Flavio Magno Cassiodoro, il cantore dei Gotidi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XI num. 42 del 13/10/2012 |
Rende, 11/10/2012
Ultimo di una lunga serie di personaggi molto influenti nel V secolo, che hanno accompagnato la transizione del mondo romano verso i nuovi regni barbarici. Di origine orientale e profondamente latinizzati si sono posti al servizio dei conquistatori. La loro opera fu fondamentale per impedire il tracollo della cultura e favorire il trapasso verso un nuovo mondo
È doverosa una premessa. Parliamo di Flavio Magno Cassiodoro, nato alla fine del V secolo (tra i 485 e il 490) e morto ultranovantenne nel 580 circa, avendo attraversato quindi quasi tutto il VI secolo.
Egli nacque dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, convenzionalmente stabilito con la deposizione di Romolo Augustulo da parte del re germanico Odoacre nel 476. Egli attraverso quasi tutto il breve regno ostrogoto in Italia, dall'ascesa di Teodorico fino alla sconfitta di Teia nel 553, la restaurazione bizantina e la successiva erosione da parte dei Longobardi.
Odoacre fu deposto e ucciso da Teodorico, inviato in Italia dall'Imperatore bizantino Zenone, proprio negli anni in cui Flavio Magno nasceva. L'esito fu però molto da quanto immaginato e progettato dall'imperatore, poiché Teodorico invece di assumere la reggenza dell'Italia, volle creare un proprio regno e si proclamò sovrano con l'ambizione di conquistare tutta la penisola unificando l'elemento germanico con quello romano.
L'atteggiamento di Teodorico provocò la lunga "guerra gotica", durata quasi un ventennio (535-553) che determinò un forte declino economico e sociale dell'Italia, diventata un campo di battaglia per lo scontro tra l'esercito germanico e quello bizantino. Nel 553 il generale Narsete riuscì a sconfiggere Teia, l'ultimo re dei goti, e riconquistare tutta l'Italia a Bisanzio.
La famiglia Cassiodoro aveva avuto un consolidato rapporto con i goti, fin da quando il primo di essi, che si distinse pe' suoi talenti militari, era stato inviato ambasciatore alla corte di Attila, per convincerlo a non invadere l'Italia.
Il terzo dei Cassiodoro aveva avuto grandi incarichi ed onori da parte di Odoacre. Un trattamento simile fu riservato alla corte ostrogota al figlio Flavio Magno, il quale fu nominato segretario e questore da Teodorico, e innalzato al grado di preposto ad uffizii di Corte e Prefetto del Pretorio dai suoi successori Atalarico, Teodato e Amalasunta. Con la fine del regno ostrogoto in Italia, Flavio Massimo si ritirò in Calabria e dedicò la sua vita alla religione e agli studi.
Scrive Luigi Accattatis:
Oh se la potenza del tempo, la barbarie dei secoli e la negligenza degli uomini non ci avessero tolti i monumenti più splendidi delle nostre glorie, potremmo in miglior guisa testimoniare, come la nostra sia storia non improntata ad un superbo mito, ma ricca d'una grandezza evidente"
Vedi tu, o passeggiero, quella modesta Città a quattro miglia dalla punta di Stalettì e tre entro terra, situata sur un colle amenissimo "a guisa d'un grappolo d'uva" (sono parole di Cassiodoro)? È la famosa Scillacio ricordata da Plinio, da Strabone, da Virgilio, e da Servio! Non ti par'egli, nel leggere gli annali cruenti della sua forte e sventurata resistenza contro i Turchi e i Normanni, di ravvisare lo spettro di Ulisse sugli spaldi del suo castello? Vedi tu quei ruderi sul monte Moscio, che è sul mare alla punta sopra cennata, quasi lembi di bianca tunica discinta? Sono gli avanzi del Monastero di Vivariese, il quale in un'epoca di oscurità e d'ignoranza era il solo luogo d'Italia ove coltivavasi la letteratura! Lo fondò un valentissimo calabrese, il cui nome ha ottenuto l'ossequio riverente di tutte le nazioni.
Cassiodoro da Squillace, che divise con Boezio la gloria di essere il rappresentante della filosofia e della letteratura italiana di quell'epoca, qui visse ritirato abbandonando le politiche cure.
