Il Puttino

altramente detto

Il Cavaliero Errante

del Salvio sopra il gioco de’ scacchi

con la sua apologia contro il Carrera

diviso in tre libri

di

Alessandro Salvio

In Napoli nella Stampa di Giovanni Domenico Montanaro, 1634

LIBRO SECONDO

Nel ponteficato della felice memoria di Gregorio XIII, Pontefice Massimo, si ritrovava Leonardo da Cutri detto il Puttino in Roma, dove vacava allo studio delle leggi; (benchè più al gioco degli scacchi egli attendesse), laonde era in tanta eccellenza venuto, ch'ancor che giovanetto fusse, per eccellente che s'era in Roma, egli vinceva: & per essere egli di sì poca età, il nome di Puttino se le dava; avvenne che in tanto, che nella Corte del buon Re Filippo Secondo, vacò un beneficio di non poco momento, del che mosse Rui Lopes (detto il Clerico di Zafra) il primo giocator di Scacchi di quel tempo in tutta l'Europa, & huomo di molte belle lettere, venne in Roma, acciò quello potesse ottenere, e tra 'l mezzo ch'egli trattava havere il beneficio non potendo contenersi di non mostrar il suo valore, informatosi dove si teneva la conversatione di detto gioco, v'andò, & ivi conferitosi per alcuni giorni mostrò non saperne, alla fine scorgendo, che niuno arrivava al volore del buon Leonardo, con molto bel modo si pose a giocare con lui di pari, & essendo occorso molti belli giochi, e dall'una, e dall'altra parte, alla fine la sottigliezza del giovane, non potè all'esperienza del vecchio resistere: per lo che un tanto disgusto recò al buon Leonardo, che quasi non ardiva di rimirare a miuno dell'assenti, non restandosi altra speranza, che al seguente giorno forse vendetta farne potesse: il che al contrario succedè, d'onde aggiungendoli maggior scorno, partissi da Roma, & con uno suo zio senza dir nulla, il seguente giorno inviossi per la via di Napoli: ove gionto andò di stanza nelle case di Monsignor dell'Isola, sotto il Tempio di San Martino; ivi poi fece studio particolare quasi due anni con un suo zio, e parendo d'essere arrivato a perfettione tale, che si di nuovo col suo inimico s'incontrasse, che vincitor egli si fusse. Rui Lopes in tanto, havendo ottenuto dal Sommo Pontefice quanto egli desiderava, ritornò in Madrid, del che Leonardo havutone nova da alcuni suoi amici, si dispose andarvi: ma prima che partisse voleva avviarsi in Cutri sua patria, tra questo mentre egli trattenevasi in casa del Signor Principe di Gesualdo Don Fabrizio Gesualdo nomato, il quale essendo di molto sapere in detto gioco teneva di continuo accademia in sua casa. Avvenne in tanto, che Paulo Bove detto il Racusano, anch'egli giovane e gran giocatore de scacchi, mosso da generosa invidia della fama del Puttino, che per tutto risonava. Si partì dalla sua patria per andarlo a ritrovare, e vedere se il suo sapere era minore, o maggior di quello di lui; e venendo nella Città di Napoli, informatosi là dove si giocava, il giorno seguente si conferì in casa del signor Principe, dove vedendo più partite di giocatori, si pose a vedere casualmente giocare Leonardo con il detto Principe, non sapendo che colui il Puttino fusse; così quelli giocando ne avvenne, che il detto gioco pareva fusse vinto; ma effettivamente se impattava; per lo che Leonardo andava trattenendosi che il Signor Principe non si avvedesse del tratto, come effettivamente avvenne: per il che finito il gioco disse Leonardo al Principe, che in niun modo si poteva impattare, se non fusse stato più che eccellente giocatore, essendo il tratto molto occulto. Haveva tra mentre il buon Paolo visto il tutto, & per vedere se colui diceva il vero, disse, con buona gratia del Signor Principe, quando egli così comanderà pigliarò io d'impattare detto gioco; prese il partito il Leonardo, ottenuta licenza dal Principe, con sicurtà grande de vincerlo (non potendosi considerare, che colui fusse di simile sapere) onde posto il gioco come se ritrovava, a tempo che si è detto di sopra, incominciorno a giocare; e perchè Paolo al primo tratto venne a dare chiarezza, ch'egli haveva visto il tutto; Leonardo arrestò, & vedendo a se stesso, nominare disse Leonardo sta in cervello, che il tuo contrario tira da senno. Ma vedi pure l'ultimi colpi corrisponderanno al presente, restò oltre modo allegro il Siracusano, intendendo, che colui fusse il suo rivale: per lo che li soggiunse: ne potrai star molto sicuro Signor Leonardo, ch'io sappia il gioco dove vada a cadere, ne sarei il Siracusano, s'il tutto visto non havesse: già il gioco finisce in questo modo; piacemi molto haverlo visto, e che di tanto sapere egli sia, ne per altro costà sono venuto, mosso dalla sua fama, che per giocar seco, per lo che la prego (quando il Signor Principe così comanderà) diamo principio a così honorevole passatempo; accettò allegramente il buon Leonardo, e via più li fu caro, quanto che il suo rivale fusse dì gran giocatore: onde ottenuta dal Principe la licenza, postosi su l'arringo diedero principio a si piacevole, & honorata contesa. Surse tra l'altri giocatori un mormorio di sì fatta disfida de pari di sì gran giocatori: per lo che ciascheduno lasciando il suo gioco, si pose a rimirare quello, che fra quei due n'avvenissse: con tanto loro gusto, che parea loro, che maggior alcun altro degno spettacolo recare no potesse: venne per forte a roccare il primo tratto al Siracusano: per lo che incominciando dalla Pedona del Re, quanto va Leonardo fando l'istesso, si venne a fare il Gambitto, nel quale e dall'uno, e dall'altro si fece il possibile: l'altro a difendere la Pedona, e l'una ad offendere il contrario. Vedevasi nel Puttino fortezza di gioco, e tardanza a mutare i pezzi; in Paulo poi prestezza, e sottigliezza de' tratti. Alla fine dopo haver giocati molti giochi, essendo tardi restorno di pari honore, havendo hor l'uno, hor l'altro guadagnato, & hora impattato; il che diede al Principe, & a quell'altri giocatori gran gusto. Partendosi dunque col pigliar licenza dal Principe, si appuntò pr il seguente giorno non si mancasse: per lo che con gran desiderio da tutti s'aspettava la seconda battaglia, lo che segue si dirà nel seguente capitolo.

