Finale a sorpresa, arriva Banca Sviluppo

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno X num. 37 del 17/09/2011


Rende, 15/9/2011


Il lungo commissariamento della BCC di Cosenza è giunto al termine

Tutti si aspettavano un lieto fine, auspicato dagli stessi commissari. Il bilancio solido, il personale di qualità, una gestione ordinata ed equilibrata non sono bastati per un ritorno in bonis. “Ci siamo rotto i coglioni di aiutare il Sud” è grido di battaglia risuonato nelle sacrestie dell'ICCREA. È meglio affidare gli sghei in mani sicure ...


Sussurri e grida che diventano boatos nelle segrete della BCC di Cosenza. Il destino appare segnato, poiché il potere romano l’ha già consegnata nelle mani della Banca Sviluppo, inseguendo un disegno le cui fila portano lontano nel tempo. Siamo arrivati al capitolo conclusivo di una trama che ha visto nel corso degli ultimi decenni distruggere completamente il sistema economico e finanziario del Mezzogiorno, con la sparizione di tutti i più importanti e storici istituti (Banco di Napoli, Banco di Sicilia, di cui restano solo i nomi, Carical, Cassa di Risparmio di Puglia, Banca Popolare di Crotone, anch’essa vive una vita nominale, ma è tutt’altra cosa e via discorrendo). L’ultimo baluardo rimasto era proprio il sistema delle BCC, una componente minoritaria del sistema, ma che giocava un ruolo significativo nella realtà meridionale. Bisogna distruggere anche quello, seguendo un disegno imperscrutabile, ma con una ferrea logica. The final count down è iniziato.

Tutto si può riassumere in una frase lapidaria pronunciata negli ovattati uffici dell’Iccrea. “Ci siamo rotti i coglioni di dissanguarci per il Sud!” Il turpiloquio dovrebbe essere confinato nel recinto del gossip, dell’informazione spazzatura, ma ormai costituisce una componente ineludibile del registro linguistico in un Paese dove le comunicazioni ministeriali sono effettuate con i simboli dell’ombrello, molto italiano, e del dito medio, di derivazione anglosassone. La cultura leghista ha permeato non solo la classe politica, ma anche il mondo dell’informazione e della cultura.

Per capire bene i termini della questione conviene procedere con ordine e riepilogare le tappe di un calvario che stanno vivendo le BCC calabresi da qualche anno. Quattro di esse sono state commissariate, altre poste sotto osservazione, altre hanno dovuto fare un sforzo per ricapitalizzarsi proprio nel momento più difficile della loro storia. C’erano certo dei problemi di gestione, ma guarda caso tutto questo avviene quando la crisi economica comincia a mordere con ricadute devastanti sul sistema economico della regione.

Gli errori e il clientelismo gestionale non sono una peculiarità calabrese. Piuttosto sarebbe il caso di domandarsi come la maggioranze di esse abbiano potuto resistere a un vero e proprio ciclone che ha colpito l’economia meridionale. Guardando dietro i numeri si scopre che i crediti dubbi di tutte le BCC calabresi commissariate non superano il dissesto della Banca di Verdini, calcolabile tra i sessanta e i settanta milioni di euro. Per chi ha voglia (e possibilità) di leggere i resoconti ispettivi della Banca d’Italia, vi è un vero e proprio florilegio di irregolarità gestionali, mancanza di controlli e di segnalazioni nella BCC fiorentina, coperto da segreto … politico. Ma quella appartiene alla casistica della normale patologia bancaria, quello che avviene al Sud (e figurarsi in Calabria) è una conseguenza di una tara genetica della governance e del management.

La BCC di Cosenza è stata commissariata il 14 maggio del 2010. I commissari nominati dalla Banca d’Italia hanno svolto un lavoro egregio. Questo bisogna riconoscerlo, perché qualche carenza gestionale e della qualità del credito certamente esisteva. Per dirla ancora più chiaramente, l’intervento della Banca d’Italia è stato opportuno e tempestivo. La BCC di Cosenza è stata rivoltata come un calzino, passando al setaccio tutti i crediti e le procedure amministrative con criteri rigorosi e tecnicamente ineccepibili. I crediti che presentavano qualche anomalia sono stati passati a sofferenza, facendo schizzare questa posta di bilancio a circa 25 milioni di euro e nel contempo si è costituito un fondo rischi che si avvicina all’80%, una percentuale molto elevata al di là di ogni criterio di prudenza e di sana gestione. In questa maniera si è azzerato il patrimonio di Vigilanza, con la conseguenza di una paralisi gestionale, per le regole di Basilea. L’esperienza passata ha dimostrato in tutta evidenza che le sofferenza nel Meridione non si tramutano automaticamente in perdite, per il largo uso delle garanzie personali che non godono di una grande considerazione tecnica, ma sono molto efficaci per il recupero. Anche nel caso della BCC di Cosenza si è peccato di un eccesso di prudenza che ha ingigantito lo spettro delle perdite presunte.

