ARSSA, ARSSA delle mie brame

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno X num. 41 del 15/10/2011


Rende, 12/10/2011


Non è rimasta che qualche agitazione sindacale

Dopo la famosa notte in cui con un tratto di penna si è deciso di attuare una rivoluzione con la cancellazione dei più importanti enti agricoli regionali e l'accorpamento delle ASL, è cominciata una lenta agonia. Sulle opime spoglie si è accesa una lotta senza quartieri, perché si tratta di un ricco patrimonio immobiliare e clientelare. Ogni sua parte “vale” migliaia di voti.


Che fine ha fatto l'ARSSA? Torna alla ribalta solo per qualche agitazione sindacale, ma sulle sue sorti, la sua funzionalità, le prestazioni che avrebbe dovuto fornire per lo sviluppo dell'attività agricola nessuno se ne preoccupa più. È necessario accendere i riflettori sulla vicenda perché è un caso di scuola del malgoverno della cosa pubblica in Calabria, che non conosce confini politici o ideologici. L'unica preoccupazione è quella di realizzare affari sulle spalle dei cittadini. Le sorti dell'agricoltura, che pur viene sempre richiamata come uno dei settori prioritari per lo sviluppo, non interessano più nessuno. Gli stessi sindacati e i lavoratori che rappresentano sembrano più preoccupato per la tutela giuridica dei lavoratori che dell'efficienza e produttività dell'azienda. Alla fine è sempre la Regione a pagare a piè di lista le retribuzioni del personale a prescindere dalla quantità e qualità della prestazione. Tuttavia l'ARSSA rappresenta un groviglio di questioni.

Un aspetto curioso della questione è il guazzabuglio normativo. Mentre se ne decide la soppressione, si mantiene in vita la legge regionale sui servizi di sviluppo, senza indicare chi dovrebbe svolgere quei compiti una volta completato con successo l'omicidio di quell'ente. La politica liquida l’Arssa e assicura i servizi all'agricoltura!!! Un po' come il contadino che aveva abituato il suo asino a non mangiare …

Un'altra perla è costituito dai circa mille dipendenti inquadrati in almeno sette categorie contrattuali con la conseguenza che per lo stesso inquadramento e funzione si hanno livelli retributivi abissalmente diversi. Oggi, inoltre per effetto della legge Brunetta, il personale inquadrato nel pubblico impiego, per imperativi di economicità non può andare in missione o fare straordinario. Una limitazione che non si applica ai dipendenti con contratto privato, i quali possono sforare il bilancio e arrotondare il loro stipendio con straordinari e missioni.

La conseguenza è che circa un terzo dei dipendenti (268 su 952) con contratto di tipo privatistico “pesano” sul bilancio dell'ente tre volte in più del personale con inquadramento pubblico. Questo non ha nulla a che vedere con la produttività e la qualità della prestazione del personale.

I dipendenti con inquadramento pubblico si perciò sentono “curnuti e mazziati” poiché la loro assunzione è avvenuta per concorso pubblico e sono inquadrati con il contratto collettivo dei dipendenti regionali e degli enti locali. Questo lascia intendere che gli “altri” sono doppiamente privilegiati, tanto all'atto dell'assunzione avvenuta per “investitura politica”, che nell'inquadramento nel settore privato che garantisce retribuzioni più elevate e stabilità d'impiego e flessibilità d'utilizzo. I “pubblici” sono circa 270, di cui 220 divulgatori agricoli.

Inoltre una parte di essi (circa il 30%) già lavora presso il Dipartimento Agricoltura, in forza di una convenzione sottoscritta con la Regione, impegnato direttamente nel Piano di Sviluppo Rurale (PSR).

Gli altri, i “privati” sono arroccati nella cittadella di Viale Trieste in un sereno torpore in attesa della definizione della loro vicenda, ma nell'assoluta certezza di conservare i diritti acquisiti. Contro questa palese “ingiustizia” i dipendenti “pubblici” si sono costituiti in comitato e chiedono che il settore pubblico dell’agenzia sia direttamente incorporato alla struttura del Dipartimento agricoltura dell'Assessorato regionale.

Forse avevano ragione Nicola Adamo e Leopoldo Chieffallo quando hanno deciso di cancellare con un tratto di penna tanto l'ARSSA che l'AFOR. Vi erano troppe complicazioni e la soluzione migliore per sciogliere il nodo di Gordio era lo stesso di quello utilizzato da Alessandro Magro: un forte e preciso fendente. Si è però proceduto nel buio più pesto, buio di idee e di progetti s'intende. Non si sapeva bene che fare. Vi era solo la vaga aspirazione di privatizzarle sottraendole al cangiante potere politico per metterle al sicuro sotto l'ombrello amico e garantirsi un bacino elettorale perpetuo. Per il nostro ente era già in “pole position” la Fondazione Terina, mentre per l'AFOR le opzioni erano diverse, ma tutte ugualmente utili per la creazione di una serie di opportunità per la cattura del consenso. La difficoltà di raggiungere questo obiettivo è costituito dagli ostacoli frapposti da tutti gli esclusi che vedevano sottrarre al bottino dello “spoil system” una componente importante, a favore di un solo gruppo, tradendo l'equilibrio consociativo che da sempre regge le sorti della Regione.