Capo II

Si diede fine, nobilissimi signori, nel passato ragionamento, del successo di quei valorosissimi giocatori: onde io ripigliando l'incominciata tela della mia historia dirò, che Leonardo vedendo per sì nuova occasione, ch'il Principe non lo farebbe partire così presto come egli vorrebbe; si dispose in ogni modo partirsi: per lo che lasciando ordinato a suo zio, che l'escusasse col Signor Principe, la mattina seguente prese una barca a sei remi al moio piccolo, & inviossi veso Cutri sua Patria: dove in pochi giorni felicemente arrivò, & essendo e dall'amici, e parenti ricevuto, ivi trattenuto per alcuni giorni, avvenne ch'alcune fuste de Corsari presero molti christiani per loro schiavi, e fra l'altri vi fu un fratello di detto Leonardo: ma alzandosi bandiera di riscatto v'andarno tutti quelli, ch'amici, o parenti v0haveano, e fra l'altri toccò anco a Leonardo d'andarvi, ritrovò per sua buona sorte il fratello nella Galea dove stava il Rais, col quale accordandosi per lo riscatto in duecento ducatoni: mentre l'altri trattavano i riscatii dell'altri, Leonardo pose gli occhi alla poppa della Galea, dove vi vidde un Scacchiero, alla cui vista oltre modo rallegrossi, credendo, con quella occasione farvi il fatto suo: il Rais vedendolo così fissamente rimirare lo Scacchiero, li disse s'egli s'intendeva di detto gioco, e dicendoli egli di si, replicò il Rais se voleva con esso lui giocare, & essendo d'accordo, si diede principio al gioco (andando cinquanta scudi per volta). Leonardo con molta facilità li guadagnò il riscatto del fratello, & anco duecento altri ducatoni, del che il Rais, che per eccellente giocatore tenevasi restò oltre modo meravigliato: ma via più dopo che Leonardo li mostrò alcune sue cose particolari: onde il Rais tosto li restituì il fratello, e li diede ancora docati duecento, pregandolo con molta instanza, che con esso lui in Costantinopoli andare volesse, che l'assicurava su la sua fede di ritornarlo salvo, e sicuro alla sua patria, e con molta ricchezza, ricusò Leonardo il partito del Turcho; onde tolto da quello licenza se ne ritornò alla sua casa con molta allegrezza,e contento: ivi pochi giorni dimorato con Giulio Cesare da Lanciano partissi per Spagna, ritornando per la volta di Napoli alla larga inviandose verso Genova, ivi fuori della sua opinione molti giorni dimorò; accadendoli alcune cose degne da raccontarsi, come nel seguente capitolo dirassi..

Cap. III

Arrivato Leonardo nella bella città di Genova li parve molto vaga, e gentile: e perchè vi ritrovò conversatione molto principale del gioco de' Scacchi(oltre che vi si giocava all'ingrosso) vi si trattenne fuori del suo intento, e via più per haver egli presa intrinsechezza grande con un Gentilhuomo nominato Giorgio, il quale oltre l'essere molto ricco, era di sì nobile, e gentile conversatione, che tirava ciascheduno ad amarlo, essendo egli amico fuor di misura di forastieri, e virtuosi. & in particolare de' giocatori di Scacchi; essendo che non solo egli: ma la sua moglie ancora con una sua unica figliuola si dilettava grandemente di tal gioco, per la cui dimestichezza fu egli riputato da tutti, che suo parente fusse. Venne il buon Leonardo in tanto ad invaghirsi di detta giovane, & ella di lui: per lo che vennero ad atto di promissione di matrimonio, come già fede se ne diedero: assicurando la giovane il buon Leonardo, che sdegnar non la potesse di parentado, con appontamento però dopo lo suo ritorno chiederla al padre, già che egli alla Corte doveva prima andare: per lo cui affetto vi lasciò Giulio Cesare suo creato, fingendo, ch'ammalato fusse, & uno de' creati di lei portò seco; ciò appontato fra di loro chiesto licenza da tutti inviossi verso la Corte, & imbarcatosi in pochi giorni giunse in Marseglia, ove li fu di molto proveccio; indi di nuovo imbarcato, gionto in Barzellona, s'incontrò a giocare con Tomaso Caputo detto il Rosces eccellentissimo giocatore di Scacchi, il quale al pari fu vinto da Leonardo, ma dandoli Pedona, e mano egli restò perditore: conoscendosi poi per Regnicoli ferma lega tra di loro, con ponersi giontamente in viaggio verso la Corte (già che detto Rosces per esservi stato 28 anni era molto prattico del Paese) così partitosi ritrovorno fra il viaggio il Signor Giovanni Rodriquez poco meno del Rosces nel sapere di detto gioco, e molto suo amico col quale fando egli amichevoli accoglienze, dopo i bracciamenti dimandolli il Rodriquez ove egli andasse, e dicendogli egli nella Corte: li soggiunse colui s'egli volesse venir seco in una aldea non molto lungi da loro, che farrebbono un bellissimo colto con un valoroso giocatore: il quale con molta stratagemma havea guadagnato a lui molti scuti; rispose il Rosces, ch'egli molto volentieri lo farebbe, e che mai non haverebbe ritrovata miglior occasione della presente: perché dove egli non fusse bastante, v'era il signor Leonardo suo compagno, & amico; per lo che li raccontò quanto con esso avvenuto l'era, e che egli si fusse; restò oltre modo allegro l Rodriquez, e fatta riverenza al Signor Leonardo, s'escusò seco, che non havendolo conosciuto li perdonasse se non havesse fatto il debito con esso lui, come se li conveniva; e già che il Rosces l'haveva detto il suo valore, se l'offeriva non meno per amico, e sevidore, che Rosces suo compagno l'era; accettò Leonardo la scusa, & abbarcciatolo per amico, e compagno lo prese; e così giontamente verso l'Aldea predetta presero il camino, concertandosi insieme di quanto s'haveva da fare, come nel seguente capitolo.

