Aulo Giano Parrasio e l'Accademia Cosentinadi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XI num. 42 del 13/10/2012 |
Rende, 11/10/2012
Fondatore dell'Accademia Cosentina
Vir summae eruditionis ac nulli professorum latinae linguae secundus.
Aulo Giano Parrasio "nam proprie dicebatur Joh. Paulo Parisius ex nobilissima Parisiorum familia", dice di lui lo Angelo Zavarroni. Aveva cambiato il suo nome da Giovanni Paolo Parisio in Aulo Giano Parrasio, secondo un vezzo molto comune degli eruditi della sua epoca quando entravano a far parte di qualche accademia letteraria. "Vir summae eruditionis, ac nulli professorum latinae linguae secundus", scrive lo Zavarroni.
Gabriele Barrio che nel libro secondo de antiquitate et situ Calabriae, scrive di lui: Fuit ex Consentina Civitate Janus Parrhasius praestanti ingenio, ac judicio Vir, & fragranti studio, ac doctrina longem praeditus, poeta, idemque orator, latina, graecaque lingua sanem quam eruditus nulli sui seculi secundus.“ Giano Parrasio della città di Cosenza, integro di animo, uomo di ingegno e di giudizio acuto, e di intenso studio, ed erudito, poeta allo stesso tempo e scrittore ed esperto conoscitore del latino e del greco, secondo a nessuno della sua età”, nella traduzione di Tommaso Aceti.
Per una breve biografia si riporta quanto scritto da Luigi Accattatis.
Diremo di questo illustre letterato quel tanto che basta per un cenno biografico, usando opportunamente de' Dizionari storici degli Uomini Celebri, de' biografi nostrani, e de' pregevoli "Commmentari su la vita e gli scritti" del Parrasio latinamente dettati dal dotto Cataldo Janelli.
Da Tommaso Parisio, uomo costumato, professore di giurisprudenza in Napoli, e poscia con altri onori Consigliere di quel Senato, e da Pellegrina Poerio, nobile e virtuosa donna venuta a morte immaturamente, nacque in Cosenza "città di grandi ingegni sopra ogni altra ferace" (dice il Jannelli) Giovan Paolo Parisio: ed era il giorno 28 dicembre dell'anno 1470. Affidato nei primordi dell'età sua alle cure letterarie di Giovanni Crasso da Pedace, paese della Citra Calabria, si addimostrò discente così mirabile, che ben per tempo il maestro e gli amici intravidero il profitto, e l'inizio prestantissimo di quella giovine esistenza.
A quindici anni il padre menollo seco tra gli Otrantini, ove il chiamava ragion d'impiego: quivi in Lecce innamorato della greca letteratura, vi ebbe a maestro Sergio Stizo; a a capo d'un anno circa il Gian Paolo o spiacente al genitore, o perché il sedusse la fama dello spartano Giovanni Mosco, dotto professore di greco in Corfù, qui venne avido a sentirne lezione, e qui profittò tanto, che dopo un anno o poco più "riportò venustà quasi nativa di greca eccellente pronunzia".
Intorno al 1488 ritornò in Cosenza, e vi si perfezionò nel latino sotto l'insegnamento di Tideo Acciarino o Aziano, professore di lettere dalle Marche rifugiato fra' Bruzi. Al quarto lustro appena il giovine Parisio fu creduto degno d'insegnare letteratura nella stessa Napoli ove ammiratori ed amici il chiamavano; ma vinto da santo affetto di patria cominciò a dettar lezioni in Cosenza, nel gennaio del 1490, a numerosa e scelta udienza. Spazientato, intanto, il padre per la carriera intrapresa dal figlio, che frustrava così le interessate mire di un genitore, il quale voleva ad ogni costo redargli l'immensa mole di pandette e le forensi discipline, gli tolse ogni sovvensione fino allora somministrata. Fermo, per contrario, il giovane ne' suoi studi prediletti, se non poté non risentire gli effetti dello sdegno paterno, seguì non per tanto la sua via, disprezzando eziandio la bava degl'invidi, ed i rigori della fortuna, non iscompagnati da precoce egritudine di corpo".