Togliamo i cenni biografici di questo sommo dall'Enciclopedia Popolare:" Visse nel sesto secolo dell'Era Volgare, e fu letterato storico ed uomo di stato. Compose una storia dei goti in dodici libri, di cui ci resta soltanto un compendio fatto da Jordanes; e fece tradurre in latino da Epifane le Storie Ecclesiastiche di Socrate, Sozomene e Teodoreto col titolo di Historia tripartita; esistono dodici libri di sue lettere che vanno dal 509 al 639: i primi dieci contengono istruzioni, rescritti e lettere politiche scritte a nome di Teodorico e de' suoi successori Amalasunta, Atalarico, Teodato e Vitige; i due ultimi sono lettere scritte a proprio nome. Compose pure un trattato "De artibus ac disciplinis liberalium literarum", cioè di grammatica, retorica, logica, aritmetica, musica, geometria e astronomia; un trattato sull'Ortografia, una sposizione dei salmi ed altre opere religiose. Di probabile origine gotica (o alana) o comunque associatosi a questo popolo, fu notarius (segretario) del goto Guntige, un alto funzionario della corte di Costantinopoli. Seguì Guntige in Italia durante la Guerra gotica, e potrebbe essere identificato con l'omonimo vescovo di Crotone. Ad ogni modo, le notizie sulla sua vita sono assai scarse, ricavabili unicamente da pochi passi delle sue opere.
Jordanes scrisse verso il 552 il "De origine actibusque Getarum", un riassunto della perduta Storia dei Goti di Cassiodoro in dodici libri, noto anche come Getica, la cui prima edizione critica fu pubblicata da Theodor Mommsen nei Monumenta Germaniae Historica. La maggiore differenza tra l'opera di Giordane e quella di Cassiodoro sta nel fatto che il secondo scrisse per glorificare Teodorico e la sua stirpe, mentre il primo, mostrando la tradizione e la forza dei Goti, per accrescere la fama delle gesta di Giustiniano I (527-565), loro vincitore.
Levò alto grido tra i suoi contemporanei per dottrina, eloquenza ed ingegno. Ma il suo latino non è puro ed il suo stile è pieno dei concetti del suo tempo.
A proposito del ritiro in Calabria di Cassiodoro nel Nuovo dizionario istorico si legge che molti scrittori che si sono occupati della vita di Cassiodoro "si ritirasse, perché fosse reo di morte, fatta dare da Teodato ad Amalasunta, e però temesse di soccombere alla vendetta, che ne avrebbe fatta l'imperatore Giustiniano, giacché spedito aveva il suo esercito in Italia. Il chiarissimo Tiraboschi, ha confutato a meraviglia i stravaganti raziocinj del moderno francese, ingiustamente e senza fondamento diretti a denigrare il nome d'un uomo tanto illustre. Convinto adunque per lunga esperienza della vanità delle grandezze umane e specialmente di quelle che provengono dalle corti, Cassiodoro, diede un addio al mondo; e pria del 540, cioè verso la sessagenaria sua età, ritiratosi in fondo alla Calabria, ivi professò la vita monastica, dicono alcuni della regola di San Benedetto, altri di Cassiano; ma nulla se ne sa di preciso.
A tal uopo egli scelse un luogo presso Squillaci, e non presso Ravenna, come hanno asserito alcuni, e quel ch'è mirabile, lo stesso Chioccarelli, benché scrittore napoletano. In questa situazione, cui gli orti deliziosi, le limpide acque, le copiose peschiere, ed il vicin mare rendevano amenissima, fabbricò a sue spese il celebre monistero, dai ricchi vivaj di pesci appellato Vivariense, ed in oltre sulle pendici del vicin monte un eremo per coloro, che viver volessero da anacoreti.
D'allora in avanti, altra cura non ebbe, che di attendere agli esercizj di pietà, ed insieme agli studj, specialmente sacri, senza però tralasciare colla debita distribuzione anche i profani.
Vi si applicò egli, benché già inoltrato negli anni, e vi fece applicare i suoi monaci, impiegandoli anche non poco in trascrivere con esattezza i codici antichi. A tal uopo avea provveduto il suo monistero d'una copiosa e sceltissima biblioteca, di nulla mancante in ogni genere di scienze, e vi avea chiamato parimenti alcuni bravi artefici, onde sollevarsi talvolta anche con lavori meccanici, come gli orologi a sole e ad acqua, e di strumenti o mobili di nuova invenzione. Partecipavano pure di tali occupazioni i suoi monaci, e quelli, che non avevano talento per le scienze, impiegavali nell'agricoltura e nella coltivazione de' giardini: esercizio, che parimenti serviva di trattenimento agli altri nelle ore di ricreazione.