Nonostante tutte le difficoltà, la precarietà dell'ente, lo stato di agitazione del personale, il disorientamento della politica, non mancano iniziative di respiro culturale e molti sono i dipendenti sinceramente preoccupati per le sorti del proprio istituto. Venerdì 30 settembre scorso, ad esempio, nella Sala Conferenze “Michelangelo Baldassarre dell’Archivio di Stato di Cosenza, si è tenuto il seminario di presentazione dei risultati del progetto “Azioni informative di accompagnamento al processo di modernizzazione dell’agricoltura calabrese dirette a imprenditori agricoli”, con una larga partecipazione di pubblico, a dimostrazione del fatto che forse l'ente meriterebbe un maggiore rispetto e una maggiore considerazione da parte della Giunta Regionale che stenta a trovare una soluzione accettabile. L'agricoltura fornisce ancora un contributo significativo al PIL regionale e il suo apporto potrebbe migliorare sensibilmente solo si dedicasse una maggiore attenzione al comparto.

L'ipotesi di privatizzazione è vista come il fumo negli occhi da parte di sindacati, che chiedono a gran voce che l'Agenzia resti pubblica senza alcuna distinzione tra le varie attività. Proprio la confusione dei ruoli ha portato all'attuale disastro e senza un processo di razionalizzazione non è possibile immaginare alcun futuro di questo ente sempre più scassato. La difesa ad oltranza dei diritti di lavoratori senza considerare le esigenze di gestione costituisce un ostacolo insormontabile a ogni piano industriale.

Ma quali sono le attuali competenze e come sono gestite con il personale in carica all'ente? Formalmente niente è cambiato rispetto alla legge istitutiva con tutti i limiti e i vincoli del ridimensionamento finanziario annuale del Piano dei Servizi approvati con la legge regionale 19 del 1999. Si arriva al paradosso che l'ARSSA in liquidazione, dovrebbe continuare a fornire servizi di sviluppo in agricoltura, compresi sperimentazione e ricerca. Insomma si affida a un fantasma l'attuazione di una legge regionale, considerata importante e attuale.

In ogni caso, il riordino dell'ente era assolutamente necessario per ridurre la propria attività a quelli che sono i suoi compiti istitutivi. Alcuni di questi servizi sono garantiti dal “poco” personale ARSSA collocato nelle diverse strutture centrali, periferiche e nei Centri di Divulgazione Agricola del Dipartimento dell'Agricoltura La gran parte di questo personale è, invece, impegnato nell’istruttoria delle pratiche del PSR (Programma di Sviluppo Rurale) 2007-2013. Questo vuol dire che la Regione, ovvia alle proprie carenze funzionali utilizzando il personale del pubblico impiego dell’Arssa, mentre l'inefficienza o addirittura l'incapacità dell'ARSSA di garantire servizi all'agricoltura è uno degli argomenti utilizzati per giustificare la trasformazione dell'ARSSA in un azienda e procedere al completamento del disegno originario di privatizzazione.

Sono cambiati gli scenari politici, sono cambiati gli uomini, ma gli appetiti sono sempre gli stessi e insoddisfatti. Il diffuso malcontento del personale e la protesta dei sindacati ha più di una giustificazione poiché è evidente che non si può accusare l’Arssa di non ottemperare ai propri compiti di istituto e dirottare i suoi elementi migliori a svolgere compiti assessorili e si continua a ridurre le risorse finanziarie del Piano dei Servizi.

Per razionalizzare la gestione, in via prioritaria bisogna procedere inoltre alla sistemazione del suo ingente patrimonio immobiliare, costituiti da beni immobili sparsi per tutto il territorio regionale. Si va dall'Albergo Florens di San Giovanni in Fiore alle funivie Tasso di Monte Curcio a Camigliatello Silano e Cavaliere-Botta Donato a Lorica. Per non parlare delle aziende agricole, dei camping, di parco giochi e via discorrendo. Molte di esse sono chiuse da anni, mentre in internet si continua a pubblicizzarne l'attività con evidente discredito di tutta la regione. Ad esempio su InfoCosenza.it appare in esercizio il Camping ARSSA Lago Arvo.

È evidente che sarebbe necessaria una razionalizzazione con la cessione di tutti i beni e l'attività che non rientrano tra le funzioni proprie dell'ente. Questo coacervo di beni immobili dovrebbe essere dismesso attraverso le ordinarie procedure di alienazione del patrimonio pubblico. Ma se si organizza il Settore Patrimonio, c’è da lavorare per almeno altri dieci anni.

