OP

Mezzoeuro

Francesco Pignatelli, un personaggio molto discusso

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 28 del 14/07/2012


Rende, 12/07/2012


Viceré per un mese

Generale dell'esercito borbonico e uomo politico di spicco, cui furono affidati importanti incarichi, come l'onore della ricostruzione dopo la devastazione del terremoto del 1783, e poi quando Ferdinando IV fuggì da Napoli alla vigilia del Natale 1798 gli fu affidato l'intero Regno. In entrambi i casi fu molto criticato. Neanche il tentativo di riabilitazione postuma sono valsi a restituirgli una immagine positiva.

Vi sono due personaggi con lo stesso nome, il primo, conte di Laino, nato a Napoli nel 1734 e morto nel 1812 e suo nipote Francesco (1775-1853) figlio di suo fratello Salvatore e primo di quattro fratelli, principi di Strongoli (gli altri tre sono Mario, 1773-1799, Ferdinando 1769-1799 e Vincenzo, 1777-1837).

I due si distinguono nettamente per essere vissuti in una epoca diversa, poiché tra la nascita del primo e quella del secondo intercorrono quarantacinque anni densi di avvenimenti. L'anno di nascita di Francesco senior, conte di Laino e marchese di Acerra, coincide con l'insediamento del primo Borbone a Napoli, Carlo I divenuto poi Carlo III di Spagna. È il periodo più intenso e proficuo dell'illuminismo napoletano. Generale dell'esercito e uomo politico ebbe importanti ruoli nel governo di Bernardo Tanucci, ma i risultati furono molto discutibili tanto da essere oggetto di accuse non tante velate di incapacità e anche disonesta nella gestione. Fu un lealista convinto, e molto intimo della corte dei Borboni, ma ebbe qualche difficoltà a causa dei suoi nipoti, che militavano sul fronte giacobino e repubblicano, tanto che due di essi, Mario e Ferdinando, furono condannati a morte e decapitati per aver partecipato alla Repubblica Partenopea del 1799.

Francesco Pignatelli seniorLa famiglia Pignatelli è una delle più antiche ed illustri del regno di Napoli. Secondo quanto scrive Francesco Ceva Grimaldi “Ruggiero Normanno indignato contro Emmanuele II imperatore di Costantinopoli dai maltrattamenti che faceva a Ludovico il Pio re di Francia, e ad altri cristiani che egli teneva prigionieri, con un'armata andò ad attaccarlo verso il 1133 sin nei suoi stati. Dopo molte vittorie giunse a mettere l'assedio a Costantinopoli, che finalmente prese e da dove fuggì l'imperatore. Tra i capitani di Ruggiero v'era Gisulso: questi penetrò nel palazzo imperiale, ed ivi s'impadronì di tre pignatte che presentò al re Ruggiero in segno di ardimento avuto a penetrare fin là, ed il Re volle, che le avesse adottate per insegna di famiglia, cioè tre pignatte nere in campo d'oro. Da questa impresa ne venne il cognome Pignatelli, che annovera molti personaggi famosi nel Regno. … Quello che più illustrò la famiglia fu Ettore I Pignatelli che Ferdinando il Cattolico nominò scrivano di razione, e che Carlo V più elevò nominandolo duca di Monteleone, vice re di Sicilia e Capitano Generale. A questa famiglia appartennero Antonio Pignatelli principe di Minervino e marchese di Spinazzola, ramo della famiglia che si estinse con lui. Egli fu cardinale , e creato Pontefice nel 1691 con nome di Innocenzo XII”.

Francesco Pignatelli ebbe una formazione militare e godeva di grande considerazione tanto che gli fu affidato l'incarico di creare una scuola per la formazione degli ufficiali dell'esercito borbonico. Egli istituì un corpo scelto di cadetti che venne chiamato Battaglione Reale Ferdinando che fu alloggiato in due vecchi conventi nei pressi di quella che oggi è piazza del Plebiscito a Napoli. Quello fu l'embrione dal quale qualche anno dopo sorse la scuola militare della Nunziatella, che ancora oggi è una delle più prestigiose al mondo. Lo stesso Re volle far parte del reggimento con il grado di colonnello, e vi erano ammessi i figli dei nobili e degli altri gradi dell'esercito fin dall'età di otto anni per un ciclo di studi che durava otto anni. Gli insegnamenti fondamentali erano la strategia militare e le scienze matematiche.

Il 5 febbraio del 1783 la Calabria meridionale venne colpita da un terribile terremoto, uno dei più disastrosi di cui si ricordi. La terra fu letteralmente sconvolta, con la formazione di crepacci, laghi, acquitrini, spostamenti di intere montagne e la totale distruzione di centinaia di centri abitati.

