Barlaam di Gerace un ponte culturale tra Oriente ed Occidentedi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XI num. 15 del 14/04/2012 |
Rende, 13/04/2012
Insegnò per primo il greco a Petrarca
Un vita avvolta nel mistero, grande polemista, tentò una riconciliazione tra le due chiese cristiane. Come maestro del grande poeta fu il primo a riportare l'amore per la lingua e letteratura greca in Europa.
Anche per Baarlam si può dire che la sua vita è avvolta in una nebbia di mistero, salvo qualche episodio o momento particolare. Non si conosce né il suo vero nome né il cognome. Incerta è anche la sua origine, a dispetto degli sforzi fatti dall’Accattatis per dimostrare che fosse calabrese. Egli è conosciuto come Barlaam di Seminara, ma questa potrebbe essere la sua città di origine o il cognome di famiglia. Riferendosi alla dotta disputa sulle origini del nostro personaggio, Giovanni Fiore nel 1691 riporta le opinioni di due scrittori di storie ecclesiastiche molto noti e stimati all’epoca.
“Dubita il Valero, come fosse greco del Poleponesso, avendo l'aggionta, da Seminara, ch'è città nella Calabria; Risponde, che ciò avvenisse, perchè prima d'esser Vescovo, avesse per qualche tempo, abitato in quella Città; An suspicabimur de Seminaria dictum, quod mansio ante Episcopatum Seminaria aliquandium fuerit. Margarino aggionge che fosse, perchè nato nel Poleponesso da' Genitori per origine Italiani, con l'agnome di Seminara: Forsan, et hoc dici posset, natum esse in Poleponesso parentibus ex Italia oriundis, quibus a Seminaria cognomentum fuit”.
“Né di qualunque parte d'Italia; ma di Calabria, altre volte Magna Grecia, e così lo notarono B. Zovio, e Boccaccio, da Seminara, conchiude Paolo Gualtieri, Che per tanto l'aggionta, De Seminaria, non è l'agnome della Famiglia come stimava Margarino; da della patria, ov'egli nacque, contro il Volsero, che lo stimò nato nel Peloponesso”, conclude Fiore. Qualche opinione vorrebbe che il suo vero nome fosse Bernardo di Seminara, o Bernardo Massari.
Sulla origine calabrese vi è una sostanziale convergenza di opinioni, non corroborate tuttavia da documentazioni probanti, ma non sembra essere questa la questione fondamentale.
Lorenzo Pignotti, nella sua “Storia della Toscana sino al Principato”, Tomo Terzo, Parte seconda, stampata a Pisa nel 1813) scrive “In un angolo di essa, che popolato già da greche colonie, era stato onorato col nome di Magna Grecia, e poi di Calabria, restò un popolar dialetto greco, e fu ravvivato dai monaci di S. Basilio, de' quali eran 7 conventi solamente a Rossano. Da questi solitarj escì Barlaam, colui che il primo fece conoscere agl'Italiani il padre de' greci classici Omero: fu nativo di Seminara: i suoi studj della lingua greca, i viaggi e la permanenza a Costantinopoli lo resero sommamente istrutto nelle greche lettere. La stima che di lui fu fatta, anche da' suoi nemici, ne prova la realtà del merito; e la persecuzione ch'ei soffrì dai fanatici greci monaci sulla luce del Tabor, ne mostra il buon senso: non dissotterriamo dall'oblio questa disputa per non disonorare sempre più l'umana ragione”.