Cap. IV

Partiti come si disse di sopra li tre cari, e collegati compagni verso l'Aldea predetta, si concertorno tra di loro, del modo, c'havevano da tenere, acciò il burlatore burlatore restasse: onde conclusero in questo modo, ch'il Rodiquez, e 'l Rosces partissero avanti, & arrivassero prima di Leonardo nell'Aldea predetta, & albergassero nella stanza dove il Rodriquez prima alloggiato aveva, e che Leonardo dopo gionto, andasse nell'osteria comune a tutti i viandanti, e fingessero tra loro non conoscersi; indi poi la notte giontasi, e determinare lo che s'haveva da fare; così partitisi i due restò Leonardo solamente col suo creato, quelli dunque caminando di buon galoppo arrivorno per tempo al loco desiderato, e lasciati i cavalli nell'albergo, andorno subito giontamente in casa dl detto giocatore detto il Mocciaccio: parlava il Rosces la lingua spagnola neglio di qualsivoglia persona nativa, onde per Spagnuolo da tutti riputato era: gionti dunque dal Mocciaccio dimandò colui al Rodriquez la causa del suo ritorno; al che rispose il Rodriquez che per la strada aveva ritrovato il Signor Tomaso suo amico giocatore di Scacchi, col quale diffidatosi a giocare non vi essendo loco più da vicino, & opportuno, erano venuti da lui; allegrossi il Mocciaccio di sì buona occasione: poiché egli teneva per fermo dover fare il trionfo sopra il vincitore: già che egli poteva giocare quasi dl pari con ambe due: ma faceva del goffo per farsi dare avantaggio. Diede loro subbito l'armi, & adaggiato, e comodo luogo: già che di quelli conversatione continua. E cominciando eglino a giocare al pari, dopo alcuni giochi non si fe' dimostratione alcuna di guadagno, restando si bene per lo seguente giorno venir a giocar di nuovo. Così inviatosi verso l'alloggiamento preso, incontrorno Leonardo, il quale fingendosi non conoscerli, attese a vedere dove eglino andassero,e segnata la casa ad un hora di notte l'andò a ritrovare: s'appontò tra di loro, che la mattina seguente s'havessero a ritrovare in Piazza: onde poi giontamente andassero in casa del Mocciaccio, e che Rosces giocasse con Leonardo co darli un pedone, & ed in quelli si continuasse per due giorni, fingendo d'esserno disfidati insieme, e che casualmente fussero incontrati in detta Aldea; la mattina seguente si diede esecutione all'appuntamento preso, e gionti nella casa del Mucciaccio si pose a giocare Lenardo col Rosces, come s'è detto, restanto alla fine perditore Leonardo in alcuni giochi, i quatrini del quale finsero i due, dico il Rodriquez, e 'l Rosces spartirseli egualmente, partiti dunque sul tardi s'appontò per lo giorno seguente, così venuta l'hora stabilità Leonardo andò solo in casa del Mucciaccio prima che arrivasse il Rosces con il compagno: per lo che il Mocciaccio credendo egli far la caccia prima invitò Leonardo a giocar seco, Leonardo ricusò l'invito, e scusandosi, che mentre si ritrovava nel ballo col Rosces, voleva con lui finirlo: fingendo ch'egli volendo andare in corte haveva smarrita la strada, & arrivato in detta Aldea casualmente s'incontrò col detto Rosces, e compagno, e ragionando de Scacchi s'erano disfidati insieme, e già vi s'era intricato voleva perderci un centenaro di scudi: alla fine tanto colui lo stimolò, che a Leonardo non parve perdere l'occasione: per lo che di pari si posero a giocare, arrivò poco dopo il Rosces, e 'l Rodriquez, e burlando dicevano non era conveniente che egli prendesse il loro pippione, che buscato s'havevano. Il buon Leonardo s'andava trattenendo infino a tanto, che l'arrivò a giocarsi ducati 50 il gioco, quali haveva egli perduti, che cavandosi la borsa mostrò d'esser corrivo, e mostrando molte doppie, disse voler giocarsele tutte: per lo che il Mucciaccio tanto più aprì gli occhi al quatrino, e giocando allegramente il buon Leonardo l'andava temporeggiando, alla fine dopo molto andar interpellatamente non per forza di tratti si trovò vincitore in ducati 150. Il Mucciaccio radoppiando la partita si ferno due giochi patti, il terzo lo perdì il Mucciaccio, e pagandoli che perduto havea, volse che per lo seguente giorno ritornasse, come in effetti vi ritornò, dove ritrovò molti signori, ch'intesa la nuova dell'insolita perdita del Mocciaccio tutti vi corsero, così di nuovo attaccatosi il giuoco, Leonardo con bell'arte guadagnò al detto settecento scudi; e di modo tale, che quello si teneva per sicuro di vincerlo, poiché per suoi errori lo faceva vedere, che vincitore divenisse; così ritiratisi l'amici nell'alloggiamento si disposero la mezza notte partirsi dubitando d'alcuna burla, onde pagato l'hostiere lasciorno una loro scritta, la quale contineva che non si meravigliasse se l'uccellatore fusse rimasto uccellato: poiché non conveniva far burle a poveri forastieri, e che in ricompensa poco havea perduto; e si bene eglino haveano guadagnato più di quello, che perduto havea il suo compagno; nulladimeno haveano fatta la vendetta dell'altrui, e sgravata la sua coscienza: per lo che lo soverchio lo doveano dare a' poveri: onde nella Corte l'aspettavano, dicendoli i loro nomi, e che volentieri l'havrebbono dato lo de più, come poi avvenne, che andando colui nella Corte il tutto a colei volsero restituire, quale loro bene disse, e restorno amici, essendo dopo partiti verso la Corte li sopradetti compagni, postisi sopra un carro con altri passaggieri lo penultimo giorno di lor viaggio per giungere alla Corte, la sera ritrovorno un hoste, il quale facendo alcuni partiti sopra il gioco de Scacchi, guadagnava molti quattrini a' viandanti; laonde volendo fare il medesimo a predetti compagni, egli stesso caddè nel fosso, c'have per altri acconcio, con perdervi alcuni scudi. E così quelli partiti il giorno seguente arrivorno nella Corte prendendo alloggiamento di una signora nominata Donna Isabella conoscente del Rosces, per alcuni giorni si stero a spasso, ma informati dove stava la conversatione d' Scacchi, e ch'ivi Rui Lopes di continuo giocava: il giorno seguente andorno in detto loco, & a quel punto ritrovorno Rui Lopes, che giovaca con un giocatore, al quale solamente un pedone dava per avantaggio, nel qual gioco molti signori erano presenti, & spettatori, furno eglino come forastieri molto honorati, e richiesto loro dicessero, se fussero giocatori: fu loro da Leonardo risposto di sì, e per giocare erano venuti s'havessero ritrovati loro uguali; a questo dire alzò gli occhi il Lopes, e vedendo ch'erano Italiani si rallegrò molto, credendo con essi loro fare qualche guadagno, per lo che disse loro, che s'alcuno d'essi volesse con lui giocare, che volentieri giocarebbe; conobbe il detto Leonardo il Lopes: onde le disse, che con esso lui giocarebbe al pari, e giocar de cinquanto scudi il gioco: surse un mormorio tra quelli Signori per le parole di Leonardo, altri tenendolo per sciocco, & altri per huomo di sapere; poiché per essere forastirero, se non si sentisse tale, non venirebbe a simile contesa, contentossi il compagno del Lopes lasciare il gioco per vedere la battaglia: laonde postosi Leonardo nel loco dove colui stava, acconci i Scacchi, il primo tratto toccò a sorte al buon Leonardo. Stavano tutti quelli Signori a vedere se 'l valore dell'Italiano fusse tale, quale egli si diceva: e vedendo, che avantaggio alcuno nel gioco non vi era, e che al primo gioco fu patto, caddè egli in maggior stima in mente di quelli Signori, il quale continuando il gioco, non volse Leonardo per quel giorno vincere: al seguente giorno restò egli vincitore in un gioco, & appontossi per l'altra giornata. Divolgossi la fama per la Corte: onde molti Signori più dell'ordinario vi vennero: per lo che molti traversavano all'ingrosso, altri in favore de Leonardo, & altri del Lopes; tra mentre il Rodriquez, e 'l Rosces non mancarno fare il debito loro con altri giocatori; Leonardo in tanto giocando, non volse egli restare vincitore, che in un gioco, non volendo mostrarsi a fatto quanto sapeva, riserbandolo ad altra occasione.

