La politica nel caos e la politica del caosdi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XI num. 42 dell'8/12/2012 |
Rende, 6/12/2012
Con l'annuncio del suo ritorno in campo, il Cavaliere ha rioccupato la scena politica. Ma l'evento di gran lunga più importante sono le primarie che hanno coinvolto milioni di persone nella scelta di una nuova politica. Per evitare di perdere l'occasione di rinnovamento è necessaria una riflessione per evitare che vengano considerate un punto di arrivo e non l'inizio di una fase costituente.
È stato sufficiente l'annuncio della sua ennesima discesa in campo per provocare una mezza rivoluzione nella politica nazionale con un repentino aumento della febbre: lo spread che ritorna negli incubi degli italiani, nani e ballerine che ritornano ad esultare sperando nel miracolo, la sinistra ormai quasi sicura di aver in mano le chiavi di Palazzo Chigi. I tempi sono bui e riflettere in questo momento delle primarie del PD appare anacronistico. È passata solo una settimana dal ballottaggio che ha incoronato Bersani alla corona di candidato ufficiale, ma sembra passato un secolo. Questo improvviso spostamento dell'interesse collettivo è già un importante risultato mediatico per il Cavaliere che ritorna al centro dell'attenzione. Ragionevolmente si dovrebbe avere qualche dubbio che questo possa trasformarsi in una nuova vittoria elettorale, poiché la profezia di Indro Montanelli sembra essersi realizzata appieno. Anche le pietre hanno avuto modo di conoscere con dovizia di particolari le qualità morali e politiche del personaggio. Tuttavia il peggio è sempre dietro l'angolo e non vi è mai un limite che non possa essere superato dalla realtà.
Sarebbe tuttavia un errore concentrarsi su un politico e una politica che è inesorabilmente vecchia, superata, stantia e, per fortuna, tale appare oggi alla grande maggioranza degli italiani e passare sotto silenzio l'evento più rilevante del momento che potrebbe avere conseguenze importanti sul futuro del Paese. Il Cavaliere è un capitolo chiuso, con tutto il veleno che potrà iniettare dalla coda nel tentativo di costruire una robusta trincea a difesa dei suoi vasti interessi.
Le primarie hanno aperto un nuovo capitolo della storia politica, sono state e rappresentano una speranza che anche in Italia si possa ritornare alla normalità di un confronto sui problemi e sui valori, abbandonando la personalizzazione che ha prodotto una identificazione degli interessi personali di pochi con gli interessi collettivi. Non si è trattato solo del macroscopico conflitto d'interessi del Cavalieri, ma di una vera e propria malattia contagiosa che ha prodotto formazioni politiche "ad personam", costituite da personaggi più o meno autorevoli o credibili: Lamberto Dini, Gianfranco Fini, Pierfendinando Casini, Antonio Di Pietro e numerosi altri come il senatore Sergio De Gregorio con i suoi italiani nel mondo per giustificare tutte le sue spregiudicate ed oscure operazioni, che hanno riempito le sue tasche e le cronache giudiziarie. Tutti si sono proposti come gli interpreti dei desideri e dei bisogni della gente, gli unici depositari della verità politica arrogandosi il diritto di scelta della classe dirigente, la definizione del campo di azione, il controllo dell'attività del proprio gruppo. Alla fine è risultata evidente l'inadeguatezza di una tale rappresentazione della realtà, l'incapacità di realizzare un insieme di azioni coerenti, la fragilità di un sistema istituzionale senza alcun fondamento logico e giuridico. Pur nella sua laconicità la Costituzione repubblica pone al centro della vita politica i partiti, dove si forma la volontà collettiva e non i singoli individui che possono concorrere a formarla ma non possono impersonarla.
L'astensionismo che ha colpito la Sicilia non era l'espressione di un disinteresse nei confronti della politica, ma il rifiuto di un metodo, di un sistema. Si è voluto dire basta a una cattiva politica, a un sistema percepito e vissuto come un gigantesco meccanismo per arricchire una ristretta casta ai danni dell'interesse generale. Il grillismo e la massiccia partecipazione alle primarie dimostrano al contrario che vi è uno spasmodico interesse verso una politica diversa, dove siano preminenti la partecipazione, la progettazione del futuro, la centralità degli interessi pubblici, del bene collettivo rispetto agli egoismi e interessi personali.
Per mettere definitivamente alle spalle un periodo così inglorioso, è necessario ritornare alla cultura, alla storia, ai valori, alle pulsioni ideali accantonando il populismo e la faciloneria con cui si è venduto per caviale dei rimasugli maleodoranti di idee e programmi che avevano l'unico obiettivo di solleticare la fantasia popolare per l'arricchimento personale di pochi, ma nessuna aderenza con la realtà economico-sociale del Paese.
