Un calabrese a Pechino nel 1600: Francesco Sambiasedi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XI num. 22 del 2/06/2012 |
Rende, 18/05/2012
Faceva parte del gruppo di missionari gesuiti di Matteo Ricci
Letterato e astronomo fu molto apprezzato alla corte cinese, nominato ambasciatore a Macao dall’imperatore, e poi mandarino. Scrisse tre trattati in lingua cinese conservati nella biblioteca della Compagnia di Gesù. Nato a Cosenza nel 1582, morì a Nanchino nel 1649 e fu sepolto con molto onore tra i principi di sangue reale.
La presenza dei Gesuiti in Calabria è attestata fin dai primi anni della loro fondazione, ad iniziare dal 1540, come è scritto da un recente studio di Antonello Savaglio su “Il collegio dei Gesuiti di Amantea”.
Nata in Spagna essa ha una naturale vocazione missionaria. I suoi membri fondano comunità in India, Giappone, Africa, America e in molti parti dell’Europa per una opera di evangelizzazione attraverso la diffusione della cultura evangelica e della diffusione delle scienze e delle arti.
I suoi centri apostolici sono anche luoghi di una qualificata formazione in campo scientifico, letterario e filosofico. Essi inventano il modello del “college”, che tanto successo avrà negli atenei inglesi e americani, e teorizzano l’educazione come metodo di diffusione del verbo religioso.
Nei suoi collegi si sono formati alcuni degli uomini più illustri della cultura contemporanea come Cartesio e Voltaire, e in tempi più recenti Joyce, Hitchcock e il regista Luis Buñuel.
La Calabria del Vicereame è una realtà povera e abbandonata dove regnava il malcostume e vi era la più diffusa setta eretica del Regno di Napoli, quella dei valdesi che si erano insediati da molti secoli in un vasto territorio a nord di Cosenza, concentrati negli abitati di Guardia, San Sisto e Montalto. Dopo la riforma luterana aveva aderito al calvinismo, e da Ginevra venivano dei predicatori, chiamati barba, per l'organizzazione di una chiesa protestante, che destava molta preoccupazione in Vaticano per il pericolo che potesse diffondersi in tutto il Regno di Napoli e il papa voleva estirpare a qualsiasi costo.
Nella regione le occasioni e le opportunità di studio erano molto scarse; per questi motivi è considerata come terra da evangelizzare, e il compito fu affidato ai Gesuiti, che si insediarono dapprima a Reggio e poi in molte altre località. Nel 1561, nell’anno della strage dei valdesi, il più feroce ed orribile episodio religioso accaduto nel Regno di Napoli, due di essi Lucio Croce e Juan Xavier intervennero per tentare senza molto successo di fermare l’eccidio con la confessione e l’abiura dei riformati.
Ancora nel Seicento la Compagnia era in piena espansione. Francesco Russo nella Storia dell'Arcidiocesi di Cosenza, Rinascita Artistica Editrice, Napoli, 1957, scrive che “I Gesuiti aprirono una casa a Paola nel 1615, per munificenza del Marchese Tommaso Spinelli e delle sue sorelle Ottavia e Costanza. Fu chiamato Collegio il 13 gennaio del 1632”.
I collegi dei Gesuiti diventarono un riferimento culturale in tutte le regioni meridionali e li si formò la classe dirigente del Regno di Napoli. Ogni famiglia nobile aveva un suo alunno nelle scuole gesuitiche. Essi costituivano altresì un riferimento importante per le classi più povere, che avevano l'opportunità di poter accedere al privilegio clericale. In breve tempo divennero potentissimi centri di potere acquisendo anche un vasto patrimonio immobiliare. La ferma opposizione all'illuminismo gli alienò le simpatie degli intellettuali, che sferrarono un durissimo attacco contro i loro privilegi e l'eccessivo potere accumulato. Blaise Pascal, ad esempio scrisse le “Lettres Provinciales”, un vero e proprio atto di accusa contro la Compagnia di Gesù, che ebbe un enorme successo in tutta Europa. Il vasto sentimento di rivolta rischiava di trasformarsi in anticlericalismo e favorire la diffusione del protestantesimo. Questo indusse Clemente XIX nel 1773 ad emettere il breve papale “Dominus ac Redemptor” con la quale si decretava l'abolizione dell'ordine, con l’incameramento del loro patrimonio immobiliare da parte degli stati. Circa cinquanta anni dopo, l'ordine venne ricostituito ma non riuscì mai più a raggiungere l'espansione e la potenza che aveva avuto fino al Settecento.