Quale che fosse la sua origine, quello che importa rilevare è che la Calabria, a partire Decimo secolo era un laboratorio di cultura classica, dove veniva copiate le loro opere e conservata la lingua e la cultura greca da parte dell’Ordine monastico dei Basiliani. Resta molto poco di quell'epoca aurea: il Codex Purpureus è una delle poche e preziose testimonianze. Per molti secoli era rimasta una delle ultime province occidentale dell’Impero Bizantino, un legame interrotto solo dall’arrivo dei Normanni, che tuttavia rispettarono le diversità etnico-religioso. Sembra che il grecanico di cui si conservano tuttora tracce nell’estremo meridionale della regione sia un residuo dell’era bizantina, dove in tutta la fascia ionica si conservò il rito ortodosso fino al XV secolo. In particolare, la diocesi di Gerace passò al rito latino soltanto nella metà del Quattrocento, per opera di un vescovo greco, Atanasio Calceofilo, abate del Monastero di Santa Maria del Patire di Rossano, il quale eliminò anche l'iconostasi dalla cattedrale, per evitare qualsiasi tentazione di aderire alle correnti scismatiche ortodosse. “Temendo, forse per vana leggerezza, o sospettando, che il rito greco, il quale praticavasi decorosamente in tutte le diocesi della reggina provincia, potesse riuscire a danno o disonore del cattolicismo, volse le sue premure ad abolirlo, per sostituirvi invece il latino. E vi riuscì nella sua diocesi, l'anno 1467”, scrive Lorenzo Cappelletti. Da notare che ancora nella metà del Quattrocento, si nominavano vescovi greci nelle diocesi ioniche calabresi, circostanza questa che potrebbe far insorgere qualche dubbio sulla reale origine dello stesso Barlaam. Quello che è certo è lo stretto legame con Costantinopoli, le sue accese dispute con i monaci del monte Athos, l’incarico di ambasciatore ricevuto dall’Imperatore Andronico III per organizzare una crociata contro i turchi che minacciavano di annientare l’Impero e occupare la stessa Costantinopoli. Ad Avignone, sede del Papato, incontrò Petrarca, di cui divenne amico e maestro di lingua e letteratura greca.
Anche la data di nascita è incerta, e la si può desumere da quanto scrive Francesco Petrarca nel riferire della sua morte. scrive, dal che si fa risalire al 1290 circa, una quindicina di anni prima della nascita di questi. Scrive il Petrarca, (Familiarum rerum, XVIII, 8-11): “La morte portò via il nostro Barlaam e, a dir il vero, io stesso me ne privai; cercando di procacciargli onore, non vidi il mio danno, e aiutandolo a ottenere la dignità episcopale, perdei un maestro sotto il quale avevo cominciato a militare con grande speranze”. E più oltre: “ egli sapeva molto di più di latino che non io di greco: io movevo allora i primi passi; egli invece era un po' più avanti, essendo nato nella Magna Grecia, e sebben più vecchio di me, avendo profittato della conversazione e del magistero de' latini, più facilmente ritornava all'antica abitudine”.
Fu greco di cultura e di religione e aderì al cattolicesimo solo nel 1342, e nel 1346 ottenne il vescovato di rito bizantino di Gerace, grazie al Petrarca che aveva uno stretto rapporto con il Papa Clemente VI, avendo soggiornato a lungo ad Avignone. Fu incaricato nella difficile missione di tentare la riconciliazione della chiesa ortodossa con quella latina. Si recò a Costantinopoli nel 1346, ma il suo tentativo non ebbe successo.
Un altro suo illustre allievo fu Leonzio Pilato, che gli subentrò quale maestro di greco di Petrarca e Boccaccio, che venne considerato il migliore grecista dei suoi tempi. Una figura molto singolare che verrà presentata prossimamente. (OP)
In queste nostre regioni lo studio della favella e della sapienza greca, fu ancora in quei tempi coltivato, quando nella altre contrade dell'occidente era da densa caligine ingombro; della qual cosa fan chiara testimonianza le famose scuole dei Basiliani nelle Calabrie, e quella di Nordò ne' Salentini. Uscì dalle prime il dotto uomo, del quale or favelliamo; e questi per consentimento dei più illustri autori della sua età, e delle posteriori fu uomo di preclaro ingegno, di vasto sapere, e di colta erudizione.
Nacque Barlaamo in Seminara città della Calabria Citeriore. Noi non abbiam potuto attingere in quale anno egli venisse al mondo, ma per quanto si può argomentare dovette ciò avvenire verso il 1290, o a quel torno.