Capo V

Fra questo mentre venne all'orecchi dl buon Girone competitore, & uguale al Lopes, come l'Italiano maltrattava il compagno. Per lo morso da gran desio, si partì dalla sua villa, che vicino alla Corte stava, e conferitosi ben tosto nella conversatione: ritrovò il Lopes, e molti altri Signori, che stavano aspettando Leonardo, e compagni, i quali per non mostrarsi ingordi non erano ancora venuti, Girone dimandò al Lopes del gioco dell'Italiano, al che egli rispose, ch'era di molto sapere, e narrolli quanto con esso lui avvenuto l'era. Fu Girone pregato, ch'egli ancora giocasse con l'Italiano: il che non ricusò egli: ma con allegro volto, e gran desio lo stava aspettando, il quale non molto stette a venire, onde in poche parole si venne alla battaglia, & al paragone: tra quindi avvenne il medesimo, che con Lopes era succeduto. Confirmossi nella mente di quelli Signori, che l'Italiano fusse migliore di ambedue: ma continuandosi la contesa hora con l'uno, & hora con l'altro, Leonardo tra mentre havea guadagnato alcuno migliaro di scudi; alla fine disfidandosi ambe due insieme, & egli solo, non potè ne l'uni vincere al'ltro, ne l'altro l'uni: hebbe di ciò notitia il buon Filippo Secondo non potendo credere, che il Lopes fusse rimasto perditore, volse vederli giocare; & essendo loro stabilito il giorno, fu il Lopes da un Grande di Spagna condotto avanti Sua Maestà, e Leonardo dal Conte Crancioni, e fatte le debite riverenze al Re, comandò se levassero, e che all'impiedi giocassero sopra un buffetto, che così richiedeva il gioco; fu loro stabilito, che colui, che guadagnava ne' giochi prima del compagno, guadagnasse mille scudi, giocando dunque Leonardo volontariamente perdè tre giochi: per lo che tenne l'Italiano per non buono giocatore, e volse il Re partirsi: ma Leonardo accorto di questo si buttò avanti i suoi piedi, e disseli, Sacra Maestà prego non si parta: perchè quello, c'ho fatto, è stato ad arte; acciò si veda il mio sapere chiaro; vederà Vostra Maestà altri tre giochi, ch'io guadagnerò senza molto sforzo, e lo dico così fermo, che ciò non fusse, facciami perdere la vita; e sappia Vostra Maestà, che se non per altro sono venuto costì, che per far vendetta dell'ingiuria, che mi fe' il Lopes in Roma l'anni passati, vencendomi dal pari, arrestò il Re al parlare dell'Italiano: per lo che si dispose vedere il fine del tutto, come già in effetto vidde; del che il Re stimò assai più l'Italiano, e li restò affettionato, dandoli li mille scudi, & una salamandra di molte gioie ornata, & una pelliccia sua di gebellino: dicendoli, che demandasse che pretendeva da lui, ringratiò Leonardo sommamente Sua Maestà di tanti favori, ne altro li chiese, che fusse la sua patria essente da pagamenti fiscali per quelli anni, che sua Maestà comandava; il che ottenne per vent'anni; così vincitore, e premiato ritornò nella sua stanza, e con molto contento suo, e d' compagni: dissegli il Signore Ricupido Scodes gran gioiegliere & amico di Leonardo, che dette cose donate a Leonardo dopo la sua morte pervennero in potere del Signor Don Carlos d'Avalos, che nella sua guardarobba teneva.

