San Zosimo, un papa calabresedi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XI num. 45 del 10/11/2012 |
Rende, 6/11/2012
Salito sul soglio pontificio, vi rimase meno di due anni
Lasciò un segno profondo nella storia della Chiesa, con le sue decise prese di posizioni per ribadire la posizione prevalente della Chiesa di Roma e affermare l'autorità del Papa
San Zosimo è tra i santi che si celebrano il 26 dicembre, giorno dalla sua morte. Ascese al soglio pontificio dopo la morte di Innocenzo I, il 18 marzo del 417: il quarantunesimo successore di Pietro. Il suo pontificato durò poco più di un anno, ma ha lasciato un segno nella storia per il suo carattere autoritario ed i decisi interventi in difesa dell'autorità della Chiesa romana.
Non si hanno alcuna notizia della sua vita privata prima che diventasse papa e della sua attività pastorale, ad eccezione di qualche rigo del Liber Pontificalis, dove viene affermato che era greco. Gli unici documenti sono le numerose lettere pastorali che affrontano con energia varie e importanti questioni ecclesiastiche.
La biografia più esauriente, scritta da Alessandra Pollastri, si trova nell'Enciclopedia dei Papi, edita a cura della Treccani, in occasione dell'ultimo Giubileo e reperibile facilmente in rete.
Andrea Fico ha scritto un intero volume – Notizie Storiche sulla patria di S. Zosimo, Napoli, 1760 - sulla figura di questo papa, o piuttosto sul Reatio, l'attuale Mesoraca, oggi in provincia di Crotone e destinata a ritornare sotto la giurisdizione di Catanzaro a seguito del riordino amministrativo disposto dal governo. Seguendo l'indicazione di numerosi studiosi (Barrio, Marafioti, Fiore, Zavarroni, e numerosi altri), sostiene che egli sia nato a Reatio. Ad esempio Prospero Parisio, in Rariora Magnae Graeciae numismata, Napoli 1683, riporta a commento di una medaglia con la sua effige: “s. Zosimus I, patria reatinus Magnae Graeciae”.
Scrive il Fico: “Ed in vero singolar pregio egli è della nostra Calabria d'aver dato alla luce il Santo Romano pontefice Zosimo, che generalmente dagli istorici, così de' più antichi secoli, che de' tempi di mezzo ci viene riferito per Greco di nascita. Per tale ce lo riporta il Vignoli nel suo Pontificale Romano; tal egli vuole, che sia nelle sue tavole cronologiche il Musanzio; né dissimile egli è il parere dell'Annato nelli suoi apparati alla teologia, del Carranza nella somma de' Concilj, del Sandini, del Ceccarelli, e del Platina nelle Vite de' Pontefici romani: sentimento seguitato ezianadio dal Breviario lateranense, e Vaticano, e dal Bollario Romano. Or' questa stessa appunto generale espressione di greco, che ce ne fanno gli istorici, ella è una prova ben atta a convincere, che s. Zosimo fosse greco di nazione, ma greco occidentale della Magna Grecia e non della Grecia orientale. Imperocché egli è notissimo il costume, che ne' primi tempi dagli antichi notari tenevasi, di notare li greci orientali coll'aggiunta della propria patria, o provincia, e gli occidentali colla sola generale espressione di greco, per distinguer così nelle tavole ecclesiastiche i santi dell'una, e dell'altra Grecia. Questa osservazione fu fatta tal proposito, prima d'ogn'altro, dal famoso Paolo Guatieri, e dal P. Fiore nella sua storia della Calabria illustrata”.
Si conosce il nome di suo Padre, Abramo, che ha fatto insorgere l'ipotesi che fosse di origine ebraica, ma non è mai stata data alcuna prova poiché l'uso di quel nome era già diffuso anche tra i non ebrei.
“Ebbe Zosimo per padre un uomo santissimo di nome Abramo, da cui fu educato, ed ammaestrato non tanto nelle lettere, che nel santo timor di Dio. Giunto egli all'età maggiore, si esercitò nella milizia ecclesiastica, ed avvanzatosi viepiù nelle virtù cristiane, servì mai sempre al Signore con immensa purità di vita”, continua il Fico.