I bravi e solerti commissari non si erano tuttavia limitati al risanamento dei conti e alla revisione delle tecniche gestionali, ma avevano predisposto anche un piano di risanamento che presupponeva qualche sacrificio, ma salvava l’autonomia e l’indipendenza della banca, che può ancora vantare un patrimonio di 2500 soci, una risorsa certamente importante per rilanciarne l’attività. Si chiedeva una decurtazione del personale di qualche decina di unità, una ricapitalizzazione e una razionalizzazione della gestione. Non va sottaciuto un aspetto importante. In tutto questo periodo di commissariamento il management della Banca è rimasto in carica e l'opera di risanamento è stato realizzato con lo stesso personale della banca, che si è dimostrato competente, efficiente e affidabile. Sono stati destituiti gli organi amministrativi (Presidente, Consiglio di Amministrazione e Collegio Sindacale), ma gli organi tecnici (direzione, funzionari e dipendenti) non sono stati toccati. Questo significa che la situazione non era poi così disastrosa. Il patrimonio di professionalità e competenze possono essere preziose per il rilancio dell'attività, poiché gestire la crisi è certamente più difficile che affrontare le problematiche della normale attività bancaria.

Negli approfondimenti successivi del “piano industriale”, si sono ipotizzati tagli del personale meno dolorosi, proprio perché è subentrata la convinzione che sarebbe stato più opportuno utilizzare le risorse e le competenze per ampliare l’attività e fornire nuovi servizi alla clientela.

L’aspetto critico è costituito dal patrimonio. Per il ritorno in bonis è necessaria una iniezione di liquidità di 15-17milioni di euro, una cifra che non è ipotizzabile si possa raggiungere con una sottoscrizione dei soci. Anche perché lo statuto non consente quote superiori a cinquantamila euro per ciascuno. Gli statuti sono un vincolo, ma non sono certo immodificabili. Si potrebbe pensare alla figura del socio finanziatore, che partecipa con una quota superiore, mantenendo il criterio del voto pro-capite. Tutto questo, però, avviene nella totale indifferenza delle istituzioni locali, delle associazioni di categoria, dei sindacati, delle imprese e soprattutto della politica. Isoli soggetti che potrebbero svolgere un ruolo attivo e decisivo, se solo esistesse questo interesse a mantenere l’autonomia e l’indipendenza della banca per aiutare l’economia locale.

Per inciso, si può ricordare che l’affanno delle BCC è anche il prodotto di uno sforzo eccezionale a favore dell’economia locale. Le sofferenze non sono solo conseguenza di errori gestionali ma in gran parte sono dovuti alle difficoltà congiunturali delle imprese commerciali e delle famiglie, che le BCC hanno cercato di sostenere al di là dei limiti imposti da una sana gestione.

Nel caso della BCC di Cosenza una rappresentanza di soci ha cercato di coinvolgere i nostri rappresentanti del governo, ottenendone in cambio una serafica indifferenza. Il disinteresse è generalizzato. Investe non solo il sottosegretario all’economia, il cosentino DOC Tonino Gentile, ma anche i parlamentari di opposizione terrorizzati forse dalla contestazione dei rappresentanti dl Nord, che non nascondono il loro fastidio di doversi occupare dei problemi del Sud. Il finale era già scritto e immodificabile. La partita che si sta giocando è tutta su un piano strettamente politico, mentre le motivazioni tecniche sono risibili e discutibili.

Per rimettere in bonis la banca, è necessaria una iniezione di liquidità che il Fondo di Garanzia costituito in sede ICCREA si era sempre dichiarato disponibile a fornire. L’operazione ipotizzata dai commissari prevedeva un aumento di capitale a fondo perduto per dieci milioni di euro, salvo restituzione nel tempo, e l’emissione di un prestito subordinato per cinque milioni di euro che la stessa BCC si era dichiarata disponibile a curarne la sottoscrizione presso i soci.

