New Life, un bar per ricominciare

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno X num. 29 del 23/07/2011


Rende, 22/7/2011

Nella nuova Cavallerizzo è stata quasi completata la consegna delle abitazioni. La comunità tenta di ricomporsi ricercando valori comuni e occasioni di incontro. L'apertura della prima attività costituisce un momento importante per guardare indietro e andare avanti ...


New Life. È l’insegna che si intravede tra gli alberi da qualche giorno percorrendo via Pianette. L’unico bar della new town di Cavallerizzo, terminata da qualche mese. La maggioranza delle abitazione sono state già consegnate. Altre sono in attesa del completamento dell’istruttoria per stabilire i legittimi proprietari. Vi è un’animazione insolita per un paese di poche anime. Tutti sono indaffarati a sistemare la loro nuova casa. Hanno voluto dare un’anima a quelle mura inanimate, dove non si è ancora sistemato l’anima degli avi, lo spirito della comunità. Le piccole modifiche, gli aggiusti, servono a dare un tocco personale a dei muri anonimi, a rendere familiari gli spazi, a dare una personalità a costruzioni concepite a tavolino.

Certo è tutto più comodo. La possibilità di percorrere in auto ogni angolo del nuovo centro, la facilità del parcheggio, l’ariosità delle stanze, la freschezza dei muri liberi dall’intrigo dei fili che deturpano le facciate degli edifici in tutti i centri grandi e piccoli. Com’era più irrazionale l’intrigo dei vicoli del vecchio centro abitato, le strettoie appena sufficienti a consentire il passaggio a asino con la soma. Il vecchio borgo, Katundi, sorgeva attorno alla chiesa di S. Giorgio, da cui prendeva il nome. San Giorgio di San Marco era tutto li attorno alla chiesa. Appollaiate attorno vi era dei ricoveri costruiti con l’antica tecnica dell’opus incertum, dei pali con tavole inchiodate al lato esterno e a quello esterno che lasciavano un cavità riempita di pietre e argilla, buoni sia per gli uomini che per gli animali, che spesso vivevano insieme in simbiosi. Una soluzione rapida, economica, anche energeticamente funzionale e una difesa efficace contro i terremoti. Quel nucleo centrale resiste ancora nel vecchio centro abitato. Sono addossate l’una sull’altra per risparmiare materiale e recuperare calore.

La costruzione delle “case palaziate” sembrò una grande conquista, una parificazione di diritti con i litirë, calabresi. Della tecnica abitativa balcanica non rimaneva più niente. I mastri si erano estinte senza aver avuto la possibilità di poter esercitare il loro mestiere, senza aver lasciato una impronta sul territorio. Tutti i paesi arbëresh sono indistinguibili, non hanno alcun tocco di esotismo balcanico.

Si trattava di edifici a un piano, costituiti dal catojo, per gli animali e le provviste, l’arjo per riposare e il suffitto, spesso adibita ad angolo cottura, con il caminetto il cui fumo era prezioso per essiccare castagne o curare i salumi. Finalmente si attuava una separazione con gli animali. Costruite in pietre locali e cotto della “carcara” si armonizzavano bene con l’ambiente circostante, diventandone parte fino a rappresentarne una componente naturale.

La new town rompe questo equilibrio, crea una frattura urbanistica, con il suo reticolo ordinato, una frattura edilizia con i fabbricati allineati in bell’ordine. Le scale sporgenti con ballatoio, i ballatoi che attraversano i filari di case non riescono a dare un tocco di caos creativo. Hanno un sapore di fantasia repressa dalla necessità di rispettare le simmetrie costruttive, ben lontano dagli interventi sporadici e disordinati che si erano venuti stratificando nel corso dei cinque secoli della sua esistenza.

Per gustarne l’effetto sul paesaggio è necessario inerpicarsi su per la bretella che collega Repantana con Mongrassano. Una strada costruita di recente dall’Amministrazione Provinciale per suturare la profonda ferita inferta dalla frana che ha colpito Cavallarizzo alla provinciale borbonica che correva lungo tutta la pendice della catena paolano, da Castrovillari fino a Donnici. Una strada disastrosa che non tarderà a diventare disastrata anch’essa, con pendenze che superano il 20%, in barba alla prescrizione legislativa che non consente ripidità superiori al 16%, come viene ricordato da un bugiardo cartello posto in bella vista lungo il tragitto. Un suv potente avanza in affanno, sfruttando tutta la potenza della prima. Nel periodo invernale è sufficiente qualche perla di umidità per trasformarla in una pista di bob. Quando si è dovuto trasporre dei carichi pesanti, è stato necessario l’intervento di potenti trattori per trainare in salita i TIR, o trattenerli nella discesa per evitare che finissero nel Turbolo. Quella bretella è un monumento all'incapacità e all'incompetenza dei tecnici, che non sono riusciti a suturare la ferita creata dalla frana e ricomporre il reticolo stradale. Mongrassano ha subito gli effetti peggiori, poiché è diventato un paese terminale, ma da un punto vista socio-economico è San Marco Argentano ad averne subito le conseguenze più devastanti, avendo perso gran parte del suo bacino si utenza. Le attività produttive languano, come anche le scuole poiché per tutti i paesi della fascia occidentale della catena è diventato una meta lontana, quasi irraggiungibile.