Vi si formarono molti missionari che furono spediti nei più sperduti angoli della terra.
“I padri calabresi della Compagnia di Gesù richiedono forse una menzione particolare, giacché, secondo il carisma della loro Congregazione, mostrarono non solo virtù spirituali e morali, ma, almeno alcuni di loro, un carattere abbastanza raro nella solitamente paciosa e rassegnata storia degli uomini di cultura della nostra terra & esclusi i presenti, se mi si permette un sorriso in messo a tanta gravità!), e furono uomini attivi, forti, intraprendenti, pronti ad affrontare il rischio culturale del nuovo e il rischio corporale della morte per fedeltà alla fede, all'abito, a se stessi”, si legge nel Marafioti.
Un elenco sommario è fornito da Padre Francesco Russo: “Si distinsero in questa epoca: Padre Antonio Parise da Paterno, che fu Missionario nelle Indie Occidentali; il padre Fulvio Caputo da Cosenza, martirizzato in India; il Padre Francesco Castonelli da Paola. Missionario nel Messico; il Padre Sertorio Caputo da Paterno, che morì in fama di santo all'Aquila l'11 settembre 1608 e ne fu istruito il processo ordinario di beatificazione”.
“Inoltre: Antonio Cosentino, Francesco Andrea Montemurro, Ippolito Daltila, tutte e tre cosentini e missionari in India; Gianandrea Sambiase da Cosenza, morto in odore di santità”. Nell'Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli descritta da P. Saverio Santagata, si legge che Infausto ancora e perentorio fu il presente anno (1626) alla vita del P. Giovanni Andrea Sambiasi, calabrese di origine, Nobile per sangue, e Cosentino di patria. D'anni 21 entrò nella Compagnia a 13 Maggio del 1599, e fin da Novizio segnalato divenne in virtù, siccome apparve da tutti gli esperimenti, che furono presi di lui”.
Per ultimo viene nominato Francesco Sambiase, fratello del precedente che è il più importante di tutti, missionario in Cina nella "scuola astronomica" istituita a Pechino da Matteo Ricci, universalmente riconosciuto come uno dei più grandi missionari e sinologi, che vi operò dal 1582 fino alla sua morte del 1610. Padre Francesco Sambiase fece parte della missione di Ricci dal 1613, e vi rimase per 29 anni fino alla sua morte nel 1649. Egli era l'elemento di maggior spicco della missione che aveva acquisito una vasta fama in tutto l'Oriente, dove le conoscenze astronomiche erano ancora molto limitate, spesso confondendosi con l'astrologia e la divinazione legate agli eventi sconosciuti, come le eclissi.
Cesare Cantù nella Storia degli Italiani del 1858 scrive. “Le missioni in Cina sono la vera epopea de' Gesuiti, che si può dire la scopersero; né fu colpa loro se non venne alla nostra civiltà. Quando vi si avviò il primiero san Francesco Saverio, vi condusse il padre Paolo da Camerino. Il padre Matteo Ricci da Macerata, mandatovi coi due altri italiani Rogero e Pasio, vi fondò le prime missioni; e conoscendo che bisognava mostrarsi letterato, fece un mappamondo ove collocava la Cina nel mezzo, e un breve catechismo in quella lingua; insegnò chimica e matematica; e le quindici opere sue sono le prime che Europei dettassero in cinese, e alcuna è posta fra le classiche da quel popolo geloso. Avea creduto dover condiscendere ai costumi e alle opinioni de' Cinesi fin dove non cozzassero colla vera fede, onde togliere le lagnanze che, in un popolo eminentemente storico, si avevano al cristianesimo: e siffatta tolleranza fu l'accusa più violenta che poi recarono ai Gesuiti quelli che per avventura continuavano a imputare l'intolleranza cattolica”.
Della vita di Francesco Sambiase prima di entrare nel collegio gesuitico non si sa nulla, ma la la sua famiglia apparteneva alla nobiltà cosentina; il cognome è riportato con diverse grafie, Sambiase, Sanbiase, Sambiasi per errore di trascrizione.
Luigi Palmieri ne ricostruisce la storia in un libro sulle famiglie cosentine edito da Pellegrino Editore. “I Sambiase sono antichi nella nostra città ed è certo che siano venuti dalla terra di Castrovillari, come è confermato dal notaio Andreassi e nei protocolli antichi di alcuni notai regi. Questa famiglia ha attraversato diversi momenti di ricchezza e povertà. Nel 1670, circa, possedeva una casa con lo stemma, e nei primi anni della sua venuta a Cosenza, si gloriava di aver contratto parentela con la famiglia Sanseverino, della medesima terra di Castrovillari. Nel XVII secolo, assieme alla Cavalcanti,veniva inclusa tra le famiglie nobili di Cosenza. Per gli acquisti fatti, Pompeo, Bartolo, Bernardino, e Pietro Vincenzo Iuniore, figli di Pompeo, possedevano 50 mila ducati, circa. Non si conosce l'origine”.