In somma egli, che alla corte avea fatto molto uso del suo potere, per eccitare i monarchi suoi signori, malgrado la barbara loro indole, a favorir le lettere e proteggere i dotti; continuò ad impiegarsi indefessamente per l'incremento delle scienze e delle arti anche nella sua solitudine".
In questa finì di vivere santamente in età oltre i 90 anni, circa il 575: sbagliando assolutamente il computo coloro i quali, come pure il testo francese, lo fanno morto nel 562. Uomo degno di sempre onorevole memoria sì per la soda pietà e le commendevoli massime, che professò costantemente, anche in mezzo alle corti più pericolose, sì per la sua rettitudine e saviezza, e pel buon uso, che seppe fare in sollievo altrui ed in publico bene, delle copiose sue ricchezze. Era disinteressato a segno che giunse per sino sotto la reggenza di Amalasunta a mantenere del proprio numerose truppe, per non aggravare i popoli e il regio erario. Del suo amore verso le lettere, oltre ciò, che abbiam detto, ce ne ha lasciato insigni monumenti nelle sue opere, tra le quali: 1) Una breve Cronaca dal principio del mondo sino all'anno di Cristo 519. 2) Il suo Trattato della natura dell'anima. 3) Le sue Lettere divise in 12 libri.
In esse principalmente spicca il suo stile puro ed elegante più di quel che potesse promettersi dall'indole de' tempi in cui visse. Vi si scorge un fraseggiare armonioso tutto suo proprio, ed una chiara semplicità, benché sia pieno di detti sentenziosi e di pensieri morali. Oltre li suddetti suoi scritti, che riguardano il tempo, quando era alla corte, aveva anche composte molte Orazioni e la Storia de' Goti, cui rischiarava per 17 generazioni de' loro re; ma abbiam a dolerci della perdita sì dell'una che dell'altra; e specialmente della Storia, dalla quale assai migliori notizie ricavar potremmo di una tal nazione, che non dagli altri scrittori.
Nella sua solitudine poi scrisse: 1) I commenti su i Salmi; 2) Le istituzioni delle divine ed umane lettere, divise in due libri; 3) Un Trattato del computo Pasquale, che alcuni pongono in dubbio, se fosse veramente scritto da lui; 4) Un libro Dell'Ortografia, che fu tra gli ultimi scritti da lui composti; 5) Le Complessioni su gli Atti e le Epistole degli Apostoli e sull'Apocalisse. Quest'opera fu pubblicata per la prima volta dal celebre marchese Maffei, Firenze 1721, e fu poi ristampata l'anno appresso appresso Londra.
Dalle altre opere raccolte insieme ve ne sono diverse edizioni; ma quella data da' PP Noury e Garet Maurini, a Rouen nel 1679 in due tomi, è la più bella ed esatta. Il P. di Sainte-Marthe, morto generale della stessa congregazione, ha scritto la Vita di questo autore, e l'ha arricchita di erudite note, Parigi 1695; ma anch'egli, non meno che il P. Garet e tanti altri, cade nell'equivoco di non distinguere i due Cassiodori. Uno de' soliti sentenziosi detti di Cassiodoro era: potersi più facilmente veder la natura sbagliare nelle sue operazioni, che un principe, il quale non comunichi alla sua nazione il proprio carattere. facilius errare naturam, quam Principem formare rempublicam dissimilem sibi.
Il Vivario fu una istituzione unica nel suo genere, a metà tra un monastero e un importante centro culturale. Si favoriva la vita cenobitica ed anacoretica, ma nello stesso òtempo si manteneva un vivace dibattito filosofico e scientifico. Lo stesso Cassiodoro aveva una autentica passione per la scienza e le sue applicazioni pratiche dedicandosi alla fabbricazione degli oggetti più vari, dagli orologi solari, clessidre fino agli oggetti agricoli. Fu il primo centro religioso a mantenere una biblioteca e incoraggiò i monaci a trascrivere i testi classici per poter conservare il sapere antico, l'antesignano degli scriptoria, che può considerarsi la parte più importante del lavoro del Vivario. Principalmente si trattò della traduzione di opere greche di carattere sacro. Esso divenne un modello che ebbe una grande diffusione in tutto Europa con la trascrizione dei testi di tutti gli autori classici. In Calabria, in particolare, la tradizione monastico-culturale fu continuata dai basiliani, e la regione divenne fino a tutto l'anno mille il più importante centro culturale del mondo occidentale.
