Banche e politica: attrazione fataledi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XI num. 01 del 7/01/2012 |
Rende, 5/01/2012
I tentacoli invisibili si avvinghiano sui nostri piccoli istituti di credito e il capitale dei calabresi è a disposizione dell’amministratore di turno. Di questo passo la regione continuerà a finanziare i gruppi industriali del Nord sottraendo risorse fondamentali per le imprese locali
Le banche hanno spesso destato l’interesse della politica. Quali detentrici del potere finanziario, esse sono temute, rispettate e adulate. Uno dei sommi desideri è di poterne controllare qualcuna, con risultati che non possono certo dirsi brillanti. E’ sufficiente ricordare qualche caso di scuola, per valutare gli effetti di una ingerenza politica nella gestione degli istituti di credito. Senza un inutile elenco dei fallimenti a partire dalla Banca Romana a fine Ottocento, in tempi più recenti abbiamo vissuto le vicende di numerosi istituti: la Banca Privata Italiana di Michele Sindona, la Carical affidata al potere politico locale calabrese, La Banca Popolare CrediNord poi diventata CrediEuroNord espressione della politica bancaria della Lega Nord, Il Credito Cooperativo Fiorentino noto per le scorribande finanziarie di Denis Verdini. Tutti i partiti e gli schieramenti hanno tentato la scalata a qualche istituto bancario come dimostra il tentativo di acquisizione della BNL da parte dell'Unipol. Al termine della crapula è rimasto sempre e solo un cumulo di macerie addossato al sistema pubblico e di conseguenza ai soliti contribuenti. La miglior politica bancaria è che la politica stia lontana dalle banche e limiti il suo ruolo alla regolamentazione della loro attività, poiché ogni intrusione nella gestione provoca veri e propri disastri.
Non mancano certo le critiche che possono riassumersi in due categorie: la scarsa propensione a supportare l’economia locale e la cosiddetta forbice degli interessi. Tradotto in termini più comprensibili le banche sono accusate di attuare una politica di rapina poiché il loro obiettivo nel Sud è di raccogliere il risparmio e trasferirlo al Nord dove trovano migliori opportunità di impiego in termini di sicurezza e rendimento. Il credito viene invece lesinato alle imprese locali, e quel poco che viene concesso lo si fa pagare a costi esorbitanti, molto superiori a quelli praticati nel Nord. È una geremiade ripetuta in tutti i contesti. In Consiglio Regionale, dove si è spesso parlato di banche e di credito, si sono riempiti interi faldoni di interventi fotocopia che ripetono i misteri dolorosi del rosario bancario.
Non che non vi siano ragioni reali che giustifichino queste proteste. Secondo le ultime indagine della Banca d’Italia il costo del credito nel 2011 è aumentato in tutte le aree, e nel Mezzogiorno ha raggiunto il 6,6%, “un punto e mezzo più elevato rispetto al resto del Paese”. Se il confronto si calcola a livello regionale il divario è molto maggiore: tra la Calabria e la Lombardia, ad esempio, supera i tre punti percentuali. Non sembra questa tuttavia la questione più rilevante. L’estensione del fenomeno dell’usura dimostra che vi è una larga fetta di domanda di credito insoddisfatta. Una miriadi di piccoli imprenditori (e famiglie) sarebbero disponibili a pagare tassi bancari annui più elevati di quelli rilevati dalla Banca d'Italia, che resterebbero comunque ben al di sotto di quelli praticati sul mercato ”parallelo” del credito. Nei momenti di crisi, si registra un aumento esponenziale dei prestiti usurari tanto da parte delle imprese che delle famiglie. Questo può, in parte, essere la conseguenza di un eccesso di tutela operata dalla legge, che nel determinare il livello dei tassi al di sopra dei quali scatta la fattispecie dl reato di usura, ha anche limitato le condizioni di concessione del credito. I maggiori rischi che le banche si dovrebbero assumere con la concessione di crediti a categorie con deboli presupposti non possono essere coperti dai tassi più elevati che consentono di operare una sorta di mutualità. Per diminuire i rischi le banche diminuiscono l'ammontare dei crediti concessi poiché non possono coprire l'alea delle concessioni a soggetti deboli con tassi più elevati. L'aumento di garanzie da sola non basta a consentire una ampliamento dei presupposti di valutazione del merito creditizio.
Con la riforma del Titolo V della costituzione, la nuova formulazione dell’art. 117 della Costituzione attribuisce alle Regioni una potestà legislativa "concorrente" con quella dello Stato in materia di Casse di risparmio, Casse Rurali, aziende di credito a carattere regionale. Sebbene questa facoltà sia già in vigore da un decennio, poiché la modifica è entrata in vigore nel marzo del 2001, non risulta che si sia creata una legislazione regionale di qualche rilievo in materia bancaria in nessuna delle regioni italiane e meno che mai in Calabria, salvo qualche rattoppo sul sistema dei Confidi e Fincalabra.
