La BCC di Cosenza verso la soluzione finale

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 07 del 21/02/2012


Rende, 17/02/2012


Una crisi sempre più complicata

La vicenda della banca cosentina è arrivata al punto di non ritorno, restano solo pochi giorni per scongiurare la messa in liquidazione coatta con pesanti sacrifici a carico del personale


Sembrava una delle tante crisi che hanno colpito il sistema del credito cooperativo in questo momento di grave difficoltà. Soprattutto nel Mezzogiorno il rallentamento dell’economia sta producendo effetti devastanti. Arrivata con un certo ritardo rispetto al resto del paese, si trascinerà ancora in lungo proprio per la scarsa reattività delle imprese, infiacchite dal sensibile calo della domanda, ma soprattutto dalla restrizione del credito.

Proprio in questo momento sarebbe necessario sostenere gli investimenti per una ristrutturazione produttiva, ma nessuno ha il coraggio di aprire i cordoni della borsa per paura di rimanere intrappolato in una palude dove si nascondono insidiose sabbie mobili, con il rischio di essere inghiottiti senza lasciare traccia.

Il credito cooperativo è l’ultimo fronte ad aver ceduto, dopo un eroico tentativo di resistenza pagato caro ed amaro con una teoria di commissariamenti che hanno messo in luce le carenze sul piano gestionale, ma soprattutto la fragilità dell’economia meridionale.

Il credito cooperativo ha continuato a crescere e assorbire personale mentre il resto del sistema bancario procedeva per tappe forzata a operazioni di ristrutturazioni selvagge, con l’espulsione più o meno “gentile” di migliaia di lavoratori del settore accompagnati ad un precoce pensionamento. Non si può nascondere che il sistema di assunzioni si basava su metodi largamente clientelari. Tuttavia il grandi istituti hanno risposto con una forte precarizzazione dei rapporti di lavoro utilizzando in maniera alquanto spregiudicata le infinite possibilità messe a disposizione dalla legislazione sempre più permissiva.

La vicenda della BCC di Cosenza riassume in maniera esemplare i molteplici fattori che ne hanno decretato la dichiarazione dello stato di crisi: errori di gestione, un eccessivo sforzo di sostenere un’economia agonizzante, assunzioni poco ponderate proprio nel momento più delicato della sua storia. Tuttavia non si può certo sostenere che gli unici colpevoli siano da ricercare all’interno della banca e dei suoi amministratori. Il sistema prevede una serie di pesi e contrappesi, di controlli e di verifiche. Evidentemente non tutto ha funzionato a dovere. La Federazione calabrese è rimasta a guardare impassibile, partecipando anzi alla festa a giudicare dal ruolo svolto nell’ultimo concorso per l’assunzione del personale, ad esempio; la Vigilanza si è mossa con eccessiva prudenza volendo evitare una eccessiva ingerenza nell’amministrazione della banca, e provocandone la caduta finale.

Recenti fatti di cronaca hanno anche evidenziato la presenza di organismi, come i confidi, che piuttosto che essere di supporto all’economia con un aiuto alle imprese più deboli, si sono rivelati inquinati da logiche perverse che hanno fatto insorgere molti dubbi sulla validità della garanzia rilasciata. Si può esser certi che il ricorso ai confidi non è ancora utilizzato per migliorare le condizioni del credito, quanto piuttosto per superare le barriere d’ingresso per quelle aziende che non si trovano nelle condizioni di poter presentare una situazione dei conti non disastrosa. Più che degli strumenti di supporto dell’economia sana, spesso si trasformano in ancore di salvataggio per imprese giunte sull’orlo del precipizio. Strumenti anti-usura piuttosto che fondi per lo sviluppo.

Le vicende dei due confidi, Opus Homini e Finlabor, hanno dei riflessi diretti sulla valutazione del portafoglio crediti della BCC di Cosenza provocando una lievitazione del capitale necessario per ridare operatività alla banca e questo complica in qualche misura le cose.

Tuttavia non si tratta di una cifra iperbolica. Rimaniamo nell’ordine dei 15-20 milioni di euro, una cifra ragguardevole ma non proibitiva per i soggetti interessati, tra i quali si annovera il Fondo di Garanzia che costituisce l’attore principale nella commedia.

Un trafiletto de “Il Sole-24 Ore” di qualche giorno fa, informava senza particolare enfasi, l’intervento del Fondo di Garanzia al Credito Cooperativo Fiorentino, la banca di Denis Verdini per intenderci, per un importo di 100 milioni di euro e il “salvataggio” del posto di lavoro a quattro dipendenti reclutati con il contratto di lavoro delle agenzie di viaggio inquadrandoli nella federazione toscana delle BCC.

