OP

Mezzoeuro

Pasquale Scura, ministro per un mese

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 23 del 9/06/2012


Rende, 3/06/2012


Un arbëresh nella storia dei Mille

Procuratore Generale di Potenza, viene destituito da Ferdinando II per aver osato perseguire il prete filoborbonico Don Vincenzo Peluso, autore dell'assassinio di Costabile Carducci, deputato al Parlamento Napoletano del 1848. Nominato Ministro di Grazia e Giustizia da Garibaldi prepara il plebiscito di annessione e viene subito epurato dal Gen. Farini poiché mostrava insofferenza verso il nuovo ordine piemontese che si voleva instaurare nel Regno delle Due Sicilie.

“Il Cav. Sig. Pasquale Scura, da Vaccarizzo Albanese, in Calabria Citra, di anni 75, Consigliere della Corte di Cassazione di Napoli … è morto nel giorno 12 alle ore II pom. nella sua casa alla strada dei Sette Dolori, n. 26”.

Questa citazione dell’atto di morte è riportata da Domenico Cassiano in un suo pregevolissimo studio sulle “Figure e pensiero degli italo-albanesi al Risorgimento Italiano”.

La “Strada dei Sette Dolori”, residenza napoletana di Pasquale Scura, collegava la chiesa della “Madonna dei Sette Dolori” con il Castel Sant'Elmo.“Per effetto delle magnifiche murazioni aragonesi, di Carlo V e di questa ampliazione dell’Olivares l’ultima cinta di Napoli divenne dalla porta del Carmine, per Porta Nolana, per Porta Capuana, per Pontenuovo, e girando per i torrioni di s. Giovanni a Carbonara per Porta S. Gennaro per Porta Costantinopoli, angolo degli Studii, Porta Alba, Porta Reale (a Toledo), Portamedina, Monastero della Trinità, (seguendo la Strada dei Sette Dolori in altro) a s. Elmo, e da questo punto giravano le mura per la discesa del Petraro …”, secondo quanto scrive Francesco Ceva Grimaldi in “Memorie storiche della Città di Napoli” del 1857.

Vaccarizzo AlbaneseIl tratto finale di Spaccanapoli che collega Via Toledo con la Pignasecca, nel cuore della città, porta ancora oggi il suo nome.

La sua morte giunge inaspettata, malgrado l'età: 77 e non 75 come indicato nell'atto di morte. Viene colto da malore mentre attende alla inaugurazione dell’anno giudiziario; trasportato a casa muore dopo qualche ora. Era il 12 gennaio del 1868.

La morte improvvisa dell’eminente magistrato provocò un’ondata di dolore e costernazione nel suo piccolo paese natale, dove era molto stimato, poiché “era visto dai suoi concittadini come rivendicatore dei diritti popolari sulle terre demaniali”, come scrive Domenico Cassiano.

Insieme a suo fratello Paolo, avvocato morto nel 1844 all’età di 44 anni, avevano combattuto epiche battaglie legali contro il barone Compagna di Corigliano, “uno dei grandi usurpatori calabresi delle terre pubbliche”difendendo i contadini che nel 1847/8 avevano occupato le terre. “Nel territorio di San Demetrio, i contadini, guidati dal sacerdote Antonio Marchianò e dai fratelli Mauro, avevano occupato il fondo, sito in località Castello, di proprietà del Compagna, ma ritenuto pubblico, ed un altro gruppo di contadini, con in testa un fratello del poeta Girolamo De Rada”, si era scontrato sanguinosamente con i guardiani del Compagna, uno dei quali era rimasto accecato a seguito del reciproco scambio di schioppettate”.

Ma chi era Pasquale Scura? Nasce a Vaccarizzo Albanese il 24 aprile 1791 da Agostino, un piccolo proprietario terriero, e Rosa Ferriolo di Santa Sofia d’Epiro, appartenente a una famiglia di tradizione antiborbonica e che, nel decennio francese aveva mostrato simpatie murattiane. Come tutti gli arberesh di chiara fede democratica e liberale, era stato per tre anni allievo del Collegio Italo-Albanese “S. Adriano”a San Demetrio Corone, ma non riesce a completare gli studi all’Università di Napoli prima perché chiamato alla leva e in seguito per la morte del padre, e le condizioni economiche della famiglia gli impongono di trovarsi un impiego.