Non vi è alcun dubbio che Cassiodoro sia nato in Calabria, dove la sua famiglia si era stabilita da molto tempo. Nel Dizionario biografico degli italiani curato dall'Istituto dell'Enciclopedia Treccani, si legge quanto segue."
La sua famiglia era probabilmente originarla della Siria, dove si trova il nome nelle forme Κασιόδωρος e Κασσιόδωρος, connesso con il culto di Zeus Kasios. La forma in genitivo "Cassiodorii" ha fatto postulare a S. Maffei e ad altri al suo seguito un nominativo "Cassiodorius", che non esiste. Della sua famiglia C. poteva tracciare la storia solo per le tre precedenti generazioni (Var., 1, 4). Dal tempo del bisnonno si era stabilita nel Bruzio, verosimilmente già a Squillace, dove aveva influenza (Var., 11, 39, 5).
Con il nome di Cassiodoro, sono conosciuti almeno quattro personaggi diversi, l'uno figlio del precedente di cui non si conosce il loro nome poiché sono tutti indicati con il viene sempre usato il solo cognome. Una breve storia di ciascuno di essi è riportata nel seguente brano tratto dal Nuovo dizionario istorico ovvero Istoria in Compendio, Tomo VI, Napoli 1791.
Cassiodoro, nobile ed illustre famiglia di Squillaci, città della Calabria ulteriore, che ha prodotti diversi uomini, circa i quali hanno equivocato gli scrittori confondendone con l'altro. Il primo Cassiodoro, che veggasi far luminosa comparsa nelle storie antiche, è quello che verso il principio del V secolo si distinse pe' suoi talenti militari, e specialmente per la strage, cui fece de' Vandali, che avevano fatta un'irruzione nell'Abruzzo e nella Sicilia. Le sue vittorie lo chiamavano a grandi impieghi: ma la sua moderazione rendevalo superiore alle lusinghiere promesse della fortuna; e quindi amò meglio esser degno delle sublimi cariche di quello che conseguirle. Cassiodoro, figlio del precedente, fu degno erede del genitore, e non men atto alla guerra, che agli affari. L'imperatore Valentiano III gli affidò una parte della pubblica amministrazione, ed ebbe motivo d'esserne contento. Oltre agli onori, fu uno dei deputati ad Attila per indurlo a ritirarsi dall'Italia, al che molto contribuì. Seppe talmente Cassiodoro colla sua accorta e coraggiosa maniera, senza né avvilirsi né oltraggiare, insinuarsi nell'animo del Barbaro, che questi avvezzo a trattare i re come tanti schiavi, si piegò a stimare un tal ambasciatore, ed a chiedergli la sua amicizia. L'imperatore voleva premiare Cassiodoro con donargli terre e titoli; ma egli ebbe la generosità di ricusar tutto, e, contento della sua sorte, ritirossi a terminare in pace i suoi giorni, credendosi assai ricompensato dalla gloria di aver contribuito alla difesa dello stato. Figlio di questo fu il terzo Cassiodoro, cui quasi tutti hanno creduto una sola persona col quarto, del quale parleremo nel seguente articolo. questo terzo Cassiodoro fu uomo anch'esso di merito distinto. Sotto il re Odoacre aveva egli sostenuto con onore due cariche, in que' tempi ragguaenchèrdevolissime, cioè quella di Conte dell'entrate private, equivalente a un di presso all'impiego di tesoriere generale; e poi l'altra di Conte delle regie donazioni, di cui era proprio d'invigilare sulla saggia distribuzione de' favori e delle liberalità del sovrano. Dopo la morte di Odoacre, seguita nel 493, ritiratosi in patria, si acquistò gran merito anche presso il nuovo re Teodorico, col aver indotti i Siciliani, benché non senza gran fatica, a riconoscerlo per sovrano. Quindi richiamatolo alla corte, gli conferì il governo de' Bruzi, e della Lucania, poi l'onorò del titolo di patrizio, e finalmente lo innalzò all'eminente carica di prefetto del Pretorio.
