La Costituzione secondo Calderolidi Oreste Parise Mezzoeuro Anno X num. 30 del 30/07/2011 |
Rende, 27/7/2011
Nel crepuscolo del berlusconismo non ci si meraviglia più di niente, ministri sguaiati e volgari, inaugurazioni farsa di sedi ministeriali distaccate, provvedimenti ad personam introdotti di soppiatto dopo l'approvazione del testo in consiglio di ministri, europarlamentari come Mario Borghezio che condividono le idee del mostro di Oslo ... Ma Montesquieu si sta ancora rivoltando nella tomba a vedere il paradontologo Roberto Calderoli assurto a massimo esperto di ingegneria costituzionale ...
Nel Far West i saloni dei barbieri si trasformavano in studio dentistico all'occorrenza, come è ben noto ai cultori del genere. Figaro si prodigava, armato di pinza e tenaglia e pistoloni ai fianchi, a estrarre il dente dolorante del malcapitato trattenuto, tra urla strazianti e convulsioni, dalle solide braccia di energumeni cowboy improvvisatisi infermieri. Solo l'eroe designato poteva sopportare stoicamente il brutale trattamento, dopo essersi scolato una bottiglia di whisky, però.
Siamo diventati tutti eroi in questo Paese crepuscolare, dove il sole appena calato nel mare, emana ancora una luce rossastra che lentamente si trasforma nel buio. Siamo in marcia verso un baratro senza fine, senza più alcun riferimento etico-morale, senza una guida, senza una credibile rappresentanza internazionale. Siamo diventati tutti eroi, ubriachi del micidiale mix di idiozie che vi vengono propalate senza interruzione, incapaci di reagire. Questo governo approfitta della spossatezza mentale, della stanchezza fisica, dell'incredulità di fronte alla continua escalation di attacchi sconsiderati alla struttura istituzionale dello Stato. Quousque tandem abutere patientiae nostrae? Avrebbe gridato Cicerone. Ma la capacità di reazione è affievolita e non basta qualche sussulto referendario a produrre una salutare rivoluzione delle coscienze. E manca un Cicerone che sia in grado di mobilitare le coscienze contro i brutali attacchi di Catilina volti a distruggere le istituzioni repubblicane.
“Per evitare che la situazione diventi insostenibile occorre ricreare immediatamente nel nostro Paese condizioni per ripristinare la normalità sui mercati finanziari con un immediato recupero di credibilità nei confronti degli investitori”, si legge in un documento sottoscritto dalle associazioni di categorie e i sindacati più rappresentativi. Un vero e proprio grido di dolore poiché la perdita di credibilità investe l’intero corpo sociale, sgretola i principi fondamentali sui quali si fonda la coesione nazionale. Qui non è più in gioco l’economia, la credibilità di un intero paese divenuto palcoscenico per farse popolaresche, recitate da comparse promosse all’onore del proscenio per l’improvvisa scomparsa degli attori. Non è più accettabile che la politica si sia confinata nella difesa di interessi particolari, nella autoconservazione di una casta improvvisata che appare sempre più corrotta, spregiudicata e senza alcuna remora di carattere morale a frenare la degenerazione del sistema economico-politico.
Era solo ieri che si è introdotto di soppiatto un codicillo in un testo legislativo licenziato dal Consiglio dei Ministri, all'insaputa della maggioranza dei presenti che lo hanno subito sconfessato. Non si è riusciti a trovare un padre, ma neanche un patrigno alla norma salva-Fininvest. Si è gridato alla scandalo per l'ennesima norma "ad personam", o "ad aziendam", come è stata subito classificata. Si è anche perso il senso dl pudore. Neanche il risultato plebiscitario del referendum sul legittimo impedimento, che ha espresso una condanna senza appello a questi reiterati tentativi di produrre uno scudo legale attorno al dominus politico ed ai suoi affari e malaffare, è riuscito a frenare il Cavaliere. Scongiurato il pericolo l'intera faccenda è subito stata archiviata come un maldestro tentativo. Al di là del suo contenuto, sfacciatamente disegnato a difesa degli interessi del premier, si trattava di un evidente abuso di ufficio poiché si è modificato un testo legislativo approvato da un organo collegiale qual'è il Consiglio dei Ministri manipolandolo a piacere all'insaputa dei presenti a quella seduta. Un comportamento che non avrebbe richiesto solo una forte censura politica, ma la constatazione di un reato, con una formale richiesta di impeachment del premier. Non solo si è confessato ispiratore della norma, ma è stato l'unico che l'ha difesa a dispetto della unanime condanna e della evidente illegittimità nella forma oltre che nella sostanza. Sarà pure un perseguitato dalla Magistratura, ma è certo che non perde occasione per offrirgliene una ricca gamma di ipotesi di reato. Ad aggravare la situazione bisogna sottolineare che questa forzatura è stata tentata nella manovra economica correttiva necessaria per frenare la speculazione, con il rischio di compromettere il difficile accordo per una rapida approvazione.