Le primarie sono stato uno straordinario momento di partecipazione collettiva, un esercizio di democrazia che ben evidenzia la voglia di buona politica presente in larghissimi strati dell'elettorato, scoraggiato dall'arroganza e dalla protervia della casta, sfiduciato per l'immarcescibile resistenza a qualsiasi cambiamento, stretto nella terribile morsa della crisi. Le primarie sono state una testimonianza di vitalità e una dimostrazione che anche nel nostro Paese è possibile un confronto sereno e corretto. Il confronto tra i due protagonisti è stato a volte aspro nei contenuti, ma molto apprezzabile per il comportamento e il contegno, garbato e civile nei modi e nelle espressioni. Ben lontano dalla volgarità e dalla violenza verbale a cui siamo stati costretti in tutti questi anni sotto il giogo di una filosofia politica vissuta all'insegna del motto previtiano “non faremo prigionieri”. Il caso Sallustri è certo il frutto di una legge ingiusta ed eccessivamente punitiva nei confronti dei giornalisti e dei reati di opinione, ma è anche il frutto di un giornalismo vissuto pericolosamente su un registro verbale intriso di odio, di astio, di demonizzazione di tutti coloro che venivano considerati avversari e trasformati in nemici da abbattere in una guerra senza quartiere.
Avendo coniugato tutto il possibile bene per il valore salvifico delle primarie in questo momento di caos, poiché esse certamente rappresentano un momento di sutura della profonda lacerazione che si è prodotta tra il corpo elettorale e la sua rappresentanza politica, bisogna sottolinearne limiti e contraddizioni.
In primo luogo bisogna chiarire che una democrazia senza regole non è una democrazia, ma un sistema votato all'arbitrio e alla dittatura della casta. Le primarie sono un sistema non regolamentato. Tutte le esperienze fin qui tentate hanno avuto un parto difficile, la definizione delle regole d'ingaggio “ad circostanzam” per dirla in latino maccheronico. Non ha caso la polemica più accesa ha riguardato proprio le regole, perché sono state decise “ad hoc” da uno dei pretendenti al trono. Questo è sicuramente inaccettabile in una democrazia, come denunciato da Matteo Renzi in quella che si è rivelata il punto più controverso e delicato della contesa, poiché si riteneva danneggiato dalle decisioni prese da un organismo a lui completamente ostile.
Lo stesso Matteo Renzi, tuttavia, dimentica di aver goduto di una posizione di privilegio e di un favore da parte del suo contendente ed avversario, che non aveva alcun obbligo di sottoporsi alla forca caudina delle primarie avendo per statuto il diritto di essere il candidato premier.
Proprio quello statuto è uno sfregio alla democrazia, poiché prevede una commistione tra il ruolo istituzionale che si ottiene con l'incarico pubblico e l'attività nel partito, che dovrebbe avere una funzione di formazione della classe politica, di partecipazione popolare, di controllo dei rappresentanti, di stimolo, di elaborazione delle utopie e delle speranza di poterle realizzare attraverso l'azione politica. Il PD non sfugge alla condizione di confondersi e volersi confondere con le istituzioni, come addirittura sancito statutariamente. Questo è un grave vulnus dello spirito costituzionale. A tutti i livelli territoriali, gli organi dei partiti (e in particolare del “Partito”, per rispettare la tradizione di cui è erede) coincidono con gli eletti ai vari livelli: sindaci, presidenti di provincia, consiglieri regionali, parlamentari e tutti coloro che hanno importanti uffici, per grazia ricevuta (come la governance degli organi del sottogoverno).
Il privilegio maggiore è stato costituito dalla tribuna che il sindaco di Firenze ha avuto a disposizione per una serie di fortunate circostanze, a differenza di tanti suoi colleghi, come il sindaco di Cagliari altrettanto giovane e telegenico, ad esempio, poiché non vi è alcune meccanismo che consenta una selezione dal basso, a partire dal territorio. Questo nulla toglie ai suoi meriti, alla capacità comunicativa, alla freschezza e immediatezza del suo linguaggio, molto accattivante che ha finito per attrarre un'attenzione straordinario, come testimoniato dall'incredibile consenso ottenuto con un apparato burocratico improvvisato.
In queste condizioni sono semplicemente una espressione del centralismo democratico che costituiva il brodo di coltura sovietico e impedisce un reale e profondo rinnovamento della rappresentanza politica, poiché esse evidenziano ed esaltano pregi e difetti di un pugno di personaggi, ma non consentono di costruire una squadra di governo.
Di fatto il sistema è completamente centralizzato. Tutto avviene per cooptazione, scegliendo le migliori pecorelle dal gregge, senza alcun intervento da parte della base. Chi sono e quale storia politica hanno i pur bravi ragazzi arruolati dall'uno e dall'altro fronte quali testimonial del rinnovamento? Quanti Massimo Calearo si nascondono tra di loro? Quale forma di legittimazione popolare hanno avuto questi paggetti per giustificare l'importante e delicato ruolo di interpreti della volontà democratica?