Certo sommando tutti gli interventi del fondo effettuati in Calabria si arriva a cifre simili, ma la gravità della situazione economica calabrese costituisce la causa di gran lunga preponderante rispetto a tutti gli errori gestionali che si possono addebitare alla nostre bcc, mentre nelle realtà più dinamiche i termini del problema vanno rovesciati.

La differenza nei due casi risiede essenzialmente nella diversa capacità di rappresentazione politica, nella scarsa incidenza dei nostri parlamentari in un contesto di potere sbilanciato verso il Nord, poiché tutti i principali partiti presenti in Parlamento esprimono una classe dirigente settentrionale se non dichiaratamente antimeridionale. Questo era del tutto evidente nel caso del governo Berlusconi, che ha nominato rappresentati calabresi solo in “limine mortis” con una operazione sfacciatamente tesa alla “captatio benevolentiae” (espressione nobile per evitare di classificarla tout court come una compravendita di consenso parlamentare), ma è ancora vero con il governo Monti, in cui siede solo un calabrese atipico come Catricalà, che ha si sforza per tenere quanto più nascosta possibile la sua calabresità.

Verdini ha preteso ed ottenuto il salvataggio della “sua” banca, i nostri parlamentari sono intervenuti con queruli appelli volti al ministro del tesoro e al buon cuore di chi potrebbe intervenire (non meglio identificato) ricevendone in cambio solenni dichiarazioni dei nobili propositi che animano la politica nazionale, sempre attenta ai bisogni e alle necessità del Mezzogiorno, accompagnati dall'elegante gesto dell'ombrello.

Sono intervenuti in tanti in favore della BCC di Cosenza, come già per quella di San Vincenzo la Costa per la quale furono organizzate anche processioni istituzionali con sindaci adornati della fascia tricolore per solennizzare l'evento con risultati risibili, poiché nessuno ha mai proposto qualcosa di serio e comprensibile.

Lasciando lo scivoloso terreno politico, fin qui le sorti della BCC erano abbastanza chiare poiché si ragionava sull'ipotesi spezzatino: dividere la banca in maniera eguale tra la Banca Sviluppo e la BCC Centro Calabria, entrambe giudicate idonee dalla Banca d'Italia a sostenere il peso finanziario e organizzativo dell'operazione. Un riconoscimento importante soprattutto per la banca catanzarese che può includere questa positiva valutazione della Vigilanza nel suo palmarès, una iniezione di fiducia e di affidabilità che gli consente di accreditarsi come una delle BCC di riferimento nella regione, per capacità manageriali e potenzialità di sviluppo.

Lo scenario sembra si è arricchito di un ulteriore elemento. Sul tappeto vi anche la BCC di Tarsia con in suoi quattro sportelli in attesa di un partner con cui contrarre matrimonio, e il suo sposo ideale veniva considerato fino a ieri il Mediocrati, un'altra delle BCC di riferimento sul territorio, forte di una governance credibile, di un management molto ben preparato e di una situazione economico-finanziaria solida.

Sembra invece che anche per la BCC di Tarsia voglia intervenire Banca Sviluppo senza lasciare la presa sulla metà della BCC di Cosenza. Una soluzione che provoca l'insorgere di alcuni interrogativi. Intanto perché la Mediocrati viene messa da parte nell'operazione? Non ha i capitali e le capacità organizzative e manageriali per reggere una operazione del genere? Perché Banca Sviluppo vuole accomodarsi in più tavole imbandite e non decide invece di acquisire il controllo dell'intera BCC di Cosenza? Sembrerebbe molto più logico evitare lo squartamento di una banca, una operazione succulenta solo per il soffritto e le frittole, ma estremamente dolorosa nel caso di una banca.

Qui è in gioco, infatti, il futuro di una quarantina di famiglie che con tutto questo giochetto perderebbero il loro posto di lavoro. Nella ipotesi precedenti si era calcolato un esubero di 17 persone e le lunghe e complesse trattative sindacali non hanno portato alla conclusione di alcun accordo. Non si tratta solo di una strenua difesa dei lavoratori coinvolti in questa operazione, ma nella difesa di un principio. Fin qui, il salvataggio delle banche è stato fatto salvando anche lavoratori e risparmiatori. Un cedimento sindacale significherebbe aprire una voragine che nessuno riuscirebbe più a colmare.

Questo disegno è favorito dallo spettro della liquidazione coatta amministrativa, una fase tecnicamente necessaria perché nel sistema normativo delle BCC non è possibile immaginare la ricostituzione del capitale con la partecipazione di un numero enorme di soci. Per raggiungere un capitale di 20milioni di euro, sarebbero necessari 400 soci da cinquantamila euro (il massimo consentito), un obiettivo al di fuori della portata del territorio.

