Il patrizio imprenditore agricolo

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 11 del 17/03/2012


Rende, 15/03/2012


Domenico Grimaldi, letterato e giureconsulto molto noto

Spirito pratico che dedica la sua attenzione alle migliorie delle condizioni dei contadini e delle tecniche di coltivazione e trattamento dei prodotti agricoli.


Domenico è il primogenito della famiglia di Pio Grimaldi che annovera anche Francesc’Antonio, letterato e giureconsulto molto noto e stimato in tutta Europa morto all’età di 42 anni, e un altro fratello rimasto ucciso sotto le macerie del terremoto nel 1783. Tra i due il più conosciuto è Francesco, il teorico, mentre Domenico è uno spirito più pratico e dedica la sua attenzione al miglioramento delle condizioni dei contadini e delle tecniche di coltivazione e trattamento dei prodotti. Egli era fermamente convinto che questo avrebbe provocato un incremento della redditività dei grandi possedimenti agrari e del benessere complessivo della società. Egli stesso si dedica all’imprenditoria agricola e partecipa i principali centri di divulgazione e ricerca agricola investendo notevoli somme con il rischio di dilapidare il patrimonio familiare.

Vi sono stati due eventi che hanno segnato la vita e il carattere di Domenico: la carestia del 1763, che provocò migliaia di morti per la mancanza del pane e l’epidemia che ne seguì; vent’anni dopo, il terribile terremoto del 1783 che provocò danni ingentissimi tanto a Seminara che nelle loro proprietà e nel quale perirono cinque suoi familiari. Le due immani tragedie lo convinsero del ruolo cruciale dell’agricoltura e del corretto utilizzo della terra.

Nel saggio Piano di Riforma per la Pubblica Economia scriveva al riguardo: “E cosa dir si può delle estorsioni, e delle oppressioni che soffrono i contadini? Andate in giro per le nostre campagne, e vedrete da per tutto l’aspetto dell’avvilimento, della miseria, e dell’oppressione: vedrete, che la classe che fa sussistere tutti, e senza quella niuno può sussistere, è tra noi la più avvilita e a più sprezzata. Vedrete finalmente, che fino ne’ villaggi, le Mani morte rigurgitano di superfluo, il quale si dissipa tutto in lusso frivolo, e nocivo agl’interessi della Religione, e dello Stato, quando nella capanna del contadino i sui piccioli innocenti figliuoli non atti ancora al travaglio, mancano di sussistenza, perché il solo travaglio così penoso del povero padre, dovendo supplire a tanti pesi, a tante avanie, non basta per la propria, e per la di loro sussistenza”.

Grimaldi fu favorevole all’abolizione della manomorta ecclesiastica e all'istituzione della Cassa sacra, che doveva amministrare i patrimoni dei beni ecclesiastici confiscati, un programma pubblico di ricostruzione con l’adozione di iniziative strutturali per l'ammodernamento della produzione agricola e industriale.

I due fratelli hanno buone entrature a corte e un rapporto privilegiato con il primo ministro Acton. Ricevono entrambi alti incarichi da parte del sovrano borbonico. Il vero politico è però Domenico che partecipa attivamente alle correnti di pensiero dominanti e alle organizzazioni progressiste dell’epoca.

Massone e illuminista appartiene alla scuola economica napoletana formatisi con Antonio Genovesi. Aderì alla fratellanza dei Liberi Muratori, che nella forma moderna era sorta a Londra nel 1717, diffondendosi con grande rapidità in tutta Europa, alla quale facevano riferimento tutti i progressisti. Quale Assessore al Supremo Consiglio delle Finanze del Regno del 1782, vide delusi tutti i tentativi di poter riformare il sistema per via democratica. Toccò con mano la divaricazione tra l’aristocrazia parassitaria e i bisogni e le urgenze della società.