E venne in Napoli, ove acclamato Socio dell'Accademia Pontaniana, pel vezzo de' tempi lasciando il suo nome di battesimo vi pose quello di Aulo Giano Parrasio, che gli rimase invariato. Avesse potuto così mutar fortuna! Ma i sommi uomini furono e saranno sempre infelici. Sperando minore traversie di sorte, poscia si condusse in Roma, e colà peggio ancora corse grave periglio di vita per una intima amistà che il legava al Cardinale Bernardino Gaetani e a Silo Sabello, invisi al Papa Alessandro VI, il celebre Rodrigo Borgia, cui la storia imparziale ricorda accanto ai nomi di Cesare e di Lucrezia della stessa famiglia, di Luigi XII, del Savanarola, e col famoso vino di Borgia!
E lo sventurato Parrasio a campar l'esistenza dai tranelli insidiosi d'una Corte niente Vangelica, ricovratosi in Milano vi si ammogliò con la figlia dell'emerito Demetrio Calcondila, Ateniese venuto in Italia verso il 1447, e professore di greco a Milano nel 1492.
A Milano fu colmato di onori per la sua bravura, ma dovette fuggire precipitosamente. Cosa era avvenuto lo racconta Salvatore Spiriti.
"Quivi per sua vasta erudizione, e per la perfetta intelligenza del greco idioma, che con dolcezza mirabile pronunziava, ebbe ascoltatori, non che uomini, che poi furono di gran giovamento alla Repubblica delle lettere, come Andrea Alciati, lume della dotta giurisprudenza ed altri, ma fin'anche il cotanto per opere egregie in armi, e per antichissima nobiltà famoso Giovan Jacopo Trivulzio, che vecchio di sessanta, e più anni tra giovani scolari sedendo, non disdegnava cotidianamente ascoltarlo. Quivi però per la invidia, e malvagità di altri Maestri, che mal soffrivano il venir da lui rimbrottata sovente la loro ignoranza, gli fu addossata la vergognosa impostura, ch'egli prendesse abbominevol piacere di alcuni nobili giovinetti suoi discepoli; onde in corso nello sdegno de' Milanesi, gli convenne suo malgrado da quella città tostamente partire, e se ne passò in Vicenza illustre Teatro de' buoni ingegni, ove con offerta di maggior stipendio veniva allettato.
Laonde per sottrarsi a tanti odi non procurati, il Parrasio rifuggì verso il 1506 in Vicenza, ove con più vantaggioso onorario occupò onorevole seggio d'insegnamento", continua l'Accattatis il quale tace l'accusa infamante caduta sul Parrasio a Milano. Lo Spiriti aggiunge. "Ottenne quivi, preceduto il nostro Aulo da onorata fama, una Cattedra di eloquenza, alla quale concorrevano alunni non solo, ma cospicui personaggi, tra cui il generale Trivulzi, ed Andrea Alciati, ristoratore della giurisprudenza di que' tempi; che poscia ingrato si unì alla turba dei pedanti, invidi calunniatori del nostro sommo Calabro".
A Vicenza si ferma per un breve periodo. Prosegue lo Spiriti. "Ma non guari da poi anche quindi, per le guerre, che di quel tempo infestavano i Veneziani, gli su d'uopo allontanarsi, e ritornar nella sua patria, ove nè anche poté vivere tranquillamente, come forse avea disegnato, poiché ci rinvenne de' domestici dispiaceri, che lo attristarono grandemente, de' quali in qualche parte delle Opere sue fece motto. Ma dopo aver con la sua prudenza acchetate le tempeste ritrovate in casa, e dopo avere a' suoi affari dato rassettamento, fu per opera di Tommaso Fedro pubblico professor di Canoni in Roma, chiamato colà ad occupare la stessa cattedra, che in Vicenza avea, ed in Milano, con tanta sue lode, tenuta. Ma per la morte di Papa Giulio II, non ebbe effetto questa chiamata, se non sotto il Pontificato di Leon X, da cui con lettere piene di amorevolezza, e di stima fu invitato a portars'in Roma. Ivi giunto, e con molta sua gloria a' giovani Romani, e Forestieri greche e latine lettere insegnando, fu poco dappoi appresso dal male delle gotte, che tutto storpio, ed in istato compassionevole lo ridusse. Ma dopo non guari ridotto dagli anni forse meno che dall'inguaribile esacerbato morbo podagrico, alla impotenza dell'assunto impegno, lo cedé al chiaro poeta calabrese Niccolò da Rogiano. Perciò e la Cattedra, e Roma abbandonando, ritornò in Cosenza, ove indi a poco chiuse lo estremo de' giorni suoi, verso il 1534. Uomo in vero degnissimo delle lodi con le quali i letterati tutti, così italiani, che forestieri hanno onorato la sua memoria; in guisa che libro alcuno di buone lettere non si legge, in cui il nome suo con encomj registrato non veggasi. Scrisse così in verso, che in prosa molte eruditissime opere, ma non tutte, anzi poche se ne veggono a' dì nostri pubblicate per le stampe.