Da Serradileo sembra di toccarla la new town, una chiazza bianca immersa nel verde intenso di terreni incolti invasi da una vegetazione sempre più folta. Una skyline insolita che disturba il paesaggio urbano caratterizzato da abitati molto simili tra di loro che armonizzano con la natura, tanto da sembrare che ne facciano parte da sempre.

Si distinguono i terrazzi mediterranei, le cupole ricoperte di ardesia alpina, il profilo vagamente orientale degli edifici. Non si tratta dell’ennesimo obbrobrio di case popolari che hanno deturpato il paesaggio architettonico italiano in questo secondo dopoguerra. Il complesso è gradevole, ma fuori contesto, un elemento appiccicaticcio chiaramente diverso dal resto.

Sulla destra alle pendici del monte S. Elia, la vecchia Cavallerizzo sta ancora li, sembra immobile ed immutata. Quando si procede all'interno del centro abitato le sue condizioni appaiono subito disperate. Percorrendo la vecchia provinciale da Mongrassano, già a Kroi Arra, Fontenoce, si vedono chiaramente di segni di un terreno che cede, continuando a scivolare verso la valle. Nel lato nord vistose crepe nei muri, come anche nella parte superiore, il Breggo, dove le case sono ormai tutte interessate a visibili crepe. Il lato sud è il più disastrato, ormai quasi completamento ricoperto da folta vegetazione. La vecchia rivendita di tabacchi è ancora li con la sua insegna, e il bar con il portone divelto mostra le sue ferite. La lunga discesa diritta dove iniziava il gioco del formaggio non esiste più, è stato inghiottito, si è sbriciolata, disciolta.

Il vecchio paese non è più recuperabile, perché le condizioni geomorfologiche non ne consentono il recupero. È un destino antico, lungamente procrastinato. Il 19 febbraio del 1758, il sindaco dell'universitas di Cavallerizzo Francesco Prograno, gli eletti Domenico Russo e Marsio Riccioppo, e l'ecc.mo Magnifico Signor D. Pietro Contessino Dattilo de' Baroni di detto Luogo, fanno un solenne giuramento davanti al notaio Luigi Mayerà.

“Anno asserito alla presenza nostra congiuntamente tactis scripturis et juramento il sudetto sindaco et electi e cittadini tutti in solidum e per ciascuno di loro in solidum, come per le incessanti pioggie e tempi cativi e quantità di neve acadute in questo prossimo scorso mese di gennaio, e corrente mese di febbraro del corrente anno 1758 quasi tutto e buona parte non solo di questo suddetto casale che del suo distretto s'è osservato l'aluvione et abbondantissima neve suddetto apperto il terreno dimodochè molte case di detto casale sono sciollate dell'intutto, e moltissime altre si vedono tutte apperte e fragasate con evidentissimo pericolo di rovinarsi per l'apertura suddette nel terreno e moltissime possessioni, orti et stabili sono dell'intutto rovinati, le quali di giorno in giorno si sono viste et osservate osservate con l'esperienze fatte che sono avanzate e tuttavia vanno avanzando, in modo tale che minacciano la totale rovina di detto casale senza potersi anche con gravissime spese ripararsi, tanto che sono risoluti di abandonare detto casale, case e beni ed andarsene a popolare altrove, per sempre il pericolo di non restare qualche volta sepolti vivi nel terreno, mercè le loro colpe, che Iddio sdegnato volle castigare; che però per placare l'ira e lo giusto sdegno suo D.N. contro essi hanno pensato ricorrere alla protezione e patrocinio del glorioso Martire S. Giorgio loro Protettore e santo di detta cittadinanza con perpetuo voto solenne, et inviolabile nel giorno del suo Santo Natale che si suole celebrare il dì 23 aprile osservarlo per festa solenne con astinenza delle opere servili, et altro giusta il rito della S.R.C. E nell'istesso giorno nell'atto della celebrazione della S. Messa offrire, presentare e dare a di loro Protettore S. Giorgio una torcia di cera bianca di libre tre, e lo sparo di mortaretti per la quale la torcia e polvere. E di più far venire in detto casale nella Chiesa Parochiale del med. sotto lo titulo di detto S. Giorgio la statua seu simulacro di detto Santo Protettore, per la quale promettono soccombere alla spesa di docati trenta, succumendoci il di più per sua divozione e bontà il sudetto Mag.co D. Pietro Dattilo”.

La statua di S. Giorgio fu acquistata a Lecce, e fu anche deciso di costruire la nuova chiesa parrocchiale terminata a metà dell'ottocento.

Nella new town non è stato ancora costruita la casa del Santo, che non ha potuto evitare l'abbandono del paese, ma ha protetto la popolazione evitando la perdita di vite umane. Questo deve essere un impegno corale dell'amministrazione comunale, della Protezione Civile e della stesa comunità, che oggi come allora deve diventare protagonista del proprio destino.