In qual anno cessasse di vivere, le troppo scarse memorie di que' tempi non ce lo dicono; bensì rilevasi da alcune lettere di Teodorico, quanto egli fosse contento di un tale ministro, in cui altamente commenda gli esempi d'ogni più bella virtù; anzi in alcune il monarca, pochi anni prima di sua morte, seguita nel 526, richiamavalo con premuroso inchieste alla corte, dalla quale convien credere che si fosse ritirato, o per l'avanzata età, o forse a motivo de' mutati costumi di Teodorico.
Marco Aurelio Cassiodoro, chiamato bene spesso Senatore, era figlio del precedente, nato circa il 480, e chiamavasi Senatore per soprannome, non per titolo di dignità, come molti hanno creduto. Quasi tutti gli scrittori antichi e moderni, lo hanno fatto una persona sola col suo genitore, ed a lui hanno attribuito tutte le cariche e dignità, di cui godè il padre, da noi sopra indicato col nome di terzo Cassiodoro.
Lo stesso oculatissimo Muratori, e dopo di lui i signori compilatori del Dizionario francese, non meno che gli editori dell'Enciclopedia stampata in Ginevra, e M. de Saint Marc nel suo Compendio dell'istoria d'Italia, sono caduti nello stesso errore. Il P. Siromondo fu il primo a saggiamente dubitarne; il cavalier Du Buat in una Memoria, inserita tra quelle dell'Accademia di Baviera, avvalorò maggiormente un tale dubbio; ed indi Tiraboschi ha dimostrato ad evidenza, che due dovettero essere al tempo del Re Teodorico i Cassiodori, impiegati alla corte, e che il Cassiodoro che ricevè da Odoacre e da Teodorico i soprannoverati gradi ed onori, non fu già il celebre letterato Marco Aurelio, ma bensì il di lui genitore. Tra gli altri argomenti, dedotti da varie enunciative e da molte incongruenze, basti il riflettere, che altrimenti Magno Aurelio avrebbe conseguite le accennate importanti cariche di Conte delle private entrate, e di Conte delle regie Donazioni in tenerissima età, poiché era egli nato nel 480, e Odoacre da cui furon conferite, morì nel 493. Questo Cassiodoro adunque, non cominciò ad aver impiego, che sotto Teodorico successore di Odoacre.
La prima carica, che conseguì mentre era ancora in età giovanile, fu quella di Questore del Sacro Palazzo, ed insieme l'uffizio di segretario, cioè di scriver le lettere e gli editti in nome del re; e vi ha ragionevole fondamento di credere, che non pria del 509 fosse promosso ai detti due impieghi. Gran favore e famigliarità acquistossi Cassiodoro colla sua rettitudine, col suo sapere e colle sue soavi maniere presso Teodorico, che però in progresso, alle altre cariche gli aggiunse la dignità di Maestro degli Uffizj del sacro palazzo, che noi ora diremmo gran Ciambellano, ed indi anche quella di console. Morto Teodorico, sempre maggiori saggi della sua saviezza e probità diede Cassiodoro nella massima parte ch'ebbe al governo del regno, e durante la reggenza di Amalasunta, madre del piccolo Atalarico, dichiarato successore, e sotto il breve regno, di questo giovinetto principe, dal quale fu innalzato alla sublime dignità di Prefetto del Pretorio.
Dopo una tal promozione Atalarico si esprime: quanvis habeas paternam Praefecturam (altro convincente argomento, che suo padre pure era stato prefetto del Pretorio, e che due furono i Cassiodori sotto il regno di Teodorico onorevolmente impiegati).
I barbari costumi de' Goti, che non volevano il loro re istruito nelle scienze, perché temevano che, divenendo egli letterato, non fosse stato guerriero, renderono inutili le cure ed i consigli di Cassiodoro per la buona educazione di Atalarico, il quale però abbandonatosi ad ogni specie di vizj, finì di vivere in età di soli 18 anni nel 534. Anche sotto Teodato, di lui successore, ritenne Cassiodoro le sue luminose cariche, e continuò a godere molto favore ed autorità.
