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Mezzoeuro

57 giorni, da Capaci a Via D'Amelio

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 22 del 9/06/2012


Rende, 3/06/2012


Luca Carrassi al Teatro dell'UnicalL'Associazione Iride ha presentato una pièce “57Giorni - da Capaci a via D’Amelio”, dedicata espressamente ai giovani che sta portando in giro per l'Italia. Nell'opera si rievocano i giorni intercorrenti tra le due stragi dove hanno perso la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino attraverso le dichiarazione autentiche dei due e degli altri protagonisti di quella vicenda rimasta ancora in gran parte oscura.Intervista esclusiva a Luca Carrassi, autore e regista dell'opera, e agli attori della compagnia. L'iniziativa è stata voluta e organizzata da Francesco Siciliano, curatore del blog “Uguale per tutti” per la diffusione della cultura della legalità.

Come nasce e quando nasce questo spettacolo?

Luca Carrassi - Nasce un anno fa, quando insieme a Paola, quando ci siamo resi conto che quest'anno corre il ventennale della morta di Falcone e Borsellino e noi volevamo ricordare questo evento. Nasce perché noi crediamo in un ideale di giustizia e nell'etica di fare il proprio dovere.

Quell'episodio è rimasto in larga misura oscuro, nonostante i tanti processi non si è arrivati alla verità. Per mettere su lo spettacolo vi siete certamente documentari e avete maturato delle opinioni. Si tratta di un episodio cruento di storia criminale o vi era un disegno, un piano dietro quelle stragi, una trama che continua a dipanarsi davanti ai nostri occhi e ne subiamo le conseguenze in maniera inconsapevole?

Luca - Quello è stato la punta di un iceberg. Voglio ricordare che quest'anno decorre anche il trentennale della morte di Carlo Alberto Della Chiesa e di sua moglie, Emanuela Setti Carraro. Hanno pagato con la vita la loro dedizione alla difesa dello Stato e dei principi democratici. Il loro lavoro, la loro dedizione e il loro sacrificio hanno dato una testimonianza di un impegno civile che continua a rappresentare un grande modello ideale per tutti.

Cosa hanno rappresentato quegli attentati? Si è voluto colpire dei personaggi scomodi, che impedivano libertà di movimento alle cosche o si è tentato di demolire lo Stato attraverso i suoi simboli? Alla fine il loro sacrificio non ha prodotto alcun beneficio alla criminalità organizzata.

Luca - Qualche giorno prima di morire, Borsellino disse: “mi uccideranno, ma non sarà stato la mafia. Forse saranno mafiosi gli esecutori materiali, ma la trama è ordita altrove, nel cuore stesso dello Stato. Hanno ucciso due difensori dell'etica, della moralità, dello spirito pubblico che deve risiedere in ogni servitore dello Stato.

Vent'anni fa era una Italia diversa, ma ora ci stiamo rendendo conto che forse stiamo vivendo momenti altrettanto drammatici e potremmo rivedere quel film.

Paola Esperia Laddago - Noi ci siamo resi conto, e abbiamo rafforzato questa convinzione preparando lo spettacolo, che sono passati vent'anni ma molte cose ancora non sono cambiate. Abbiamo voluto portare in scena questa vicenda perché i ragazzi a cui noi ci rivolgiamo, non erano ancora nati quando tutto questo si verificava. La nostra idea e il nostro obiettivo è stato quello di renderli partecipi di avvenimenti che sembrano molto lontani, ma i cui effetti li stiamo ancora vivendo e fanno parte del loro mondo. A Roma abbiamo fatto precedere la visione dello spettacolo da parte degli alunni delle scuole medie e delle superiori con delle lezioni tenute dai loro docenti perché si rendessero conto della continuità e dell'attualità di messaggio che ci hanno lasciato Falcone e Borsellino con il loro sacrificio. Attraverso il racconto della loro vicenda abbiamo cercato di trasmettere loro i valori di cui essi erano portatori, di far emergere la grande caratura etico-morale. Hanno potuto uccidere due persone, ma non sono riusciti e non riusciranno mai a uccidere le loro idee, i loro valori.

Lo spettacolo al nuovo Teatro dell'Unical fa parte di una tournée che toccherà varie città d'Italia?

Paola - Dopo qualche replica avevamo pensato di fermarci. Sono stati gli incoraggiamenti degli alunni ed insegnanti che sono stati stimolati a parlare del periodo oscuro della nostra storia recente che ci ha incoraggiati a continuare. Tutta la compagnia ha cominciato a credere nello stimolo che esso poteva rappresentare per iniziare un discorso sul terrorismo, sulla criminalità organizzata, sul grande valore che rappresenta la democrazia che va difesa contro ogni tentazione eversiva. Voglio precisare che lo spettacolo è completamente gratuito, miriamo a coprire le spese vive con i contributi dei vari enti o amministrazioni locali che sono disponibili ad accoglierci. Questo è possibile perché ciascuno di noi ha un'altra attività e presta la propria opera come volontariato poiché crede nel progetto.