Giovanni Vivenzio, nell'Istoria de' tremuoti (Napoli 1788) scrive. “A tale annunzio commosso il pietoso animo del Re nostro signore prese sollecitamente la risoluzione di spedire col carattere di Vicario Generale dell'una e dell'altra Calabria D. Francesco Pignatelli della famiglia de' principi di Strongoli, maresciallo allora, Tenente generale al presente de' regali eserciti, e cavaliere dell'insigne ordine di S. Gennaro. Furono al medesimo prontamente consegnati ducati centomila per supplire a più urgenti bisogni, oltre a ducati quattromila per le private sue spese. Si ordinò parimenti al tesoriere della provincia di somministrare da i fondi di quella tesoreria tutte le somme, che dal mentovato Vicario Generale li venissero richieste; ed altro comando fu spedito all'Amministratore generale della Calabria ulteriore, perché si ubbidisse a lui, e da' portulani rispettivi, e dagli amministratori delle dogane a quanto dal Vicario Generale venisse ordinato, e disposto circa la immissione de' generi, e trasporto de' viveri ...” A Francesco Pignatelli fu attributo un potere enorme, con la facoltà di sostituirsi a tutte le autorità locali (prèsidi, tribunali, baroni e corti feudali) per accelerare il processo di ricostruzione. Egli pose il suo Quartiere Generale a Monteleone, oggi Vibo Valentia, che era in una posizione centrale rispetto all'area interessata dal sisma.

La vastità delle distruzioni e le miserevoli condizioni della popolazione provocò un diffuso sentimento di solidarietà che si risolse in un impeto riformatore tanto nella ricostruzione dei paesi distrutti che in un miglioramento dell'equilibrio sociale. In particolare risultò evidente il ruolo giocato dalla manomorta ecclesiastica, vale a dire la vastità delle proprietà fondiarie della chiesa che impediva la coltivazione di gran parte dei terreni agricoli più redditizi, che era una delle cause della povertà dei contadini. Si proibì, pertanto, la ricostruzione degli edifici sacri non strettamente legati al culto, e l'incameramento dei beni sacri.

Il principe Pignatelli propose al re “l'erezione della Cassa Sacra e della Giunta per l'amministrazione della stessa”. Fu lo stesso Francesco Pignatelli a convincere il Papa Pio VI a dare il suo consenso per la confisca dei beni ecclesiastici e la creazione della Cassa per sopperire alle esigenze della popolazione e combattere il diffuso sentimento anticlericale.

Racconta Vivenzio: “ Non tardò il Vicario Generale con sua lettera in data ancora de' 19 maggio umiliare al re un piano per l'erezione di una Cassa denominata Sacra, e di una Giunta composta di quel Preside provinciale, del Vescovo di Catanzaro, del Caporuota della Regia Udienza, e di un Uditore, che facesse le veci di Fiscale, acciocché le rendite di tali monisteri, e luoghi pii fossero esattamente amministrati; ed il re approvando tale giunta, e conveniente proposizione, ordinò a 4 giugno: “che nella Cassa Sacra da stabilirsi in Catanzaro si dovessero introitare tutte le rendite de' monasteri, e luoghi pii della Calabria ulteriore, da impiegarsi nella ristaurazione della medesima, e che venisse ivi amministrata dalla proposta Giunta, di quattro ministri; cioè del Preside D. Vincenzo Pignatelli, fratello del vicario generale, del vescovo di Catanzaro, D. Salvatore Spinelli della famiglia di Fuscaldo, del caporuota D. Andrea de Leone, e dell'Uditore D. Domenico Ciaraldi, che da Cosenza dove tale con tal carattere serviva, passasse nella stessa qualità in detta provincia per far da fiscale nella mentovata giunta”.

Terremoto in Calabria 1783L'ente di nuova creazione era una vera e propria “authority” dotata di poteri speciali, tanto amministrativi che giudiziari. “Che essa Giunta avesse l'inspezione dell'intera amministrazione delle rendite de' beni ecclesiastici della mentovata provincia, ed in assenza del Vicario generale decidesse tutte le cause relative a tale amministrazione; e che il preside nelle cause, ed emergenze di economia avesse con gli altri tre ministri il voto decisivo, ma in quella di giustizia il solo voto consultivo; dovendo in questi casi averlo decisivo soltanto il vescovo, il caporuota, ed il fiscale, qualora non dovesse sostenervi le parti del fisco”. Il 27 novembre fu creata a Napoli una giunta detta di corrispondenza, presieduta dallo stesso Francesco Pignatelli, col compito di gestire i rapporti tra la Cassa sacra e la capitale del Regno e gestire le eventuali controversie.

