Il tramonto della Carimedi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XI num. 35 del 01/09/2012 |
Rende, 31/08/2012
La banca è ormai un affare privato dei manager
Si conclude la fase transitoria della vecchia e gloriosa Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania. Dopo le sigle e siglette che ne hanno segnato una liquidazione a delta, con mille rivoli scaturiti dal corpo storico destinata a chiudere la direzione cosentina. Resterà solo una rete di sportelli non strategici né significativi per lo sviluppo del territorio.
Nelle ultime “Considerazioni finali”, a maggio scorso, il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco metteva sotto accusa l'articolazione delle banche italiane, la cui attività è frammentata in un nugolo di società che hanno l'unico obiettivo di moltiplicare incarichi e prebende a favore di una ristretta classe di privilegiati che si sono insediati ai vertici degli istituti. Una casta che ha una responsabilità diretta nell'esplosione di questa interminabile crisi che, giova ricordarlo, ha una natura prevalentemente finanziaria.
Ecco quanto si legge testualmente nella dichiarazione del governatore. “Alle aggregazioni tra banche non hanno fatto seguito snellimenti incisivi dell’articolazione societaria dei gruppi e una riduzione nel numero dei componenti degli organi amministrativi. I primi 10 gruppi contano complessivamente 1.136 cariche, escludendo le società estere; oltre 700 per le sole banche controllate. Anche tra gli altri intermediari si osservano spesso composizioni pletoriche, che deresponsabilizzano i singoli consiglieri e si riflettono negativamente sulla funzionalità degli organi collegiali. Questi assetti sono di per sé costosi e non giustificati dalle competenze professionali necessarie all’efficace gestione del gruppo o della banca. Il recente divieto di detenere cariche incrociate tra imprese del settore finanziario è un’occasione anche per intervenire sulla numerosità dei consigli di amministrazione”.
Il richiamo del governatore alla forte lobby della governance bancaria “sembrava ritagliata su misura per le oltre 400 poltrone di UBI”, si legge in un comunicato della FABI, uno dei sindacati bancari che opera a livello nazionale.
“Sono necessari interventi incisivi dal lato dei costi operativi, la cui flessibilità è modesta in relazione alle condizioni di fondo del settore. L’attuale livello del costo del lavoro è difficilmente compatibile con le prospettive di crescita del sistema bancario italiano. Anche le remunerazioni degli amministratori e dell’alta dirigenza devono essere indirizzate all’obiettivo del contenimento dei costi”, si legge ancora nella relazione di Ignazio Visco.
Se il governatore considera ancora eccessiva l'incidenza del costo del lavoro sui bilanci delle banche, è la prima volta che si ha un intervento così deciso sull'incidenza del management che ha finito per rappresentare una quota significativa di questo aggregato.
Stefano Miele della Banca d'Italia, in un suo intervento ha sostenuto che “il livello e le modalità con cui sono computate e corrisposte le retribuzioni dei manager e degli operatori del sistema finanziario sono, infatti, annoverati tra i fattori che hanno contribuito a causare o, quanto meno, ad aggravare la crisi finanziaria scoppiata nel 2008”. La pratica dei bonus legati ai profitti ha provocato una diffusa manipolazione dei bilanci e una visione miope e limitata della gestione con espedienti volti a massimizzare i benefici dei manager piuttosto che programmare lo sviluppo della banca e predisporre i piani idonei alla sua crescita.
Il caso UBI è quasi da manuale poiché la sua organizzazione non risponde a un criterio di efficienza e di autonomia territoriale. La moltiplicazione degli incarichi non è finalizzata alla ricerca di una maggiore efficienza nell'erogazione dei servizi, poiché le decisioni sono fortemente centralizzate. Ciascuna unità operativa deve rispondere rigidamente ai criteri di gestione e alle direttive che provengono dal vero centro decisionale bergamasco. Gli organi amministrativi delle società del gruppo sono dei semplici cloni che gestiscono acriticamente i loro istituti, senza alcuna possibilità di attivare delle diversificazioni significative per rispondere alle effettive esigenze del territorio, o dello specifico settore in cui la opera la società controllata.
In uno studio realizzato dalla Fabi si legge: “Risultano, infatti ancora troppo elevati i compensi degli amministratori e i costi delle consulenze esterne a fronte di una redditività in netto calo”.
