Ma si può vivere senza Rosa Bindy?di Oreste Parise Mezzoeuro Anno XI num. 42 del 20/10/2012 |
Rende, 18/10/2012
Vengo anch'io? No, tu no!
Walter Veltroni ha conquistato una nota di merito con la sua rinuncia alla candidatura, che gli consente di giocare il ruolo di padre nobile del rinnovamoento. Massimo D'Alema lo ha seguito masticando amaro. Per i brontosauri del PD è cominciato il count down. Sono rimasti solo i corifei a difenderli, tutti gli altri hanno adottato come slogan, la famosa canzone di Enzo Jannacci ...
"Difendo la dignità di una storia. Non sono un oligarca, mi candido solo se il partito lo vuole", afferma ieraticamente D'Alema, il pontifex Maximum del PD e facitore del rex sacrorum Pierluigi. Gli fa eco Anna Finocchiaro: "deciderà il partito" . Rosy Bindi vuole avere assicurazioni che costituisce ancora una risorsa. Beppe Fioroni vuole "resistere fino alla fine" ... perché "spera di cambiare le cose!!!"
Che bella invenzione il partito! Il partito sono loro. A sfogliare l'elenco di questi brontosauri parlamentari si incontrano tutti i big del "Partito", questa entità astratta che costituisce un ottimo paravento dietro al quale organizzare loschi affari, spartizioni milionarie, occupazione di poltrone, operazioni di sottogoverno. La maiuscola in illo tempore la meritava solo il PCI, per il rigore, l'organizzazione, il riferimento etico e morale. Oggi la meritano tutti perché vi è una completa sovrapposizione tra gli incarichi nel partito e la presenza nelle istituzioni. Il Partito è il potere, la grande mangiatoia sempre piena di biada, fieno e confetti. Non si rischia certo l'incertezza dell'asino di Buridano perché c'è abbondanza di tutto per tutti. La partecipazione nelle assise costituisce l'occasione per l'esibizione degli oligarchi, il luogo dove chiamare a raccolta gli adepti in adorazione in attesa della cooptazione che gli consenta di trasmettere la livrea ai nuovi vassalli, un rito riservato agli aderenti alla setta.
"Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale", dichiara solennemente l'art. 49 della Costituzione. Fa tenerezza pensare ai padri costituenti che si erano preoccupati di dare voce ai cittadini, mentre la nobile figura del partito ha assunto oggi un carattere castale, una organizzazione clanica, la cui preoccupazione maggiore è difendere i propri oligarchi dall'orda degli elettori che vorrebbero la catarsi generazionale, il sacrificio purificatore, il rogo sacrificale per immolare le più belle intelligenze d'Italia. Hanno portato il Paese sull'orlo del baratro per un puro capriccio del caso che lo ha consegnato nelle mani di Puck, il folletto shakespeariano che ha scompigliato sogni e desideri, si è divertito in questi anni a stuzzicare i peggiori istinti del Paese. Il risveglio è stato amaro anche per i piddini. Ora che il sogno è svanito e il prestidigitatore rischia di uscire definitivamente di scena, essi restano lì, pronti a a ricevere gli applausi del pubblico.
Ma a battere le mani è rimasta solo la claque dei compari e famigli pronti ad occupare lo spazio lasciato libero da Er Batman e gli altri supereroi che sono stati travolti dal brusco risveglio dall'ipnosi berlusconiana. Erano pronti a raccogliere le spoglie, ma si sono ritrovati sgomenti a rincorrere un consenso che sfugge ancora una volta a dispetto dello sfaldarsi del fronte avverso. Nei sondaggi elettorali raggiungono l'ebbrezza della vetta ... in discesa, per un crollo un po' più contenuto di Pdl e Lega! Invece di ricercare nella mancanza di una proposta politica credibile in termini di soggettivi e programmatici, si affidano ai giochetti che dovrebbero assicurare la presa del potere e la legittimazione popolare.
Cosa altro sono primarie, premi di maggioranza e liste bloccate se non espedienti tecnici per garantire la sopravvivenza della casta e la conservazione del potere nel tripudio della folla?
La governabilità va assicurata conquistando il consenso. Qualche aggiustamento è comprensibile per arrivare a una semplificazione della rappresentanza con soglie d'ingresso e premi di maggioranza ragionevolmente ridotti, ma non si può trasformare una esigua minoranza in una maggioranza numerica con metodi da mago Silvan. Secondo il dettato costituzionale, i partiti devono servire a consentire ai cittadini di partecipare alla definizione della politica nazionale. Il dettato testuale usa un verbo molto più impegnativo: "determinare", ma già sentirsi partecipi e ben rappresentati sarebbe un bel passo avanti. Nella realtà i partiti non esistono più, si sono trasformati in club esclusivi dove si incontrano i membri delle bande che hanno occupato le istituzioni. Esistono solo nei loft romani, mentre sono spariti sul territorio, si sono chiusi nei bunker per non essere disturbati dagli elettori molesti.