Decisivo è il suo incontro nel 1814 con il vecchio magistrato giacobino Salvatore Marini, Presidente della Corte Criminale della Calabria Ulteriore a Monteleone, che lo introduce nella magistratura affidandogli l’incarico di vice-cancelliere. Nel 1817 viene trasferito a Catanzaro dove di fatto svolge la funzione di cancelliere, incarico che gli viene affidato l’anno successivo. La sua carriera è molto rapida, favorita dalla sua preparazione e dalla dedizione al suo lavoro, pronto a recepire le innovazioni legislative e a organizzare il lavoro di ufficio. Nel 1819 è nominato Cancelliere presso la Corte Criminale di Girgenti; in seguito destinato a Taranto e promosso Giudice Istruttore nel 1823. Dopo significative esperienze a Bari, Lecce, Cosenza e Catanzaro, con decreto del primo ottobre 1840 è promosso Giudice di Gran Corte Civile in missione di Procuratore Generale presso la Gran Corte di Potenza.

Le sue simpatie liberali gli procurano qualche attacco da parte dei giornali conservatori, ma non gli intralciano la progressione di carriera per le sue qualità umane e professionali. “Un uomo che raccomanderemmo al Ministro di Grazia e Giustizia perché lo premi … col farlo riposare dai lunghi servizi, essendo egli una perla della magistratura”, scrive infatti ironicamente il periodico “Mondo nuove e mondo vecchio” del 22 marzo 1848.

Era in atto un potente ed esteso movimento rivoluzionario in tutta Europa. Il Regno delle Due Sicilie era sconvolto: movimenti popolari erano in atto in tutte le province. Ferdinando II fu costretto a concedere la Costituzione e fu eletto un Parlamento che tenne qualche infuocata seduta a Monteoliveto a Napoli in un clima di sollevamento popolare.

In breve tempo il Parlamento venne sciolto e tutti coloro che avevano espresso idee antiborboniche perseguitati ed incarcerati. Il Procuratore Scura fu coinvolto in una vicenda che ebbe una risonanza internazionale perché fu denunciata all'opinione pubblica da William Gladstone, deputato del Parlamento inglese eletto dall'Università di Oxford, e in seguito primo ministro inglese per molti anni. Gladstone descrisse quello che vide in Napoli come "the negation of God erected into a system of government".

Ecco cosa scrivere l'illustre statista inglese. “Poco tempo dopo che io giunsi a Napoli un uomo di alta condizione era accusato con acri parole di aver detto che quasi tutti i deputati i quali facevan parte dell'opposizione fossero in carcere o in esilio: ed io francamente confesso che quell'affermazione, in apparenza mostruosa ed incredibile, mi parve meritasse la riprovazione ond'era colpita. Ciò succedeva, se mal non rammento, io novembre passato.

Pasquale ScuraLa camera era stata eletta dal popolo in virtù della Costituzione liberamente e spontaneamente conceduta dal re: eletta due volte, e con lieve cambiamento, e questo lieve cambiamento tutto a favore dell'opposizione. Nessun deputato, per quel che io mi sappia, era a quell'epoca involto in processi politici, quantunque, sia detto alla sfuggita, uno di essi (l'infelice Costabile Carducci, deputato della provincia di Salerno, ndt) fosse stato assassinato da un prete, per nome Peluso, il quale, quanto io era a Napoli, passeggiava per le vie della città, e non solo non fu mai interrogato intorno all'assassinio, ma (dicesi) ricevesse una pensione dal governo. Io perciò considerai quell'affermazione come bugiarda, od almeno come una grande indiscretezza o peggio. Quale fu adunque il mio stupore, allorchè vidi un elenco ragguagliato che pienamente dimostrava la veracità di quell'asserzione, e che anzi nel punto essenziale la dimostrava sovrabbondantemente!