Quello dell'usura è un caso in cui l'intervento regionale potrebbe intervenire con efficacia e operare una politici anti-ciclica sostenendo i soggetti deboli che abbiano la capacità di attraversare la crisi. Gli interventi nel settore sono stati pochi e inefficaci soprattutto per l'assenza di figure professionalmente in grado di selezionare i soggetti a rischio e valutarne le capacità potenziali.
E’ ben vero che nella regione la situazione bancaria è in una condizione ormai disperata poiché la struttura bancaria calabrese è stata quasi completamente smantellata. Già dal 2001 la Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania, il più grande e prestigioso istituto della regione, è stata svenduta. La stessa fine ha fatto la Banca Popolare di Crotone, che di calabrese ha ormai soltanto il nome. Gli unici istituti di credito regionali restano le sole BCC, ex Casse Rurali, che costituiscono un aggregato significativo dell'attività bancaria. In termini numerosi vi sono 235 banche di credito cooperativo in Italia, 41 nel Mezzogiorno, di cui 17 in Calabria, pari al 7,2% una quota significativa che supera il peso specifico della regione in termini di territorio e di popolazione. Con i loro 1.673 milioni di euro di impieghi (su 21.889 della regione) e i 2.144 milioni di euro di raccolta diretta (su 24.441) le BCC calabresi rappresentano il 7,6% degli impieghi e l’8,8 della raccolta complessiva del sistema bancario. Una quota che può alternativamente considerarsi troppo esigua come massa di manovra per una politica regionale del credito, o significativa perché costituisce un interessante nocciolo duro per definire alcune linee di tendenza e tentare di impostare una politica regionale di sostegno al credito con carattere di originalità.
La grave crisi che attraversa la regione ha colpito duramente le BCC calabresi, cinque delle quali sono entrate in crisi e commissariate dalla Banca d'Italia per gravi irregolarità di gestione riscontrate dai funzionari della Vigilanza in sede ispettiva. La BCC di San Vincenzo la Costa è stata assorbita dalla Banca Sviluppo, la BCC di Spezzano Albanese è stata acquisita dalla Mediocrati che sta anche per raddoppiare lo sforzo con la BCC di Tarsia. La BCC di Cosenza che attraversa la sua fase più delicata poiché è in corso la “due diligence” per lo spezzatino da servire alla Banca Sviluppo e alla BCC Centro Calabria. Come in tutte le storie non manca il miracolo. La BCC di Scandale dopo la via Crucis del commissariamento, sta per ritornare “in bonis”, caso più unico che raro in Italia. Né le dolenti noti finiscono qui, poiché la BCC dei Due Mari è ancora sotto la tutela da parte della BCC di Sesto San Giovanni e non è ancora chiaro come e quando possa uscirne.
Uno dei fattori che hanno determinato la crisi del sistema è la questione del personale in esubero in quasi tutte le BCC locali, in termini numerici e di costo. Generalmente la creazione della struttura del personale ha obbedito a criteri clientelari. Questa è l'accusa più frequente. Si tende a dimenticare la grande rivoluzione attraversato dall'organizzazione del lavoro bancario. Vi è stata una rivoluzione prodotta dall'introduzione massiccia dell'informatica che ha standardizzato molte delle operazioni che in precedenza richiedevano un consistente impiego di personale. Questo è avvenuto in tanti settori, ma nelle banche il fenomeno è stato ancora più spinto, poiché ha portato alla creazione di sportelli automatici in grado di fornire la maggior parte delle operazioni “labour intensive” senza alcuna presenza fisica del personale. In particolare le BCC sono passate in pochi anni da un sistema di lavoro quasi esclusivamente manuale a un altro grado di informatizzazione consentito dalla messe in rete di molte funzioni fornite dall'ICCREA.
Si è determinata una situazione di grande esubero del personale e uno schiacciamento della piramide gerarchica con uno schiacciamento delle competenze deliberativi di tutti gli organi. La risposta a questa grave situazione non può che essere biforcuta: riduzione del numero del personale o aumento dell'attività produttiva e di consulenza tecnica. I sindacati si oppongono strenuamente alla prima soluzione e le aziende di credito alla seconda, per cui si produce spesso una situazione di stallo. Alla Carime, ad esempio, la Direzione Generale ha deciso di abbattere le facoltà creditizie in capo ai Responsabili delle Filiali Aggregate in maniera arbitraria. Una decisione fortemente personale. “La suddetta decisione aziendale, se confermata, costituisce un elemento fortemente negativo rispetto all’effettiva capacità delle Filiali Aggregate di poter servire adeguatamente i territori presidiati”, afferma la Falcri in suo comunicato, e provocherebbe “un grave pregiudizio per lo sviluppo professionale e di carriera di molti Responsabili di Filiale”.
La giustificazione addotta dalla direzione Carime è che “la tutela e la salvaguardia del territorio necessitano di una efficace ed attenta politica di concessione del credito, volta a garantirne non soltanto gli aspetti quantitativi ma anche quelli qualitativi”.
Riducendo la capacità operativa delle filiali e le competenze tecniche del personale sarà molto difficile recuperare il “technical divide” della nostra regione, dove l'offerta delle tecniche finanziarie più evolute è quasi inesistente. Nel campo della formazione professionale, si registra da sempre un enorme spreco di risorse, che sarebbero molto ben spese dedicandole alla “riconversione” del personale delle banche locali.