Cap. VI

Si disse nello precedente capitolo, come Polo Bove detto il Siracusano restò in Napoli dopo la partenza di Leonardo, alla fine intendendo i progressi di quello nella Corte; e con tanto suo utile, & honore, si dispose anch'egli andarvi, & imbarcatosi con uno suo creato, per viaggio l'avvennero molte avventure degne di raccontarle: ma perchè di lui li raccontarà la sua servitù in Algieri, & la sua liebrtà: non dico altro, solo, che egli arrivò in Corte a punto che Leonardo havea giocato avanti Sua Maestà, del che dolsesi molto non esservi ritrovato a tempo: onde informatosi dove si giocava v'andò subbito, & ivi ritrovò Leonardo, che giocava con Girone, e Rui Lopes, andondovi molte scommesse all'ingrosso: non volse dir nulla tra il mentre ma attese a veder l'esito della battaglia, la quale non fu di niuna perdenza, appontando per lo seguente giorno, levato Leonardo dal gioco vidde il buon Paolo, per lo che corse subito ad abbracciarlo, e così caramente, che da tutti fu giudicato, che suo parente fusse. Finite l'accoglienze, Leonardo disse a quelli Signori di quanto valore, e sapere egli fusse, ringraziò Paolo il buon Leonardo delle lodi dateli: ma perchè egli alquanto di natura altiero; le disse: Signor Leonardo nel gioco sono stato sempre un rivale, ne per altro sono nella Corte: che per giocar con esso voi, come feci un'altra volta in Napoli partendomi di Siracusa mia Patria, e gir in casa del Signor Principe Gesualdo ci ritrovammo di paro: per lo che sono spinto dal gran disio di sapere chi sia di noi il più migliore, ne questo credo vi farà punto a discaro; parve la proposta di Paolo a tutti molto audace, e 'l medesimo Leonardo l'hebbe a discro; perchè più tosto per compagno, che per rivale l'havrebbe voluto; però tocco nella riputazione, disseli ch'accettava la sua disfida e che al seguente giorno al medesimo loco venisse, che l'havrebbe datta satisfattione, e così d'accordo restorno.

Cap. VII

Mentre lo seguente giorno s'aspettava la desiderata battaglia, avvenne, che Leonardo ritornandoin casa ritrovò Giulio Cesare suo creato, che in Genova haveva lasciato con la sua carissima consorte, ch'all'hora a punto era arrivato, ne si tosto lo vidde, che sentissi saltillarseli il cuore, non sapendo che nova l'arrecasse: onde al primo dimando della sua signora, colui con le lagrime agli occhi li diede la non spettata nuova: che colei a miglior vita era passata, dicendoli le medesime parole, ch'ella prima che morta fusse l'havea composte, ch'a lui dicesse: che furono (dopo d'haverselo chiamato) l'infrascritte parole; dite al mio Leonardo, poiché al cielo non è piaciuto, che la data fede del nostro matrimonio venisse al bramato effetto, non per questo egli si scordi di me di far tutto quello di caro, e fedele consorte debba fare: e così detto, finendo con un sospiro voltossi all'altra parte del muro, ne altro più disse. Furono tante punte d'acuto cortello nel petto di Leonardo le parole del suo creato: onde spargendo dall'occhi un fiume di lagrime, tutta la notte riposo alcuno havere non potè: non valendoli ne conforti, ne raccordi de suoi cari amici, e compagni; venendoo il seguente giorno, raccordandosi della data parola, mandò il Rosces ad escusarsi con quello Signore, dicendoli, che per la nova della morte di sua Madre non poteva venire; tolta in pace la predetta scusa. Paolo si pose a giocare con Girone, col quale venne a bellissimi giochi, alla fine Paolo resto vincitore per un gioco. Fu il gioco di Paolo giudicato più sottile e vago di quello di Leonardo, e di più prestezza, dove quella era più forte, e sodo, ma tardi; per lo che nacque gran desio a quelli signori di vederli giocare. E perchè Leonardo, non venne per alcuni giorni, e mesi, come si dirà: il Siracusano giocando hora con Girone, hora con Lopez, & hora con ambe due insieme, l'avvenne l'istesso che Leonardo con quello fatto havea. Leonardo dopo l'havuta nova della morte di sua moglie, vedendo che 'l dolore più tosto cresceva ch'altrimenti mancasse: si dispose partire in altre parti, e lasciando i suoi denari in potere del Signor Conte Cranceoni, senza dir nulla a compagni, egli, e 'l suo creato Giulio Cesare partissi verso Lisbona, mandandone il primo ben recapidato a Genova, scrivendo a quelli Signori lettera di condoglienza per la morte di lor figlia. Non volse per strada in loco alcuno trattenersi: ma gionto nella Città di Lisbona preso adaggiato alloggiamento per alcuni giorni riposossi col corpo: ma non col pensiero: essendo sempre tormentato dal dolore del grande amore di sua donna: ritrovava la solitudine molto opportuna al suo male: per lo che spesso andava alla riva del fiume conducendosi alle volte infino al mare, dove presso alcuni scogli soleva molti versi lamentevoli spiegare con flebile, e sommessa voce, benchè da vicino ben si potevano intendere, come avvenne con un gentilhuomo portoghese, come nel seguente capitolo, i versi sono questi.