Il disagio evidenziato dall'UBI-Banca è evidenziato in maniera palese dalla lunga teoria di piani industriali che continuano a susseguirsi negli anni senza arrivare mai alla definizione di un assetto considerato ottimale. Almeno pro-tempore, fino a un significativo cambiamento del mercato che potrebbe richiedere un nuovo intervento. Visto dall'esterno è un comportamento schizofrenico: non si aspetta neanche il completamento di un piano e, in itinere, viene sostituito da un altro ancora più draconiano con obiettivi di tagli più ambiziosi.
Questo dato sembra contrastare con i risultati di bilancio, che mostrano uno stato di salute in netto contrasto con le geremiadi della governance. L'UBI-Banca “chiagne e fotte”, si direbbe a Napoli. L'ultimo bilancio del 2011 evidenzia un utile di centoventi milioni di euro, con un incremento, rispetto al primo semestre 2011, del 72% e in continuità con gli anni precedenti che hanno sempre mostrato una situazione in piena salute. Questi risultati sono stati costruiti con robuste sforbiciate sui costi che hanno indebolito le capacità operative della banca, soprattutto nell'erogazione di servizi all'economia reale. Il continuo intervento sul personale ha, infatti, inciso profondamente sulla sua capacità di interlocuzione con l'economia reale e il suo destino è una finanziarizzazione della sua attività che sarà costretta a restringersi alle operazioni automatizzate e alle speculazioni sui mercati.
Di piani industriali se ne sono visti tanti in questi anni in UBI, forse sfornati dalla miriade di consulenti che ronzano attorno all'istituto per giustificare la loro presenza e garantisti un futuro protetto.
Subito dopo l'approvazione della riforma del lavoro voluta dal ministro Fornero ecco un nuovo intervento teso ad approfittare delle nuove opportunità di precarizzazione. Secondo i Consigli di gestione e di sorveglianza di UBI Banca si tratta di un semplice aggiornamento del piano industriale 2011/2015 che deve essere considerato obsoleto e deve essere adattato alla nuova realtà economica. Non vi sono novità eclatanti, poiché resta la solita logica dei tagli, dei sacrifici richiesti ai lavoratori e della chiusura e declassamento di filiali e sportelli. Si vuole subito approfittare dell'accordo sull'apprendistato, con l'abbassamento dal 50 al 30% della percentuale di lavoratori precari - con salario d'ingresso molto più contenuto - che saranno assunti dopo 36 mesi di “apprendistato”, come previsto dalla riforma. Il grande piano si traduce di fatto in un lavoro di cesello per spremere i lavoratori in servizio e approfittare dei lavoratori precari, che in cambio di un lavoro a tempo pieno riceveranno un salario decurtato.
L'ultima versione della mannaia riserva una significativa sorpresa per la Calabria: si prevede la chiusura del Centro Direzionale Carime, riconoscendo il carattere non strategico della struttura territoriale calabrese. Il richiamo del governatore ha messo in luce il carattere di totale subordinazione della gestione Carime rispetto alle esigenze della direzione bergamasca: si mira solo a un rapporto subordinato per spremere risparmi e profitti senza alcuna considerazione per le effettive esigenze della regione. Si mostra con chiara evidenza che la discesa al Sud era un'operazione di semplice colonizzazione bancaria.
Un piano ben congegnato dove l'unico obiettivo è la riduzione del costo del lavoro, mentre neanche un cenno alle azioni di rilancio dell'economia, alle strategie necessarie per il superamento della crisi, alle difficoltà delle aziende che rischiano di sparire per effetto del drastico ridimensionamento del credito. Inevitabilmente si assisterà a un ridimensionamento dell'attività della banca sul territorio, poiché non avrà più la capacità di dialogo con gli interlocutori locali che la porterà a una perdita di quota di mercato.
Si chiudono 78 sportelli ed altre 79 filiali sono destinate al declassamento a mini sportelli, con l'obiettivo dichiarato di ridurre gli oneri di lavoro equivalenti al costo di 1578 risorse impiegate entro il secondo semestre del 2013. Queste si vanno ad aggiungere alle 200 sedi, tra 99 chiusure e 101 trasformazioni da filiali a mini-sportelli, effettuate nel 2010.
Una chiara presa di posizione è stata espressa dall'unità sindacale Falcri-Silcea, che sotto l'impulso di Emilio Contrasto è diventato il più rappresentativo in UBI-Banca ed è sempre in trincea pronto a stigmatizzare il comportamento del management bergamasco. Occorre sottolineare che la politica calabrese si mostra ancora una volta indifferente a quanto sta succedendo nel mondo bancario.