Il Signor De Sade sull'autorità dell'Ughelli, la quale non ha verun fondamento, scrive che la famiglia del N. A. (Nostro Autore, ndt) era oriunda dalla Grecia, e che egli al secolo portò il nome di Bernardo.
Dalla sua prima età si diede con sommo ardore agli studii; apprese in breve tempo le matematiche, la filosofia, l'atronomia; ed entrato quindi tra i Basiliani, essendosi iniziato nello studio delle lettere Greche, se ne andò nell'Italia, onde perfezionarsi in quello. Quivi molto si approfittò nella cognizione della prefata favella; ma vi rimase infetto degli errori dei dommi, i quali allora aveano spaccio nelle Chiese di Oriente.
Volle quindi passare in Salonicchi là dove lo studio delle Greche lettere molto fioriva, ed in progresso si trasferì in Costantinopoli; stimando essere quella famosa città teatro più idoneo a farvi pompa del suo sapere; la qual cosa pose egli ad effetto nel 1327.
Barlaamo diede quivi saggio di sommo valore nelle dottrine sacre e profane; e seppe insinuarsi non solamente nell'amistà dei grandi, alla cui grazia gli aprì la strada il rinomato Gio: Cantacuzeno, il quale raccoglieva allora per quel Principe scelta e numerosa biblioteca.
Raccolse il Contacuzeno Barlaamo in casa sua, e lo impiegò siccome interprete della dottrina di San Dionigi, e siccome maestro di Belle Lettere e di Teologia, e nel 1329, lo fece eleggere Abate nel Monastero di S. Spirito, e non già in quello di S. Salvadore, come vorrebbe il De Sade.
Il presentuoso monaco, gonfio di tali onori, ne menò tanto orgoglio, che ebbe la baldanza di trattare da ignoranti i Greci tutti e di sfidare a contesa, sopra tutte le parti dell'umano sapere, il rinomato Niceforo Gregora, il più dotto che fosse allora tra i Greci. Essendone però rimasto vinto, ed avendo l'odio dei Greci contro di sé concitato, nel 1332 ritorno egli fece in Salonicchi, là onde erasi dipartito.
Barlaamo prese occasione di rientrare in grazia degli Orientali dichiarandosi in favore dei loro dommi, i quali egli sostenne contro i legati spediti in Grecia da Giov: XXII.
Il fervido e contenzioso suo talento il sospinse quindi a nuove turbolenze; dappoiché attaccò allora i solitari del Monte Athos, condannando la loro maniera di orare, e riprendendo l'opinione ch'essi aveano di essere stata la fiamma del Tabor la gloria increata di Dio, ed altre lor dottrine. Egli trattò quei religiosi da superstiziosi, da impostori, e da seduttori de' popoli, e questa contesa ebbe termine, dopo tre anni, nel 1339; nel qual tempo il N.A. fu spedito insieme con Stefano Dandolo dall'Imperadore, ambasciadore alla Corte di Occidente, onde muoverle a collegarsi seco contro i Bulgari e i Turchi. E benchè Barlaamo fosse stato per tutto con onore ricevuto, l'ambasceria non ebbe verun effetto per l'odio che i latini aveano contro i Greci, e perché diffidavano di essi.
Ritornato Barlaamo in Salonicchi mosse le usate quistioni ai religiosi del Monte Atos; i quali vedendosi disturbato di nuovo nei loro medesimi solitari recinti, trassero in quella città sì dal detto monte, che da tutti i circostanti monasteri, per metter a partito questo strano cervello con altro che con sillogismi e dialettiche discussioni.
Divisò Barlaamo di non dover attendere questa anacoretica spedizione, fece uan giudiziosa ritirata in Costantinopoli, donde proseguì a fare ai solitarii la guerra, accusando ai Vescovi ed al Patriarca le loro dottrine. Intanto, volle l'Imperadore interporre la sua autorità per ridurre a termine siffatta briga: e fu d'uopo farla determinare da un Sinodo, dal medesimo Barlaamo provocato, al quale presedè il Patriarca, e lo stesso Imperadore.
