La Calabria in comadi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XI num. 43 del 27/10/2012 |
Rende, 25/10/2012
Presentato il rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno
La Regione sembra aver perso qualsiasi capacità di reazione di fronte a una crisi interminabile. Il sistema industriale
“La presentazione del rapporto Svimez costituisce da lungo tempo il più significativo appuntamento periodico di ricapitolazione e confronto sullo stato del Mezzogiorno e dei suoi problemi”, afferma Giorgio Napolitano nel telegramma inviato ai convegnisti. “Quest'anno, anche sull'onda degli importanti materiali da voi elaborati per il 150 anniversario, dell'unificazione nazionale, potrà cogliersi l'occasione per mettere in evidenza come la principale incompiutezza di quella unificazione rimanga il persistente divario tra Nord e Sud”, prosegue il Presidente.
Il breve saluto augurale coglie, infatti, alcuni importanti aspetti dell'attuale momento politico. In primo luogo la cruda e banale verità che è rimasto solo il Sud a parlare dei problemi del Sud, e in maniera sempre più dimessa e isolata, quasi a non voler disturbare i grandi manovratori della politica nazionale. Forse da un governo tecnico ci si poteva aspettare un comportamento più coerente e ritrovare nelle numerose e onerose manovre inflitte al Paese nell'arco di soli dodici mesi, il riconoscimento della cruda verità evidenziata dal Presidente. Una verità che appare una doverosa difesa di ufficio piuttosto che una richiesta urgente e immediata di intervento per eliminare la maggiore distorsione che affligge il Paese nel secolo e mezzo della sua travagliata esistenza.
È sorprendente costatare che è proprio il Sud che vive sulla propria pelle l'ingiustizia di una unificazione colonialistica, ad aver celebrato con maggior entusiasmo la ricorrenza, mentre nel Nord si manifestava una forte avversione, certamente minoritaria, ma molto rumorosa, in aperta contestazione. In altri tempi la presentazione del Rapporto Svimez avrebbe avuto una eco nazionale e sarebbe stata una utile occasione di riflessione della politica economica nazionale, poiché vi era la consapevolezza che la questione meridionale costituiva la questione più importante per lo sviluppo dell'intero Paese. Oggi quella questione è diventata una vera e propria emergenza: Non solo di carattere economico, ma politico-sociale, poiché l'ex Regno delle Due Sicilie rischia di riprodursi sotto forma di “Stato criminale” che ha nella Calabria la sua terra di elezione, poiché qui risiede la più potente e ramificata organizzazione criminale forse d'Europa, come lascerebbero intendere le numerose inchieste che trovano in Reggio Calabria il suo terminal naturale.
Di tutto questo non vi è traccia nell'agenda politica, che nell'ossessione economicistica dimentica il rischio che potrebbe comportare una deriva criminale di un terzo del territorio nazionale. Fa quasi tenerezza pensare alla Lega Nord che ancora si crogiola nelle sue ossessioni federalistiche se non addirittura secessionistiche, dimenticando che per un processo di nemesi storica si è messa nelle mani della parte più pericolosa della società meridionale.
Il Presidente sottolinea che il “rilancio della crescita economica e sociale del Paese non possa trovare uno sbocco effettivo in assenza di una strategia di valorizzazione del potenziale decisivo apporto delle risorse del Mezzogiorno a un nuovo più intenso e soddisfacente sviluppo nazionale”.
Una notazione molto sacrosanta che non trova alcun riscontro politico.
I dati del Rapporto si possono definire semplicemente drammatici: la disoccupazione ha raggiunto valori prossimi al collasso sociale, oltre il 25% quella reale, ma con punte ancora più elevati per i giovani e le donne che raggiunge l'astronomica cifra del 75% poiché lavora meno di una donna su quattro. Questo dato è ancora più drammatico se si considera che delle occupate quasi i due terzi hanno un lavoro precario o part-time.