Non si è fatto in tempo ad archiviare lo spiacevole "equivoco", che subito è arrivata la pagliacciata dell'apertura dei ministeri monzesi, con autorevoli buffoni di corte corsi a recitare seriosamente la pantomima del mi(ni)stero buffo. Non basta purtroppo la decisa presa di posizione del Presidente della Repubblica, l’ultimo difensore della democrazia e delle decenza politica, a ristabilire l’equilibrio.
Subito a ruota sono seguite le deliranti dichiarazioni sull’eccidio di Oslo, di Mario Borghezio, in coro con le farneticazione di Vittorio Feltri: il primo ad esaltare le idee dell'assassino, biondo con gli occhi azzurri e "defensor fidei", il secondo ad addossare alle vittime la colpa della strage, perché si sono offerti come agnelli sacrificali al carnefice senza opporre alcuna resistenza.
Si ha notizia che la Magistratura abbia aperto un fascicolo a carico di Borghezio, mentre la reazione dei suoi “commilitoni” leghisti (stiamo parlando di guerrieri celti pronti alla pugna per liberare la loro Padania, ma più probabilmente si preparano a qualche pugnetta collettiva per sbollire gli ardori celoduristi …) si è limitata a qualche blanda censura verbale. In fondo quello è il brodo culturale in cui si sono formati e sono cresciuti. Chi non ricorda la tragi-comica esibizione delle magliette anti-islamiche dell’ineffabile Roberto Calderoli? Un farsa finita in tragedia.
Né manca l'ulteriore tentativo di costruire un parafulmine contro le tempeste giudiziarie con il cosiddetto "processo lungo". Avendo fallito il blitz del processo "breve" per impedire ai giudici di arrivare alla sentenza definitiva entro i termini perentori imposti dalla legge, è arrivata la genialata del processo "lungo" per impedire di concludere l'iter processuale prima della prescrizione, fa lo stesso. La furbata è di obbligare i giudici ad accettare ad libitum nuovi testimoni fino all’esaurimento nervoso della corte. Né ci si preoccupa eccessivamente dei possibili effetti che tali provvedimenti potrebbero avere nei processi in corso. L'importante è raggiungere l'unico obiettivo di neutralizzare la “persecuzione giudiziaria” nei confronti del premier. Questo arroccamento di una maggioranza taroccata a difesa dell'indifendibile ha provocato un senso di noia, fastidio, disgusto e una dura reazione della stampa internazionale.
A questo quadro edificante si aggiunge la minaccia di una devastante ipotesi di riforma costituzionale. Siamo in presenza dell'ennesima sceneggiata che vorrebbe rassicurare l'elettorato di centrodestra sulla capacità realizzativa di questo "governo del fare". I fatti disvelati nelle numerose inchieste che hanno interessato autorevoli esponenti di questa maggioranza, hanno mostrato che siamo piuttosto di fronte al "governo del malaffare", per di più in preda a convulsioni. In questo ultimo scorcio di legislatura sembra molto improbabile che riesca a portare a termine una riforma impegnativa, superando la doppia lettura e referendum confermativo.