Fu Barlaamo il primo a ragionare; indi Giov: Palance, il più reputato per sapere fra quei solitarii, perorò a favore de' loro riti e della loro dottrina; e la decisione risultò contraria a Barlaamo, il quale pensò per lo suo meglio, vedendosi a mal partito, di fare la sua ritrattazione, riconciliandosi con quei religiosi.
Costoro gli perdonarono generosamente; ma essendo morto in questo mentre l'Imperadore, Barlaamo tornò in campo colle solite sue armi, né potendo soffrir la sentenza contro di lui dal Sinodo pronunziata, si richiamò al Concilio; a non essendo inteso, se ne ritornò in Italia, di sé lasciando presso dei Greci una esecranda rimembranza, per cui in diversi conciliaboli fu, non solamente in vita, ma ancora dopo la morte, dannato e proscritto.
In Italia ritrovò Barlaamo, nella Corte del Re Roberto, favore e sostegno; dal quale fu accolto con dimostrazione di onorificenza e di stima, e scelto fu per esser insieme con altri custodi della sua numerosa libreria, secondo quei tempi. Strinse egli quindi amicizia con Paulo di Perugia; ed allor si fu probabilmente, che egli insegnò i principii della lingua greca a Francesco Petrarca; il quale per altro avea già prima dovuto conoscere in Avignone, secondo l'opinione del Sig. De Sade, seguito pur anco dal Tiraboschi.
Fu Barlaamo quindi indotto a disdire le sue opinioni intorno ai dommi della Chiesa Greca, e scrisse di poi più libri in difesa della Chiesa Romana, e fece benanche una breve gita in Costantinopoli, per quanto si scrive, per la medesima cagione.
Per questo merito, e per gli buoni uffizii di Francesco Petrarca, fu Barlaamo detto Vescovo di Geraci in Calabria Ulteriore nel 1342; ed in questa Chiesa terminò egli i suoi giorni nel 1348 o a quel torno, che che ne dica il Sig. De Sade, contro l'autorità dell'Ughelli, senza verun fondamento.
Molte lodi Barlaamo da per ogni dove riscosse in sua vita, ma bastino per tutte le altre gli encomi che ne fa il Petrarca, il quale si duole di esservi adoperato per farlo promuovere alla sede vescovile di Geraci, essendo egli convenuto per questo dipartirselo dal fianco.
Il Boccaccio pur anco parla di lui con sommo onore, che non solamente ai tempi suoi, ma da più secoli a dietro non era stato tra i Greci uomo fornito di così vasta scienza.
Molte sono le opere dal Barlaamo in greco dettate; delle quali non siamo in grado, per cagione dei limiti, nei quali siamo ristretti, di qui tesser catalogo; ma posson queste altrove osservarsi.
Le principali sono: Contra primatum Papae libr. Oxonii, 1592; Aritmetica Algebraica lib. VI, 1571; Ethicae secundum Stoicos per D. Barlaam de Seminara, lib. II etc.
Le altre opere di questo nostro dottissimo Calabrese si aggirano intorno alla Teologia, alle Matematiche, e delle dispute della Chiesa Greca colla Romana.
L'Eumanno fa pure Barlaamo autore dell'opera intitolata Enchiridion Epicteti, impressa nel vol. XXVII della biblioteca de' PP ed altrove; ed il Tafuri afferam che molti gli attribuiscono il trattato: De igne purgatorio, la qual cosa è certamente falsa.
È da notare, che i riformatori di Oltremonti molto si avvalsero delle opere e delle dottrine di Barlaamo per combattere il primato del Papa, ed i dommi della Chiesa Romana, siccome fecero il Salmasio ed altri; e che alcuni han creduto due essere stati i Barlaami; e di questo è stata cagione l'aver egli prima scritto contro della Chiesa Romana, e quindi in favore di essa. (A. Mazzarella da Cerreto, in Le biografia degli uomini illustri delle Calabrie, vol. I di Luigi Accattatis, Cosenza, 1869)
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