Il primo e terribile conflitto di interesse è proprio la compresenza delle stesse persone nei partiti e nelle istituzioni, la fusione tra i due livelli, poiché la politica si è risolta nella pura gestione del potere. Si è persa la storia, la cultura politica, l'elaborazione delle idee, la coltivazione di un utopia, la funzione di stimolo, di pungolo, lo spirito del servizio pubblico, la formazione della nuova classe dirigente, l'attività di controllo della gestione amministrativa e di governo che dovrebbe essere il vero compito dei partiti per rispondere allo spirito costituzionale. Colpisce che nessuno di questi bronto-eletti senta che l'attività nel partito è una forma importante di partecipazione politica, dove Beppe Fioroni può ben occupare il suo tempo a cambiare qualcosa. Potrebbe sorgere il dubbio che se non c'è riuscito in tutti questi anni dando il meglio di sé, forse sarebbe opportuno che lasci il compito a qualcun altro …
Nessuno mostra di avere consapevolezza di quali sono in questo momento i sentimenti della gente comune, che ha maturato una profonda disistima nei confronti di questa classe politica, che non è una categoria astratta, ma rispondono al loro nome e cognome. Ad essere sotto accusa sono proprio loro e non basta una chiamata di qualche centinaio di valvassori a rendere indispensabile il sommo Massimo. A prescindere dalle qualità personali, sono i risultati che costituiscono una condanna politica senza appello, la gravità del baratro in cui ci hanno portato.
La colpa è senz'altro di Puck e degli gnomi che sono stati al governo, ma anche di chi non è riuscito a costruire una alternativa, a offrire una speranza, a anteporre il bene collettivo all'interesse proprio e della propria parte. Il quadro offerto dalla discussione sulla legge elettorale è veramente emblematico di questo sfacelo. Ognuno pensa a un meccanismo che assicuri un vantaggio, costruire una zattera di salvataggio per i più "castoni" (i più importanti appartenenti alla casta), gli intoccabili, i semidei, gli indispensabili senza il cui prezioso contributo il paese sprofonderebbe (ma non sta già sprofondando proprio per quel loro prezioso contributo?). Manca qualsiasi sussulto, qualsiasi richiamo allo spirito che deve accompagnare ogni "civil servant" nell'espletamento del suo mandato politico. Si sono persi per strada la coscienza. la morale, l'etica, l'opportunità politica, la valutazione del comune sentire della gente, la necessità di dare una risposta alla crisi, che non è solo economica, ma anche e soprattutto derivante dalla perdita di fiducia nel futuro. Si vuole che tutto si risolva con un mero calcolo della propria convenienza. Ciò che rende difficile la partita è l'eccessivo numero delle parti in causa, ciascuna delle quali invoca sistemi che assicurino la propria sopravvivenza.
Non vi è dubbio che la mossa di Walter Veltroni ha scompigliato le file e costretto a una presa di posizione che mette in crisi l'intero impianto del grande bluff sul quale è costruito l'attuale sistema di potere. Almeno si arrivasse a dare una concreta manifestazione di buona politica, un colpo di reni per dimostrare la volontà di anteporre per una volta l'interesse collettivo al calcolo di bottega. La legge elettorale rappresenta l'unico terreno concreto poiché i grandi proclami di riforma che implichino una variazione del testo costituzionale sono solo esercizi di captatio benevolentiae in vista della disfida di Barletta, poiché non vi è il tempo tecnico per una loro approvazione.
Le questioni più discusse sono preferenze, l'entità del premio di maggioranza e il dilemma sulla sua destinazione al partito di che ottiene la maggioranza relativa o la coalizione che si candida a governare.
Appare alquanto strano che nessuno sembra ricordare oggi che su entrambe le questioni si è pronunciata solo qualche anno fa il corpo elettorale che ha deciso a larga "smaggioranza" nei referendum elettorali che si sono tenuti nella primavera del 2009 proposti da Mario Segni (il quale dal 1993 non ne azzecca più una) e Giovanni Guzzetta, che snobbavano la questione delle preferenze e proponeva il premio di maggioranza al partito. Quella consultazione ha registrato la più bassa affluenza alle urne (poco più del 20%) di tutte le numerose consultazioni referendarie che si sono succedute negli ultimi anni. L'attribuzione del premio di maggioranza a una lista piuttosto che alla coalizione ha trovato una accoglienza glaciale e la sua introduzione costituisce una palese violazione dello spirito referendario, anche se è possibile trovare qualche arzigogolo legale per giustificarlo. Giovanni Sartori, uno dei più autorevoli esperti dei sistemi elettorali, ebbe a dichiararlo un sistema "truffaldino e distorcente". Questo non impedisce a un partito di affrontare da solo le elezioni e aspirare a quel premio se riesce a ottenere una maggioranza relativa elevata, superiore almeno al 45%, altrimenti equivarrebbe a un vero e proprio golpe.