Pare, mio caro lord, che il numero totale dei deputati era di 164 eletti da un corpo elettorale di 117mila votanti; 140 all'incirca di essi andarono a Napoli ad adempiere i loro doveri nella Camera: ora l'assoluta maggioranza di questo numero, vale a dire 76, prescindendo da quelli destituiti dai loro impieghi, è parte in carcere, parte in esilio: di modo che dopo la regolare formazione di una camera popolare rappresentativa, e dopo il suo scioglimento, a dispetto della legge, il governo di Napoli ha messo il colmo all'audacia, cacciando in carcere, ovvero costringendo ad esulare per campare dalla prigione, l'attuale maggioranza dei rappresentanti del popolo”.

Cosa fosse accaduto lo racconta Giuseppe Massari in un libro stampato a Torino nel 1851 dove egli traduce le lettere da Napoli di Lord Gladstone. “Costabile Carducci, ricco proprietario terriero della provincia di Salerno, fu nominato colonnello della guardia nazionale dal governo dopo il 29 gennaio 1848: la sua provincia lo mandò con migliaia di voti deputato al Parlamento Nazionale: il re parecchie volte lo invitò a recarsi da lui e gli usò ogni maniera di gentilezza ed affabilità, e gli mostrò sempre gran fiducia. Il 15 maggio Carducci stava alla Camera in qualità di deputato e dopo la luttuosa catastrofe si ricoverò come la maggior parte dei suoi colleghi sopra uno dei vascelli della flottiglia francese del Mediterraneo, comandata dall'ammiraglio Baudin, che stava ancorata nella rada di Napoli. Il Carducci si recò quindi a Civitavecchia e di là a Roma: di dove partì per andare a Malta ad oggetto di sbarcare sulle coste della Calabria. Dalla Calabria egli divisava andare in provincia di Salerno e quindi a Napoli per impetrare dal re la conservazione degli ordini costituzionali. Prese all'uopo passaggio sopra una barca in compagnia di nove suoi amici. Sorpreso in mare dalla tempesta e non potendo la sua piccola nave affrontare le ire dei flutti, fu costretto a prender terra ad Acqua-Fredda, circondario di Maratea, provincia di Basilicata e località confinante colla provincia di Salerno. Carducci ed i suoi compagni erano al tutto inermi. Il Peluso, che lì vicino dimorava, fatto consapevole dell'arrivo di gente su quelle spiagge quasi deserte, si recò con molti de' suoi ad incontrarla, e non sì tosto ebbe riconosciuto il Carducci gli fece mille feste, e lo complimentò di lauta refezione. Aspettavano il Carducci ed i suoi compagni che il mare si rabbonacciasse per riprendere l'interrotto viaggio, allorchè ad un tratto videro comparire in lontananza numerosa gente armata, guidata dal Peluso, che procedeva con piglio minaccioso. Accortisi quegli sventurati di trovarsi a mal partito rivolsero a' loro aggressori concilianti parole pregandolil a non fare alcun male ad essi che nessun male avevano fatto né volevano fare. La risposta alle preghiere di quella gente disarmata e poc'anzi ospitata con tanta amorevolezza e liberalità, fu una scarica di archibugiate la quale malamente ferì tre di quei sventurati. Lo stesso Carducci fu ferito nella spalla. Il Peluso allora fece arrestare quei miseri, s'impossessò dei loro oggetti, ed intascò 12.000 ducati (franchi 54.000 in circa) che trovò, fra argento, oro e polizze, nella valigia del Carducci. Partitosi quindi con esso da Acqua-Fredda alla volta di Sapri lo trucidò, e non fu se non parecchi giorni dopo che il giudice Gaetano Pinto, procedendo alle opportune indagini, trovò in una valle il cadavere della infelice vittima con la gola recisa, ed, a cagione degli estivi calori, a metà putrefatto”.

