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Mezzoeuro

L'economia sotto l'ombrellone

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 31 del 04/08/2012


Rende, 3/08/2012


Perché vince sempre la speculazione?

Si susseguono vertici europei, incontri bilaterali, dichiarazioni della BCE, poi arriva il “mercato” e ricomincia il giro di valzer. Alla fine vince sempre questo soggetto misterioso, contro ogni logica e ogni aspettativa.

È una giornata piacevole qui sotto l'ombrellone di un lido, a Briatico. Qui i giovani fuggono, come sempre in passato, e il paese è sempre più abbandonato, senza servizi e con un clima mesto tutt'altro che spensierato e vacanziero. Eppure siamo in quella che orgogliosamente ama chiamarsi la “Costa degli Dei”. Un nome giustificato dalla bellezza dei luoghi e dalla varietà dell'offerta dei litorali: un rincorrersi di spiagge, rocce, anfratti, scogli che costituiscono un paradiso per gli amanti del mare. Tutto inizia e finisce lì. Tutto il resto è approssimativo, cadente, disorganizzato, si direbbe un paese in disarmo. Il municipio è retto da un commissario. Per la terza volta in pochi anni, l'amministrazione comunale è stata sciolta per infiltrazioni mafiose. Tutto prosegue pigramente, senza scosse. Permane il sospetto che copre ogni cosa, ma non vi è alcuna azione di “bonifica”, non risulta alcuna inchiesta per individuare le organizzazioni criminali che impediscono una corretta gestione del comune.

Radio e televisione si sono affannati ad annunciare l'anticiclone Ulisse, la nuova ondata di caldo africano che dovrebbe rendere roventi le nostre giornate fino a ferragosto. Ancora non è arrivato, è stato sconfitto da un cielo terso dove qualche bianca nuvola viene portato a spasso da un venticello fresco e piacevole. Ci sono tutti gli ingredienti per godersi di una giornata di vacanze. Tuttavia, vi è un vago senso di malinconia che impedisce di abbandonarsi completamente all'ozio, all'oblio provocato dal rumore assordante della musica sparata a tutto volume dagli altoparlanti per invitare tutti a partecipare alla kermesse dei balli di gruppo. Una folla sculettante cerca di dissimulare il suo disagio, la difficoltà che ha lasciato per un giorno alle spalle, richiudendo in un cassetto le bollette di gas, luce e acquq e il minaccioso sguardo del modello dell'Imu compilato e non pagato. Ma è possibile leggere l'umore di una folla? Sarebbe necessario rileggere Pasquale Rossi, per una composizione del mosaico di emozioni che si nascondono dietro un minuscolo bikini, tradurre le ansie e i timori che si agitano al ritmo del rock, riuscire a cogliere quel senso di angoscia che ti stringe la gola quando non riesci a vedere una luce in fondo al tunnel. Qualche ruga sulla fronte denuncia la preoccupazione del ritorno a un presente angoscioso.

Dietro la forzata allegria si intravede la faccia austera di Monti, che preannuncia altre disgrazie e misure più severe: una cura da cavallo che tramortirebbe anche un elefante. Con lui abbiamo recuperato credibilità nel mondo, ma la sua figura assomiglia a un gufo triste che sollecita un gesto scaramantico, poco elegante, che viene però ripetuto con una punta di imbarazzo, ma sicuri che riuscirà a tenere lontana la jella.

Dietro una nuvola bianca sbuca la figura sbiadita del Padreterno disarcionato per ripetere il suo cucù. Sogghigna soddisfatto del disastro che ha combinato, esibendo un suo sorriso a sessantaquattro denti (o centoventotto, chissà!), finti come il suo ottimismo di maniera, sicuro che ancora una volta ci sarà una folla plaudente che correrà a comprare la sua merce avariata. Si è rimesso in pista e si dichiara pronto ad offrire la sua politica “gratta e vinci” per tentare la sorte e vivere felici sposando un milionario. Non manca certo chi preferisce cullarsi sulla speranza dell'incoscienza, sulla promessa del miracolo per uscire dal pantano in cui ci ha ricacciati.