Nei circoli massonici incontrò Antonio Jerocades, Gaetano Filangieri, Pasquale Baffi, Mario Pagano e Melchiore Delfico e tanti altri intellettuali che successivamente parteciperanno alla Repubblica Partenopea del 1799. La regina Maria Carolina guardava con molta simpatia a questi movimenti, e Grimaldi dedico a lei il suo Piano di Riforma nel quale auspicava l’adozione di provvedimenti a favore dell’agricoltura. Dopo la rivoluzione francese (e soprattutto dopo il regicidio di Luigi XVI e Maria Antonietta, sorella della regina di Napoli), la monarchia borbonica assunse una posizione molto reazionaria e conservativa. La totale chiusura a qualsiasi ipotesi di riforma dello status quo, provocò un avvicinamento dei circoli massonici verso le idee giacobine.

I massoni furono perseguitati in tutto il Regno poiché ritenuti responsabili della diffusione di idee rivoluzionarie e di piani per il sovvertimento dell’ordine costituito.

Nel dicembre 1798, a seguito di un attentato dove perse la vita il governatore Giovanni Pinelli, a Reggio ci fu una operazione di polizia che portò all’arresto di una cinquantina di massoni, tra cui lo stesso Grimaldi e fu trasportato nel carcere di Messina. Domenico si appellò alla regina e fu riabilitato e reintegrato nei suoi incarichi. Suo figlio Francescantonio aderì alla Repubblica Napoletana divenne colonnello e aiutante in campo del Generale Manthoné. Fu giustiziato il 22 ottobre 1799. Vito Capialbi, che scrive nel 1835 dopo la restaurazione dei Borboni sul trono di Napoli, pudicamente non fa alcun cenno alle vicende della Repubblica Partenopea limitandosi a scrivere che “si giustificò presso il Governo, e mediante la protezione del primo Ministro Gio. Acton ottenne il soldo che gli era stato sospeso”. Ma il sacrificio del suo figlio prediletto fu una ferita che non si rimarginò più fino alla morte.

Ecco il racconto della morte di Francesco Grimaldi nella versione di Alexander Dumas (I Borboni di Napoli, volume III, Napoli 1862):

Poi uno strano episodio rese più viva del solito la curiosità del popolo. Si trattava di decapitare un morto. Il popolo aveva già veduto decapitare un certo numero di persone vive; ma un morto, questa mo' era proprio la prima volta.

Questo morto, il 41°, per ordine cronologico, era Francesco Grimaldi.

La notte precedente si era andato a cercarlo alle prigioni della Vicaria per trasferirlo al Castello dl Carmine che avvicinava al patibolo il condannato, facendo presso a poco lo stesso officio a Napoli di quello che faceva a Parigi la Conciergerie, quando le condanne capitali si eseguivano nella piazza di Grêve.

