Domenico Sansone, una vita controversadi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XI num. 07 del 21/02/2012 |
Rende, 17/02/2012
Alla riscoperta di un personaggio sconosciuto di Fuscaldo
Avvocato, letterato e magistrato vissuto a cavallo di due secoli. La sua vita fu interrotta dagli eventi del 1799 che lo costrinsero all’esilio a Marsiglia
A partire da questo numero presenteremo dei ritratti di uomini illustri della Calabria tratti dalle raccolte di biografia redatte tra il sette-ottocento. Si tratta di uomini che hanno avuto un ruolo importante nella vita politica o culturale della loro epoca. Alcuni di essi sono ancora conosciuti ancora oggi, mentre di altri si è perso il ricordo, com'è il caso del Cav. Domenico Sansone, un grande avvocato del foro di Napoli vissuto a cavallo tra il settecento e l'ottocento. Nacque, infatti a Fuscaldo da una modesta famiglia e morì a Napoli stimato e onorato, ma in una decorosa condizione economica. Nonostante fosse uno dei principi del foro napoletano e ricoperse importanti incarichi non accumulò grandi ricchezze, anche per la confisca dei beni operata dai giocobini nel 1799, quando egli si rifugiò esule a Marsiglia per la sua posizione legittimista e filoborbonica. La biografia è stata scritta da Domenico Martuscelli e inserita in una raccolta sotto il titolo “Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli ornata de' loro rispettivi ritratti compilata da diversi letterati nazionali”, Vol. 2 Napoli MDCCCXIV (1814), Presso Nicola Gervasi calcografo, Strada Gigante, n. 23. Viene qui riprodotta nella sua stesura originaria, per conservarne il sapore del suo tempo.
Egli fu tra i fondatori dell’Accademia Pontaniana e ne assunse la presidenza per un breve periodo, quando fu nominato vice. Nel necrologio apparso negli Atti della Società Pontaniana di Napoli, volume terzo, Napoli 1819, Nella Tipografia della Società Filomatica, pag. XXXII) si legge:
“Egli ha lasciato nel foro la memoria di dotto e probo magistrato; ed avrebbe anche fra’ letterati lasciato illustre ricordanza di sé co’ suoi scritti, se nella sua lontananza da Napoli questi non si fossero sventuratamente smarriti. Egli aveva fra’ più severi studj coltivate pure le muse scrivendo una tragedia intitolata Collatino”. (OP)
(Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli ornata de' loro rispettivi ritratti compilata da diversi letterati nazionali”, Vol. 2 Napoli MDCCCXIV)
In Fuscaldo nella Calabria Citeriore nacque quest’uomo per tutti i titoli rispettabile, nel dì 8 Maggio 1758. I suoi onesti genitori furono Raffaele Sansone, Fisico-chimico di rinomanza non volgare, e Chiara Jannuzzi, la quale nell’angosciosa vecchiezza, e nel momento in cui più si compiacea di essere la fortunata genitrice di un uomo, che avea illustrata la famiglia, la patria ed il regno, ha sofferto l’acerbissimo dolore di veder invertito l’ordine della natura, e di sopravvivere ad una figlio così caro.
Nella patria fece i primi studj; ed i suoi progressi furono tanto rapidi e sorprendenti, che avendo egli appena dodici anni, fu la gloria del maestro, il modello d’imitazione de’ suoi compagni. In quella età egli compose e recitò un’orazione funebre in morte del vecchio Marchese di Fuscaldo; e tal componimento fu così bellamente livellato su i precetti oratorj, che senza l’opinione già precocemente sparsa su di lui, niuno avrebbe creduto essere il tirocinio di un giovinetto, il primo saggio di una nascente coltura. Ciò fece annunziar di lui quanto più si può di grandioso e sublime, e bastò a determinare i suoi diligenti genitori di mandarlo a Napoli, ove potesse più spaziosamente instruirsi, e compire sotto i celebri maestri della Capitale il corso intero degli studj, e della letteratura. Giunto in Napoli continuò con egual felicità le buone lettere; indi gradatamente seguì un corso di Matematiche, e di Scienze ideologiche. Compiti tai studj, si addisse a quello della Giurisprudenza. In essa egli eminentemente si distinse; e quante volte se gli proponea qualche articolo difficile e controvertito, egli con una straordinaria felicità lo risolvea. I suoi ragionamenti erano sentenziosi e sublimi, ed il suo linguaggio in tai materie giunse fin d’allora ad imitare la precisione delle Pandette, e la gravità del Codice.