Per fortuna sulla spiaggia il telegiornale è bandito per tenere lontane le angosciose notizie dei mercati che vincono su qualsiasi azione politica. Com'è abitudine da mesi, ogni settimana si preannuncia cruciale per l'euro, per la sua sopravvivenza, ma soprattutto per il nostro futuro, minacciato da mostri invisibili che attaccano la nostra sicurezza, insidiano la nostra vita, si intrufolano nelle nostre speranze, distruggono le nostre certezze.

Non si sa se sia una delle tante favole metropolitane, ma si narra che un giorno Barack Obama chiese a un suo ministro quale fosse la persona e il telefono da contattare per parlare con l'Europa. Era un modo gentile e spietato per mettere in risalto l'assurdità di un gigante economico senza guida e senza politica. Perché dovrebbe essere del tutto evidente che la crisi dell'euro non ha una natura economica, ma esclusivamente politica. Come spiegare l'assurdo di una moneta data per spacciata che continua a mantenere sul famoso “mercato” una stabilità e fa addirittura aggio sul dollaro, considerato la regina delle monete? In termini più chiari, come si spiega che l'euro continui a mantenere un valore superiore a quello del dollaro? È un mistero altrettanto fitto come la spiegazione scientifica del volo del calabrone che si libra in aria a dispetto di tutte le leggi della fisica, come viene spesso ripetuto da autorevoli scienziati e ripetuto dagli economisti a proposito dell'economia italiana e della moneta unica.

Quella favola metropolitana può essere utilizzata efficacemente per mostrare un'altra realtà sconcertante. A chi bisogna telefonare per parlare con il “mercato”? Chi si nasconde dietro questa sigla misteriosa che insidia la nostra tranquillità? Perché nessuno riesce a fermarlo? La politica, intesa come il gruppo dei leader più potenti della terra, arretrano di fronte ad esso, si dichiarano impotenti di poter intervenire, sono completamente succubi dei suoi meccanismi.

È possibile tentare di definire cos'è questo oggetto misterioso? Se ne possono dare degli elementi, ma in realtà nessuno è in grado di definirlo. Adam Smith ricorreva all'immagine della “mano invisibile” per darne una spiegazione. Si tratterebbe di un meccanismo senza alcun controllo che opera in maniera automatica per ricercare un equilibrio, come avviene agitando un bicchiere con dell'acqua: si provoca una tempesta che ritroverà dopo qualche tempo il suo stato di quiete. La strategia ottimale è astenersi da qualsiasi intervento, che provocherebbe un nuovo stato di agitazione.

Sebbene questa è una immagine suggestiva, è molto lontana dalla realtà, perché tutte le grandi crisi del passato sono state risolte con interventi energici da parte dei governi.

La difficoltà odierna nascono dal mostro generato da una politica assurda che ha favorito la formazione di una mostruosa ricchezza finanziaria, che secondo i calcoli dei principali attori dell'economia come il Fondo Monetario o la Banca Mondiale, ammonta a qualcosa come 15-20 volte il PIL mondiale, concentrato in poche centinaia di mani. Se i possessori di questa enorme massa di ricchezza finanziaria volessero tradurla in beni reali, sarebbero necessari una ventina di pianeti come la terra per soddisfare il loro desiderio. Un ipotesi chiaramente impossibile. Quello che succederebbe è l'esplosione di una inflazione spaventosa che sconquasserebbe l'intero equilibrio economico mondiale. Questo è il pericolo che incombe sul futuro dell'economia, un pericolo reale solo perché la politica ha rinunciato al proprio ruolo di regolamentatore dei meccanismi economici, e tollera che essi possano dedicarsi alla speculazione e giocare con il destino di stati e di governi. Operatori come la Lehman & Brothers, Apple Computers o Steve Jobs dispongono di un patrimonio superiore a molti dei grandi paesi industrializzati e sono in grado di provocare tempeste borsistiche incontrollabili. A questi bisogna aggiungere i grandi fondi di investimento, le società di rating e di revisione e soprattutto gli immensi patrimoni criminali accumulati grazie alle coperture che godono nei paradisi fiscali, dove si nascondono gran parte dei tesori accumulati con il traffico della droga, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta degli schiavi, il commercio delle armi, l'industria del gioco, il racket internazionali e simili attività.

