Non disturbate il manovratoredi Oreste Parise Mezzoeuro Anno X num. 32-35 del 3/09/2011 |
Rende, 1/9/2011
Da molte settimane ci tocca assistere al ridicolo tentativo del governo di raddrizzare i conti, una manovra inconcludente che cambia di minuto in minuto, con un premier che si muove a sondaggi..
È sufficiente accendere la radio o la televisione per trovare una ricca gamma di aggettivi per definire il tentativo del governo di raddrizzare i conti pubblici, uno spettacolo indecoroso al quale stiamo assistendo da molte settimane. La manovra economica viene qualificata come schizofrenica, caotica, inconcludente, raffazzonata, confusa, demenziale, rabberciata e via enumerando. Quello che colpisce è l'unanimità delle opinioni tra esperti, addetti ai lavori e gente comune. Per la prima volta si registra una uniformità di giudizio persino tra gli opposti schieramenti, sebbene vi è una netta divisione sulla valutazione della leadership e la necessità di un cambio della guida politica del paese. In questo si è fermi nel sostenere che una crisi di governo che si aggiunga alla crisi congiunturale sarebbe un disastro per il Paese, come sostiene lucidamente Marcello Veneziani. A prima vista sembrerebbe una opinione persino ragionevole poiché non è sensato cambiare l'autista nel momento in cui l'auto sta precipitando in una scarpata.
Quello che colpisce in questo è la totale discrasia tra causa ed effetto, se lo stato confusionale nasce dall'imperizia dell'autista o da una causa imprevista e accidentale. Nessuno vuole metterci la faccia, soprattutto il premier mossa dall'onda emotiva dei sondaggi quotidiani piuttosto che dagli efficacia dei provvedimenti che si mettono in campo.
È evidente che l'azione di governo è frutto di una totale improvvisazione, spinta dalla forza della speculazione finanziaria e dagli effetti di una debolezza dell'economia mondiale che ha colpito persino i paesi emergenti del BRIC che finora avevano svolto una funzione di traino. Nessuno può negare che vi siano delle cause esterne che incidono profondamente sulla congiuntura dei singoli paesi considerata la stretta interdipendenza che si è determinata per la creazione di un mercato mondiale. Vi sono tuttavia specificità nazionali che non vanno sottovalutate.
Lo stato confusionale in cui è caduto il governo è una conseguenza diretta dell'ottimismo forzato che ne ha caratterizzato il cammino fin dall'inizio della legislatura che ha portato non solo a ignorare i segnali di crisi, ma ha rinunciato a predisporre un piano di intervento da attivare in caso di emergenza. Vi erano numerosi segnali che la speculazione finanziaria potesse colpire il mercato azionario nazionale e mettere a nudo le debolezze strutturali della nostra economia. Quando il momento è arrivato ha colto di sorpresa il governo costringendolo a varare misure raccattate nei brain storming notturni nella faraonica villa di Arcore. E già questo costituisce un'anomalia, un comportamento da raìs mediorientale piuttosto che di un governo democratico. Un residenza privata trasformata in una sede istituzionale dove si consumano i riti del potere, e ciascuno può dare libero sfogo alla sua fantasia per esaltare la sua capacità creativa, il suo libro dei sogni che gli possa dare il suo quarto d'ora di celebrità e gli oniromanti s'incaricheranno di distruggere il giorno dopo sulla stampa. Colpisce la completa insofferenza dei vincoli normativi e istituzionali. La Costituzione, i diritti acquisiti, i conflitti di competenza, le conseguenze devastanti che possono determinare in intere categorie sociali sono quisquilie che possono ignorarsi nella costruzione delle proposte. Per anni si è è cosparso il Paese di un ottimismo ipnotico, vendendo la favola del “tout va très bien madame la marquise”. “L'ottimismo non è altro, molto spesso, che un modo di difendere la propria pigrizia, la propria irresponsabilità, la volontà di non far nulla”, scriveva Gramsci.
In questi tre anni di governo, il Parlamento è stato impegnato a discutere sul processo breve, sul processo lungo, sulla prescrizione, sul legittimo impedimento e su tutti gli espedienti che potevano contribuire a districare l'intricata matassa giudiziaria del premier tanto in sede penale che civile. La folta schiera degli avvocati operanti nella doppia veste di collegio di difesa del premier e costruttori delle norme processuali necessari ad addomesticare i suoi processi, si è affannata a escogitare interventi legislativi ritagliati su misura. La giustizia è stata il tema più dibattuto nelle aule parlamentari. Si è trattato sempre di aspetti particolari e minuti legati a note vicende processuali, mentre della riforma strutturale della giustizia non vi è ancora traccia. Marco Pannella con un ennesimo “coup de thèatre” ne sollecita l'approvazione, ma non trova molto ascolto poiché si tratta di una questione seria che non fa audience nei “talk show” e viene declassificato ad argomento di scarso interesse.