La vicenda che raccontate è confinata entro i limiti del palcoscenico locale, oppure ha una valenza nazionale? Cosa rappresenta nella storia italiana?

Luca - La verità non è ancora stata scoperta. Si sottovaluta il ruolo di un personaggio come Vincenzo Calcara, che era colui che nel 1991 doveva uccidere Paolo Borsellino, ma è stato arrestato prima che potesse mettere in atto il piano che era stato preparato. In carcere si rende conto di essere stato condannato a morte dalla sua stessa organizzazione e inizia a collaborare con Borsellino, e grazie a lui e alla sua famiglia ha iniziato un percorso che lo ha reso una persona “nuova”, riscattando la sua storia criminale. Le sue confessioni hanno squarciato una pesante coltre di omertà, svelando scenari incredibili, che non sono stati indagati fino in fondo. Una verità che ha condannato a morte il magistrato. Come diceva Borsellino vi sono persone che nascono in luoghi e circostanze che ti costringono a vedere la realtà attraverso la lente deformante del codice mafioso. Tanto Falcone e Borsellino sono nati entrambi nel quartiere La Kalsa di Palermo, hanno vissuto l’esperienza del degrado urbano, ma hanno avuto la fortuna di crescere con dei valori. Ero un ragazzo quando questa vicenda si è verificata e posso averne solo una conoscenza storica, attraverso i documenti e le testimonianze, credo che la mafia non è stata ancora sconfitta. Ma se si indagassero fino in fondo i temi indicati da Vincenzo Calcara, si dovrebbero riscrivere vent'anni della nostra storia recente.

Vent'anni fa vigeva una sorta di verità indiscussa. Tre regioni fortemente inquinate dalla criminalità organizzata, cui più tardi si è aggiunta la Puglia, mentre il resto d'Italia era immune …

Paola – Penso che questo mito vada sfatato. I fatti si sono incaricati di dimostrare che la mafia, nelle sue varie forme ha tracimato rispetto al suo bacino originario, e oggi le sue roccaforti economiche si annidano al Nord.

Patrizio Ciprari – Il rumore di quelle bombe continua a farsi sentire. Dopo vent'anni abbiamo ancora bisogno della verità, perché la mafia la ritroviamo dappertutto. Forse sarebbe meglio dire che è la cultura mafiosa che ha finito per invadere l’intero corpo sociale. All’epoca dei fatti avevo sette anni, e non ho alcuna percezione sensoriale, alcuna immagine particolare ma sento forte la testimonianza di quel sacrificio.

Ricordare è giusto e necessario, ma resta un esercizio retorico. Quale insegnamento possiamo trarre da quella storia, cosa lo rende attuale oggi?

Patrizio - Dobbiamo convincerci che il sistema mafioso costruito sulle raccomandazioni e sui piaceri personali non paga, genera sottosviluppo e miseria morale e materiale. E poi il grande messaggio è che non dobbiamo avere paura. Come diceva Paolo Borsellino, chi ha paura muore ogni giorni chi non ha paura muore una volta soltanto.

Il loro sacrificio è stata l’occasione di una ripartenza. Da quel momento c’è stato un risveglio della società civile in Sicilia, una reazione di una parte importante dello stato, che ha fortemente indebolito la mafia. Drammaticamente un’altra parte dello Stato ha tentato in tutti i modi di occultare al verità con operazioni di depistaggio.

Paola – Il vero mutamento è avvenuto infatti nella reazione della gente. Per la prima volta al funerale di Giovanni Falcone si sono sentiti urla contro le autorità, apostrofandoli con un coro di “buffoni, buffoni”. Credo che sia stata la prima volta che qualcosa del genere si sia verificata nel cuore stesso del territorio mafioso, la gente ha vinto la paura per gridare la sua rabbia. Questo ha provocato una reazione a catena. Da quel momento sono sorte associazioni in tutta Italia, si è iniziata una opera di sensibilizzazione nelle scuole, si è prodotta una marea irrefrenabile di opposizione e contrapposizione della cultura mafiosa. Oggi in tutto il paese nelle scuole, nelle associazioni culturali si ricordano le figure di Falcone e Borsellino, come occasione per diffondere la cultura della legalità e della resistenza all’invadenza della criminalità organizzata. Un movimento collettivo che ha dato un contributo decisivo a sconfiggere la paura e l’omertà.

Il vostro è un intento pedagogico, il racconto di quella tragedia come exemplum dei predicatori medioevali.

Paola - In effetti si. Lo spettacolo si inserisce nel progetto “Rispettiamo la legalità”, in cui c’è lo spettacolo che è ben definito che si rivolge sia agli studenti che agli adulti e viene rappresentato negli orari scolastici con la partecipazione degli insegnanti che traggono spunto per approfondire questo tema, che spiegano il progetto di legalità, illustra le figure dei due magistrati e i principi fondamentali della costituzione.