Rebus sic stantibus, non varrebbe proprio la pena di occuparsi di questa ennesima farsa, se non ci trovassimo di fronte ad uno sfacciato tentativo di rivolgersi direttamente al ventre molle dell’elettorato solleticandolo con proposte dal deciso sapore populista, ma fortemente lesive della logica e dei principi ispiratori della nostra carta. Sarebbe già sufficiente limitarsi al nome del proponente: Calderoli, un nome, una garanzia. Come ha dimostrato la grande invenzione della “porcata”. Tale per sua stessa definizione. Che un quasi-dentista venga scelto come il massimo esperto di ingegneria costituzionale è una trovata esilarante degna del miglior Ionescu e del suo teatro dell’assurdo.
La sua inesauribile inventiva trova la sua massima espressione nelle furbate, esaltate dal suo sguardo ironico e dal ghigno beffardo con il quale accompagna le sue proposte, non certo prive di un appeal sondaggistico, ma per nulla preoccupato della coerenza interna dell’intero edificio costituzionale. Cinquecento persone che si sono affannate a discutere per due anni nell’Assemblea Costituente fanno proprio una figura barbina, di fronte a questo gigante del diritto che da solo è in grado di raddrizzare un edificio progettato da una pletora di tecnici dai nomi altisonanti.
È sufficiente un semplice elenco per valutare l’impatto demagogico delle proposte: dimezzamento del numero dei parlamentari, indennità legate alla reale partecipazione ai lavori, Senato federale, abbassamento dell’età necessaria per essere eletti, bicameralismo perfetto limitato «a poche e delicate materie», tempi certi per l’approvazione in Parlamento dei disegni di legge, rafforzamento dei poteri presidente del Consiglio – il quale potrà sciogliere le camere, nominare e revocare i ministri, l’introduzione della fiducia costruttiva e la riforma della Corte Costituzionale per impedire che essa osi contrastare l’afflato innovatore del premier.
In poche parole, uno stato-azienda, gestito da un super-manager slegato dai lacci e laccioli dei vari poteri contrapposti, svincolato dai fastidiosi controlli di legittimità e di merito. Manca poco per arrivare al diritto di vita e di morte sui cittadini-sudditi, e l’introduzione del premierato perpetuo con diritto di scelta del proprio successore, et in secula seculorum …
Il vero pericolo della proposta è che essa trova molti estimatori in un vasto schieramento trasversale, tanto nel Parlamento che nel Paese, poiché prevale la logica del particolare che vorrebbe colpire la casta nei suoi privilegi, a prescindere dalle conseguenze che delle misure affrettate potrebbero provocare. Molte di quelle idee vengono anche accarezzate dai partiti di opposizione preoccupati di non lasciare il populismo nelle mani del centrodestra, ma cavalcare la tigre della protesta per un semplice calcolo elettorale. La roboante riforma dl titolo V, un vero e proprio mostro istituzionale che non ha ancora mostrato il suo volto devastante, avrebbe dovuto insegnare qualcosa. Prevale, tuttavia, la rincorsa al berlusconismo piuttosto che riappropriarsi della logica e della coerenza politica.
Il barone di Montesquieu si starà rivoltando nella tomba, disturbato nella sua quiete eterna. Il principio fondamentale che è diventato il momento fondante di qualsiasi democrazia moderna è la divisione dei poteri, individuati come il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Il loro rapporto deve essere improntato ad una equilibrata contrapposizione tra di essi in modo che nessuno di questi potesse prevalere sugli altri. Rispetto ai tempi del filosofo francese, vi sono altri potere che hanno assunto un ruolo essenziale nel villaggio globale: il potere economico e quello mediatico.
Limitando il discorso ai tre poteri tradizionali, è del tutto evidente lo scontro tra il governo e la Magistratura. Regnante il Signore di Arcore, si è tentato in tutti i modi di imbrigliarla ed attaccarla nei suoi privilegi. Il primo è di natura economica, un aspetto che si tenta spesso di dimenticare. Gli emolumenti dei politici sono legati a quelli dei magistrati. Questi possono migliorarsi le loro retribuzioni senza incontrare ostacoli, né censure politiche. La casta non si ferma in Parlamento, ma include anche la Magistratura, che gode di un regime privilegiato sia sotto il profilo economico che funzionale.