L'emergenza imprevista non dovrebbe certo costituire un ostacolo alla predisposizione di adeguate risposte legislativa, poiché il governo può disporre di tutte le competenze necessarie, soprattutto oggi con l'abuso generalizzato di consulenze su qualsiasi argomento. Nella prima repubblica non sono certo mancati gli interventi d'urgenza, le cosiddette leggi catenaccio preparate in gran fretta, ma non si era mai assistito allo spettacolo miserando di un governo costretto a rivedere, correggere, cancellare, emendare in diretta provvedimenti decisi qualche ora prima e presentati in pompa magna alla stampa. Il trio delle meraviglie Silvio, Umberto e il divo Giulio hanno superato ogni immaginazione nella capacità inventiva e nella ricerca di infiniti espedienti per nascondere la mano dove aver lanciato il sasso. La manovra è figlia di nessuno, poiché tutti rifiutano di rivendicarne la paternità. Quello che è certo è che la maggiore responsabilità ricade proprio suo trio che costituisce il “thinking tank” tecnico-politico del governo e su di loro ricade in primo luogo il pessimo giudizio riservato sulla stampa internazionale del nevrotico comportamento del nostro governo. “Le plus âne des trois n'est pas celui qu'on pense”, avvertiva Jean de la Fontaine. Nessuno di essi, né dei componenti dell'esecutivo, può scrollarsi di dosso la responsabilità di questo sfascio, l'incoerenza dell'azione, l'approvazione di norme confuse e contraddittorie.
L'approntamento della manovra ha disvelato in maniera impietosa l'incapacità e l'impreparazione dei nostri governanti, la goffaggine delle proposte, l'incultura legislativa, l'improvvisazione con cui si affrontano problemi di natura complessa come la riduzione del numero dei parlamentari o dei comuni, la soppressione delle province, gli interventi pensionistici senza una visione complessiva delle problematiche e una programmazione a lungo termine che non può che provocare caos amministrativo e sconcerto nell'opinione pubblica. Si possono abolire le province, far sparire i comuni, annullare le regioni, si può ridurre l'Aula sorda e grigia del Parlamento a un bivacco di manipoli. Qualcuno c'era riuscito marciando su Roma, qualcun altro con una legge porcata che ha ridotto i parlamentari a un branco di leccaculi alla ricerca di un posto in lista.
Particolarmente delicata appare la questione della Lega Nord, la cui sopravvivenza politica è legata a un capo carismatico a capacità limitata dalla sua malattia che in maniera sempre più evidente ne limita la capacità d'azione, costretto com'è a esprimersi con gesti osceni e suoni gutturali che richiedono uno sforzo esegetico affidato ai componenti del cerchio magico che vivono sotto l'ombra del suo declinante potere. Il patetico sforzo di declinare in termini territoriali gli interventi legislativi di qualsiasi natura cercando di massimizzare i vantaggi della Padania sta provocando un progressivo deterioramento della qualità della legislazione. Il simbolico rogo delle trecentomila leggi abrogate dall'ineffabile ministro per la semplificazione Roberto Calderoli, novello Solone, andrebbe ripetuto per tutte le invenzioni leghiste dalle Ronde Padane alle norme sulla difesa personale, dalla porcata elettorale al federalismo d'accatto.
La questione leghista è diventata una mina vagante per la politica italiana. Ci troviamo al governo ministri che hanno giurato sulla Costituzione, ma non hanno alcun timore e vergogna di esibire fazzoletti verdi nel taschino e cravatte padane al collo, offendendo la sensibilità di un terzo degli italiani che si sentono turlupinati e derisi. Andrebbero processati per vilipendio della Costituzione e invece lottano accanitamente per una lauta pensione alla fine del loro mandato.
Accanto a questa simbologia che è un aspetto non certo secondario, vi è questo continuo piagnisteo sulla condizione settentrionale, una litania diventata insopportabile poiché costituisce un ostacolo a un sereno dibattito sullo sviluppo del Paese. Le risorse devono essere utilizzate in maniera coordinata e sinergica con il coinvolgimento di tutti per cogliere le opportunità presenti sul territorio.