Dopo gli studj teoretici del Diritto apprese la pratica civile del Foro sotto il celebre Bernardo d’Ambrosio d’Ambrosio; e già cominciò a manifestarsi al pubblico con fausti auspicj. Incoraggiato da questi, si sentì viè maggiormente proclive all’arte dominatrice de’ cuori; e meditando di accoppiarla colla sana filosofia ragionatrice, vide la ridente prospettiva della nobile Avvocheria Criminale. Pieno di queste idee, ed incantato dai tuoni di eloquenza del Demostene di quel tempo, Francesco Trequattrini, volle formarsi alla di lui scuola. Il novello Maestro fu meravigliato della profonda analisi, che gli vedea adoperare nello studio delle più complicate processure, e della giusta economia nel governo delle cause. E’ oltre l’immaginazione quanto fosse stata felice la sua prima comparsa nella G. C. e nel Supremo Concistoro della R.C. di S. Chiara, composto allora de’ più gravi e rispettabili Magistrati del Regno. Guadagnò egli fin dalle prime la pubblica fiducia ed opinione; e già senz’aver percorso lungo stadio, salì così altro grado di stima, che fu sempre distinto nella generosa amicizia di que’ venerabili Senatori.
Sostenuto dall’opinione del suo valore, non disgiunta dal più virtuoso disinteresse, e dalla più amena giovialità nel conversare, rilevata da una virtuosa e giammai smentita purità di costumi, non molto si affaticò per divenire il Principe degli Avvocati criminali. Le cause capitali da lui patrocinate sono oltra numero; né ve n’era alcuna difficile e rumorosa, in cui egli non fosse invitato. Sono rimarchevoli fra le tante, talune di rei salvati da lui, non dal rigor della Giustizia, ma dalla stessa agonia della Cappella, in seguito delle sue patetiche aringhe al Sovrano: dal che ognuno riguardava quegl’infelici più come da lui risuscitati che difesi.
Fu egli tanto prodigioso nella lettura del processo criminale quanto felice nel rinvenire, quasi col fuscellino, nel medesimo quella verità morale ch’è tanto necessaria nell’accusare e nel difendere. Le sue speculazioni erano non meno profonde, che ardite, e figlie egualmente della più sana filosofia, e della filantropia la più ragionata: e la sua maniera di porgerle al Magistrato era egualmente magica e singolare. La sua eloquenza non era clamorosa, o vanamente declamatoria; ma compariva una facondia tutta amena e didascalica. Felice nello stabilire le proposizioni, quanto seducente in sostenerle con argomenti logici e dimostrativi, divenne irresistibile.
Nel 1797, fu promosso all’Avvocheria Fiscale in Basilicata, e alla Delegazione contro i malviventi. L’espressione del Real Rescritto speditogli, piucchè l’eminenza della carica, fece il di lui più vivo elogio. Egli corrispose perfettamente alla fiducia del Sovrano, e dopo nove mesi del più esatto servizio fu richiamato in Napoli alla Toga, ed a più sublimi onori. Ma il turbine politico del 1799, l’obbligò a rifugiarsi in Francia. Colà e dappertutto fu volontariamente seguito da Reginalda sua sorella, la più virtuosa delle donne, e l’esempio dell’amor fraterno, la qual sola divise sempre con lui la triste, e le prospere vicende della vita, e sempre il sostenne ne’ disagi, e nella vacillante salute.
Giunto in Marsiglia colla sola tessera ospitale della sua virtù, guadagnò ben tosto i cuori di chiunque colà il conobbe. Fuvvi anche chi mettesse fiducia in lui in materie del foro, comecchè in linguaggio e rito diversissime. Egli a tal fiducia corrispose; e la sua voce fu assai spesso udita nei Tribunali di Marsiglia, di Aix, e di Nîmes con successo giustificante l’opinione del suo nome. Quegli ottimi magistrati incantati dalla giustezza delle di lui idee, e dalla sveltezza di ragionamento in una legislazione ed un rito a lui tutto nuovo, nel quale ciascuno avrebbe creduto ch’egli dovesse incespicare, gli diedero la loro stima, e molte sollicitazioni gli fecero per determinarlo a colà stabilirsi, anche allettandolo colla ridente idea di un lusinghiero avvenire.