DEL SIGNOR CARLO SALVIO

Fugge dall'occhi il sonno, e sempre desto
Donna sen sta il mio cor colmo di doglie
E quanto più al dormir spingo le voglie
A più gravi pensier l'anima inesto.
Et volendo il desir, che più m'invoglie
Maggior pene, e dolor l'animo accoglie,
E maggior voglie più doglioso resto.
Così farò d'Amor versaglio, e gioco,
Infin che 'l cor non si dilegui, e stempra,
E lo spirto nel ciel teco non sia.
Così ferro tal'hor si vede al foco
Che infocato e poi fuor battuto è sempre,
Se del fabbro al valor egli non sia.
Donna qual mi fuss'io dopo tua morte,
Dirò ch'Amore ad altro non attende,
Ch'a miei tormenti, e foco a foco accende,
Et a novi martir apre le porte.
Piango, e sospiro ogn'hor pregando Morte,
E le parole mie mai non intend;
Onde più mi risponde, e più m'offende
Il tuo tacer, che la mia dura sorte.
Così penando ho moro, & ho m'avvivo,
Ne so donde mi vien tanto vigore,
Sendo di te mia vita a fatto privo.
Sol penso che ciò sia forza d'Amore,
Ch'or mi vuol morto, & hor mi serba vivo
E si prende diletto del mio ardore.

Cap. VIII

Mentre il buon Leonardo stava così doglioso, e solo sfocando l'amorose passioni per la morte della sua cara consorte, avvenne ch'un gentilhuomo Portoghese, il quale non men punto dal medesimo dolore tormentato viveva, soleva anch'egli tutto solingo, e solo venire in detto loco: come già accadè sopravernirvi a tempo, che Leonardo con sommessa voce stava a lamentarsi al sopradetto sonetto dire: per lo che pian piano accostandovisi, inteso quanto colui diceva, il che non di poco giovamento li fu. Alla fine assicuratosi sopragiunse: la dove colui si stava a salutarlo cortesemente li chiedè perdono: se lo desturbava delle sue amorose passioni: perchè s'altrimente havesse egli fatto sarebbe stato molto sciocco: perchè più opportuno rimedio al suo male non poteva egli ritrovare; già che d'una istessa infirmità ambe due erano travagliati: la onde essendo un comune refrigerio l'assicurava d'ottenerne perdono di si fatta presumptione. Destossi quasi da un profondo sonno il buon Leonardo, e mosso dall'affettuose parole del Portoghese Cavaliero, ch'en lingua Italiana favellolli, e piacendoli oltre modo il concetto del novello amico disseli: Signore, e mio padrone, non posso se non che a favor grande riputarmi, che m'habbiate d'amicitia, e compagnia richiesto: essendo che io sono un povero forastiero viandante, e voi secondo il vestire, e gentile aspetto Cavaliero, e Signore: per lo che la mercè è mia in darmi si fatta offerta, e li resto obbligatissimo, henne il Cavaliero Portoghese molto cara la risposta di Leonardo: onde giontatisi insieme ferno ritorno nella Città, dove in casa di colui fu caramente alloggiato, e tenuto per molti giorni, come dirassi.

Capo IX

Non volse per quella sera il Portoghese importunare l'amico: ma solamente attese a darli buona cena, e migliore albergo. La mattina dopoi levatosi da letto, ambe due gionti andorno a veder Messa: indi andando per la Città vedendo le più cose notabili di quella, venuta l'hora di pranso: dopo quello, si posero a raggionare di molte cose, alla fine il Portoghese pregò Leonardo li dicesse la causa de suoi mali, ch'egli ancora li direbbe il suo: compiacette tosto Leonardo all'amico, & a puto li raccontò quanto l'era avvenuto da che partì da Cutri sua patria, infino alla sua venuta in Lisbona: il che recò al buon Portoghese molta consolatione a sentire: & essendo egli ancora gran giocatore de' scacchi, tanto più li prese affettione: e dicendoli egli ancora, com'egli prima havea detto gran tempo presa affettione ad una sua Signora: la dove quella li fu ingrata: per lo che prese la seconda, conla quale accasossi en breve tempo morte se la tolse: restò talmente afflitto che non poteva dire se più dire si potesse. E sincome egli nel sonetto lamentossi di sua disgratia, così egli con alcuni versi come di sotto. Onde li disse ancora che molto intendente era egli del gioco de Scacchi: la onde s'egli era tale, quale si diceva. Li sarebbe stato di molto utile: poiché il Re Don Sebastiano molto si dilettava di tal gioco, e nella sua corte v'era un gran giocatore chiamato il Moro. Così fatto venire i Scacchi ambe due si posero a giocare, ove Leonardo dimostrando quanto sapeva, il Portoghese restò stupito: per lo che si dispose far sì ch'egli giocasse avanti il suo Re col Moro: ma volse, ch'egli giocasse con detto Moro in sua casa, fando egli la disfida da sua parte, che molto amico l'era, il quale accettandola, al seguente giorno s'appontò, come nel capitolo decimo dirassi.

DEL SIGNOR CARLO SALVIO

De' scacchi al gioco mai
Dico d'haver perduto;
Che non habbia renduto
Pan per focaccia di gran lunga assai:
e chi m’ha vinto in tanto
Non reporti di lui la spoglia e ‘l vanto.

Così donna direi:
S’Amor per te mi vinse;
Hor che Morte t’estinse,
Tutte l’arme di lui spezzar vorrei:
E se tal’hor fui vinto,
A novo assalto egli da me sia estinto.