La versione dei borboniani era alquanto diversa. Carlo Mac-Farlane, incaricato dal governo napoletano di replicare alle accuse di Gladstone sostiene la tesi opposta. “Se il Signor Gladstone non ha fatto sciupo di tutta la sua commiserazione a favore dei settari, dei ribelli e dei prigionieri di stato, egli ne può dare sicuramente una piccola porzione al povero popolo innocente di quel paese, saccheggiato, crudelmente maltrattato, e con di rado scannato dai suoi interessantissimi membri costituzionali dell'opposizione. Io ho tante prove positive, mio lord Aberdeen, che Carducci ed i suoi masnadieri vivevano magnificamente (tanto tra donne quanto tra provvisioni), e che essi erravano nelle piccole città e nei villaggi, e devastavano, e saccheggiavano ed uccidevano, che il nome di Carducci era diventato sinonimo di quello del diavolo. Allora il re ed il suo governo – secondo quello che ogni governo avrebbe fatto nelle stesse circostanze – lo dannarono al bando e posero la sua testa a prezzo.”

Il delitto era stato commesso nel circondario di Potenza, e sottoposto alla Corte Criminale, presieduta da Pasquale Scura. Ecco la ricostruzione della vicenda giudiziaria da parte di Giuseppe Massari. “Allorchè il delitto fu commesso, la magistratura, la quale non era stata tutta navarizzata, pensò immantinenti ad adempiere i suoi doveri facendo indagini per iscoprire l'autore di esso. La istruzione giudiziaria fu incominciata dal signor Gaetano Pinto, giudice del Circondario di Maratea, nella cui giurisdizione il delitto era stato commesso. Non sì tosto il governo ebbe contezza della incominciata istruzione, richiamò, vale a dire, destituì il giudice Pinto, e diede ordine al Procuratore Generale presso la G. C. Criminale di Potenza, Signor Pasquale Scura, di mandare a Maratea un altro giudice: e quel magistrato mandò in conformità di detti ordini, il giudice Gaetano Cammarota con ingiunzione di continuare la istruzione giudiziaria iniziata dal signor Pinto. Il signor Cammarota adempì fedelmente i suoi doveri: trattandosi però di un delitto di tanto rilievo, lo stesso procurator generale delegò per la istruzione giudiziaria il giudice del distretto di Lagonegro, signor De Clemente”.

Il procuratore Scura, con la sua nota del 20 luglio del 1848, chiedeva “di indagare se fosse vero che il Carducci volesse, in Acquafredda, commettere violenze e proclamare la repubblica; ovvero se fosse stato un pretesto, messo su dai suoi nemici, per ucciderlo”

Prosegue Giuseppe Massari nella sua ricostruzione. “Il governo dal canto suo richiamava e destituiva il Cammarota: ma ciò non isgomentava né disarmava il De Clemente, il quale continuò con ferma e decorosa imparzialità l'istruzione. Il Peluso frattanto tempestava a Napoli presso il Ministero di Grazia e Giustizia e presso più altri personaggi perché non si dasse seguito a quella provessura; e sarebbe riuscito nel suo intento qualora il governo, suo complice, avesse trovato docile istrumento nel procuratore generale Scura. Il venerabile magistrato però seppe decorosamente resistere alle ingiunzioni ministeriali e con fermezza inesorabile sostenne i diritti della giustizia e fece scudo con la propria responsabilità a quella del De Clemente che scrupolosamente aveva adempiti i suoi doveri. A capo di poco tempo il procuratore generale Scura fu destituito, e per rara raffinatezza d'ipocrisia il giudice De Clemente venne promosso a giudice regio in Potenza, dalla quale carica fu quindi, senza ragione alcuna, dimesso dopo lo spazio di un mese”.

La volontà del Procuratore di voler istruire un processo per accertare la verità irrita il governo che con decreto del 3 ottobre 1848, firmato dal re Ferdinando e dal Ministro di Grazia e Giustizia, viene sospeso dalle funzioni in attesa di essere destinato altrove.