“Poscia preso dal desiderio di visitare i luoghi santi, e più cospicui venne finalmente in Roma, ove risolvette di menare, sciolto da quei legami, che poteano recargli la patria, e l'attacco del proprio sangue, il rimanente di sua vita. Conobbe il Pontefice allora Innocenzio I, per divina ispirazione la sua immensa purità di vita, ed integrità di costumi, di maniera che, dopo aver da esso riportati molti, e non ordinarj esperimenti d'esemplarità, lo ascrisse per fine al clero di Roma. Quindi sortita la morte di questo s. Pontefice nel di 12 marzo dell'anno 417 fu eletto canonicamente al pontificato s. Zosimo nel dì 18 dello stesso mese, ed anno”.
Immediatamente dopo la sua elezione interviene in una disputa sulla giurisdizione di due parrocchie nelle Gallie, e prende una netta posizione a favore del suo amico Patroclo.
Scrive la Pollastri. “Appena quattro giorni dopo la sua consacrazione, il 22 marzo egli intervenne in una controversia sorta nelle Gallie tra Patroclo, vescovo di Arles, e Proculo, vescovo di Marsiglia, a proposito della giurisdizione di due parrocchie, Citarista e Gargario, comprese nel territorio del vescovo di Arles e contese tra i due vescovi”.
Con una sua lettera indirizzata a tutti i vescovi delle Gallie Zosimo accordava a Patroclo poteri da metropolita, nominandolo vicario pontificio per l'intera Gallia e quindi referente del clero ivi residente. Nella stessa stabiliva che “nessun membro del clero di quelle regioni potesse recarsi a Roma o altrove senza lettere di presentazione ("formatae") di Patroclo e dei suoi successori nella sede di Arles pena l'esclusione dalla comunione con il papa; che i vescovi della provincia di Vienne e delle due provincie Narbonensi (la I e la II) fossero ordinati dal metropolita di Arles, e ammoniva infine a non toccare le parrocchie della Chiesa di Arles”.
Patroclo era un patrizio romano molto potente, cognato dell'Imperatore Onorio, che contribuì attivamente alla sua elezione. Questo spiegherebbe il comportamento tempestivo del papa in suo favore. L'iniziativa di Zosimo, però, provocò la forte opposizione dei vescovi della Gallia, tanto che il suo successore Bonifacio provvederà con altrettanta tempestività a revocare quelle draconiane disposizioni.
Un altro deciso intervento di Papa Zosimo fu nella chiesa della Dalmazia.
Esichio, vescovo di Salona, chiedeva istruzioni al papa sulle ordinazioni sacerdotali, poiché con molta frequenza monaci e laici ottenevano l'accesso direttamente all'episcopato, senza passare attraverso gli ordini inferiori. Zosimo prescrive che monaci e laici, se aspiravano al sacerdozio, dovevano passare tutti i gradi dell'ordine clericale prima di poter raggiungere l'episcopato. Veniva anche stabilita l'età di accesso e il periodo di permanenza in ciascun grado ecclesiastico, e si proibiva la moltiplicazione delle sedi episcopali.
“L'intervento di maggiore rilevanza storica”, scrive la Pollastri, “e di più considerevole impegno per Zosimo fu quello concernente la questione pelagiana e quindi il rapporto con Sant'Agostino e gli altri vescovi africani. Papa Innocenzo I sembrava aver risolto la questione, ma Pelagio e Celestio avevano reagito alla condanna rivolgendosi a Roma ove giunse la lettera che Pelagio aveva scritto a Innocenzo, contenente la sua professione di fede”.
Il pelagianesimo era una dottrina cristiana elaborata dal nome dal monaco irlandese Pelagio e ripresa dal suo discepolo Celestio. Si diffuse tra i Goti e fu avversata dal Papa Innocenzo che la fece condannare come eresia nel Concilio di Cartagine, tenutosi nel 411, un anno dopo che questi avevano messo a ferro e fuoco la caput mundi, nel saccheggio di Roma del 410.
Era evidente che si trattava di una questione politica e la sconfitta del pelagianesimo era determinante per la definizione del ruolo dei goti nell'impero e la condotta di Zosimo si rilevò decisiva nell'ottenere al completa sottomissione dei due eresiarchi. La preoccupazione del papa era di rivendicare l'autorità della Sede romana su tutto il mondo cristiano e per questo aveva accolto con molto favore la nuova posizione di Pelagio e Celestio, che assomigliava ad una vera e propria abiura.
Zosimo morì il 26 dicembre del 418 e fu sepolto "iuxta corpus beati Laurentii martyris", nel cimitero ipogeo di Ciriaca sulla via Tiburtina.