Già vien con nuovo gioco,
e con nuovi sbaratti
Fors’io fallisca i tratti:
Ma stando forte, e sodo al primo loco
Nulla li giova l’arte;
Ne che scaccheggi, io già mi muto in parte.

Horsù spirto gentile
Rendimi pur sovente,
Nel pensier, nella mente
Segua di fedeltà l’unico stile
E che dopo tua morte
T’ami non men ch’in vita il tuo consorte.

E se talhor mi toglie
L’Alfier del mio Scacchiero
E i Fanti, e ‘l Cavaliero alle mie voglie
Stan sempre fermi i Rocchi,
E a mia difesa tali:
Scocchi pur quanto vuol l’acuti strali.

Se la donna è perduta,
E ver, che langue il Re:
Ma pur con ferma fe’,
Di vincer spera, e studio & arte muta.
Ch’egli non venga matto
E altri offenda, e se difenda a un tratto.

Onde si scorga ignudo,
E di faretra scarco,
E de strali, e de l’arco
Al mio di forte, & impenetrabil scudo.
Amor cieco, e bendato
Inerme hor resta, se ben resti alato.

E se nove arme chiudi,
Gioca con altri homai
Meco perduta l’hai:
Ch’alla cieca a giocar m’hai visto e vedi
E so l’astutie, e l’arti,
Di te cieco Fanciul, ch’in me comparti.

Ti de’ bastar, che meco
Vincitor restasti:
Quando il cor m’impiegasti,
Per cui vissi contento ogn’hor seco:
Ch’ancor’ch’estinta sia,
Resta la piaga al cor, che la desia.

Ne con nuove bellezze
Per tuo d’havermi brami,
E qual pesce con l’ami
Di dolce esca minuisca a tua dolcezza,
Che già è firmato il chiodo:
Che s’el è sciolto, non è rotto il nodo.

Così in un vinto resto,
E vincitor nell’altro:
En questo ardito, e scaltro:
Ma nel primo il pensier sempre v’arresto:
E così avviene amore,
Che dal vinto sia vinto il vincitore.

Per questi altri versi soggiunse il Portoghese al buon Leonardo appare il mio primo amore, e che da quello mi liberai, e nel secondo fui involto: dove per la morte di quella così doglioso vivo.

Un giorno meco amore,
Volse a scacchi giocare
E a lui toccò il tirare
Il primo tratto fuore
De suo Re spinse il Fante,
Et io con l’altro me l’appongo avante

Volse il gambitto ei farmi
Per uccidermi al primo:
Et io, che men l’estimo
Il Pedon vo’ a pigliami:
Onde sdegnossi tanto,
Che di mattarmi egli donossi vanto.

L’alfiero al loco caccia
Quarto del suo compagno,
E quel suol far l’aragno
Con la sua tela a caccia,
Per prender la sua preda;
Tal spera egli d’havermi, e che a lui ceda.

Ribatto i colpi io sempre
Li sto con fronte ardita,
Ne di lui la ferita
Temo, che ‘l cor mi stempre:
M’al fin fallisco un tratto:
Onde fui vinto, e ne divenni matto.

Ecco che a nuovo gioco
Acconcio i Scacchi, e dico,
Non si ceda al nemico
Al primo colpo il loco.
Ei comincia di nuovo,
E più ardito l’incontro, e quel ritrovo.

Ma ei con nuovi tratti
L’Alfier mi tolse, e i Rocchi:
Indi vols’ei che tocchi,
E mpari altri sbaratti,
Che dimostrommi all’hora,
Che prese il resto,con la donna ancora.

Dicemi, che più speri?
Che ‘l terzo matto dia:
O patto il gioco sia.
Flasi son tuoi pensieri,
Hor prendi del tuo ardire
Degna mercè d’haver sempre a servire,

Così vaga donzella:
Ma crudele, & ingrata
Volse ch’avessi amata
(Ahi più cruda, che bella)
Così servo molt’anni
Vissi con pene, e con tormenti, & affanni.

M’al fin sdegno ne scilsr

Da sì dura priggione:
M’Amor venne Carpone:
E di nuovo m’involse
A beltà nuova il petto:
Ma pietoso divenne il suo dispetto.

Se crudel fu la prima,
Grata e pietosa questa:
E d’amarmi ben presta:
Che di me fe’ gran stima:
Ma non giovommi, (ahi lasso)
Che di lei morte, mi fe’ privo, e casso.

Hor di me Amore, e morte
Trionfa, e l’altro, e l’uno
Mi fa sempre digiuno
De miei contenti, e forte.
Già prima Amor fu quello:
Hor con morte mi da l’altro flagello.

Onde ben io dirò:
Mal per me il gioco volsi:
Che nel foco m’involsi:
Ove sempre starò:
Che dir non posso, e voglio,
Qual maggior di due fusse il cordoglio.

L’haver sempre servito
Con ardente desio,
E con affetto: ond’io
Ne fui sì mal gradito:
Over ch’a pensier miei
Trovai il mio bene, & havuto lo perdei.