I listini bloccati sono tra le invenzioni più odiate dalla stragrande maggioranza dei cittadini, che li considerano la causa principale della degenerazione della politica, il sistema con il quale la casta si è chiusa nella turris eburnea di soprusi e privilegi decisi in dispregio di qualsiasi considerazione di morale ed equità nella gestione dell'attività pubblica. Appare intollerabile che proprio quelli che logicamente avrebbero dovuto procedere all'immediata abolizione del porcellum si disvelano come i più accaniti difensori del sistema di cooptazione, che risponde egregiamente alla prassi della centralità democratica. Non era affatto un caso che il modello si rifacesse proprio alla rossa Toscana ed al suo sistema elettorale di stampo sovietico. I più fieri avversari delle preferenza si annidano nel Partito Democratico, Bersani, Franceschini e tanti altri che tacciono per non contraddirsi con le dichiarazioni pubbliche ma che temono come la peste nera il rischio di doversi confrontare con gli elettori. La sua reintroduzione equivarrebbe a un ritorno indietro agli esecrati metodi della prima repubblica con le sue degenerazioni, gli accordi sottobanco, le cordate. Viva listini bloccati e collegi uninominali, che consentono un totale controllo degli rappresentanti.
Occorre però interrogarsi come mai quel sistema ha consentito la selezione di una classe dirigente politica di molte spanne più dignitosa di quella che abbiamo dovuto sopportare in questa pagliaccesca seconda repubblica. La risposta va ricercata nel funzionamento dei partiti, diventati oggi proprietà privata di piccoli clan: ieri la proposta di candidatura costituiva un filtro importante. La lista dei candidati era una componente essenziale della proposta politica. Perché il Parlamento e i parlamentini regionali, provinciali, comunali sono oggi zeppi di indagati, condannati, collusi, incompetenti, incapaci, ignoranti? Perché li hanno votati gli elettori, ovviamente. Questi sono spinti dal bisogno, dalla necessità di voler risolvere i loro problemi personali e familiari, ma scelgono comunque tra coloro ai quali i partiti hanno dato il crisma della "onorabilità" politica. Fiorito, Maruccio, Zampetti sono stati votati perché i partiti non hanno svolto la loro funzione di filtro, perché la scelta del personale politico è uno dei compiti più importanti e delicati che caratterizza e qualifica un partito. La loro storia avrebbe dovuto sconsigliarne la presenza nelle liste che costituisce il "certificato di idoneità" allo svolgimento dell'attività pubblica. La stragrande maggioranza di coloro che hanno fatto il salto della quaglia hanno alle spalle storie di transumanza, di equilibrismo ideologico, di vita disinvolta e dissoluta che consentiva di identificarli come portatori del germe della degenerazione politica.
In questa funzione di cernita, di selezione i partiti si sono dimostrati totalmente inadatti, poiché l'esito è stato molto peggiore di quello che operava jadis il corpo elettorale con le preferenze. La responsabilità della loro presenza nelle istituzioni ricade per il 95% sui partiti e per il restante 5% sugli elettori. In primo luogo non avrebbero dovuto essere presenti in lista e poi gli elettori non avrebbero dovuto votarli, la responsabilità politica è totalmente a carico dei partiti.
Né si può pensare di correggere il sistema con il surrogato delle primarie, che costituiscono un grande imbroglio senza regole, senza controllo e senza alcuna garanzia. Le primarie si devono fare nella consultazione elettorale con le preferenze che ciascuno elettore è chiamato ad esprimere. Certo è una lotta dura, come un match di pugilato in un ring con un arbitro che controlla la regolarità dei colpi, mentre le primarie sono una lotta senza regole e con la possibilità di colpi bassi da parte degli spettatori. La ciurma di scout di cui di contornano i leader per dare una linea giovanilista al loro progetto sono degli ottimi scolari, un'ottima classe diligente e obbediente, che non hanno però alcun rapporto con il territorio, il vero terreno di coltura in cui far nascere la classe dirigente del futuro, dotati di autonomia e autorevolezza che si devono conquistare sul campo della lotta politica e del confronto con i problemi reali del paese.
I partiti hanno oggi una grande responsabilità perché vi è una grande confusione e una totale disaffezione nei confronti della classe politica, dell'attività di governo e della rappresentanza a tutti i livelli. Essi godono di una ampia autonomia e possono incidere profondamente nella selezione della futura classe dirigente con rigidi criteri per la formazione delle liste, durata dei mandati elettivi, cumulabilità delle cariche, situazioni di conflitto di interesse. Non occorre una legge anche se sarebbe auspicabile, ma la rigida applicazione del codice di regolamentazione interno che ciascuno partito può darsi in maniera autonoma. Un grande atto di responsabilità sarebbe molto apprezzato ed eviterebbe il pericolo della deriva populista.
Rosy Bindi è certamente una persona rispettabile, competente e moralmente ineccepibile. Oggi però ognuno deve contribuire per la propria parte al rinnovamento della politica. E la sua parte è quella di farsi da parte. Il sasso nello stagno lanciato da Walter Veltroni ha messo in moto quello che potrebbe trasformarsi in un salutare tsunami. Massimo D'Alema ha annunciato il suo gran rifiuto in toni polemici e bellicosi nei confronti di Matteo Renzi. Chapeau! Ma era ora.
Coraggio, la crapula è finita, ma si può ben continuare a fare politica in maniera seria e pulita.
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