Francesco Grimaldi era un uomo di forza straodinaria. Nel tragitto dalla sua prima prigione a Castel del Carmine, risolvette di tentare di salvarsi; spezzate con violento sforzo le corde che gli stringevano i polsi, rovesciò con due poderosi pugni i due soldati che gli stavano ai fianchi e si diede a fuggire. L'ufficiale che comandava la scorta e che, sulla propria testa, rispondeva del prigioniero, corse sol suo drappello ad inseguirlo, gridando a gola aperta “al Giacobino! Al Giacobino!” Era il grido mortale, lo sappiamo. Malgrado quel grido, malgrado la furia incalzante de' suoi persecutori, Grimaldi aveva già traversate alquante strade, quando s'imbattè faccia a faccia con una ciurma di lazzaroni armati; era preso, quando ad un trattò gli balenò l'idea di gridare: “Viva la Repubblica” Morte ai realisti!” Que' lazzaroni credettero scoppiata una nuova rivoluzione, e vedendo un gruppo di soldati che, correndo nella loro direzione, pareva volesse dar loro adosso, con alla testa Grimaldi, se la diedero precipitosamente a gambe. Grimaldi al quale il desiderio della vita metteva l'ali ai piedi, già guadagnava terreno considerevolmente su coloro che non cessavano d'inseguirlo, e stava omai per essere fuori pericolo, quando, nell'oscurità non avendo veduto un pietrone che impacciava il lastrico, v'inciampò, e, in cadendo, si ruppe una gamba. Si rialzò, ma sentì che gli era impossibile di fare un passo in più: allora si trascinò a poca distanza dal posto dove era caduto e si adossò quanto più potè al muro. Al momento in cui tutto coloro che lo inseguivano passavano a gran carriera davanti a lui, e sarebbero forse andati oltre senza vederlo, la luna uscì da una nuvola denunciò: allora i soldati gli si slanciarono adosso pensando non aver nulla a temere da un uomo disarmato e ferito; ma egli strappò la sciabola di mano al primo che si accostò, e così si trovò ferito ma armato. Se egli non aveva più la speranza di salvare la vita, almeno sperava di morire combattendo. Difatti, gli erano toccati due o tre colpi di bajonetta ma parecchi degli assalitori erano già distesi ai suoi piedi, quando arrivò l'ufficiale accompagnato da una banda di lazzaroni. Questo rinforzo di nemici, rendendo a Grimaldi più sicura la morte, ne rese anche più disperata la difesa. No si poteva prenderlo vivo, avvegnacchè egli menasse giù gran fendenti di sciabola a quanti gli si avvicinassero. L'ufficiale fece dare addietro i soldati, e sicuro che Grimaldi, colla gamba rotta, non poteva fuggirgli, ordinò loro di caricare i fucili e di fargli fuoco adosso. Una scarica lo trafisse con cinque o sei palle. Grimaldi cadde morto. Era il suo cadavere quello che si decapitava l'indomani, con Giuseppe Riario, nel tempo stesso che s'impiccava Onofrio Calace, Luigi Bozzaotra, quello stesso che con una sciabolata, aveva gittato a terra, al Mercatello, la testa della statua di Carlo III, Giovanni Veronese, Carlo Pietri ed il fedele Gaetano Morgera”.

(OP)


Vita e opere di Domenico Grimaldi

Domenico Grimaldi, marchese, fu figlio di Pio e Porzia Grimaldi, e nacque in Seminara l'anno 1735. Ebbe tre fratelli, tra i quali D. Francesco Grimaldi conosciutissimo letterato napolitano. Apprese i primi rudimenti, e fe' gli studi elementari in casa sotto la guida dl genitore medesimo, ch'era uomo ricco, di buon gusto, ed assai erudito. Nella capitale compì e perfezionò il corso legale, e dimostrò fin dalla gioventù una decisa inclinazione alle scienze naturali ed economiche. Andò in Genova: si fe' reintegrare alla nobiltà, ed ottenne la magistratura di quella repubblica. Dimorando colà donò maggior sfogo alla prediletta sua inclinazione: si applicò seriamente a conoscere i metodi di agricoltura e arti che specialmente riguardavano le sete e gli olii, e col beneplacito del genitore intraprese de' viaggi in Francia, in Svizzera ed in Piemonte per istruirsi minutamente delle lodevoli pratiche agricole di quelle contrade. Una sua memoria circa l'erba nostrale detta "sulla" venne applaudita dalle Società di agricoltura di Parigi e Berna, e meritò essere stampata a spese de' Georgofili Fiorentini.

Ricco di conoscenze, ed invaso di patriottismo il marchese spedì macchine, sementi, agricoltori ed artefici in Calabria, e coll'aiuto ed efficace cooperazione del buon genitore non meno del figlio da saggia filopatria animato, introdusse la coltura delle patate e delle carote, i prati artificiali, gli ortaggi all'uso francese; fabbricò mulini e trappeti detti alla genovese. Tutte queste però ed altre numerose agricole esperienze fatte a spese della privata sua borsa dissestarono l’economia domestica del Grimaldi, e la morte del padre, e poscia quella del fratello D. Francesco influirono vieppiù a darle un crollo maggiore. Imperciocchè da pochi o niuno seguito, esposto si vide alle opposizioni ed agli ostacoli che i ricchi possessori de’ trappeti alla paesana gli frapponevano temendo che la propagazione delle novelle macchine portar potesse dissesto ai non piccioli lucri della loro industria. Il marchese non per tanto continuava a diffondere i lumi, e ad insinuare le conoscenze veramente utili alla pubblica economia. Con tali vedute sono scritte le due opere, le quali traspirano unito a savie vedute un amore eminente del ben nazionale.