Il sistema della BCC calabrese è in gran affanno, ma non si può definire in una crisi irreversibile. Le sue condizioni sono fortemente legate a un fattore congiunturale poiché sono state le uniche ad aver sostenuto le piccole imprese calabresi con forti ripercussioni sui loro bilanci. Senza il loro “sacrificio”, i morsi della crisi si sarebbero conficcate in profondità nella carne viva della regione. In uno studio recente della Banca d’Italia si evidenzia come il mercato del credito, a seguito della grande riforma degli anni novanta culminata nell’approvazione del nuovo TUB (Testo Unico Bancario) del 1993, è passato da un oligopolio pubblico regolamentato e ispirato a una “debole” etica pubblica, a un oligopolio privato selvaggio il cui unico obiettivo è il profitto. La liberalizzazione che costituiva il presupposto teorico per giustificare la rivoluzione si è rivelato essere solo un pretesto, poiché oggi gli attori si sono ulteriormente ristretti rispetto al passato. Per loro la Calabria è solo terra di conquista che vengono qui per rastrellare i soldi con l’intento di impiegarli in quelle aree del Paese dove gli investimenti sono più remunerativi, o in attività speculative nelle borse di mezzo mondo. A contrastare i grandi oligarchi finanziari qui in Calabria sono rimaste le sole BCC. Nello sforzo si sono scottate e sono state costrette a rallentare il loro sforzo. Si registra un forte rallentamento nelle concessioni creditizie a favore delle imprese di minori dimensioni con un irrigidimento delle condizioni, la richiesta di maggiori garanzie e servizio del debito più oneroso: si concede poco e si chiede un tasso di interesse maggiore.
Il mercato bancario a livello locale si gioca sulla redditività delle filiali per le grandi banche, mentre per il piccole e medie l’obiettivo principale restano i volumi operativi che costituiscono uno dei parametri più importanti per valutare il loro prestigio e il loro potere. La qualità del credito ha invece un ruolo trascurabile nel determinare le condizioni del credito e le politiche di attrazione della domanda.
Vi è una lotta spietata per l’accaparramento del risparmio che ancora costituisce il principale riferimento per valutare le dimensioni e il valore di una banca.
La definizione di una politica bancaria regionale si rende necessario per le particolari condizioni della nostra regione la cui struttura produttiva è prevalentemente basata sull'economia pubblica.
La spesa pubblica non ha solo un ruolo propulsivo, ma costituisce il volano di tutta l'economia regionale. La Pubblica Amministrazione svolge un ruolo preponderante e i suoi comportamenti condizionano tutti gli attori, dalle grandi alle piccole imprese. La Regione dovrebbe sentire la forte necessità di sostenere le banche locali, poiché esse sono le uniche a sforzarsi di sostenere l'economia locale affidando loro la gestione delle risorse finanziarie pubbliche e chiedendogli di svolgere un ruolo attivo nella gestione dei fondi agevolati dell'Unione Europea o dello stesso governo.
Il governo regionale non mostra alcuna attenzione nei loro confronti come è dimostrato dall'ultimo episodio finito sui giornali, ma in sordina per non disturbare il manovratore. La giunta regionale, infatti, ha approvato il cosiddetto “mezzanine financing”, “un finanziamento stabile all'impresa che, per la durata, le modalità di rimborso e la sua remunerazione, si colloca in una posizione intermedia tra i prestiti di tipo tradizionale e il capitale di rischio”, secondo quanto affermato dall'Assessore alle Attività Produttive Antonio Caridi. Un fondo di 25 milioni di euro, la cui gestione è stata affidata alla Fincalabra, senza alcun coinvolgimento delle BCC locali.
In attesa dei destinatari finali del finanziamento, questi fondi sono stati collocati “ultra moenia” in un gruppo bancario venero. Una somma che costituisce una goccia nel mare per le grandi banche del Nord, ma potrebbe essere una salutare boccata di ossigeno per una BCC locale.
Resterebbe forse la questione di qualche decimo di punto che ha fatto protendere verso una soluzione, ma sembra un argomento risibile a fronte dei possibili vantaggi economico-sociali che si potrebbero ottenere con un sistema bancario locale forte e concorrenziale. Gli enti locali, e la Regione Calabria in primo luogo, dovrebbero sentire altissimo il dovere di lasciare in Calabria i soldi che amministrano per il bene dei calabresi. Ancora oggi, invece, le istituzioni locali affidano i propri fondi a banche straniere o settentrionali, che non hanno alcuna difficoltà a praticare tassi di interesse maggiori delle nostre piccole banche, poiché hanno il vantaggio di impiegare quel denaro sui mercati più ricchi.
Se la Regione continuerà ad usare i capitali dei Calabresi come se fossero il patrimonio individuale degli amministratori di turno, tutta la Calabria sarà costretta a rinunciare all’unica energia di cui dispone. Continuando così, la Regione continuerà a finanziare i gruppi industriali del Nord, sottraendo risorse fondamentali per la pura sussistenza delle nostre imprese.
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