Cap. X

Essendosi sparsa la fama, ch'un giocatore Italiano volea giocare col Moro del pari, ciascheduno intendente del gioco venne in casa dl Cavaliero Portoghese, ove arrivato il Moro si posero a giocare al pari, ne si vedeva altro che gambitto di Re, e di donna, e giocando infino alla sera restorno di pari estima (non volendo Leonardo per all'hora forzarsi) tosto fu referto al Re Don Sebastiano: per lo che al seguente di volse, che avanti a lui giocassero. Lui Leonardo mostrò il suo valore vincendo al Moro diversi giochi: il che al Re recò molto contento per la superba natura del Moro, che tutti i giocatori disprezzava, stimandosi non haver pari. Volse al seguente di vederli di nuovo, e restando similmente vincitore il buon Leonardo, il Re li donò molte cose pretiose per premio, e lo chiamò Cavaliero Errante: perchè a guisa delli antichi Cavalieri vinceva i suoi rivali, & che i superbi humiliava. Così Leonardo dimorò alcuni mesi col suo amico: un dì tolto licenza ritornò nella Corte, dove dalli suoi cari compagni fu molto caramente ricevuto, a quali poi narrando quanto succeduto l'era radoppiò loro l'allegrezza; al seguente giorno andorno nella conversatione, il che recò molto contento a tutti quelli Signori, & essendosi ivi il buon Paolo, subito si posero a giocare, erano ivi i più famosi giocatori di Spagna, & anco d'Italia, & molti Signori Spagnuoli, durò detta battaglia tre giorni continui, interpellatamente, solo la notte interponendosi: ne mai niuno restò vincitore: all'ultimo giorno restò Paolo perditore; il che o fusse stato per disordine fatto da Paolo, o per altra indispositione; li causò tale cordoglio, che 'l giorno seguente senza dir nulla a niuno, si partì per disperato alla volta d'Italia: lo che l'avvenne, di dirà in seguito.

Capo XI

Partitosi Paolo, restò solo Leonardo alcuni altri giorni nella Corte, dopoi si partì per volta di Napoli insieme con il Rodriquez, & il Rosces molto contenti, e carico detto Leonardo di moneta: non volsero trattenersi a niuno luoco, non comportandoli ne anco l'animo di farsi vedere a Genova e, giunti a Napoli, vi ritrovorn, che buon giocatori erano, il Mauro, il Beneventano, l'Ametrano, e 'l Traino, e 'l Genuino, giocatori come il Rosces poco meno, eccetto che il Mauro, il quale era simile al Rosces, e furono gran competitori dopoi. Restò dopo Leonardo in Napoli per agente del Signor Principe di Bisignano: dove di nuovo che Paolo Bove ritornò dalla servitù d'Algieri s'azzufforno avanti il Duca d'Ossuna all'hora Vicerè in Napoli, & restorno di pari estima; partissi dopo Leonardo per Cutri sua Patria, & all'età di 45 anni di sua vita nella Corte del Signor Principe di Bisignano in Calabria, morì avvelenato per invidia.

Cap. XII

Partito Paolo detto il Siracusano, arrivato in Barzellona ivi imbarcatosi in una tartana, nel golfo del Leone, fu fatto schiavo da Turchi da corsari d'Algieri con altri Christiani, che seco erano: ma essendo per sua buona sorte condotto in Algieri capitò in mano d'un Turco principale Signore, che invaghitosi della sua presenza, già che molto galante egli era, e gentile nell'aspetto lo comporò, & portatolo in casa non le diede altro che fare solamente, che con un altro schiavo tenesse acconcio, e polito il loco dove egli teneva conversatione del gioco de Scacchi, il che quanto allegrezza recasse al Siracusano ciascheduno potrà pensarlo: e perchè la conversatione continuava, vedendo Paolo che 'l padrone perdeva, chiamandolo da parte, li disse, che s'egli li prometteva la libertà li farebbe guadagnare molti denari, promise il buon Turco quanto egli chiedè: ma desiderava sapere il modo; li manifestò Paolo quanto egli sapesse, e con esperienza li lo fè vedere, del che restò oltre modo allegro il padrone: così preso appuntamento tra loro si concertorno in questo modo: che 'l seguente giorno si facesse egli trovare a giocar insieme, e che un Cavallo li desse d'avantaggio, e che li permettesse che con altri potesse giocare a poco a poco, acciò potesse dar credenza quanto egli sapesse, e seco giocassero, così appuntato si pose ad effetto il tutto: per lo che vedendo i giocatori il giocare di Paolo, egli sapendo ben simulare, a poco a poco guadagnò alcune centenara di scudi; alla fine scoprendosi, e dando avantaggio esorbitante, venne a maggior guadagnao; volse dopo il Padrone con lui caminare il Regno d'Algieri, con la cui uscita al ritorno si ritrovorno carrichi dimolte migliaia di scudi; onde il Padrone dando a Paolo la libertà li donò due mila zecchini, e salvo condotto li fè havere; ritornò Paolo a Siracusa sua Patria, indi venne in Napoli, e di nuovo s'affrontò con Leonardo, come si è detto, e con altri giocatori; stette alcuni anni in casa del Signor Duca d'Urbino con salario di 300 scudi l'anno, indi partitosi se la faceva in Genova n casa d'una Signora vedova di famiglia Squarciafico o suo aggente: ma venuto di nuovo in Napoli ritrovandoci il Rosces, e 'l Mauro, e 'l Beneventano non volse altrimenti giocare, volendo coloro vantaggio da lui, giocò col Signor Giovanni Domenico de Leonardis, e meco all'hora giovanetti, non potè guadagnarli con un pedone, ritornato in Milano l'accadè con un giocatore da lui non conosciuto, che l'incantava il vedere, laonde perditore restava, e non sapendo la cagione, dicendo alcuna oratione colui non potè di quella sua arte avvalersi, e perditore divenne, ne giocare più volse, ritornò di nuovo a Napoli, e giocando meco di pari, succedè un bellissimo gioco, che invitandomi egli vedendo, che a cinque tratti io perdeva la Donna: io rivedendo, che con perdere la Donna a due tratti dopo l'inferrava la sua con un Rocco, e che vincitore diveniva, li rimitava, del che accortosi il buon Paolo disse, i giovani possono più i vecchi, già voi sete in fiore, & avanzate, & io vecchio di 70 anni, questo vi basti, & io restarò con l'honor mio, credeami non tanto vedessi, indi a tre giorni avvelenato morì dal servitore per i suoi quatrini, fu atterrato a San Luigi presso il Palazzo Reale, & con molto honore, fu poi contesa tra il Mauro, e 'l Rosces, e tra me, e 'l Leonardis, per lo che si descrive la battaglia in versi.