Per aver un quadro più realistico bisogna considerare due fattori aggiuntivi: la rinuncia di molti giovani a cercare un posto di lavoro per una sorta di rassegnazione che genera la formazione di un ufficio di collocamento criminale in cui le grandi organizzazioni trovano una ampia domanda di “lavoro”. La grande maggioranza però cerca altrove ed alimenta il grande flusso migratorio. Per l'ennesima volta il Sud resta depauperato delle sue energie migliori, le menti più acute, i giovani più dinamici. “In dieci anni, dal 2000 al 2010, oltre un milione e 350 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno”, si legge nel Rapporto. Un nuovo esodo biblico dopo quelli che si sono verificati alla fine dell'Ottocento, negli anni venti/trenta ed ancora negli anni sessanta del Novecento, effetti sorprendenti e contraddittori: il Sud si svena per formare i propri giovani e poi le saluta mestamente nella loro spasmodica ricerca di una valorizzazione delle competenze maturate in lunghi anni di studio. Nel confronto internazionale, il Sud però mostra un abissale carenza di personale qualificato a tutti i livelli che impedisce la creazione di un sistema produttivo efficiente e competitivo.
Cosa si può dire di fronte a queste cifre? Si è ormai arrivati a una situazione potenzialmente esplosiva, perché in assenza di azioni politiche di convergenza che tendano almeno a restringere la forbice delle differenze territoriali non sarà più possibile mantenere la coesione sociale territoriale. Si arriverà alla secessione di fatto, che non è una prospettiva allegra soprattutto per le regioni del Nord, che cominciano ora a rendersi conto del pericolo di una contaminazione criminale.
La crisi ha messo in rilievo i difetti e i limiti della politica di sostegno all'economia del Mezzogiorno. Gli incentivi diretti alle imprese hanno provocato la nascita di aziende obsolete e incapaci di reggere la concorrenza internazionale. Bisogna oggi riconoscere che l'unico momento di crescita e di restringimento del divario di sviluppo di sviluppo si è verificato con la vituperata Cassa per il Mezzogiorno con il finanziamento delle infrastrutture che ha consentito al Sud di riallinearsi alle regioni più evolute.
Se in una prima fase la morsa della crisi sembrava avesse risparmiato il Mezzogiorno, oggi ha investito anche il sistema delle piccole imprese e, cosa ancora più grave, si è abbattuta sull'economia familiare, che si è vista costretta a dilapidare il patrimonio di risparmi faticosamente accumulati nel corso degli anni per sostenere i consumi primari, e i propri figli che non trovano alcuna risposta negli ammortizzatori sociali.
Il rapporto denuncia che gran parte delle difficoltà dell'economia meridionale sono da attribuirsi al comportamento dell'operatore pubblico, poiché lo Stato ha tagliato in maniera molto significativa i trasferimenti e gli investimenti per infrastrutture, in questo seguite dalle grandi aziende pubbliche, che hanno quasi azzerato la loro presenza nel Mezzogiorno.
Questo comportamento non incide solo sulla congiuntura, ma ha un riflesso sullo sviluppo futuro che viene ad essere pregiudicato dal gap infrastrutturale, che è molto più accentuato del digital e technological divide che spesso viene ricordato come una delle cause del ritardo dell'Italia nei confronti del resto d'Europa.
Il caso dell'ammodernamento dell'autostrada del Sole assume un valore paradigmatico. Per anni è stato indicato come il punto essenziale del programma per il Sud, assieme al fantomatico ponte sullo Stretto, un'opera mastodontica che appare e scompare seguendo ciclicamente gli appuntamenti elettorali.
Ci si può consolare pensando che nell'ultimo decennio il PIL ha recuperato un punto rispetto al Nord. «Continuando così ci vorrebbero 400 anni per recuperare lo svantaggio che separa il Sud dal Nord», si legge nel Rapporto. Così fervono i preparativi per preparare adeguatamente la celebrazione del quinto centenario dell'Unità, che festeggeranno i nostri pronipoti finalmente alla pari dei loro amici settentrionali.
Della Calabria non val proprio la pena di parlarne, poiché è sufficiente considerare che qui è tutto esasperato, una esaltazione di tutti i difetti e le carenze denunciate per l'intero Mezzogiorno. Una regione in coma che sopravvive grazie alle sue residue capacità di risparmio accumulate e sempre più sottili. Se ne sono accorte anche le banche, scese qui per una politica di rapina del territorio, per drenare i risparmi e destinarli ad investimenti produttivi altrove. Oggi che si sta inaridendo, pensano già alla grande fuga. Ha cominciato l'UBI Banca che ha deciso di tagliare gli sportelli calabresi per recuperare una redditività perduta sul piano del finanziamento all'attività produttiva.
Tra le tante difficoltà, certamente il credit crunch assume un ruolo importante poiché impedisce alla imprese di reperire le risorse per gli investimenti necessari al superamento della crisi.
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