L'Accattatis aggiunge che giunto a Cosenza non "stette neghittoso, perocchè raunando come a distinto convegno di utile parlamento in più valenti letterati suoi concittadini, pose in cotal guisa i primi fondamenti all'Accademia Cosentina, che salita in tanta reputazione per opera del Telesio, del Quattromani e di altri illustri, conserva tuttavia, coi nomi di Salfi, di Lombardi, di Vincenzo Mollo, di Luigi Maria Greco, di Ferdinando Scaglione e d'altri molti, distintissimi ingegni viventi, vanto non dubbio di questa terra ove la pianta del genio non avvizzisce mai!" L'Accademia Cosentina fu fondata dopo quella romana e la pontaniana di Napoli. "Tutte l'altre accademie, almeno di certa rinomanza, furono posteriori. E così Napoli e Cosenza, la parte meridionale d'Italia, la quale, mentre nomavasi Magna Grecia, fu l'antica culla delle lettere e della filosofia, ove Pitagora fondò la sua immortale scuola, che, a guisa di splendidissimo sole, sparse la prima luce del sapere sopra tutte le genti, la parte, dico, meridionale d'Italia, obliar non potendo la sua vetusta gloria", scrive l'Accattatis.
È questo l'elogio più grande di cui meritatamente si onora Aulo Giano Parrasio; che le istituzioni umane mirate al benessere sociale sono doppiamente degne di encomio e di ricordo quando ne conseguitano lo scopo: e il Sodalizio Cosentino, fanale di luce nella tenebra di secoli poco favorevoli alla scienza, vessillo di bene intensa la libertà filosofica e civile, scuola d'una letteratura nè corrotta nè corruttrice, altare di libazioni moralmente e cristianamente sublimi ... tanto illustre sodalizio è l'indistruttibile lapide del suo institutore.
Restano a documento dell'ingegno di tanto sapiente calabrese le seguenti opere latine ristampate:
1 - Il commento al poema di Claudiano sul Ratto di Proserpina, impresso la prima volta in Milano nel 1530, seguentemente ripubblicato dopo cinque anni con molte correzioni fatte dall'autore
medesimo, e quindi ristampato altre fiate, segnatamente in Basilea nel 1539.
2 - Le illustrazioni all'Epistole Eroidi di Ovidio, Brescia 1551, e Venezia 1572; all'arte poetica di Orazio, Napoli 1531; in alcune epistole di Cicerone ed all'Orazione pro Milone, Parigi 1567;
3 - Un compendio di Rettorica, Basilea 1539.
4 Quesiti per via di lettere, libro in cui rischiara molti concetti di Orazio, di Virgilio, Ovidio ed altri classici latini, lumeggiando vari tratti di antichità e di storia, e del quale si ha una pregiata edizione di Parigi per Enrico Stefano 1567. Questa d'altronde è la più stimata fra le produzioni del Parrasio il quale a parere de' dotti scrive con molta erudizione sebben non sempre con uguale felicità si di stile.
Unitamente a quest'opera, ripubblicata in Napoli dall'avvocato Saverio Mattei nell'anno 1771, s'inserirono per la prima volta alcun frammenti d'opere inedite dello stesso Parrasio trovate conservate nella Biblioteca San Giovanni a Carbonara, la quale, come manifesta il Sig. Montfaucon nella sua Palaeographia Graeca, apparteneva al nostro Giano, che la rimase ad Antonio Seripondo, e da questi passò agli Agostiniani. Molte infatti furono le opere, che lasciò latinamente manoscritte il Parrasio, e sono per lo più Annotazioni sui Paradossi di Cicerone, e su alcuni libri di Livio e di Floro; su' Commentari di Cesare, su Valerio Massimo, e Valerio Flacco, su Tibullo, e su' Poemi di Stazio e di Orazio; una miscellania istorica tratta da vari Autori e segnatamente da Polibio; alcune idee su l'antica Turio e suoi fiumi Sibari e Crati: un vocabolario legale; i versi elegiaci ed endecasillabi, e pochi altri scritti di minore importanza.