Vari sono i personaggi della famiglia menzionati nelle cronache. “Benedetto Sambiasi fu segretario di Carlo V. Guido, Riccardo (figli di Ruggero) e Guidone Sambiasi vengono annoverati tra i baroni del regno. Jacomo Sambiase, figlio di Riccardo, ottenne dall'imperatrice Costanza la terra di Lacconia nel 1220. Procreò Ruggero II. Ruggero II, figlio di Jacopo, nel 1290, ereditò la terra di Lacconia dei suoi avi e signoreggiò Sambiasi, Pietrapaola, Verbicaro, Maierà portata in dote dalla prima moglie, sorella di Filippo Sangineto, e Noce, altro bene dotale della seconda moglie, figlia di Giovanni Squilla, signore di Luzzi. Nel 1295, fu capitano a guerra della città di Cosenza. Da Ruggero discesero Gerardo, Filippo, Matteo e Filippa. Gerardo Sambiasi, figlio di Ruggero II, ereditò la terra del padre e quella di Melissa, portata in dote dalla seconda moglie. Con Serina Ruffo, procreò Ruggero II. Filippo Sambiase, fratello di Gerardo, ereditò il feudo di Bitilia in prossimità di Strongoli e fu giustiziere di Calabria. Con Chiara Martirano, fu il capostipite dei Sambiase di Cosenza”. Molti furono i membri della famiglia che intrapresero la carriera ecclesiastica e monacale.
Sul ruolo avuto da Francesco Sambiase nella missione cinese, Enrico Vasco nel “Ratio studiorum adattato ai tempi presenti” (1851), scrive: “È noto come i nostri antichi Padri (tra i quali si segnalarono i PP. Matteo Ricci, Giulio Aleni, Francesco Sambiasi, e Adamo Schall) misero piede nella Cina e vi aprirono un larghissimo campo alla Fede, dandosi a conoscere per uomini scienziati e versatissimi nelle matematiche e nell'astronomia, riformando il calendario cinese, costruendo carte geografiche, astrolabii, mappamondi, orologii ed altra macchine meccaniche; e scrivendo libri in gran numero intorno a dette scienze.
Luigi Accattatis ne "Le biografie degli uomini illustri della Calabria” riporta una accurata biografia di Francesco Sambiase.
Assai maggior pregio accrebbe alla Compagnia di Gesù di quel che
Frate Girolamo all'Ordine Domenicano (altro membro della famiglia Sambiase
divenuto priore di quell'ordine) apportato ne avesse, quantunque ambedue dello
istesso casato, e quasi nel tempo istesso fosser vissuti. Nato costui in
Cosenza nel 1582, entrò in età di anni 19 nella Compagnia; ed ascoltando
rammentar da quei Padri le gloriose opere di pietà de' loro Missionarj ne'
Paesi miscredenti, invogliossi fortemente di portarsi tra gli infedeli a
predicare il Vangelo. Ottenutone dunque da' Superiori la facoltà, si condusse
nel 1613 nel vasto Impero cinese, ove pieno di Apostolico zelo, con utile non
picciolo della Vigna del Signore alla predicazione della Divina Parola
ferventemente si diede. Ma essendo stati li Padri della sua Compagnia nel 1620,
per ordine sovrano relegati in Macao, fu costretto rimaner nascosto nella Real
Città di Pekquin fino all'anno seguente, in cui ebbero i suoi compagni la sorte
di esservi richiamati. Ond'egli uscendo di nuovo in pubblico, collo stesso
fervore la sua predicazione riprese. E tale fu la dolcezza del suo costume, che
non solo si rendette caro a' Cristiani di quelle parti, ed a' novelli
proseliti, ma fin'anche a' Signori del Paese, che Mandarini si appellano. Alla
benevolenza, che colle sue maniere si avea conciliato, si aggiunse parimente il
rispetto; imperrochè avendo prevedute, e predette alcune visibili eclissi molto
prima, che dovessero venire, fu riguardato da quei Popoli rozzi, ed ignari
delle astronomiche computazioni, come uomo non ordinario, e quasi divino. Morto
intanto lo Imperator cinese per nome Zunchin, ed innalzato in sua vece al
soglio un di lui congionto appellato Unquanc, ebbe il Sanbiasi la destrezza di
acquistarsi, non solo la grazia di costui, ma se gli rendette così caro e passò
tant'oltre nella confidenza di lui, che fu destinato ambasciadore, per chieder
soccorso a' Portoghesi di quelle parti contro la invasione fatta da' Tartari
nello stato di Cina. E perché per sostenere il carattere di tale ambasceria,
conveniva al Sanbiasi assumere le insegne di Mandarino, si agitò tra' Gesuiti
colà dimoranti, se fosse di ciò lecito permettere, e si conchiuse nel voto
affermativo; considerandosi, che dal condiscendere alle voglie di quel Sovrano,
sarebbe derivato gran giovamento a' progressi della Cristiana Religione in quei
Paesi.