In altri momenti altrettanto drammatici, come la grande crisi del 1929, tra i primi interventi dei governi vi furono una serie di provvedimenti per bloccare la speculazione borsistica, come l'obbligo della compravendita in contanti, l'obbligo di deposito in contanti per i contratti a termine, il divieto dei contratti atipici, come futures e swaps, il blocco delle contrattazioni on-line e provvedimenti similari. A questo si deve aggiungere un piano di interventi già collaudato e sperimentato. Non si parla più, ad esempio, di una legge anti-trust ed è stato consentito di far nascere dei mostri in grado di influenzare la vita di interi Stati. Il dibattito che era iniziato qualche anno fa per limitare l'arbitrio dei paradisi fiscali, si è inaridito e nessuno ne parla più esplicitamente per chiederne una drastica limitazione. Qualche giorno “La Repubblica” ha pubblicato una inchiesta elencando tutti questi Paesi con l'indicazione dei flussi finanziari presunti, senza tuttavia giungere alla naturale conclusione di essere una delle cause principali della difficoltà di governare la crisi e chiederne una regolamentazione negli organismi finanziari internazionali.

Chi e cosa impedisce di dichiarare illegittime tutte le transazioni finanziarie da e per queste piazze finanziarie non regolamentate? A questa domanda si risponde con un generale scetticismo perché si è convinti che i principali attori politici internazionali siano in qualche modo interessati al mantenimento del sistema, ed essi stessi rispondano a questi poteri non tanto occulti. Si parla spesso di organizzazioni segrete, come l'Ordine degli Illuminati, a cui apparterebbero i più importanti politici che si contendono la leadership per conservare ed amministrare il sistema, guardandosi bene dal metterlo in discussione. Dietrologia, fantapolitica. Resta il mistero di questa titubanza ad afferrare il toro per le corna e domarlo, il timore di mettere in discussione un meccanismo che funziona egregiamente a favore della grande casta politico-finanziaria internazionale.

Il sistema democratico non sembra più in grado di selezionare una classe politica autonoma ed indipendente che non assista passivamente al gioco al massacro che mette a repentaglio la vita di milioni di cittadini, che si arrende impotente di fronte al gioco speculativo, ma sia in grado di controllarlo e governarlo e introdurre meccanismi idonei a sgonfiare questa immensa bolla finanziaria. Non sarebbe più logico aspettarsi che i governi agiscono per evitare la speculazione e non ridurre alla fame i suoi cittadini?

Come si può immaginare che un taglio delle pensioni possa arginare questa immenso tsunami monetario che rischia di travolgere tutto, non solo la nostra vita, ma le conquiste democratiche di decenni di lotte e di rivoluzioni?

Prendiamo il caso delle società di rating. Non sono degli organismi autonomi, indipendenti, di grande professionalità, in grado di valutare con onestà e competenza la performance di governi e grandi società commerciali. Hanno preso dei granchi enormi, non sono mai riusciti a prevedere la crisi delle grande aziende, come la Parmalat in Italia per limitarsi ad un solo esempio, agiscono in nome e per conto dei grandi fondi americani, sono al centro di un enorme conflitto di interessi e strumenti più o meno inconsapevoli della grande speculazione internazionale. È un sistema assurdo, che resiste al di là di qualsiasi ragionevole motivazione.