D’altra parte gli amici suoi, cioè coloro che l’appregiavano viè maggiormente, tutti impegnavanlo a restituirsi nella patria. Anche più particolarmente l’Illustre attual Ministro della Giustizia, giustissimo estimatore del merito degli uomini, per mezzo del Signor Tommaso Donato, amico caldissimo di Sansone, invitandolo al ritorno, per godere della considerazione de’ suoi più distinti concittadini, e degli agi che nuovi allori forensi gli avrebbero procurato. Debole assai in salute, in ambizioso, tenero e sensibile, Sansone non sapea risolversi a lasciar Marsiglia, gli ospiti e gli amici, e di esporsi ai perigli del mare. I suoi bisogni eran pochi, ed i maggiori eran quelli che servivano per riparare la logorata salute. Frugale e modesto in tutto, contentatasi di menar vita tranquilla e filosofica mediocrità. Ma il detto signor Donato, sollecito del vero bene dell’amico, insistette a determinarlo al ritorno, comecchè colla separazione di così degno amico egli restasse privo della di lui abituale, e sì gradita compagnia. Su tali virtuose esortazioni in Maggio del 1804, Sansone partì dalla ridente città di Marsiglia; e quanti vi eran colà Napoletani distinti, tutti accompagnarono l’esule illustre fin sulla nave, che si era già tirata in alto mare. Gli augurj del buon viaggio furon mescolati di lagrime di tenerezza, e gli ospiti Marsigliesi, ch’eran della brigata, non furon gli ultimi a piangere in quell’acerba separazione.
Dopo una breve e felice navigazione giunse nel porto di Napoli; e saputosi appena il suo arrivo, cento amici presentaronsi nelle scialuppe a salutarlo. Ma fu inaudita e singolare la soddisfazione di vedersi già invitato in varie cause, anche coll'anticipo di non picciole somme, sebbene non ancora avesse posto il piede a terra. Espiata la contumacia, ritornò agli amici, e ricomparve nel foro, prevenuto dall'antica e stabile sua riputazione, come D'Aguesseau a Parigi dall'esiglio di Fresne. Dopo circa due anni fu nominato Preside in Lecce; ma egli pieno di moderazione rinunziò tal carica. Non gli riuscì però di rinunziare a quella di Avvocato Regio presso la Commissione giudiziale straordinaria delle tre provincie di Puglia. Fu indi Presidente del Tribunale Straordinario di Napoli; ed in tale esercizio la gloria del suo nome giunse al colmo, e la pubblica estimazione non ebbe confini. Finalmente nell'istallazione de' nuovi Tribunali fu eletto uno de' Consiglieri della Suprema Corte di Cassazione, e decorato dell'Ordine equestre delle due Sicilie. Frutto delle sue profonde meditazioni furono i comenti sulle opere di Platone. Ma la sua somma moderazione non lo fece determinare giammai a darli in luce. Quindi è che nulla ci rimane di lui, se non la dolce rimembranza di esser egli stato un grand'uomo senza orgoglio, senza vanità, senza ambizione. La sua filosofia era quella della ragione, ed a quella accoppiava la più irreprensibile morale. Ragionatore quanto Pericle, onesto come Focione, visse e morì da Aristide il dì 4 Settembre 1813.
Il duolo che sparse la di lui morte in tutti i ceti delle persone, la moltitudine immensa che si affollò nella di lui casa, fino ad ostruirne la strada, e la concorrenza di tutta la Magistratura nel lugubre accompagnamento, autenticarono la pubblica stima ed opinione. I Socj Pontaniani ne solennizzarono la perdita luttuoso con tutti gli onori funebri accademici. Il prelodato virtuosissimo Ministro della Giustizia prendendo a cuore l'onorata indigenza, in cui Domenico Sansone era morto, impetrò dalla beneficenza inesauribile di S. M. una largizione di ducati mille in beneficio della desolata famiglia, oltre di una vitalizia mensual pensione di dugento lire all'inconsalabile e degna Sorella di un uomo costantemente rispettabile.
Hic qua fuerit abstinentia nullum est certius indicium, quam quod cum tantis rebus praefuisset, in tanta paupertate decessit, ut qui efferretur vix relinquerit. Corn. Nep. in Vit. Aristid.
Elatus est comitandibus omnibus bonis, maxima vulgi frequentia. Id. in Vit. T. Pomp. Att.