Il manoscritto autografo del Papa Leone X (il Pontefice Mediceo educato alla nobile scuola delle scienze ed arti) con la quale chiamava il Parrasio a professore di Belle Lettere nel romano ginnasio della Sapienza "trovavasi in Napoli nella Biblioteca di San Giovanni a Carbonara”. Il testo latino è il seguente.
Dilecto Filio Jano Parrasio: Dilecte figli salutem et apostolicam benedictionem. Cum id magnospere exoptem, ut Romanus litterarum ludus a praestantissimis doctoribus exerceatur, ut ii qui se bonis artibus dederunt, ex ea re fructus uberrimos percipiant, de tua in studiis mitioribus doctrina certior factus; ad ea publice edocenda Romae te sublegi, stipemque dari iussi annis singulis ducentorum aureorum nummum. Quare volo, ut ad Urbem quam primum venias, libenter enim paternoque animo te videbo."
Scrive Gabriele Barrio: Fuit ex Consentina civitate Ianus Parrhasius praestanti ingenio ac iudicio vir, et fragranti studio, ac doctrina longe praeditus, poeta idem que orator, latina graecaque lingua sanequam eruditus. nulli sui seculi secundi. Mediolani bonas litteras publice est professus tanta facundia et doctrina, ut Trivultius sexagenarius ac summae dignitatis vir inter frequentem iuventutis catervam conspiceretur. Inde Leone decimo Rom. Pont. conducente venit in urbem, professus est in ea publice bonas litteras. Duxit uxorem Demetrij Chalcondylis filiam, qua felici cognatione e socer et gener utriusque linguae imperium tenuerunt. Edidit commentarios in claudiadum, et in Nosonis Ibin recondita reuditione refertisimos. Scripsit et in Poeticam Horatij, et libellum de arte dicendi, et in Epistolas Ciceronis ad Atticum. Edidit et fragmenta quaedam fortasse liguae latinae aut artis grammaticae, cuius rei meminit. Aldus Manutius libro quarto instit. gram. Ait enim, in fragmentis illis antiquis sine nomine quae Ianus Parrhasius homo utriusque linguae doctissimus cum Mediolani publice bonas literas profiteretur, edidit. Novissime autem in manibus erat penè absolutum volumen de rebus ab strusis per Epistolam quaesitis Valgium Russum emulatus, quod quinque et viginti libros continebat. Scripsit et super Epistolas Ovidij, et in primam Epistolam commeminit de opere per Epistolas, ubi ait. Copiosius et distintius ostendam in ero opero, cui nomen feci de rebus per Epistolam quesitis. Nunc autem, quia pleriq. alieno ingenio ac labore et eruditorum nomen induunt, e magnum quaestum faciunt, quaedam Parrhasii opera sub aliorum nomine leguntur tempore, et nominibus, ad quos scribebat, e fortasse phrasi quoque pro magis furtum lateat, immutatis. Id quod Carolus Iardinus eius alumnus praeagiens semper querebatur. Iam certe commentarij in Ciceronis Epistolas ad Atticum in Siripandi, et inde ab eo in Pauli Manutij manus cum pervenerint sub eius nomine leguntur. Et quidem vel ipse aliquando meum loquens se eos a Siripando habuisse falsus est. Fuit et ex Consentina urbe Petrus Paulus Parisius Pontificio et Caesareo iure consultissimus, qui Patavij et Bononiae plures annos frequente invenum coetu publice Romanum ius est professus. Inde a Paulo Rom. Pont. huius nominis tertio Romanae Ecclesiae Cardinalium ordini est addictus. Opus est ingens et praleclarum civilis iuris consilia continens aedidit". (G. Barrio, De antiquitate et situ Calabriae, Roma 157, pag. 117)
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