di grande debolezza e
di rappresentatività. Cosa rende così fragile il nostro porto?
- Dovessimo essere cinici e localistici, potremmo senz’altro dire che
dalla “primavera araba” giunge una bella boccata d’aria fresca per i
porti della sponda Nord del Mediterraneo. Ma questo non muta la necessità
di un radicale mutamento della fisionomia dei porti europei, in primis
Gioia Tauro. I conflitti e la lunga ed indecifrabile transizione che si
apre in quei paesi registra di già un rallentamento degli investimenti
predisposti, senza però, allo stato, segnali di serio disimpegno e di
default, tant’è, che i volumi di traffico, dai primi dati,
sostanzialmente sembrano rimanere invariati. Questo deve indurre ad una
duplice riflessione per la portualità italiana specie se consideriamo che
i nostri hub non hanno tratto giovamento da questo quadro di instabilità
a differenzia ad esempio di Algeciras o Barcellona. In primo luogo la
necessità di competere con questi sul piano dell’offerta e dei servizi e
secondariamente creare una rete ed una diversificazione delle funzioni
tra i diversi porti al fine di garantire una gamma completa. Gioia Tauro,
paga anche questo. Un porto di transhipment può essere facilmente
sostituito da un altro porto che svolge la medesima funzione. Ma una
struttura che ha alle sue spalle un retro porto ed un sistema di
collegamenti e di smistamento gomma/ferro difficilmente riuscirà ad
essere rimpiazzato, specie se si trova in una posizione strategica come
quella dello hub calabrese. A questo si aggiungono gli errori base frutto
anche di opportunismi, di un sostanziale disinteressamento istituzionale
nonché da una commistione di interessi che dalla seconda metà degli anni
novanta hanno caratterizzato l’attenzione della politica sul porto. In
questo contesto il terminalista unico ( con una concessione con una
durata spropositata e insensata) ha piegato gli interessi dello scalo a
quelli propri aziendali. La concorrenza è il sale del mercato è questa la
regola base e vale ancor di più nel campo del commercio marittimo.
- Quali sono gli interventi necessari per un rilancio? E' sufficiente ed
adeguato l'APQ, quasi esclusivamente rivolto alla RFI, per una infrastruttura
che dovrebbe rientrare tra gli investimenti ordinari dell'azienda?
- Già molto prima che esplodesse giustamente tutta questa attenzione
mediatica, come socialisti, avevamo dedicato il nostro impegno a Gioia
Tauro, tant’è che ci siamo attivati per predisporre uno studio
geo-economico sugli scambi internazionali via mare concentrando analisi e
riflessioni sul ruolo che l’infrastruttura calabrese può rivestire in
questo contesto formulando una serie di proposte da compiere in concreto
diversificando le azioni nel breve e nel lungo periodo. Da questo è
scaturito finanche un opuscolo semplice e compatto con cui abbiamo voluto
sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni regionali. Le
risposte che abbiamo ivi indicate sono oggi, allo luce dei nuovi
accadimenti, valide ed ancor più necessarie ed attuali. Alla situazione
attuale abbiamo ritenuto necessario creare una sorta di Road Map che
scandisca ed espliciti i primi e necessari interventi da fare. Si
dovrebbero considerare due tipi di interventi: quelli con ricadute nel
breve periodo e quelle con ricadute nel lungo periodo. Le azioni nel
breve periodo dovrebbero rilanciare il traffico di containers nello
scalo. È impensabile abbandonare l’ attività principale fin ad oggi
svolta.
- Siamo di fronte ad una crisi strutturale o un investimento adeguato è in
grado di consentire al porto di superare l’attuale momento di difficoltà?
- Bisogna tenere presente che un porto di transhipment per essere scalato
e scelto dalle grandi companies deve essere “meno caro” e/o “più
efficiente” degli altri. Non si può intraprendere alcuna strategia senza
tenere nel debito conto le strategie attuate dei porti concorrenti, primi
fra tutti, quelli nord africani notoriamente più economici e da qualche
anno più dinamici. Le scelte delle grandi companies e delle società
terminalistiche non prescindono mai dal contesto del mercato globale e
dalla convenienza economica. Le proposte nel lungo periodo sono di
rilancio, innovazione ed investimento. I porti del Nothern Range ci
insegnano che la progettazione e le idee chiare sono alla base di tutto.