Ma dopo due anni, si sconvolsero al maggior segno gli affari d'Italia, a motivo della venuta di Belisario, mandato con poderoso esercito dall'Imperatore d'Oriente; come altresì perché, ucciso Teodato per opera di Vitige suo generale, questi si era fatto innalzar al trono. Volle però Cassiodoro ritirarsi finalmente dai tumulti della corte. Quindi chiese il suo congedo dal nuovo re, che ancor egli avealo confermato ne' suoi impieghi, e di fatti si trovano anche alcune lettere scritte da Cassiodoro in di lui nome.
Questa ritirata di un tale ministro da tutti gli scrittori era sempre stata attribuita alla noja, in cui gli vennero i rumori e gl'impegni di corte, massime dopo sopraggiunte tante turbolenze, ed insieme ad un sincero desiderio, che, inoltrato negli anni, avea di goder la sua pace e di servir meglio a Dio.
La Variae costituiscono una raccolta di scritti di cose notevoli e mirabili. Si riporta la descrizione della fonte Aretusa come riportato da Girolamo Marafioti, che la sceglie come una delle meraviglie più strabilianti.
Tra le molte cose nobili di Calabria, che compendiosamente ho deliberato raccontare nel quinto libro, so che non minore luogo dell'altre terrebbe il fonte chiamato Aretusa,che nel convicino paese di Squillace si ritrova, ma perché la descrizione della predetta città fatta di sopra non è stata secondo la mente mia; ma solo secondo quello che nelle sue epistole lasciò notato Cassiodoro, per seguire anco la compita descritione del territorio scillacese, secondo l'istesso Cassiodoro, anco sa di mistiero in questo luogo raccontare l'essere, e le qualità mirabili del fonte Aretusa in quel modo che da Cassiodoro sono descritte. Scrive dunque egli nell'ottavo libro delle sue epistole una lettera a Servio Preposito, nella quale descrivendo il predetto fonte, con maraveglia parla di questa maniera.
Cum Niphandus vir sublimis, pro causis suis ad comitatum sacratissimum festinaret; itineris longinquitate confectus, animalia fessa reparare contendens, ad fontem Arethusae in Scillatico territorio constitutae, elegit ponere mansionem, eo quod et ipsa loca, et pasturarum ubertate fecunda sint, et inundatione aquarum pulchrescant.
Dopo, volendo scrivere le qualità del fonte, comincia prima a descrivere il campo nel quale lo stesso fonte nasce, e doppo l'essere del medesimo fonte, le cui parole porto nell'idioma volgare, come già ho fatto nell'altre scritture; perché bastami per testimonio del vero, l'aver riportato le sudette nell'idioma latino. Dice donque Cassiodoro: a pie' di quei colli convicini alla città di Squillace, sovra l'arene del mare, in un campo fertile, nasce un copioso fonte, a cui le verdi canne d'ogn'intorno, quasi bellissima corona cingono le ripe, è molto ameno, la cui amenità proviene parte dalle ombre che fanno le canne, e parte dalle mirabili virtù dell'acque stesse. Impero che quando tacito l'huomo al detto fonte s'accosta, e tacito viene a vedere l'acque del medesimo, ritrova quelle tanto placide, e chete, ch'a guisa d'un stagno, si vede il fonte senza moto veruno.
Ma se per sorte viene il petto humano dalla tosse ad essere commosso, overo con chiaro parlare a canto al fonte fa romore, non so da qual violenza l'acqua commossa, comincia subito discorrere, e'l gorgo dell'acqua, quasi gravemente dalla voce sbattuto comincia fortemente a bollire, come apunto una pigniata appresso il fuoco, dalle più ardenti fiamme infocata, e pare uno stupore mirabile, a vedere che l'acqua da niuno tocca, col solo strepito del corso voglia rispondere alle voci humane. E come se fossero l'acque dalle stesse voci provocate, par che per rispondere a quelle, con soave sussurro mormorino che vedere il fonte prima stare placido e tranquillo, e cheto, e doppo dall'humana voce muoversi, par vedere un animale che dorma dall'humane voci svegliato rispondere. Questo è quanto scrive Cassiodoro di questo mirabile fonte Aretusa.
Bibliografia
Articolo in pdf. Seconda parte
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