Secondo le notizie fornite da Lorenzo Giustiniani in un famoso dizionario geografico di fine settecento, Mesuraca, l'antico Reatio, è in terra di Calabria Ulteriore, in diocesi di Santaseverina, dalla quale città è lontana miglia 12, e 5 dal mare Jonio. Si vuole ch'ella avesse preso dapprima il nome di Reazio dal fiume ch'è a poca distanza, ed altri opinava che fosse stata edificato dagli Oenotrj nella Magna Grecia. Vi si veggono molti vestigj di antichissime fabbriche. Si crede che vi fosse stato un tempio dedicato a Giove, e ad avviso dell'Aceti vi su trovato una piccola statura d'oro a cavallo. Si dice di esservi stato anche un tempi dedicato a Venere sul monte Matonteo, come dalle rovine, che tuttavia vi si veggono.
Ella è situata in luogo ben forte per natura, e per arte. Vi si respira buon'aria, e le sue campagne sono fertilissime nel dare ogni sorte di produzioni necessarie al mantenimento dell'uomo. Vi sono de' boschi ricchi di annosi alberi, che danno molta manna, pece, terebinto, e molti atti alla fabbrica de' vascelli. Tiene all'interno molte montagne, che chiamano Smeraldo, Forcone, la Croce, Matonteo, Varchiere, Colle del Trono, S. Zosimo, o S. Sosto, e Giove. Vi sono abbondantissime sorgive di acqua, la caccia trovasi dappertutto di quadrupedi e di volatili, e non vi mancano ottimi pascoli per gli armenti. Il suo territorio si estende da circa 40 miglia.
Vi corrono due fiumi, il primo, come già fu detto, è chiamato Reazio, l'altro Virgari, da' quali si pescano delle anguille, trote, ed altra sorte di pesci.
I suoi abitanti sono industriosi e commercianti. Le produzioni del loro molto esteso territorio essendo soprabbondanti, le vendono in altri luoghi della provincia. Vi si fanno ottimi formaggi, che pur smaltiscono altrove.
Aggiunge Andrea Fico, il quale scriveva nel 1760. “L'antico Reazio, che oggi ritiene la diversa denominazione di Mesuraca, non tanto per le sue singolari delizie, che per essere stato egli fortunatamente patria del gloriosissimo Pontefice s. Zosimo. È certa, comunque, e comune opinione tanto degli antichi, che dei moderni scrittori, essere stato il Reazio il secondo de' castelli fondati dagli Enotri nella Magna Grecia. E questo fondato sopra un'amena, e deliziosa collina, atta per sua natura ad ogni forte, e costante difesa; vi scorrono d'appresso due non piccoli fiumi, l'uno il Reazio, da cui egli trasse la sua prima denominazione, e l'altro il Virgari. Quivi si rinvengono tuttora delle antiche monete, marcate coll'iscrizione ΡΕΤΙΛΙΟΝ. Siccome questo castello non è molto distante da Policastro, ove si è già dimostrato, che fosse anticamente situata la Petilia, convien dire, che vi fossero trasportate per ragioni di commercio, che l'un castello teneva con l'altri più che altrove. Cangiò poi la sua prima denominazione al tempo de' Greci nell'altra Μισοριύχιον, corrispondente alla latina di Mesoreacium, ed analoga alla sua situazione tra il fiume Reazio, ed il fiume Virgari.
Può dirsi, che in questo castello si ritrovi tuttociò che generalmente esser di pregievole nella Calabria, tanto per l'amenità e salubrità dell'aria, quanto eziandio per la fertilità de' terreni. Perciocchè temperato, e salubre è il clima, che respirasi nel suo territorio, che per il tratto di quaranta, e più miglia Italiane dalla montagna fin al mare si estende. Mirano ivi i passeggieri amenisssime le sue campagne, di fiori, e verdeggianti erbe ricoperte, ombrose le selve, nelle quali si raccolgono diversi liquori nominati manna, pece bianca e nera, resina, terebinto, e ricolme di alberi di smisurata grandezza atti alla fabbrica delli edifizj, e costruzione delle navi; nelle amene sue colline copiosi sono i fonti, da' quali limpidissime acque scorrono; e finalmente così fertile il territorio di Mesuraca, che la quantità de' grani, ed altre biade, che in esso si raccoglie, è atta a mantenere più e più vicini paesi: abbondantissimo è di frutta di ogni genere. Ubertosi sono li pascoli, e numerosi gli armenti ivi trovansi, deliziose le cacce di selvaggiume, e volatili in ogni tempo.