"In data 28 agosto 2012 è stata fornita alle organizzazioni sindacali, da parte di UBI Banca, l'informativa "ufficiale" relativa all'ennesima manovra industriale che mira essenzialmente, anzi esclusivamente, ad un consistente abbattimento del costo strutturale del personale, determinando rilevanti tensioni occupazionali", si legge nel comunicato Falcri-Silcea, che annuncia, fra l'altro, la possibile chiusura della direzione generale di banca Carime di Cosenza.
“La manovra – prosegue il comunicato - prevede l'ennesima riduzione degli oneri del lavoro (già la semestrale al 30 giugno evidenzia un calo dell'aggregato del 6,1% - pari a circa 45 milioni di euro - per effetto di precedenti manovre di contenimento) equivalente al costo di almeno 1.578 risorse impiegate full time entro il secondo semestre 2013 da raggiungere, almeno in parte, già entro la fine del 2012 attraverso il recupero del costo corrispondente ad almeno 930 unità. L'obiettivo prefisso da UBI - scrive il sindacato - dovrebbe essere conseguito attraverso l'attivazione del fondo di solidarietà per l'accompagnamento alla quiescenza ed il ricorso a forme di flessibilità dell'orario di lavoro, nonché mediante la chiusura di 78 Sportelli e la trasformazione di 79 Filiali in minisportelli, la razionalizzazione e l'efficientamento delle Strutture di UBIS, la riorganizzazione di diverse funzioni in essere presso la Capogruppo, la rimodulazione dell'assetto commerciale di Rete e la ridefinizione organizzativa di alcune Società Prodotto, la chiusura della Direzione Centrale di Banca Carime su Cosenza".
Sud, dunque, particolarmente penalizzato, Unità sindacale Falcri-Silcea riconferma il giudizio critico sulla manovra decisa da UBI "in quanto, oltre ad evidenziare gravissimi elementi di squilibrio, determinerà ancora una volta la riduzione dei livelli occupazionali e l'ulteriore grave indebolimento dell'azione di presidio dei territori e, quindi, la perdita di importanti porzioni di mercato. Ancora una volta, quindi, - scrive il sindacato - si assiste ad una manovra aziendale i cui contenuti non rispondono ad una strategia complessiva di sviluppo nel tempo ma mirano solo ad abbattere il costo del lavoro nel breve periodo, determinando - pericolosamente - l'ennesimo deterioramento della capacità produttiva delle Aziende di UBI che operano nei diversi territori. La manovra, inoltre, "stride fortemente - si legge - con i positivi risultati di bilancio consolidati al 30 giugno 2012, comunicati recentemente da UBI, che confermano invece la solidità patrimoniale, l'equilibrio strutturale, la buona posizione di liquidità del Gruppo e soprattutto la crescita - rispetto allo stesso periodo dello scorso anno - della redditività con un utile netto normalizzato a 120,5 milioni (+72,1% rispetto al 1* semestre 2011)..
"Rispetto al suddetto contesto economico e patrimoniale di UBI Banca, - continua Falcri-Silcea - non è accettabile che le scelte aziendali operate in questi anni - evidentemente errate e poco lungimiranti in quanto inadatte a rilanciare il Gruppo - e, evidentemente, il mancato conseguimento di "adeguati" utili da ridistribuire agli azionisti vengono ancora una volta scaricate, addirittura totalmente, sui Lavoratori del Gruppo". Unità sindacale FALCRI-SILCEA ribadisce quindi, "in modo pregiudiziale, che dal confronto relativo alla manovra in atto dovranno scaturire soluzioni condivise in grado di definire criteri e regole certe in un'ottica di equa distribuzione, a tutti i livelli, dei sacrifici richiesti e senza discriminazione alcuna. Non è più possibile, ad esempio, accettare un sistema di governance che mantiene in essere, ai massimi livelli, l'inutile e dispendiosa duplicazione dei centri di costo. Sarà, inoltre, necessario - continua la nota - che dall'imminente trattativa escano adeguati ed indispensabili correttivi rispetto al piano proposto, in grado di riequilibrare la manovra stessa ed i sacrifici richiesti nonché di prevedere - come nel passato - garanzie atte a contenere al massimo ogni tipo di disagio sul Personale ad iniziare dalla gestione su base esclusivamente volontaria degli strumenti che si andranno ad introdurre, senza trascurare la necessità di garantire l'ingresso di nuove Risorse, facilitate anche dai nuovi strumenti ad hoc previsti dal nuovo contratto nazionale di lavoro e dalla limitazione dei processi di mobilità conseguenti, anche, all'ennesima chiusura/ridimensionamento degli sportelli".
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