Vi era molta gente la sera dell'inaugurazione del nuovo bar, l'unico punto di ritrovo della comunità, con un trio che intonava canzoni alla moda. Il forestierismo dell'insegna, la musica moderna, il vociar in molteplici “favelle” creavano un'atmosfera irreale, una convention di vecchi amici, di parenti lontani accorsi da ogni dove. Nicola che da Montreal era qui ad abbracciare cugini e parenti dopo un'assenza di alcuni decenni, Angelo che dall'Inghilterra era sceso a prendersi la chiave della sua nuova casa.

“Ti piace Cavallerizzo?”

“Kaiveric, nëng ësht ky. Questa è un'altra cosa, volevamo essere là oggi a festeggiare la rinascita del paese, non a ricordarne la morte. Questa non sarà mai Cavallerizzo. E poi li le case hanno resistito cinquecento anni a dispetto di tutte le difficoltà. Qui chissà come sarà tra qualche anno!”

Ecco riaffiora sempre questa saudade per un luogo perduto, dove sono sepolti i proprio sogni e la propria infanzia; atje le u zotin tatë, atje le u zonjën mëmë … secondo quanto si canta in una canzone popolare. I tempi in cui questo popolo di “ignota favella”, come scriveva il papa Paolo II, è stato costretto ad abbandonare la sua terra, ritornano sempre.

Anche l'insegna fa discutere. Perché “New Life”? Come si direbbe in arbëresh? Si fa un po' di fatica a trovare una traduzione adatta, dopo secoli la lingua ha perso molta della sua potenza espressiva e molto dalla sua ricchezza semantica. Forse è destinata a sparire del tutto tra qualche anno. Solo una forte spinta culturale potrebbe salvarla.

Lucio che oggi celebra il miracolo di aver fatto rivivere la vecchia rivendita di tabacchi accenna a un discorso, con accanto la moglie visibilmente emozionata che gli strappa il microfono per raccontare la sua gioia, per manifestare la sua soddisfazione di non aver abbandonato il suo sogno, di aver voluto caparbiamente dare un nerbo ad una comunità dispersa, smarrita.

Nomen omen. Il nome si porta con sé il destino. Forse è difficile immaginare di poter conservare l'identità, di poter tramandare la lingua e lo spirito della “arbëreshità” (che brutto neologismo!), perché il nuovo avanza inesorabile, i social network portano lontano a scoprire nuovi mondi, dove si deve comunicare con la lingua universale qual'è diventata l'inglese. Ma chissà forse è proprio ricreando in rete una linea di contatto che si potrà costituire un gruppo più ampio per conservare quello che va inesorabilmente perdendosi.

“Jeta e re”, secondo l'ipotesi più comune. Ma jeta è la vita reale, il contatto con le cose, il mondo che ci circonda. Certo questo è un nuovo mondo, ma non ha niente a che spartire con lo spirito che aleggia nel vecchio centro abitato, con i ricordi di cui sono intrisi i suoi muri, degli intrecci amorosi consumati tra i vicoli. Si potrebbe tentare con “gjallja e re”, l'alito di vita ma sarebbe inadeguato ad esprimere un concetto così materiale come vivere la quotidianità.

Ma si, forse proprio “New life”, esprime meglio la voglia di continuare, di andare avanti immergendosi nella contemporaneità, ricercando nuovi stimoli per poter conservare una diversità.

A questo mondo artificiale, che assomiglia oggi al set cinematografico di un film western, con tutte le sue case ordinate, bisogna dargli un'anima, shpirtin arbëresh, cercare nella cultura, nelle tradizioni la forza per creare un nuovo collante comunitario.

La musica continua per tutta la serata, ma nessuno accenna a qualche vjershë, si va avanti con musica “americana”, tra una pizza e una crocchetta di melanzane. Le favelle sono diventate tante, perché sono venuti da ogni parte del mondo a vivere questa nuova avventura, a prendere possesso delle nuove case, ma soprattutto a cercare l'anima perduta, il sapore di un ricordo.

Sembra una rimpatriata di vecchi amici, un'adunata di camerati. Qualcuno con i capelli grigi abbraccia vecchi amici e parenti, qualcun altro un po' imbolsito dall'età ricorda vecchi episodi, si va avanti ad oltranza fino allo sgocciolamento dell'ultima damigiana di vino.

Poi tutti a casa a ricominciare a mettere ordine tra le cianfrusaglie ancora sparse quale e là in attesa di una sistemazione definitiva.

Una comunità rinasce. Una comunità invecchiata, acciaccata dallo spopolamento. In questi lunghi anni di attesa, tra difficoltà e disagi tanti non sono riusciti a vedere la loro nuova casa. Oggi resterà vuota. Vi è un timido accenno di interesse, il mercato immobiliare sembra mostrare un certa vivacità.

Solo tra qualche anno si potrà fare un primo consuntivo per vedere se la scommessa di salvare la comunità è stata vinta. Per ora si può dire che le premesse sono positive.


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