Andò dunque il nostro autore: e mandat'a perfezione la onorevole
ambasceria, ritornò colmo di gloria a Peckquin. Ma raccesa di nuovo tra
Tartari, e Cinesi nemicissime nazioni, la guerra, e restando in essa di Regno,
e di vita spogliato lo Imperatore Unquanc, ripigliò Francesco la interrotta
predicazione, e non abbandonolla, se non quando rimase, dopo molti disagi, e
tormenti abbandonato dalla vita nella vastissima città di Nankquin nel 1649, e
fu sepolto in un sepolcro di cedro tra' Principi del regio sangue. Scrisse in
lingua cinese. De anima vegetativa, sensitiva, & rationali. De somno; &
de Pictura. Che si conservano tra' manoscritti della Compagnia in
Roma.
Molta impressione fecero all'epoca le notizie che riportavano i missionari su quei mondi lontani.
A proposito di Nanchino, lo Spiriti scrive ad esempio: “Della grandezza, e della moltitudine di abitanti di questa città si scrivono cose presso che fuori di ogni credenza; mentre vogliono, che non solo oltrepassi il numero degli abitatori di Roma sotto lo Imperio di Claudio, che a dir di Tacito, conteneva civium centena 69 & 44 milia, oltre li servi, e forastieri: non solo la popolazione del Cairo, di cui disse Torquato
Città che
alle Provincie emula pare
tante cittadinanze in se contiene.
Ma raccontano che Nankquin venga abitata da 32 milioni, e si stenda in giro 48 miglia italiane. Lo che da moderni storici, e viaggiatori si niega, sebbene tutti concorrano a descriverla per estensione e per numero maravigliosa”.
Dopo la soppressione dell'ordine il nome e le gesta di Francesco Sambiase furono presto dimenticate, anche se il suo nome appare tra le biografie degli uomini illustri della Calabria scritte dall'Accattatis a fine Ottocento. Una delle cause è certamente legata al fatto che egli non ritornò mai più in Calabria, e suoi libri non furono tradotti in italiano, per cui nessuno ha finora avuto la possibilità di leggerli.
Sul suo sepolcro è apposta la lapide marmorea che segue.
Pii hic
est magnus Pater Franciscus a Sanctoblasio
Soc. Iesu sinarum apostolus. Pro Christo virgis caesus.
Duobus Sinicis Imperatoribus unice dilectus
Sub utroque ad Macaon Legatus, et Prorex Pentopoli
Regio tantum Dracone insignitur
Sanciani Insulae, et Imperatoris nunquam Regia veste donatus
Bontiis triumphatis, et millibus idolarum attritis
Post mandarinos Baptismate ablutos Reginam Neophitam
et Regias Aedes usu sacri commutata in Aedem,
Sinicus Scriptor de Anima, de Somno, et de Pictura
Depostura Imperiali diplomate, et Hymno, Epistolisque.
Dignus Imperatoris encomiastis,
Obiit Nankquin 1649 Regali Castrino Sepulcro
Inter Regii sanguinis Principes humatus Anno aetasis suae 67.
(Oh! Devoti, questo è il gran padre Francesco da Sambiase, della Società di Gesù, apostolo dei Cinesi, a causa di Cristo battuto con le verghe, particolarmente caro a due imperatori cinesi, sotto entrambi legato a Macao e viceré della Pentapoli, insignito del regio dragone e della regia veste, trionfando sui bonzi e distruggendo mille idoli, dopo il battesimo dei mandarini e di una regina neofita, e trasformando la reggia in tempio per usi sacri, scrittore in lingua cinese di “Sull'anima e sul Sonno, e Della Pittura, con autorità, diploma ed inno imperiale, degno degli encomi degli imperatori, morì a Nanchino nel 1649, inumato in un regale sepolcro di cedro tra i principi di regio sangue, a 67 anni).
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