Quale sia il sentimento del sovrano nei confronti del procuratore lo racconta Domenico Cassiano. “Nel 1852 re Ferdinando visita la Calabria; per qualche giorno, si ferma a Spezzano Albanese. Quivi si presenta a chiedergli grazia per suo marito la moglie dello Scura, Concetta Mele, fidando in un atto di clemenza. Ma inutilmente. Quando il re sente pronunciare il nome dello Scura, interrompe la signora, apostrofandola con queste parole in dialetto napoletano: “signo', ppe vostro signor marito nun aggia che nce fa! Isso s'è permesso 'e fa nu pruciesso a chi ha combattuto ppe mme! Capite? Chi ha combattuto ppe mme! 'A smania soia era 'e firma' sempe carte e sempe contra a mme! Se avete altri comandi a darmi” e la piantò in asso.

Francesco CrispiAppena venuto a conoscenza del provvedimento a suo carico cerca di sfuggire alla cattura, poiché nel clima di caccia alle streghe non aveva alcuna garanzia di poter difendere le proprie ragioni in un processo equo. Dapprima si rifugia da amici a Napoli poi si imbarca per Civitavecchia, insieme a suo figlio Angelo, e da qui s'imbarca per Genova dove vi starà per circa un anno, per finire a Torino i suoi giorni di esilio forzato. Suo figlio Angelo trova un impiego a Genova nell'Ufficio del telegrafo e qualche anno dopo fornirà un prezioso servizio di informazione per l'organizzazione della spedizione dei Mille.

Nel Regno di Sardegna Pasquale Scura entra in contatto con la folta comunità degli emigrati, molti dei quali sono arbëresh, come Francesco Crispi, i fratelli Mauro, Gli viene offerta la possibilità di servire nella magistratura piemontese, accettando la cittadinanza, ma rifiuta rispondendo di sentirsi italiano e non piemontese.

Durante la sua assenza la Gran Corte Criminale di Basilicata lo giudica in contumacia. Il 13 ottobre del 1855 decide all'unanimità la non procedibilità nei suoi confronti ritenendo corretto il suo operato. I tempi sono cambiati, ma nonostante la revoca del mandato di arresto non viene reintegrato in servizio. Ritorna in Calabria e viene mandato in domicilio coatto a Catanzaro, e poi a Vaccarizzo, sempre controllato a vista. (continua).

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PARTE SECONDA

Un arbëresh nella storia dei Mille

Pasquale Scura, ministro per un mese

Procuratore Generale a Potenza fu perseguita dai Borboni per aver cercato di scoprire la verità sulla morte di Costabile Carducci, un membro del Parlamento napoletano del 1848. Costretto a fuggire nel Regno di Sardegna venne assolto in contumacia. Rientrato in patria fu mandata a domicilio coatto prima a Catanzaro e poi a Vaccarizzo, suo paese natale, dove gli giunsero le notizie dell’impresa di Garibaldi …

I Mille di Garibaldi salparono da Quarto la notte del 5 maggio a bordo delle due navi, il Piemonte e il Lombardo. Gli echi della spedizione gli giungono nel suo paese per i collegamenti che continuava a mantenere con molti dei protagonisti di questa avventura che aveva conosciuto durante il suo forzato esilio e da suo figlio Angelo, rimasto a Genova. Il 1 luglio, con decreto dittatoriale, Garibaldi rimise in vigore lo statuto del 1848. Francesco II, constatata la difficoltà di contrastare la rivolta con le armi cerco di rincorrerla sul piano delle riforme. A sua volta ripristina lo statuto del 1848 e cerca di guadagnarsi le simpatie dei liberali. Ne beneficia anche Pasquale Scura. Con decreto del 4 luglio 1860, infatti, si dispone il reintegro nella carica di Procuratore Generale e destinato alla Gran Corte Criminale di Campobasso, e con successivo decreto nominato Consigliere della Corte Suprema.

Decreto di nomina Ormai è però troppo tardi, gli eventi precipitano e non riprenderà mai più servizio sotto i Borboni. Il 7 settembre Garibaldi sale suo treno, nella carrozza reale, a Vietri sul Mare e arriva a Napoli, nominando un primo esecutivo dittatoriale con Liborio Romano agli interni, Giuseppe Pisanelli alla giustizia, Enrico Cosenz alla guerra, il marchese Rodolfo d'Afflitto ai Lavori Pubblici, Antonio Scialoja alle Finanze e Raffaele Conforti alla polizia.