Quello che risulta ancora più incomprensibile è che un sistema palesemente inadeguato provochi conseguenze aberranti persino in un sistema regolamentato come l'attività bancaria. Si è voluto introdurre, con le regole di Basilea che hanno subito un progressivo affinamento, un controllo prudenziale affidato ai ratio patrimoniali, in base al quale l'operatività degli istituti è limitata dalla loro disponibilità di capitale e dalla rischiosità degli investimenti. Sulla base di queste regole i debiti sovrani degli Stati appartenenti all'euro sono stati considerati privi di rischio. Correttamente, perché appartengono ad un sistema che assicura (o dovrebbe assicurare) una reciproca solidarietà, per cui la debolezza di uno dei componenti è sostenuta dalla forza degli altri. È vero che il difetto dell'unione monetaria è proprio quello di non essere sorretta da una unione politica, ma arrivare a considerare spazzatura titoli sovrani di un paese membro dell'Unione Europea è francamente inaccettabile. Tanto più che in tal modo si squilibra il sistema bancario indotto a comprare quei titoli dalle regole di Basilea. Gli aiuti alle banche operano sugli effetti, senza incidere minimamente sulle cause, con la conseguenza di acuire la crisi, impedendo ai paesi in difficoltà di trovare la via della crescita. Invece di curare il male, si finisce per acuirlo con una accanimento terapeutico degno di miglior causa.

Timidamente di inizia mettere in discussione la costruzione del sistema bancario, e questo non riguarda solo il problema della vigilanza e la necessità di trasportarla a livello transnazionale. Qualche ripensamento affiora anche nel sistema delle regole e nel dimensionamento del mercato. Si è consentito di far nascere dei veri e propri mostri finanziari che non obbediscono più ad alcun potere, poiché possono liberamente trasferire i loro problemi tra i vari sistemi di controllo nazionali, consentendogli di fatto a sfuggire a tutti. Almeno a livello europeo questo potrebbe trovare una pronta soluzione in autunno, ma non sarà sufficiente ad arginare l'arbitrio delle grandi banche sovranazionali che possono comunque travalicarne i confini e sfuggire ai vincoli più rigorosi.

Il grande problema sono ora le regole di Basilea, che assicurano la piena libertà delle banche a operare sui mercati finanziari internazionali con controlli affidati a procedure meccaniche ed rigide ed utomatiche che funzionano in maniera fortemente prociclica, accentuando le difficoltà delle imprese proprio nel momento del bisogno.

Si è voluto neutralizzare la rischiosità insita nella valutazione “umana”, sostituendolo con sistema statistico-matematici in grado di individuare l'inizio di una crisi aziendali, ma proponendo come unico rimedio la revoca immediata dell'assistenza, anche qualora un adeguato sostegno finanziario avrebbe consentito di operare quegli aggiustamenti necessari per superare il gap organizzativo o tecnologico all'origine delle difficoltà aziendali.

L'automatismo del “credit scoring” richiede che quando l'acqua si intorbida venga buttata con tutto il bambino, senza lasciargli il tempo di crescere. Il ritorno indietro è difficile e doloroso soprattutto per le grandi banche che hanno investito tutto sull'informatizzazione e l'automatismo delle decisioni. Esse non hanno più personale addestrato e professionalmente preparato ad affrontare il compito della valutazione personalizzata del merito creditizio.

Solo le piccole banche possono ancora svolgere questo delicato compito e aiutare il sistema industriale a superare questo momento di grande crisi, ma il loro apporto non può che essere comunque limitato.

Tutti sono pronti a riconoscere che per superare la crisi bisogna far ripartire l'economia reale. Anche le grandi banche, e la politica, riscoprono l'esigenza di finanziaria i grandi investimenti nel settore dei trasporti, dell'energia, nell'industria automobilistica e la ristrutturazione tecnologica per un futuro ecologicamente sostenibile. Il compito più difficile è per lo smantellamento dell'edificio di carta della ricchezza finanziaria.


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