Lo scopo di questo organo era di amministrare i beni ecclesiastici espropriati, da investire nella ricostruzione. In particolare furono aboliti i monasteri e i luoghi pii della provincia. Alla giunta fu anche attribuita una funzione giudiziaria, poiché si occupava in prima istanza degli contenziosi che insorgevano nella devoluzione dei beni. Lo sforzo della ricostruzione fu enorme e furono investiti i migliori tecnici dell'epoca dagli ingegneri e capomastri, e persino di illustri letterali come Pasquale Baffi, a quale fu affidato l'incarico di esaminare i titoli di proprietà degli enti ecclesiastici la maggioranza dei quali redatti in greco o latino.

L'esperienza della Cassa Sacra e l'operato della Giunta fu un vero e proprio fallimento per il grande sperpero di denaro pubblico, molta parte del quale non fu documentata e finì nelle mani di approfittatori e speculatori. Il vasto patrimonio confiscato non fu distribuito ai contadini senza terra, ma finì nelle mani dei pochi borghesi che disponevano di qualche capitale. Il risultato fu che i contadini si trovarono di fronte dei proprietari ben più agguerriti degli ecclesiastici nel difendere le proprietà e impedire l'esercizio degli usi civici. Venne a mancare quel tessuto di solidarietà assicurata dagli ordini monastici e l'opportunità di poter sperare in un avanzamento sociale con la carriera ecclesiastica. Questo creò un vasto sentimento di avversione nei confronti di questo tentativo riformista che si risolse in un complessivo peggioramento delle condizioni dei contadini che qualche anno dopo furono facilmente convinti ad arruolarsi nelle armate sanfediste, inseguendo la chimera di una giustizia sociale.

Nonostante l'alta carica ricoperta e la copertura reale, al principe Francesco Pignatelli vennero rivolte accuse molto pesanti, di aver rapinato il denaro pubblico utilizzato a scopi personali, di essere un approfittatore e un traditore. Solo più di un secolo dopo, Nino Cortese ha cercato di prendere le difese del principe, sostenendo di essere stato vittima di personaggi senza scrupoli che rubavano a man bassa servendosi del suo nome.

Nel 1796 Enrico Capece Minutolo, vescovo di Mileto, chiese ed ottenne dal re la soppressione della giunta per la Cassa Sacra e la sua corrispondenza a Napoli, ma non riuscì a avere la reintegrazione dei beni ecclesiastici confiscati, che nel frattempo erano stati in gran parte alienati.

Bisogna però dire che in pochi anni furono ricostruiti interi paesi, strade e prosciugati numerosi e vasti terreni paludosi con un miglioramento complessivo della condizione della Calabria meridionale.

La carriera di Francesco Pignatelli non ebbe molto a soffrire dell'insuccesso della Cassa Sacra, poiché continuò a godere del favore della corte e Ferdinando IV gli affidò la direzione della polizia di Napoli, un corpo di nuova istituzione.

Quando alla fine del 1798 il generale Championnet invase il Regno di Napoli, lo stesso Ferdinando, a dimostrazione della sua stima, lo nominò viceré di Napoli, prima di rifugiarsi a Palermo sotto la protezione inglese.

Narra Pietro Colletta, nella sua storia. “Ed ecco inaspettatamente, nel giorno 21 del dicembre, navigar nel Golfo molte navi sciolte nella notte dal porto, e sul maggior vascello inglese andare imbarcato il re e i regali, come segnavano le bandiere. Nel tempo stesso che un editto chiamato avviso, affisso sui muri della città, diceva: passare il re nella Sicilia; lasciare vicario il capitan generale principe Francesco Pignatelli; divisare di tornar presto con potentissimi aiuti d'armi. … Trattenute dai venti restarono le navi tre giorni nel golfo; ed in quel tempo, la città, i magistrati, la baronia, il popolo inviarono legati al re, promettendo se tornasse, sforzi estremi contro il nemico, e per tante braccia e voleri, la vittoria. Il solo arcivescovo di Napoli tra tanti legati parlò al re, altri a' ministri, il re disse irrevocabile il proponimento, ed i ministri ripetereno la medesima sentenza con più duro discorso”.