Nel 1782 egli venne nominato assessore del nuovo consiglio delle finanze, con Galiani, Aiello, ed altri; e col soldo di duc. 50 al mese fu spedito per animare l’agricoltura e le arti in Calabria; alla qual incumbenza il marchese pianamente corrispose e si applicò a tutt’uomo a generalizzare i trappeti alla genovese, e lavatoi del nocciolo, e la tiratura delle sete all’organzino. Nella Piana furono stabilite le prime due macchine, ed una scuola da tirar la seta si aprì in Reggio con molta miglioria ed utilità di questo ramo d’industria; ed uno specioso stabilimento se ne stabilì in villa S. Giovanni a cura della famiglia Caracciolo. Al presente le filande si sono generalizzate nella provincia di Reggio con gran lucro di quelle popolazioni.

Nel 1798 il marchese fu involto nelle catastrofi rivoluzionarie, ch’erano cominciate a farsi sentire da per tutto, ed arrestato con molti altri gentiluomini reggiani fu trattenuto nella prigione di Messina detta la Brigaria, perché la gotta di cui era afflitto non permise che fosse trasportato cogli altri all’isola di Favignana. Rientrato ai domestici lari dopo la pace di Firenze egli si giustificò presso il Governo, e mediante la protezione del primo Ministro Gio. Acton ottenne il soldo che gli era stato sospeso; e continuò la sua dimora in Reggio, ove se ne morì a’ 5 novembre 1805.

Appartenne Grimaldi all’Accademia dei Georgofili di Firenze, alla società Economica di Berna, alla Società Reale di agricoltura di Parigi, ed alla reale accademia di scienze e belle lettere di Napoli.

Pubblicò: 1 – Memoria sull’erba detta Sulla. 2. Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra. Napoli, 1770, in 8. stampato a cura del fratello D. Francesco che premise un avviso agli amatori del pubblico bene.

3. Istruzione sulla nuova manifattura dell’olio. Napoli, 1773 in 8., ed ivi 1777 anche in 8. Con figure.

4. Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle sete del Regno ec., Napoli 1780.

5. Piano per impiegare utilmente i forzati ec., Napoli 1781.

7. Memoria per lo ristabilimento dell’industria olearia e dell’agricoltura nelle Calabrie ed altre provincie del regno di Napoli. Napoli, 1783.

8. Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del regno di Napoli, e per l’agricoltura delle due Sicilie, 2 edizione Napoli, 1783.

9. Relazione umiliata al re di un disimpegno fatto nella Calabria Ulteriore con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia. Napoli, 1785.

10. Relazione di una scuola da tirar seta alla piemontese stabilita in Reggio per ordine di S. M. sotto la direzione del marchese Grimaldi, all’approvazione di S.E. il vicario generale delle Calabrie D. Francesco Pignatelli. Messina 1785, per Giuseppe di Stefano impressore regio.

(Vito Capialbi in Emilio De Tipaldo (a cura di), Biografia degli uomini illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII e de' contemporanei, vol. I, Venezia, dalla Tipografia di Alvisopoli, MDCCCXXXIV)


Seminara nel Settecento

A proposito della patria dei Grimaldi, nel 1794 Giuseppe Maria Galanti scriveva: Seminara è un paese di 4400 anime che nella Calabria si distingueva per i suoi edifizi, per le sue ricchezze e per le comodità della vita. Pare ch’essa abbia sofferto coll’erezione della Cassa Sagra. Oggidì è un paese rovinato e miserabile.