Domenico Martuscelli.
XIII All’estratto della memoria del Sig. Pelusio faremo seguito quello di un elogio del Consigliere Domenico Sansone dettato dal Ch. Sig. Cav. M. Galdi attuale vice-Presidente della società. Egli fu tolto da morte alla Società Pontaniana, della quale era stato uno de’ fondatori, nello stesso anno 1913, e la sua tomba fu onorata da’ suoi colleghi con molte poetiche composizioni.
Nacque Domenico Sansone da onesti genitori in Fuscaldo piccola città non lungi da Paola nella Calabria citeriore al cominciare dell’anno 1758, ed ivi sotto privati maestri apprese ne’ suoi primi anni gli elementi delle lingue dotte; fino a che all’età di tredici anni fu chiamato in Napoli a compire il corso de’ suoi studj per cura dell’ottimo suo zio Gio. Battista Sansone, valente giureconsulto, ed agente generale della casa Spinelli de’ Marchesi di Fuscaldo. Fioriva singolarmente in quell’epoca la Università nostra degli studj, ed i Cirillo, i Cavallaio, i Serso, gl’Ignarra ne formavano l’ornamento; mentre gli Esperti, gli Ambrosio, i Cavalcanti, i Patrizi con somma erudizione, e con robusta eloquenza sostenevano gli antichi onori del foro Napoletano. Colla scorta di questi egregi modelli, il giovane Sansone s’innoltrò nello studio delle lettere, della filosofia, e della giurisprudenza. Ebbe egli principalmente per istitutori Campolongo, Caravelli, e Cavallaio; ed i suoi primi passi nel foro furono guidati da Bernardo d’Ambrosio e Francesco Trequatrini. Né molto stiè il Sansone a gareggiare co’ primi avvocati e per ingegno, e per dottrina, e per virtù, ed a conseguire celebrità non volgare; e la stima, e l’amicizia ottenne de’ magistrati più saggi ed illustri di quella età, ed in particolare di Stefano e Pietro Patrizj, del Marchese Diodato Targiani, di Domenico Potenza, d’Ippolito Porcinari, di Gregorio Bisogni, di Niccola Vivenzio, e di altri. Della quale amicizia il Sansone non per arricchire se stesso, o carpir grazie e favori, ma solo si valea per la difesa dell’innocenza, e pel sollievo degli oppressi, che a lui tenevan ricorso.
Nell’anno 1791 Domenico Sansone fu nominato uno de’ deputati incaricati della polizia della città di Napoli, e poco dopo avvocato della sopraintendenza di Campagna, e de’ sette pubblici banchi, che in quell’epoca erano a Napoli. Fu quindi da S.M. destinato Avvocato Fiscale presso la udienza di Basilicata, e visitatore della delegazione straordinaria per la persecuzione de’ malviventi affidata al Sig. Preside Ma rulli. In questi onorevoli incarichi egli si fece sempre per la virtù sua ammirare, la quale con fortunato legame trovatasi a lui somma urbanità di maniere riunita, ed a molta coltura d’ingegno. Quindi meritatamente nel 1798 fu dalla provincia richiamato nella capitale agli onori della toga nel Tribunale di Polizia novellamente in que’ tempi istituito.
Ma nel corso degli onori gli avvenimenti dell’anno 1799 il distolsero, e ‘l tennero dalla patria lontano, fino al declinar dell’anno 1804. In questa epoca tornato egli fra noi ripigliò l’interrotto esercizio del foro, ed alle gradite sue letterarie occupazioni fece pure ritorno. Egli fu nel 1808 uno de’ fondatori della Società Pontaniana, della quale fu poi Presidente, e poco dopo vice-Presidente. Era uno de’ Consiglieri della G. Corte di Cassazione quando nel 1815 cedè ad una insanabile malattia di languore.
Egli ha lasciato nel foro la memoria di dotto e probo magistrato; ed avrebbe anche fra’ letterati lasciato illustre ricordanza di sé co’ suoi scritti, se nella sua lontananza da Napoli questi non si fossero sventuratamente smarriti. Egli aveva fra’ più severi studj coltivate pure le muse scrivendo una tragedia intitolata Collatino.
(estratto da Atti della Società Pontaniana di Napoli, volume terzo, Napoli 1819, Nella Tipografia della Società Filomatica, pag. XXXII)
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