“Il vicario del regno, Pignatelli, notificando al generale Mack per lo esercito, ed agli eletti della città gli ordini civili, le potestà conferitigli, animò le difese nell'uno, il consiglio negli altri. Un re o per fino un vicario che fusse stato pari alle condizioni del tempo, avrebbe scacciato i Francesi o fermata la pace o prolungato la guerra sino a che, per le mosse dell'Austria e dei russi, dovesse l'esercito nemico da questa ultima Italia correre in soccorso della Lombardia. Damsa era giunta con settemila soldati, altri seimila ne conduceva Naselli, quindici migliaia o più stavano introno a Capua, vacillanti alla disciplina o contumaci, ma, come spesso avviene alle moltitudini, facili a tornare, per un cenno o per un motto, all'obbedienza: gli Abruzzi, la provincia del Molise, la Terra del Lavoro formicavano di borboniani, le altra provincie si agitavano. … Ma il generale Pignatelli, nato in ignorantissima nobiltà ed allevato alle bassezze della reggia, non poteva, né per mente né per animo, giungere alla sublimità di salvare, per vie generose, un regno ed una corona. È questo il peggior fato del dispotismo; educando i suoi all'obbedienza, non trovarne capaci di comando.

Gli eletti della città, dopo brieve accordo col vicario, sospettando in lui malvagie intenzioni provenienti dagli ordini secreti de' principi o dal proprio ingegno, e chiamati da' sedili altri eletti, cavalieri del popolo, levarono milizia urbana molta e fedele. E poi, trattando gli affari pubblici, fu prima sentenza fiaccare il potere del vicario: si che rammentate le concessioni di Federico II, de re Ladislao e di Filippo III, poscia gli editti o patti di regno di Filippo V e di Carlo III, pretesero non dover essere governati dai viceré; e che alla partita del re si trasferisse il regio potere agli eletti, che sono i rappresentanti della città e del regno”.

Ferdinando IVIl viceré non si dimostrò all'altezza della situazione e non seppe predisporre alcuna difesa della città, né difenderne adeguatamente gli interessi della popolazione. La potente flotta navale napoletana, la più potente d'Italia, su incendiata nel porto senza che Pignatelli intervenisse in alcun modo, e forse con la sua complicità come si sospettò. Dopo qualche giorno, si risolse a firmare un armistizio con il generale Championnet, con il quale cedeva la fortezza di Gaeta e si impegnava al pagamento di due milioni e mezzo di ducati, da pagarsi in due rate, per il sostentamento dell'armata francese.

Impietoso il giudizio di Pietro Colletta. “Il vicario, di natura vigliacco, atterrito, preparato a fuggire, diede comando che al popolo della città, nemico dei francesi, fedele al re, fossero i castelli consegnati; e lo furono: le carceri, le galere furono aperte; molte migliaia di tristissimi si unirono alla plebe. Ed allora dalla grandezza de' casi alzato l'animo de' magistrati del municipio, mandarono al vicario deputazione; l'orator della quale, principe di Piedimonte, così parlò: La città vi dice per il nostro mezzo rinunziare a' poteri del vicariato; cederli a lei; rendere il denaro dello stato, che è presso di voi; prescrivere per editto ubbidienza piena e sola alla città. Il vicario disse: consulterebbe; e nella notte, senza senza rispondere alle intimazioni, né lasciando provvedimenti di governo, fuggì. Chi pensò essere quelle le istruzioni a lui date dalla regina; e chi suggerite dal proprio senno per ignavia ed abito antico agli errori; o per opprimere sotto le rovine il suo nemico general Acton. Andò in Sicilia oratore infelice della sua vergogna, e fu chiuso in fortezza”.

La sua prigionia durò poco, poiché fu riconosciuta la gravità della situazione in cui si trovò ad operare, ma non gli furono attribuite altre responsabilità. Il compito della riconquista del regno fu affidato al cardinale Ruffo.

Il 20 gennaio i giacobini napoletani conquistarono Castel Sant'Elmo e proclamarono la “Repubblica Napoletana”. Tra i primi ad entrare nella fortezza vi furono i fratelli Pignatelli, la cui presenza tra i filofrancesi costituiva un motivo di grande imbarazzo per il generale e forse ebbe un ruolo preponderante nella sua decisione di abbandonare la città, poiché si rendeva conto che era scoppiata una vera e propria guerra civile con una feroce contrapposizione tra opposte fazioni, che spaccava in due persino le famiglie.

Nel breve interregno prima del decennio murattiano (1800-1806), visse senza infamia e senza lode all'ombra della corte e morì nel 1812, quando suo nipote ed omonimo aveva assunto un ruolo di primo piano nel governo di Murat, diventando uno dei suoi principali collaboratori.


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