Passando poi agli uomini illustri, sebbene noi non possiamo in origine riferire, i fatti celebri succeduti a' medesimi, che fiorirono nell'antico Reazio, a cagione della lunghezza considerabile del tempo, che va insensibilmente le antiche memorie sotto un ingiuriosa oblivione occultando, potremo tuttavolta o dall'istessa antichità o dalla mirabile posizione, e fortezza del castello con fondamento sospettare, che molte fossero le belliche imprese de' Reatini, o sia de' popoli di Mesuraca, e tutte eziandio da forti e valorosissimi guerrieri a buon fine condotte; imperciocchè tra tutti li circonvicini castelli, che circondano il Reazio, non vi era fortezza più inaccessibile, ed inespugnabile, come il Reazio medesimo, di maniera che conviene assolutamente credere, ch'egli fosse l'asilo delle nazioni alleate, ed il bersaglio perciò de' nemici, come veggiamo sovente accadere alle fortezze, che o per natura, o per arte sono difficilmente espugnabili.
Egli è inoltre indubitato, che il Reatio fosse anche abitato da Greci, non solo perché questi dessero il nome di Magna Grecia alla provincia tutta della Calabria, come ho riferito nel capitolo X; ma anche perché denominarono Messurga il castello del Reazio, desumendosi da ciò che anch'essi dopo gli Enotri ponessero la loro fede in questo istesso castello, il quale però non è maraviglia, se renduto siasi memorabile, tanto nelle lettere, che nelle armi, perché appunto i greci sono stati celebri nelle scienze, e valorosi nell'armi; anzi dirò di più che i greci molto acquistaron di pregio, perché confederati ne' primi tempi colla repubblica Crotoniata, la quale, come sede della Scuola Pittagorica, molto fiorì nelle lettere, e sotto la guida di valorosi capitani fu molto eccellente nelle armi. Checchè peraltro siesi de' tempi più rimoti sappiamo di certo, che il castello di Mesuraca desse anch'egli desse anch'egli saggio saggio della sua fortezza, e valore, specialmente nelle formidabili guerre tra' Crotoniati, e Locresi, nella quali li popoli Reatini si renderono in tal guisa formidabili, e vincitori, che meritarono di far dichiarare il Reazio membro della repubblica Crotoniata, lo che fu certamente un gran pregio del Reazio, e molto più in quel tempo, in cui la repubblica Crotoniata risplendeva nelle lettere, e nell'armi, come anticamente appunto Roma sotto il comando de' Cesari”.
Né qui cessano le lodi del Reazio, quasi che solamente fiorisse in tempo della repubblica Crotoniata (a); poiché anche ne' tempi più recenti ha quasi eternata la sua memoria nel soccorrere colle forze, e coll'armi all'antica, e nobile città di Catanzaro, in oggi capo, e metropoli della Calabria Ulteriore, allorché veniva strettamente assediata dalle squadre francesi, e per un tal fatto così segnalato meritò Mesuraca non solo il comune applauso, ma anche due anagrammi, uno numerico, e l'altro letterale (b) cioè il numerico Plena doctrinis ed il letterale Sarà meco, i quali anagrammi appunto ben dimostrano al vivo quei celebri fatti succeduti nel Reazio, de' quali sebbene alcuni ne abbiam riferiti, altri molti però per brevità si tralasciano.
Ha sotto di se due villaggi, uno chiamato Arietta di gente italiana, e l'altro Marcedusa, e questo abitato da genti originarie albanesi, discendenti da quelli, che vi furono condotti dal famoso, e valoroso capitano Giorgio Castriota, e ritengono tuttavia la loro lingua originaria, sebbene promiscuamente parlino anche l'italiana.
È inoltre annesso allo stato di Mesuraca un altro villaggio principiato non ha gran tempo collo denominazione di Petronà. È soggetto questo nuovo villaggio alla cura spirituale dell'arciprete dell'Arietta, e professa il suo vassallaggio dell'eccellentissima Casa d'Altemps, che possiede con il titolo di utile Signore il castello di Mesuraca, con tutti i suoi annessi, come più diffusamente si dirà in appresso. L'Arietta può gloriarsi di aver prodotto alla luce soggetti riguardevoli in lettere, e santità, tra' quali due Provinciali, l'uno chiamato il P. Giovan Antonio Elia mio congiunto, e l'altro il Padre Antonino Guzzi amendue celebri de' minori riformati, e in oggi viventi: Pietro Caputo arcidiacono e prima dignità della Metropolitana di santa Severina, e Vicario generale della medesima, e la pinzochera suor Maria Bruno morta in buon concetto di santità, essendo stata in tempo di sua vita dotata anche del dono dell'estasi, come è costante tradizione. Oltre li mentovati villaggi di Arietta, Marcedusa e Petronà, de' quali sopra si ragionò, e che in oggi sono ben popolati,e forniti di tutto il bisognevole, veggonsi ancora le vestigie d'altri tre villaggi, ora uguagliati al suolo: Leonato è il primo, l'altro Tortorella, ed il terzo Vicotrojano.