Con la riforma approvata nel precedente quinquennio berlusconiano e messa in esecuzione da Clemente Mastella, il Ministero di Grazia e Giustizia è diventato il luogo di elezione per i magistrati cui vengono affidati delicati (e lauti) incarichi diventando compagni di merenda della classe politica. Incarichi e consulenze sono lo strumento di ricatto di cui dispongono i politici per controllare i magistrati. Essi si dividono in due categorie, quelli che hanno già una prebenda da difendere e quelli che sono in attesa di averla e sono disponibili a barattare la loro autonomia e autorevolezza pur di raggiungere lo scopo. Veramente pochi sono i magistrati realmente indipendenti che possono garantire rigore ed imparzialità nei confronti della politica. "Quanto al potere giudiziario, deve essere sottoposto solo alla legge, di cui deve attuare alla lettera i contenuti”, scrive Montesquieu. La Magistratura deve essere la "bouche de la lois", e rifiutare qualsiasi commistione con gli altri poteri, tanto legislativo che esecutivo. In Italia si è molti lontani dal raggiungimento di questo obiettivo. Sarebbero necessari norme molto rigorose per regolamentare l'eleggibilità dei magistrati, e vietare qualsiasi incarico di natura politica nell’amministrazione pubblica
Meno evidente, più devastante è il connubio tra il potere legislativo e l’esecutivo. Il numero di parlamentari con incarichi di governo crescono in ogni legislatura, venendo ad assumere il ruolo di controllore e controllati, di legislatori ed esecutori di quelle stesse leggi che hanno voluto e difeso. Con la drastica riduzione del loro numero, vi sarebbe una sostanziale coincidenza tra maggioranza parlamentare “nominata” e membri del governo Lo scranno ministeriale è lo strumento utilizzato come arma di pressione per “comprarsi” il consenso parlamentare.
L’autonomia del Parlamento è fondamentale per una crescita civile della società, poiché consente di separare l’attività del governo dalla legislazione in campo etico, morale, nei settori evolutivi con forti implicazioni sociali. Il parlamento a maggioranza democristiana ha approvato leggi come il divorzio, l’aborto, la riforma del diritto di famiglia. Il rafforzamento dell’esecutivo ha posto il progresso civile nelle mani di un manipolo di ministri, con una forte caratterizzazione ideologica e incapaci di rappresentare il pluralismo della società contemporanea.
Il caso dei responsabili è particolarmente esemplare al riguardo, poiché la carica ministeriale è diventata merce di scambio, il prezzo della loro conversione politica. Lo scandalo non è nella improvvisa “conversione”. Ai sensi della costituzione, il mandato parlamentare è senza rappresentanza, il che significa che il loro comportamento nell'esercizio delle funzioni non è soggetto ad alcun vincolo, se non la censura politica e il controllo elettorale. È una norma sacrosanta che va conservata per garantire l’indipendenza e l’autonomia della funzione parlamentare. I fenomeni di malcostumi devono essere combattuti con sistemi e metodi politici, con una rigorosa selezione dei parlamentari, e norme rigide sulle incompatibilità, l'eleggibilità.
Montesquieu sostiene che "chiunque abbia potere è portato ad abusarne”, per cui è necessario che “il potere arresti il potere", una condizione che può verificarsi solo con la creazione di centri di potere assolutamente autonomi e contrapposti. Esattamente l’opposto di quanto di prefigura con la riforma Calderoli che rafforza l’esecutivo e mortifica il potere legislativo, mentre tutti gli organi costituzionale sono semplicemente d’intralcio all’attività di governo.
Per inciso, anche la proposta Calderoli nasce su un equivoco. Il 22 giugno fonti ministeriali, il ddl Calderoli di riforma costituzionale, riferivano che il testo aveva avuto l’approvazione del Consiglio dei Ministri con la clausola 'salvo intese'. Insomma il testo è stato approvato, ma da qui a settembre tutto potrebbe essere modificato. L’illustre costituzionalista che ha dato il suo nome al progetto afferma convinto: «Ci tengo a precisare come non sia previsto nessun altro passaggio in Consiglio dei ministri». E Berlusconi invita l’opposizione a collaborare «per ammodernare il nostro sistema», che costituisce una «occasione di grande cambiamento per il nostro Paese».
Che Dio ci liberi da una opposizione che cadesse in un simile tranello.
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