Per gestire un hub come Gioia Tauro è importante utilizzare le migliori
risorse a disposizione. Soltanto sapendo dove si vuole andare e quale
strada percorrere sarà possibile rilanciare lo scalo e fare di Gioia
Tauro il fulcro del rilancio socio economico della Provincia di Reggio
Calabria e dell’ intera Regione. Adesso è il momento delle risposte, dei
piani e dei programmi. Lo scalo gioiese e il suo sviluppo retro portuale
sono troppo importanti perché le istituzioni possano abbandonarle al
proprio destino e affiancarle senza idee e competenze. Una risoluzione di
questa emergenza che non sia pretenziosa, ad ampio raggio e di pieno e
consapevole rilancio sarebbe un errore ingiustificato e
imperdonabile.
- Ritiene che la Regione Calabria abbia fatto quanto necessario per
difendere e rilanciare il porto?
- In questo contesto, l’impegno profuso della Regione Calabria a
garantire l’attuazione dell’ APQ del 2010, già siglata con RFI, è
significativa e coerente, ed avrebbe comportato la presenza di RFI,
società controllata dal Ministero del Tesoro, al tavolo del confronto
nazionale convocato dal Governo, per affermare unitamente alla Regione la
responsabilità degli organi istituzionali nella programmazione e nella
scelta delle priorità infrastrutturali. E’ paradossale che il Governo che
controlla RFI scarichi questa responsabilità solo alla Regione. Lo snodo
ferroviario alle spalle del porto è indispensabile per la crescita e la
diversificazione delle attività dello scalo. Ovviamente non è esaustiva
come risposta infrastrutturale. Indispensabili sono degli interventi
sulla rete stradale e la creazione del noto corridoio europeo tirrenico
che dovrebbe collegare il sud Italia al resto dell’ Europa.
Importantissimo è la progettazione e la creazione di un Interporto che
alle spalle dello scalo permetta lo smistamento delle merci utilizzando
il sistema di trasporto intermodale. È facilmente intuibile quanto la
progettazione nazionale sia indispensabile.
- La recente riunione romana con la decisione di ricorrere alla casa
integrazione straordinaria per i lavoratori, che scenari apre?
- La Cassa integrazione così com’è stata proposta rappresenta una misura
certamente utile ai fini della garanzia del reddito dei lavoratori ma di
ripiego rispetto alla natura della crisi del porto. In concreto mancano
ancora le misure idonee al rilancio dello scalo. La maggiore mancanza, da
quanto si evince dall’ accordo siglato, è data dall’ intervento del
Governo che di fatto si limita ad inserire Gioia Tauro nelle aree di
crisi (legge 2009) ed alla predisposizione di uno studio sul
transhipment. Manca qualsivoglia atto che sveli e chiarisca il ruolo che
lo scalo calabrese dovrà svolgere nel contesto della Logistica Nazionale.
Il ruolo del Governo in questa fase è indispensabile. Gioia Tauro è il
più grande hub italiano e uno dei più grandi e importanti del
Mediterraneo non si può non predisporre una strategia e un intervento
governativo in merito. Poco chiaro ancora il ruolo di MCT che anche se
gestore unico delle banchine portuali non ha ancora esplicitato i propri
progetti verso lo scalo. Per fortuna la procedura di cassa integrazione
prevede che la società debba presentare un piano di rilancio. Finalmente
in quella fase saranno chiariti molti aspetti indispensabili per la
progettazione futura dello scalo. Fanno ben sperare due aspetti. Il
primo. Il tavolo nazionale rimane convocato quindi sarà possibile nelle
prossime riunioni presentare i piani di rilancio dello scalo e le
posizioni in merito. La seconda. L’ effettivo impegno dimostrato dalla
Regione Calabria, nella figura del Presidente Scopelliti, anche se
sarebbe necessaria una struttura tecnica che segua costantemente lo scalo
e crei i piani di sviluppo.
(OP)
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