Nell’ultima riunione del fondo del 6 settembre si è avuto un cambiamento di fronte. Il contributo di capitale non viene più accordato alla BCC di Cosenza ma alla Banca Sviluppo che la incorpora, con tanti saluti all’autonomia, al territorio, alle competenze, al lavoro dei commissari. Semplicemente la BCC di Cosenza non esisterà più, come è già successo per la BCC di San Vincenzo La Costa. La perdita di ognuna di esse costituisce una ferita grave, una menomazione della capacità di governo del territorio. Quello che è più grave, è necessario ribadirlo, è che tutto questo avvenga nella più assoluta indifferenza, persino dei media locali che si occupano di sfuggita di questi problemi che provocano scarsa audience e molti danni. I pochi eroici imprenditori superstiti non avranno alcuna sponda personale e umana per affrontare le loro difficoltà, si troveranno di fronte un muro di burocrazia e indifferenza. L’esperienza dell’ex BCC di San Vincenzo avrebbe dovuto pur insegnare qualcosa. Si sono visti subito gli effetti della cura: procedure contabili molto più farraginose, appesantimento burocratico, spersonalizzazione dei rapporti, controlli ossessivi. Nel complesso una sensazione di estraneità, di lontananza dal territorio, una dirigenza fuori posto e fuori luogo.

Già ma chi è la Banca Sviluppo. Possiamo leggerlo direttamente sul sito dello stesso istituto. “Nasciamo alla fine del 1999 e diventiamo operativi nel marzo del 2000. I nostri soci sono tra le aziende più rappresentative del Movimento Cooperativo: Iccrea Holding SpA, Bcc di Roma, Bcc di Alba Langhe e Roero, Bcc Pordenonese, Bcc di Pompiano e della Franciacorta, Bcc di Bene Vagienna, Bcc di Treviglio, Bcc G. Toniolo di San Cataldo e EmilBanca (ex CrediBo)”. “Acquistiamo e gestiamo, attraverso operazioni di fusione, scissione, conferimento e acquisti effettuati ai sensi del Testo Unico delle leggi bancarie e creditizie, aziende bancarie, rami aziendali, beni e rapporti giuridici da banche di credito cooperativo o da altre banche e collaboriamo con il Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo negli interventi a favore di banche di credito cooperativo in difficoltà”. “Nel corso di questi anni di vita interveniamo in Sicilia, Campania, Basilicata ed Emilia Romagna, rilevando cinque Banche di Credito Cooperativo”.

Qualche osservazione si rende necessaria. Intanto si tratta di una società per azioni che nasce sulla carta, senza una storia e un patrimonio di esperienze che gli possa dare la competenza e professionalità di svolgere l'arduo compito statutario; non vi è l’ombra di una presenza meridionale nel suo capitale, salvo una piccola BCC pugliese. Inoltre, gli azionisti non sono operatori locali, ma soci istituzionali, una configurazione ben lontana dallo spirito cooperativistico che dovrebbe essere tipico delle BCC. In secondo luogo, non ha alcuna caratteristica di banca locale, non vi è alcun legame con il territorio e perché non ha soci laddove opera e perché il suo territorio è frammentato, illogico. Quali sono le sinergie, le economie di scala ipotizzabili tra qualche fiale operante in Sicilia e quelle dell'Emilia e Romagna distanti geograficamente, economicamente e culturalmente? Qualcuno dovrebbe pur tentare un'analisi per verificare qual'è la ratio di operazioni tanto cervellotiche.

All’inizio di quest’anno possedeva 19 filiali sparse per tutta la penisola, con l'aggiunta di quelle calabresi acquisite la primavera scorsa con l'incorporazione dell’ex BCC di San Vincenzo La Costa. Non vi è e non vi può essere un indirizzo unitario di gestione, poiché ciascuna delle sue componenti mantiene una sua specificità ineliminabile, se non con travolgendone la sua natura e trasformandola in una filiale bancaria qualsiasi. In questo caso, sé lecito chiedersi qual è la logica che porta l’ICCREA a favorire la progressiva scomparsa della specificità del credito cooperativo.

In terzo luogo si tratta di un nano che ingoia istituti sempre più grandi di lei, con maggiore esperienze professionali e competenze tecniche proprio per un più lungo e consolidato rapporto con il territorio in cui hanno operato per decenni. Una organizzazione che è quanto di più irrazionale si possa immaginare, pur considerando lo stato avanzato della tecnologia informatica che consente un dialogo costante e continuo con la teleconferenza. L'informe aggregato della Banca Sviluppo non risponde ad alcun criterio di organizzazione aziendale, poiché si tratta di un mostriciattolo che fa configurandosi in maniera casuale, inseguendo le crisi secondo un modello inesistente.