Si tratta di uno spettacolo-verità, potremmo dire un “reality”, se questo termine non fosse usato in tutt’altro senso per show televisivi come “Il grande fratello”.

Carlo – Il testo è una raccolta di dichiarazioni di Falcone e Borsellino, per la maggior parte relative a quei drammatici 57 giorni che intercorrono tra la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio. Abbiamo cercato di rappresentare il travaglio di un personaggio come Borsellino che, dopo la morte del suo migliore amico, e il pericolo che incombeva su di lui, continuava a fare il suo dovere e cercare di dipanare le trame mafiose raccogliendo le testimonianze di Vincenzo Calcara.

Come spiegare l’assenza di reazione dello Stato dopo la strage di Capaci. Ancora risulta un mistero come sia stato possibile l’attentato di Via Capaci, che era nell’aria, preannunciato. Ha percorso il suo “ultimo miglio” con coraggio e dignità, ma lo Stato non ha saputo impedirne l’esecuzione.

Carlo - Le misure di sicurezza non sono state modificate, si è solo rafforzata leggermente la scorta e nulla di più. A Giammanco, che il Procuratore Capo di Palermo, arrivò una missiva dei servizi segreti indirizzata a Di Pietro al Ministro della Giustizia e allo stesso Borsellino che non venne avvertito, provocando una sua memorabile sfuriata contro il suo capo diretto, perché voleva essere informato dei rischi che correva. Era stato ripetutamente chiesta la rimozione forzata delle autovetture parcheggiate sotto casa della madre, ma non venne mai effettuata. Oggi è difficile stabilire cosa poteva essere fatto e se vi sono state responsabilità od omissioni.

Paola – Nello spettacolo non avanzano ipotesi, non si pretende di rappresentare una verità che non conosciamo, ma mostrare il lato umano della vicenda, il coraggio di queste persone, che pure consapevoli dei rischi hanno continuato fino all’ultimo la loro battaglia, abbiamo voluto additarlo come esempio.

Carlo – Abbiamo voluto anche mettere in rilievo il sacrificio dei ragazzi della scorta, anche loro immolati per seguire un ideale di giustizia e di legalità. Solo uno si è salvato per miracolo, tutti gli altri hanno pagato con la vita la loro dedizione alla stato. Noi abbiamo scelto come simbolo, Emanuela Loi, l’unica donna che viveva con grande entusiasmo questa sua esperienza a fianco di Borsellino. Loro erano perfettamente consapevoli della situazione di grave pericolo, ma non l’hanno voluto abbandonare nel momento più difficile.

Nel vostro contatto con i giovani, aveva constato una maturazione culturale, un clima di avversione e di rifiuto della cultura mafiosa?

Paola – Da una indagine è risultato che c'è una buona percentuale di giovani che considerava Falcone e Borsellino dei fessi, per fortuna per la maggioranza essi sono degli eroi. Quello che preoccupa è proprio la persistenza di uno zoccolo duro di giovani che resta imbrigliato nella logica della cultura mafiosa.

Probabilmente questo avviene nei luoghi del maggior degrado urbano, dove si vive a contatto con la criminalità e se ne subisce il fascino sinistro della sua potenza e l’ostentazione della ricchezza.

Paola – Purtroppo anche nelle zone bene delle città si è diffusa una cultura dell’illegalità. La raccomandazione, le facilitazioni, la bustarella, la spinta agli amici e parenti è considerata una prassi normale e accettata. Questo è l’humus dove nasce la cultura mafiosa, la mentalità dell'italiano medio che sembra rassegnato a convivere con l'illegalità. Noi dobbiamo sconfiggere questa rassegnazione.

In questi ultimi vent'anni il senso civico è andato degradando per la rappresentanza che abbiamo avuto, una classe politica che ha disprezzato tutto ciò che era pubblico, il senso dello stato, dell'onore, l'insofferenza verso le regole che impediscono la valorizzazione delle proprie capacità. L'etica, la moralità, il senso del dovere sono state considerate delle anticaglie di cui liberarsi. Per non parlare del senso del pudore.

Paola – Noi cerchiamo proprio di contrastare questo degrado morale, di dare ai giovani l'orgoglio di essere dei cittadini consapevoli, la difesa dei valori democratici.

Patrizio – Abbiamo la soddisfazione di vedere a molti ragazzi battere le mani, dopo aver assistito con molta attenzione a tutto lo spettacolo, avvicinarsi per informarsi e chiedere ulteriori notizie sulle vicende di Falcone e Borsellino. Tanti si distraggono, è vero, ma qualcosa gli resta dentro, portano a casa un arricchimento culturale che alla fine riemerge nelle discussioni con i genitori o in classe. Questo ci da la speranza che in questo paese riusciremo a ricostruire un senso civico.

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