Il I governo di Garibaldi durò solo venti giorni, poiché il 27 settembre furono cambiati tutti i ministri: Raffaele Conforti assunse gli Interni e la polizia, Pasquale Scura la giustizia, Francesco De Sanctis l'Istruzione, Amilcare Anguissola l'armata, e Luigi Giura i lavori pubblici. È stupefacente sottolineare che due dei cinque ministri erano arbëresh poiché Luigi Giura era nato a Maschito, in provincia di Potenza nel 1795. Era ingegnere, Ispettore del Corpo Ponti e Strade del Regno delle Due Sicilie, noto per aver progettato e realizzato come direttore dei lavori nel 1832, il secondo ponte sospeso realizzato nell'Europa continentale. Il compito del nuovo esecutivo era la preparazione del plebiscito di annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna.

Pasquale Scura assolse il suo compito con rigore e onestà intellettuale redigendo di persona la formula da sottoporre al voto: “Volete l'Italia una e indivisibile?”, questo il quesito da sottoporre al voto popolare. Il decreto di convocazione delle elezioni reca la firma di tre arbëresh: Pasquale Scura, Luigi Giura e il siciliano Francesco Crispi di Piana degli Albanesi.

Garibaldi era ben cosciente del contributo dato dagli italo-albanesi alla spedizione dei Mille. Francesco Tajani nelle sue Istorie albanesi scrive: “Il generale Giuseppe Garibaldi volendo premiare gli albanesi renduti molto bene a proposito ordinò di fornir loro i mezzi per estendere,e migliorare gli studi degli italo-greci. Pensiero benefico fu quello, chè certamente grande guiderdone si porge ad un popolo quando se ne soccorre lo insegnamento, e se ne promuove la istruzione. A ministro dello interno del governo dittatoriale in Palermo sedeva il medesimo Francesco Crispi di sopra nominato, egli fe' decretare un assegno di settecentottanta ducati annui a quel Collegio. E quindi poi da Caserta il Dittatore dell'Italia meridionale nel venti settembre ordinava lo sborso di dodicimila ducati all'altro collegio nelle Calabrie da somministrare tosto i bisogni della guerra fossero cessati, e l'Italia sotto allo scettro del re Vittorio Emmanuele si fosse riunita”. “In fine il Dittatore “considerando sacra al paese la memoria di Agesilao Milano, sono parole del decreto, che con eroismo senza pari s'immolò sull'altare della patria per liberarla dal tiranno che l'opprimeva” assegnò un vitalizio di ducati trenta al mese a Maddalena Russo, madre di lui, e la dotazione di duemila ducati alla sorella Caterina, con ciò intese di sollevare una famigliuola derelitta dai dolori e dalla miseria”.

Le votazioni si svolsero il 21 ottobre e vi sono molti dubbi sulla regolarità delle operazioni elettorali, poiché si trattava di un voto palese e la stessa formulazione dei quesiti era incomprensibile per la maggior parte dei votanti la quasi totalità dei quali era analfabeta.

“Plebe miserrima, abbrutita dall'ignoranza, che guardava con occhio freddo l'accumularsi di così fitte nubi su l'orizzonte, né comprendeva quale fosse la meta di quel prorompente uragano, e perchè si dovesse rovesciare un trono per elevarne un altro”, scrive Vittorio Visalli.

Nonostante le pressioni, molte furono le astensioni. “Un plebiscito a suffragio universale regolato da tali formalità non può essere ritenuto veridica manifestazione dei reali sentimenti di un Paese”, dichiarò l'ammiraglio inglese George Rodney Mundy. Ma la loro partecipazione a un voto farsa era necessaria per legittimare nei confronti delle potenze europee la formazione del nuovo stato.

Decreto reintegroRedasse altresì di proprio pugno il verbale del risultato, l’otto novembre del 1860. L'intero esecutivo nel prendere atto del risultato favorevole per un’Italia una e indivisibile, rassegnò le dimissioni nelle mani di Garibaldi per consentire la formazione di un governo nazionale.