Last but not least, il suo è un bilancio in perdita e non ha una capitalizzazione adeguata per potersi consentire le acquisizioni che fin qui ha effettuato, né quelle che si prepara a effettuare. Il capitale necessario gli viene fornito, gratis et amore dei, dal Fondo di Garanzie costituito dalle BCC che in tal modo finanziano le proprie esequie. La crisi è un momento di riflessione, di ripensamento del sistema e costituisce una occasione per ridisegnare il modello, razionalizzare i territori di competenza, costituire delle realtà più rispondenti alla logica di mercato. Per questo bisognerebbe piuttosto favorire le aggregazioni territoriali, per fusione o incorporazione di organismi omogenei. In questo modo si creerebbero degli organismi sani, proattivi, in grado di interpretare le evoluzioni del mercato, intercettare i bisogni degli operatori

“Le Banche di Credito Cooperativo-Casse Rurali sono aziende caratterizzate da una formula imprenditoriale specifica, un codice genetico costituito da tre molecole fortemente interrelate: quella della cooperazione, quella della mutualità, quella del localismo”. Questo è quanto si legge nel sito della Banca Sviluppo, omettendo di dire che tutt’e tre queste caratteristiche sono completamente assenti nel suo codice genetico. Si potrebbe trovare una qualche giustificazione se l'intervento fosse temporaneo, finalizzato a ricreare le condizioni per la rinascita dell'istituto incorporato e restituirlo al territorio. Anche in questo caso sarebbe difficilmente difendibile un metodo basato sullo stravolgimento di una “personalità” gestionale per ritornarvi dopo qualche anno.

Senza voler fare dietrologia a tutti i costi, occorre cercare di capire quale strategia vi è dietro questa operazione e chiedersi quali sono i personaggi che muovono le fila. L'indiziato numero uno è certamente Augusto Dell'Erba, Presidente di una BCC pugliese, presidente della Federazione pugliese delle BCC, vice presidente della Federazione Nazionale, Presidente del Fondo di Garanzia. Né appare secondaria la circostanza che è anche presidente della Banca del Mezzogiorno di tremontiana memoria. Un crogiolo di incarichi che ne fanno lo snodo ideale per la nuova mappa del potere finanziario nel Mezzogiorno. Un “potere forte” nel sistema delle BCC, che potrebbe diventare ancora più forte se riuscisse per incanto a fondere la Federazione pugliese con quella calabrese, una operazione che gli è già riuscita con quella basilisca. In tal modo diventerebbe il dominus di quel che resta del sistema creditizio meridionale, un alter ego del Presidente Nazionale Alessandro Azzi, recentemente insignito dell'onorificenza di Cavaliere del Lavoro da parte del Presidente Giorgio Napolitano, il quale si “accontenterebbe” del Centro-Nord. Una operazione spartitoria che di fatto marginalizzerebbe il Meridione. Come scriveva Leonardo Sciascia, "in capu allu re, c'è sempri lu vicerè".

Se poi si guarda più in profondità, si scopre che nei vari organismi del sistema delle BCC i nominativi che ruotano sono sempre gli stessi che appaiono, magari con ruoli differenziati, nella Federazione Nazionale, in quelle regionali, nella Banca Sviluppo, e nei singoli istituti. Sorge il sospetto che possa esservi un insanabile conflitto di interesse tra le varie parti in causa, in tutto o in parte “coincidenti”. Si potrebbe dire che finanziano sé stessi, poiché il Fondo di Garanzia raccoglie i soldi dei soci (le BCC) li “regala” alla Banca Sviluppo che li utilizza per acquisire le BCC in crisi. Non vi è dubbio che lentamente va costituendosi un centro di potere, disorganico e disorganizzato, che potrebbe giocare un ruolo decisivo nel nuovo rebus che si va formando nel sistema delle BCC. Una creatura ancora allo stato larvale, ma che comincia già a mostrare qualche crepa tra le righe del suo bilancio. Un bel grattacapo per Palazzo Koch, che prima o poi sarà costretto a intervenire pure sulla stessa Banca Sviluppo, uno tappeto persiano sotto di cui si stanno nascondendo le crisi delle BCC sparse su tutto il territorio. Ma fino a quando? L'irrazionalità eretta a sistema non ne sana il vizio di origine.

Sarebbe auspicabile che sul futuro della BCC di Cosenza si aprisse un dibattito, perché la soluzione che si va prospettando non è certamente la migliore e non è nell'interesse della Calabria. Nel pomposo linguaggio della Federazione le “buone cooperative”, devono avere un'identità comune e condivisa, sostenere la partecipazione reale dei soci, creare relazioni qualitativamente elevate con tutti i propri interlocutori, aiutare a sviluppare il territorio in cui hanno sede, creando fiducia nella comunità. Si è proprio certi che questo obiettivo verrà raggiunto con l'intervento della Banca Sviluppo?

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