Il terribile sisma del 1783 aveva colpito duramente tutti i paesi della Piana e Seminara era stata quasi completamente distrutta con un numero elevatissimo di morti. Il fratello Francesco Antonio nella sua relazione sul “tremuoto” scrive che prima di quel disastro Seminara aveva una popolazione di 8000 anime e il suo casale di S. Anna 583. I morti accertati furono 1381 nella cittadina e 71 nel casale. Undici anni dopo poco era stato ancora fatto. “Palmi è il solo paese che siasi rifabricato dopo il terremoto. Ha 4700 anime, che mostrano attività senza avere direzione”, notava il Galanti.

Giovanni Vivenzio nella sua “Istoria de’ tremuoti in generale” descrive con molta vividezza gli effetti del sisma.

“Questa città edificata nel nono secolo fu rovesciata dalle fondamenta, rimanendo solamente in piedi poche case nel Borgo detto S. Maria la Porta. Fra gli edifici distrutti sono notabili i Monasteri delle Monache di S. Mercurio, e dell’Annunziata, quelli de’ Basiliani, Domenicani, Conventuali e Paolotti, il sontuoso tempio della Chiesa maggiore, S. Maria de’ Poveri, S. Maria de’ Miracoli, e dello Spirito Santo. Si perde' molt’Olio, Vino, Grano, ed altre vettovaglie, delle quali cose abbonda quella contrada. Il Casale di S. Anna fu anch’esso distrutto intieramente. Nel territorio della Città vi fu grande sconvolgimento lungo il luogo detto l’Annunziata. Era in tal contrada un podere di un gentiluomo chiamato D. Vincenzo Sanghez, che incominciando da un piano inclinato verso l’W. Terminava in una scoscesa di circa salme quaranta ricoperta di Olive, presso di cui scorreva un piccol fiume, che alla ripa opposta aveva una collina. Or nella orribile scossa de’ 5 febbrajo questa collina cretacea, quasi svelta dalla radici, rotolando per lo spazio di un terzo di miglio venne a ricoprire la scoscesa in maniera che oggi non si scorge segno di albero. In quel punto si segregavano dalla massa grossi globi di terra, che poi nel rotolare si riunivano; e si osservava ciò avvenire, come per bollimenti spumosi, e di color cinericcio. Per questo rivolgimento la valle divenne un monte di considerevole altezza e pieno di ineguaglianze. Un pezzo di terra piana alberata di circa due tomolate fu trasportato intatto colle antiche strade alla distanza di un miglio: e un contadino chiamato Pietro Barillà, che stava sopra un albero di arancio, fu con quello, e con la terra medesima portato senza alcun danno di sua persona per un quarto di miglio. Colle dilamazioni delle colline il piano, che dalla città conduceva al mentovato podere, divenne una valle di mezzo miglio di larghezza, e tre in lunghezza, nel cui fondo si videro come tante conserve di acqua, Olive sepolte, e spesse protuberanze di terra bituminosa formata a guisa di coni. Questa terra bituminosa, che mentre scrivo ho sotto gli occhi, la ritrovo un quasi perfetto carbon fossile, ed altri pezzi di questo luogo medesimo sono quasi vere piriti, ed alcuni di natura gessei. Cinque uomini furono ingojati dalla terra, la quale si aprì in molte, e considerevoli fenditure. Nel giro, scriveva in una sua lettera a me diretta il Duca di Seminara, di mia appartenenza, e propriamente nelle campagne della distrutta Seminara fui colpito dalla veduta non men funesta, che meravigliosa di un piano, o di una valletta contigua, in cui cagionò violenza, e l’urto del sotterraneo moto un così nuovo straordinario disordine, che non vi si osserva vestigio alcuno del primiero, ed antico suo aspetto. Appena i Naturali lo sanno distinguere, ed appena si scorge qualche segno al presente per indicarne il luogo; tanto è stato il rovesciamento disordinato della sotterranea concussione”.(OP)

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