L'esito delle primarie lascia un senso di amaro in bocca per una serie di problemi che lascia irrisolti e difficilmente componibili. È in primo luogo la vittoria dell'apparato, della burocrazia del partito, come risulta evidente in particolare nella periferia del Paese. Il caso della Calabria è emblematico in questo senso. A fianco del vincitore si trovano ben allineati tutti i vecchi uomini del potere, i responsabili della sconfitta elettorale che sono stati sonoramente bocciati dall'elettorato, e oggi si trovano a rappresentare il nuovo, vogliono essere la speranza di un futuro migliore. Come affrontare con animo sereno e fiducioso una competizione elettorale dove la scelta si presenta come l'alternativa tra il vecchio e il vecchio, tra lo sfasciume di destra e quello di sinistra? Rifugiarsi nell'antipolitica? Tra questi spicca l'ex governatore Agazio Loiero, il quale in questi anni ha continuato il suo peregrinare alla ricerca della migliore postazione per riacciuffare il potere.
Che senso attribuire al fatto che qui, l'apparato fa il pieno di consensi? Potrebbe essere la conseguenza di un elettorato frastornato che non riesce neppure a credere in una speranza a proteggersi dietro una illusione? Certo, gli apparatniki votano compatti, obbligano le proprie truppe a schierarsi e recarsi ai seggi. Ma questa esibizione muscolosa non è sufficiente a superare il baratro delle urne, dove sono in agguato astensionismo e la tanta vituperata antipolitica.
Ci si dimentica che la vera antipolitica è la cattiva politica, quella che non riesce a offrire una decente legge elettorale e si nasconde dietro tecnicismi e reciproche accuse di responsabilità (sarebbe più appropriato dire irresponsabilità).
Quasi certamente si andrà alle urne con il porcellum, e questo non è certo una buona notizia, poiché il fronte degli oppositori, anzi degli arrabbiati di fronte a questa prova di incapacità della casta di comprendere quanto vasto è il dissenso, quanta diffusa la voglia di rottamazione. Si ha un bel dire che è colpa del Pdl, perchè il PD ci ha messo del suo, e le sue proposte sono tutt'altro che accettabili in una democrazia matura.
Assicurare una cadrega alla nomenklatura sembra la prima preoccupazione di tutti i partiti, e questo se lo garantiscono con quel terzo di seggi che comunque tutti ritengono di doversi riservare per i big, gli insostituibili, le grandi menti che si annidano nei soviet supremi. Già questo è un privilegio inaccettabile. Per non parlare dello sforzo di voler a tutti i costi trasformare una minoranza nel paese (di qualunque colore esso sia) in maggioranza in parlamento, a forza di premi. La governabilità si conquista con il consenso, non con i tecnicismi elettorali. I meccanismi istituzionali devono essere pensati e concepiti per assicurare il funzionamento di lungo periodo, per dare un quadro di certezza normativa e non per ottenere un vantaggio immediato.
Le prossime elezioni sono importanti, ma rappresentano comunque una tappa di un lungo cammino, senza dimenticare che la prossima rappresentanza potrebbe nascere zoppa per i colpi dell'astensionismo. Il 40% dei votanti potrebbe essere inferiore a un quinto del corpo elettorale se si dovessero confermare i dati di affluenze delle elezioni siciliane. La mancata riforma del porcellum rappresenta un formidabile incentivo all'antipolitica, una circostanza gioca in favore dei grillini, poiché di fronte all'impossibilità di poter cambiare con delle scelte oculate in tanti saranno tentati a utilizzare l'arma del voto come nella roulette russa: non tutti i colpi andranno a segno, ma molti potrebbero andare a segno.
Resta il problema dell'offerta elettorale. Bersani è sicuramente il vincitore, ma non si sa bene di che cosa, poiché non è stato ben delimitato il campo di azione. Ha avuto un ampio mandato popolare per rappresentare il centrosinistra, ma non è chiaro dove inizia e dove finisce. Include Italia dei Valori? E l'MPA, con i vari Lombardo e Loiero? E il Sel vendoliano è compatibile con la presenza degli eventuali centristi? E chi dovrebbe decidere la composizione di una sì composita alleanza?
La difficoltà di rispondere a queste semplici domande risiede tutta nell'assenza di un quadro normativo certo che regolamenti le primarie e le conseguenze che queste devono provocare obbligatoriamente, senza far ricorso a interpretazioni furbesche e di mera convenienza.
La democrazia inizia e finisce con la predisposizioni di strumenti idonei a garantire una effettiva partecipazione popolare alla definizione delle grandi scelte che investono la collettività.
Le primarie hanno un chiaro profumo di plebiscito, una chiamata alle armi del “popolo” per legittimare scelte già fatte, per consolidare il traballante potere della casta.
Abbiamo vissuto anni terribili in cui si è cercato di stravolgere tutte le regole in favore degli interessi di pochi o di uno, l'augurio è che lo sforzo necessario a rimettere ordine dopo tanto stravolgimento non si trasformi nella politica del caos, con rappezzamenti che possono aumentare la confusione e dietro il pretesto di ricostruire la democrazia si operi unicamente per rafforzare i potrei della casta.
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