La procedura consente allora la possibilità di acquistare le singole poste attive, gli immobili, gli arredi, la raccolta, il portafoglio impieghi utilizzando criteri di valutazione che escludono qualsiasi riferimento a quello che ieri si chiamava accorsamento (per gli esercizi commerciali) e oggi avviamento. Un affare per chi acquista a prezzo di svendita un prodotto pregiato come una banca bene avviata e inserita nel suo territorio di insediamento.

E il personale? Non vi è alcun obbligo che possa venire assunto da chi acquista le poste attive dell'azienda. Ma si fa l'ipotesi di “acquistare” anche il personale commerciale. Quello che opera nelle agenzie, per intenderci, escludendo tutta la direzione e il personale di staff. In termini pratici, questo significa che si dovrebbe procedere a 32 licenziamenti. Con il piccolo particolare che quelli che salvano il posto seguono la fine dello stercorario, costretto a ritornare indietro a recuperare le sue palline nere. Insomma dovrebbe ricominciare da zero la loro carriere e la progressione economica, cioè con azzeramento delle anzianità di servizio, degli inquadramenti retributivi, e delle progressione di carriera nel frattempo acquisite. Una condizione che per la sua durezza non ha alcun precedente in Italia, e che è certamente iniqua poiché lascerebbe ricadere sui lavoratori tutto il peso degli errori di gestione e dell'inadeguatezza della governance che hanno prodotto questa crisi, per non ripetere quanto detto sopra su una responsabilità più ampia.

Una ipotesi di questo tipo non incontrerebbe solo la più dura contestazione sindacale, ma la vertenza rischia di assumere una valenza nazionale, poiché introduce un principio che potrebbe applicarsi in qualsiasi altro contesto. Questo significa creare una situazione di confusione ed incertezza che potrebbe avere significative ricadute sulla stessa attività della banca. Alla fine potrebbe rimanere solo un pugno di mosche e a perderci sarebbero tutti, i dipendenti, le banche tanto quella contesa che le contendenti, la federazione regionale e quella nazionale, il territorio, il sistema imprenditoriale.

Si deve sottolineare il ruolo che in tutta questa vicenda assume la Banca Sviluppo, oggi diventata il vero strumento in mano al sistema del credito cooperativo, poiché è partecipata, quasi al 100%, da Iccrea Holding. Solo qualche mese fa ha acquisito la Bcc di San Vincenzo La Costa senza creare un caso così clamoroso ed eclatante, come in tutti gli altri interventi effettuati con successo in tutta Italia. Nella stragrande maggioranza dei casi, le acquisizioni sono state integrali rispettando le condizioni contrattuali maturate dal personale.

Si potrebbe salvare capre e cavoli affidando l'intera BCC di Cosenza a Banca Sviluppo. Una soluzione che appare molto più razionale ed equilibrata, con l'ulteriore vantaggio che la vertenza sindacale si giocherebbe su un solo tavolo piuttosto che in una triangolazione in cui è difficile raggiungere una sintesi.

Gli obiettivi e la mission della Banca Sviluppo renderebbe tutto più semplice, poiché la sua diffusione territoriale consentirebbe un più ampio spettro di opportunità di utilizzo del personale ritenuto eccedente, con un ampliamento della capacità operativa o con il loro utilizzo in altre sedi. Questa, infatti, ai tavoli delle trattative ha sempre mostrato più ampie aperture, sia riguardo alla riduzione della pianta organica, sia riguardo alle nuove condizioni remunerative, proprio per la maggiore capacità strategica e per proprie ragioni statutarie. La Banca di Cosenza potrebbe giocare un ruolo strategico come "core business" che consente la penetrazione in un territorio che presenta grandi potenzialità da sfruttare dopo l'uragano della crisi che l'ha investita. Gli stessi dipendenti sarebbero più disponibili ad accettare soluzioni che pur se con sacrifici assicurino loro una prospettiva di stabilità occupazione e capacità di progressione di carriera.

Il gossip metropolitano sembra raccontare che Banca Sviluppo non potrebbe investire altre risorse in Calabria con l'acquisizione della intera Bcc Cosenza. Tuttavia la Bcc Tarsia ha una dimensione che per sportelli, raccolta, impieghi e patrimonio è pari all'incirca alla metà della BCC di Cosenza e richiede un investimento analogo.

Resterebbe il problema della BCC Centro Calabria, ma resta anche il problema di Tarsia. Un loro matrimonio non sarebbe tanto innaturale, e forse più sinergico di quanto potrebbero ottenere dalla metà di una banca morta.

Anche la BCC Mediocrati potrebbe mostrare qualche malumore. Si tratta di un istituto di tutto rispetto, che sta ancora digerendo la Sibaritide e ha la forza e la capacità di attendere tempi migliori per un rafforzamento. Il suo management è stato fin qui molto attento a progredire con prudenza, mostrando una insolita (per la Calabria) capacità di discernimento e valutazione delle opportunità.

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