Ci sono attività, come quello degli impianti di risalita, che richiedono una preventiva sistemazione per poter pensare a una privatizzazione. Nonostante le belle parole il loro esercizio è in perdita, per il mancato decollo turistico della Sila ed è difficile immaginare un incremento nei prossimi anni tale da garantire il superamento del break-even point. Qualsiasi privato dovrebbe essere comunque supportato da un congruo contributo pubblico per assumere l'onere di gestione dei questa struttura. Il commissario liquidatore, insieme con l’Assessore all'agricoltura, assicurano di aver trovato una ventina di milioni di euro per la messa in sicurezza degli impianti. Intanto, ormai siamo alle porte dell'inverno ed è sicuro che anche quest'anno resteranno chiuse. Non solo. Il personale è a tempo indeterminato e viene pagato tutto l'anno, anche quando gli impianti sono fermi. Un po' come succede in Sicilia dove vengono pagati dei dipendenti regionali per spalare la neve ad agosto sulla spiaggia di Mondello. I nostri possono trovare utile occupazione nel raccogliere funghi e discutere di calcio.

In ARSSA si raggiungono situazioni davvero paradossali, sembra di essere nel castello kafkiano. Al momento non ci sono dirigenti di ruolo. Ve ne sono solo quattro in servizio, due

sei quali provengono dal comparto, sono cioè funzionari apicali “nominati” dirigenti e due provengono dallo staff dell’ExEsac Impresa. Questo porta ad una grande confusione e spesso alla pratica impossibilità di procedere nel lavoro. Proprio il Settore Patrimonio è completamente paralizzato. Il dirigente nominato dall'esterno, di matrice UDC, ha rassegnato le dimissioni per cui non si può più procedere ad alcuna attività perché nessuno ha il potere di firma. Sin dai

tempi di Donato, presidente la FP–CGIL sosteneva che non si poteva erogare alla legge per gestire l’Arssa, e. per quanto commissariata, era necessario bandire un regolare concorso per dotare l'ente del necessario personale direttivo che lo ponesse nelle condizioni di poter operare. La paralisi delle attività in cui si caduti oggi offre una valida scusa per procedere al totale smantellamento dell'ente poiché non è più in grado di garantire la gestione corrente.

L'ente è in grave difficoltà, ma la politica continua a trattarlo come la gallina con le uova d'oro dove vengono collocati personaggi senza alcuna qualifica e competenza per ricompensarli dei favori politici.

Un aspetto delicato è costituito dalla ricerca, un fiore all'occhiello che è oggi quasi smantellata, insieme alle aziende agricole, alla sperimentazione e divulgazione agricola.

Quale scenario è delineato a livello regionale per il futuro dell'ente? L’Assessore Michele Trematerra e il sottosegretario Alberto Sarra si erano fatti promotori di una proposta di legge di riforma che, nelle intenzioni avrebbe dovuto coinvolgere tutti gli enti operanti nel settore agricolo, ARSSA, AFOR e Comunità Montane e mantenendo sostanzialmente unito l'ente, salvo la dismissione delle sole attività non istituzionali. I sindacati unitariamente hanno avversato duramente il progetto con un documento che stronca radicalmente il tentativo, chiedendo di considerare separatamente la materia e bocciando definitivamente l’intenzione dell’assessore di aziendalizzare l’Arssa, cioè di privatizzare il settore pubblico di competenza dell’agenzia agricola regionale. Il documento era stato richiesto formalmente dall’assessore dopo i primi incontri con le parti sociali, avvenuti quando ancora il testo non fosse stato fatto proprio dalla Giunta Regionale.

L'uscita sindacale ha di fatto favorito la politica, sembra aver fatto un passo indietro, scegliendo di procedere per temi, senza confondere enti e funzioni, con la logica dello spezzatino. Un metodo che si adatta molto meglio alla prassi consociativa e distributiva.

A distanza di un anno e mezzo dall'insediamento, non vi è una proposta ufficiale della Giunta. L'Assessore Trematerra ha inaugurato una stagione di confronto, per cercare di coinvolgere i dipendenti, per il tramite dei sindacati, per cercare insieme una soluzione al rebus ARSSA.

L’assessore annuncia che fra poco ripresenterà una proposta specifica per l’Arssa, ma vi è ancora un grande scetticismo, poiché in tutti questi anni nessuno ha mantenuto fede agli impegni. Sono soprattutto i dipendenti “pubblici” i più agguerriti e sospettosi e hanno dichiarato lo stato di agitazione. Giovedì pomeriggio prossimo a Lamezia terranno un’assemblea per decidere come proseguire la lotta contro la l'ipotesi di privatizzazione.

Il nuovo commissario, Maurizio Nicolai, si è insediato l'estate scorsa e non ha ancora avuto il tempo di formulare un progetto, ma su di lui pende, in qualità di responsabile del PSR, una ipotesi incompatibilità o di inopportunità politica per il doppio ruolo di controllare e controllato per i progetti predisposti dalla stessa ARSSA.

Chi è autorità di gestione del PSR non può, contestualmente essere rappresentante legale di un’Agenzia che beneficia dei fondi messi a bando dal PSR stesso. Questo rimane vero anche in questo momento in cui il conflitto è diventato una piaga endemica.


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