De' primi due non vi è memoria alcuna, come, da chi, in qual tempo, e per quale cagione devastati fossero. Non però così ancora del terzo, di cui ben si sa essere egli colla guida di un rinegato miseramente stato distrutto dalle barbarie de' Turchi, che lo spianarono affatto, ed in questa loro spietata impresa non andò quella barbara gente scarsa di preda; poiché oltre le preziose ricchezze tolte, e ragguardevole fu il ratto di una giovane Sarra Rossa di rara, e quasi sovrumana bellezza, a cui si univano tutte le belle doti dell'animo, e la singolarità degli ottimi costumi. Fu questa da' predatori condotta avanti il Sultano, il quale non così tosto la rimirò, che rapito dalle sue mirabili attrattive, e dall'avvenenza, e compostezza, non solo le promise e libertà e tesori, ma inoltre le si offerì per suo sposo, e compagno nel trono. Rifiutò alla prima l'onesta, e cattolica un'offerta sì grande, temendo, che coll'unirsi al talamo ottomano perder potesse il bel tesoro della cattolica religione, che anteponeva a tutti i regni mondani. Ma poscia assicurata che, ancorchè moglie del gran Sultano, poteva illesa ritenere la sua religione, con preventiva permissione, e facoltà di chi poteva concederla, come convien supporre, alla fine prestò il suo consenso, e divenuta Imperatrice del soglio Ottomano, non perciò mancò di fede al suo sposo celeste, mostrando nel decorso di sua vita esemplarità di costumi, ed esercitando ben spesso atti di cristiana pietà uniti alla frequenza de' Sacramenti, come tuttociò fu attestato dal proprio padre spirituale di Napoli Domenicano, e missionario, il quale nel partire da Costantinopoli per restituirsi a Napoli, ricevè dalla Regina Sarra gran copia di denaro per erogarlo nell'ampliazione, ed abbellimento del convento dell'Ordine di s. Domenico esistente nel castello di Mesuraca, sebbene poscia non seguisse l'effetto, giacché il Padre missionario suddetto, non si sa a qual motivo, invece d'erogare il denaro secondo la mente e volontà della Regina, l'impiegò nella fabbrica ed ornato del convento della Salute di Napoli.
Secondo il Giustiniani vi “fiorirono due accademie in Mesuraca una detta de' Risvegliati, e l'altra degli Addormentati, ma in oggi non vi fioriscono. Vi sono molte chiese. Tra i conventi de' regolari, oltre il monistero chiamato Badia sotto il titolo di S. Angiolo in Rigido, o Ringido, prima dell'ordine Benedettino, ed indi dell'ordine Cisterciense unito col monistero della Matina a S. Marco, è quello della Sambucina, che rimase soppresso nel 1652 , ha il primo luogo il convento di S. Domenico.
Inoggi i suoi naturali ascendono a circa 2100. La tassa dl 1532 fu di fuochi 611, del 1545 di 1108, del 1561 di 577, del 1595 di 691, del 1648 di 500, e del 1669 di 270.
Il nostro re Carlo I d'Angiò nel 1292 la concedè a Pietro Ruffo conte di Catanzaro. Fu poi venduta a Paolo de Cayvano. L'ebbe indi in dote Gio. Andrea Caracciolo principe della Scalea, che vi rifece il castello. Nel 1523 il di lui figlio Paolo vi ottenne il titolo di marchese.
Isabella, o come altri vogliono, Violante Caracciolo nel 1528 portolla in dote a Ferrante Spinelli duca di Castrovillari. Fu poi venduta a 17 dicembre 1584 da Gio. Battista Spinelli sub hasta S.R.C. ad istanza de' creditori del principe di Scalea alla famiglia Atelmo Romana per duc. 165000, ritenendosi il titolo di marchese, che ora tuttavia possiede con Petronà, Arietta e Marcedusa. Nel 1595 era però in potere di Giulioantonio Acquaviva principe di Caserta.
Si dice che S. Zosimo sommo pontefice fu natio di Mesuraca, secondo prova Gio. Andrea Fico. Vi nacquero più altri personaggi che si distinsero nella letteratura, come può vedersi presso il Zavarroni, ed altri scrittori nelle memorie delle Calabrie”.
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