Il 26 ottobre Garibaldi si incontra con Vittorio Emanuele.

Il 7 novembre Vittorio Emanuele entra a Napoli e nomina suo luogotenente per le province napoletane Luigi Carlo Farini.

Il giorno dopo, 8 novembre, Garibaldi, con tutti i Ministri, si reca dal re Vittorio Emanuele per informarlo ufficialmente del risultato del Plebiscito nel quale il re è proclamato Sovrano Costituzionale. In questa occasione Garibaldi e i Ministri rassegnano nelle mani del re le dimissioni.

Pasquale Scura riprende l’attività professionale.

Pasquale Scura viene nominato giudice della Corte Suprema con decreto del 14 novembre 1860 e, con altro decreto del 6 aprile 1862, fu confermato Consigliere della Cassazione di Napoli. “Dopo l'annessione, era stato malamente messo da parte ed era ritornato al suo posto di magistrato, deluso dal nuovo ordinamento statale, che ricalcava in tutto quello vecchio del Piemonte, perché certamente non corrispondeva ai suoi ideali ed alle sue aspettative di liberale illuminato”, scrive Domenico Cassiano.

Egli è autore anche della biografia di due personaggi della Rivoluzione napoletana del 1799, Giovannandrea Serrao e i Fratelli Filomarino della Torre, uccisi nelle rivolte popolari. Sono incluse nel volume “Panteon dei Martiri della Libertà Italiana” edito a Torino, presso lo Stabilimento Tipografico Fontana nel 1852. Inoltre nel 1865, pubblica un saggio sugli Albanesi in Italia, dove sono descritti i costumi, i riti, la cultura che essi hanno saputo mantenere nel corso dei secoli.

Luigi GiuraAll'annuncio della sua morte nel 1868, a Vaccarizzo si diffonde persino la voce che sia stato avvelenato da un emissario del suo eterno rivale, il barone Compagna.

Avevano vinto tante battaglie i fratelli Scura, ma alla fine persero la guerra. Pasquale Scura morì onorato come un oscuro magistrato mentre nel Parlamento Nazionale siedevano il barone Pietro Compagna per il collegio di Rossano, il barone Luigi Miceli per il collegio di Paola, il barone Vincenzo Baracco per il collegio di Spezzano e Donato Morelli per il collegio di Cosenza.

Si erano preparati in tempo, i proprietari terrieri.

“Promulgata la Costituzione in Sicilia il primo luglio del 1860, in Calabria si formò un comitato definitivo, presieduto dal barone Francesco Guzzolini di Cervicati, e composto da Donato Morelli, Pietro Compagna, Domenico Frugiele e Carlo Compagna, i quali spedirono circolari fregiate dello stemma sabaudo, incitando alla pronta coscrizione della Guardia Nazionale, ch'era un bel ripiego per dare le armi in mano dei loro amici. Raccolsero 50mila ducati per contribuzione volontarie, e volendo dare a Garibaldi le guarentigie ch'egli domandava, aprirono gli specchietti insurrezionali. Fu una gara a chi primo si sottoscrivesse o mandasse il proprio consenso. Cominciarono gli impegni personali, seguirono i collettivi: venticinque paesi promisero in forma officiale il loro concorso, trentacinque rappresentanti di altri comuni vennero a congresso in casa Morelli a Rogliano il 29 luglio, e si obbligarono per sé e per i propri concittadini”. Questo è quanto scrive Vittorio Visalli, ne “I calabresi nel Risorgimento italiano” del 1893. I paesi che avevano aderito ufficialmente furono: Altilia, Aprigliano, Bianchi, Calopezzati, Carpanzano, Cellara, Cerzeto, Cervicati, Colosimi, Dipignano, Domanico, Fagnano, Figline, Grimaldi, Lattarico, Malito, Marzi, Mongrassano, Morano, Parenti, Paterno, Piane, Pietrafitta, Rogliano e Scigliano.