Nei momenti topici il Mezzogiorno viene costantemente dimenticato e le sue sorti subordinate all'interesse generale del Paese. È un film che si è ripetuto in tutti i momenti di crisi nei centocinquant'anni di storia unitaria e ha prodotto la dicotomia economia tra le due aree del Paese. Oggi paghiamo le conseguenze di politiche sbagliate, mentre proprio sul Mezzogiorno viene addossato il peso maggiore del risanamento dei conti pubblici. Il costo maggiore è costituito dal gap infrastrutturale e nel blocco degli investimenti pubblici e del finanziamento agli enti pubblici. Il trasferimento del peso fiscale a livello locale si traduce in un drastico ridimensionamento dei servizi, dalla sanità all'assistenza che si tradurrà in una dicotomia sociale molto più profonda della divisione economica con un restringimento del potere d'acquisto e del volume di consumi. La progressiva scomparsa delle classi medie ha un effetto depressivo che acuisce la crisi e impedisce qualsiasi tentativo di ripresa.
Non è possibile immaginare un percorso di crescita senza un processo armonico che coinvolga l’intero Paese. Cosa rappresenta, ad esempio, Gioia Tauro e il suo porto? Un problema locale, calabrese o ci pone in concorrenza con i paesi del Mediterraneo? Il previsto rigassificatore con la piattaforma del freddo è un interesse della Calabria o una opportunità per l’intero Paese che risponde all’esigenza strategica di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico?
L'improvvisazione e l'impreparazione sono le caratteristiche che maggiormente spiccano in questa manovra che non sono certo frutto della crisi che le soltanto fatte emergere e sono qualità del governo. Non c'è bisogno di una crisi parlamentare e della caduta del governo per accertare la totale perdita di credibilità e di affidabilità dell'esecutivo. Non c'è nessuna necessità di cambiare il governo. Il governo non c'è, è stato commissariato dalle istituzioni internazionali, è sotto la spada di Damocle dei mercati finanziari, deve obbedire ai diktat dell'asse franco-tedesco, alle prescrizioni della Banca Centrale Europea.
L'urgenza del Paese è quella di avere un governo che abbia la capacità di interlocuzione sul piano internazionale, che abbia la credibilità nei confronti dei cittadini di chiamarli alla responsabilità per affrontare un momento di profonda crisi, chiedere i sacrifici necessari per ridare slancio all'economia.
È offensivo dichiarare oggi che la manovra è più equa perché se ne sono addossati i costi sui soliti noti, dipendenti e pensionati mentre si è eliminato il contribuito di solidarietà ai redditi più elevati. Suona come una beffa scippare anni pensionistici a chi ha riscattato e pagato i relativi contributi per gli anni di laurea o del servizio militare.
È addirittura ridicolo affidare a riforme costituzionali interventi congiunturali che devono avere un riscontro economico-finanziario immediato per contrastare le operazioni speculative dei mercati. Sono interventi strutturali che richiedono un tempo molto lungo di approvazione e devono essere predisposti all'inizio della legislatura per avere il giusto di tempo di maturazione e ponderazione, poiché non possono rabberciamenti dell'ultima ora, poiché l'edificio costituzionale è una struttura complessa e bilanciata.
Un comune di 30 abitanti è una assurdità, ma forse lo è ancora di più pensare che un comune di duemila abitanti abbia le stesse funzioni di un altro di due milioni di abitanti. Come potrà avere il primo un ufficio tecnico efficiente, un corpo di vigili urbani in grado di controllare il territorio e gli abusi edilizi, assicurare una assistenza agli anziani e così via? Soprattutto sarà molto difficile creare un ufficio finanziario in grado di gestire il complesso e delicato settore fiscale dall’accertamento al controllo. Addirittura drammatico la possibilità di compensare il taglio dei trasferimenti statali con tributi locali come l’ICI o comunque si chiamerà o le addizionali IRPEF. Il problema è semmai il contrario come convincere la gente a non abbandonare queste piccole realtà, poiché la permanenza di un nucleo di abitanti costituisce un importante presidio per il territorio e al difesa di un patrimonio naturale e architettonico di inestimabile valore. Uno Stato non è un’azienda che deve essere gestita con criteri di efficienza ed economicità. Vi sono aspetti che acquistano un valore sociale incommensurabile che non può essere trascurato.
Il problema è di uscire dal guazzabuglio normativo creato con la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha delineato un sistema di enti locali e una distribuzione delle competenze che si può semplicemente definire assurdo, che determina un interminabile contenzioso e provoca un rallentamento della realizzazione di qualsiasi opera pubblica di grande rilievo. Il sistema di veti incrociati paralizza il Paese, come dimostra il caso dei rifiuti o la localizzazione delle moderne centrali a carbone.
L’essenza della crisi che sta attraversando il Paese è costituito dalla mancanza di credibilità del governo, dall’assenza di rappresentatività internazionale, per cui è doveroso cambiare l’autista, poiché il treno potrebbe deragliare, ma almeno si sarà evitato di provocare una strage nella stazione di arrivo.
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