Con questo espediente i ventuno calabresi che facevano parte dei Mille, si moltiplicarono e divennero centinaia: ogni più piccolo paese poteva vantare il proprio patriota, e non mancava mai il notabile locale. I ventuno erano i seguenti: Francesco Stocco di Decollatura, Domenico e Raffaele Mauro di San Demetrio Corone, Luigi Miceli di Longobardi, Raffaele Carbonari di Catanzaro, Ferdinando Bianchi di Bianchi, Domenico Damis di Lungro, Antonino Plutino Angelo Oddo, Alfio Merlino e Francesco Bellantonio di Reggio Calabria, i fratelli Vincenzo e Francesco Sprovieri di Acri, Stanislao Lamenza di Saracena, Alberto de Nobili nato a Corfù di famiglia catanzarese emigrata durante la persecuzione del De Mattheis, Michelangelo Calafiore e Rocco Morgante di Fiumara, Luigi Minnicelli di Rossano, Gregorio Emanuele Nicolazzo di Platania, Raffaele Piccolo di Castagna, Alessandro Toja di Gizzeria. Di questi quasi un terzo erano arbëresh (i fratelli Mauro, Domenico Damis e Alessandro Toja) e i fratelli Sprovieri erano arbëresh per parte di madre, poiché erano figli di Beatrice Mayerà di Cerzeto e conoscevano e parlavano correntemente la lingua.

La Calabria esprimeva in maniera scolastica il paradigma gattopardiano del “tutto cambi affinchè nulla cambi”, come diceva il Principe di Salina. I democratici autentici, come Pasquale Scura o i fratelli Mauro caddero nell'oblio, mentre avanzava prepotentemente la classe dirigente del nuovo stato. “Ricorrente fu il caso di quei politici ambivalenti: al piano nazionale facevano i progressisti e passavano come tali; sul piano locale, invece, agivano come ras intolleranti e gelosi custodi del loro potere, di cui evidenziavano una arcaica concezione patrimoniale, distribuendo ai propri accoliti posti di sottogoverno, nella pubblica amministrazione, terre pubbliche, così, mettendo in atto una fitta ragnatela di interessi – piccoli e grandi – difficile, se non impossibile, da scalfire”, scrive Domenico Cassiano. Una osservazione che non ha perso il suo valore e descrive perfettamente il legame tra elettori ed eletti nella regione ancora oggi.

La vecchia oligarchia terriera, conservatore o diventata improvvisamente liberale, aveva cambiato pelle, ma era ancora saldamente al potere. Il colore politico aveva una importanza relativa.

Attorno a Garibaldi si era costituita una strana alleanza tra i contadini che rivendicavano le terre e il rispetto degli usi civici nelle tante “difese” o “chiuse” che i vecchi baroni e la nuova borghesia avevano costituito un po' ovunque recintando i demani comunali, e questi ultimi che rivendicavano la legittimazione dei loro possedimenti. I borboni erano riusciti nella difficile opera di scontentare entrambi, ai primi negando di fatto gli usi civici nei terreni usurpati, ai secondi rifiutando di riconoscere gli atti di proprietà. L'istituzione della Cassa Sacra a fine Settecento e la legge di eversione della feudalità approvata da Gioacchino Murat avevano generato un contenzioso senza fine. Garibaldi prometteva giustizia, il ripristino degli usi civici e la distribuzione delle terre. I contadini corsero in massa, ma furono i vecchi notabili, ma soprattutto la nuova e famelica nuova borghesia agraria ad assumere il potere. Il nodo gordiano della questione agraria fu risolta in maniera “salomonica” negli anni 1865/6: ai contadini fu distribuito qualche lembo di terra marginale con la cosiddetta “quotizzazione”, mentre gli usurpatori si videro riconosciuto la piena proprietà delle “loro” terre.

Si concludeva in tal modo l'epopea risorgimentale che nel Mezzogiorno fu soltanto una occupazione manu militari. Si ribellarono in massa, e la loro rivolta fu tacciata come brigantaggio. Una vera e propria guerra civile repressa nel sangue. I contadini persero anche la speranza e si riversarono in massa oltre oceano, nel primo grande esodo che si verificò negli ultimi due decenni dell'Ottocento.

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