OP

Mezzoeuro

Luigi Lilio e la riforma del calendario

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 51 del 22/12/2012


Rende, 20/12/2012


Il più illustre cittadino di Cirò

La sua memori è legata alla riforma del calendario disposta dal Papa Gregorio XIII, cui diede la forma attualmente in vigore. La sua relazione fu consegnata alla Commissione di astronomi nominata ad hoc, nella quale erano presenti ben tre calabresi sui cinque membri di cui era costituita, dal fratello Antonio, per la sua prematura morte.

"Aloisio Lilio, come latinamente piacque ad alcuni di chiamarlo" è un illustre cirotano, il quale divide con il fratello Antonio il merito di aver riformato il calendario giuliano, introdotto da Giulio Cesare nel 46 A.C. sulla basa di uno studio dell'astronomo greco Sosigene di Alessandria, dandogli l'assetto definitivo tuttora in vigore. Questo è l'incipit della biografia scritta da Luigi Accattatis, il quale si dilunga a dimostrare che sia nato a Cirò, rifiutando decisamente che possa essere confuso con Zaccaria Lilio, illustre letterato vicentino vissuto nel XV secolo, non è neanche romano, vicentino o di oscuri natali.

Girolamo Marafioti, nativo di Polistena, vi dedica poche righe scrivendo della città di Cirò, sebbene nel 1601, anno di pubblicazione del suo famoso libro sulla Calabria, il personaggio doveva essere ancora molto conosciuto, bene essendo scomparso solo qualche decina di anni prima nel 1574. La Bolla del Papa Gregorio XIII è del 1581, con la quale viene promulgato il calendario. Parlando di Cirò afferma:

"In quella città fiorì Aloisio Giglio, & Antonio Giglio medici, & astrologi, li quali hanno ordinato 'l calendario gregoriano, per comandamento di Gregorio XIII, sommo Pontefice". Aloysius Lilius, scrive lo Zavarrone nella Bibliotheca calabra (1753) "Hic tabulas epactarum cyclum continentes concinnavit pro emendatione Calendarii Romani, quod postea gregorianum appellatum est".

Maggiore spazio vi dedica Giovan Francesco Pugliese nella "Descrizione ed istorica narrazione della città di Cirò", pubblicata nel di Giovan Francesco Pugliese a Napoli nel 1849, dove i fratelli Giglio, Alvise Balsassarre e Antonio, sono ricordati con una punta di orgoglio. Alvise è una forma corrotta di Aloysius, così come Lilio è la traduzione latina di Giglio.

Scrive il Pugliese. "Che se altri non avesse, basterebbero i soli Lilio a spanderle un lume che non può eclissarsi. Di costoro si è tanto scritto e disputato, che ormai superflua cosa sembrerebbe di qui parlarne; ma se le cose prospere ed avverse, luminose, o tetre della patria mia proposi di narrare, gran peccato mi s'imputerebbe se passassi oltre con una semplice citazione de' loro nomi illustri. Adempio dunque ad un dovere sacro, facendone breve biografia.

Nacquero in Cirò da onesti e poco agiati genitori i germani Alvise Baldassare, ed Antonio Lilio circa il 1510. Ebbero cura i genitori di avviarli entrambi nella via delle lettere, e dopo i rudimenti grammaticali secondo i ferrei metodi di allora si spinsero nella buona letteratura, e nella filosofia sotto il generoso lor concittadino Giovan Teseo Casopero. Circa al vigesimo anno si recarono nella Capitale entrambi appassionati degli studi fisici e matematici, e con particolarità versossi Alvise Baldassarre all'astronomia, ed Antonio alla medicina.

Ma le sostanze paterne non eran così prospere da secondare il genio che doveva farli immortali, ed Alvise ebbe un impiego presso il conte Garafa feudatario di Cirò. Così assicurava il mantenimento senza interrompere il corso de' suoi prediletti studii. Di ciò rese informato il suo precettore Casopero, il quale fervido amatore della letteratura ne fu poco contento, per cui gli rispose da Cirò il 27 gennaio 1532 la seguente risposta, nella quale dolcemente e paternamente lo sgridava, e lo consigliava a fuggire l'Aula del Principe, perché, ivi erano i germi della seduzione, che lo avrebbero sviato: lo consigliava a fuggirne ed a cercare altri mezzi onesti come poter convivere con uomini letterati, coltivar le scienze, ed acquistar fama senza troppo aggravar la famiglia".

Non si hanno notizie della sua vita, né della sua famiglia. L'Accattatis riporta le notizie tratte dal Grossi, Bibliografia Napolitana.

Questo felice ingegno nacque nella città di Cirò. Si rese egli immortale col progetto della riforma del calendario, eseguita nel 1582 sotto il Pontefice Gregorio XIII. La Bolla gregoriana, e gli scrittori tutti di quel tempo assicurano a lui la gloria di siffatta invenzione; ma egli non ebbe la sorte di vedere eseguito il suo memorando progetto, chè anzi prevenuto dalla morte non pote' offrirlo al Pontefice,a cui poscia lo rassegno il suo fratello germano Antonio Giglio. La grandezza e l'importanza dell'invenzone, che tanta gloria ha prodotto al suo autore e alla patria nostra, cui diede alla luce uomo si celebre, ci rende ardimentosi a ripetere un po' altro l'affare di cui si tratta. E noi così facendo ci lusinghiamo che possa riuscire di somma soddisfazione a coloro, che per avventura l'ignorano, e di non lieve compiacimento a quei che lo sanno, venendone ora a rinfrescare la memoria.

Ci lasciò scritto il Solino, che in Italia avanti la fondazione di Roma l'anno fosse di 13 mesi. È probabile, che in molti luoghi della stessa Italia, precisamente nei littorali abitati dai greci, l'anno fosse di mesi 12, com'era il costume di quella colta nazione, Sembra rilevarsi dal poeta di Sulmona, che anticamente nel Lazio e nei Sabini fosse l'anno composto di 12 mesi, de' quali gennaio consacrato a Giano era il primo, e febbraio consacrato agli dei dei morti l'ultimo. Romolo riformò l'anno in dieci mesi, e togliendo il primo e l'ultimo gli diede quest'ordine: Marzo, consacrato a Marzo, Aprile a Venere, Maggio ai maggiori, Giugno ai giovani, e gli altri li chiamò dal numero dell'ordine loro: Quintilis, Sextilis, fino a December. Marzo, Maggio, Quintile, Ottobre venivano composti di giorni trentuno. Gli altri di trenta. In tal modo tutto l'anno fu ridotto da Romolo in 304 giorni.

Numa Pompilio di origine sabina, vi riaggiunse gli altri due mesi, cioè Gennaro nel principio, e Febbraio in ultimo luogo. Dopo qualche tempo si pose Febbraro in primo luogo, e Gennaro all'ultimo. Finalmente Gennaio fu il primo mese, Febbraio il secondo, e seguitossi l'ordine che oggi abbiamo.

Numa volle adattare la sua riforma all'anno lunare. Quindi numerò diversamente i giorni dei mesi: a sette di essi, Gennaro, Aprile, Giugno, Sestile, Settembre, Novembre e Dicembre diede ventinove giorni: a Febbraio ventotto, e agli altri quattro trentuno. Credette quel re religioso, che tale fosse l'anno lunare composto di giorni 355; ma, al dir di Scaligero, riuscì quello di ore quindici e minuti sedici di più dello stesso anno lunare. Osservò Numa che l'anno solare era circa giorni undici più lungo del lunare: quindi acciò l'uno convenisse coll'altro, stimò che da due in due anni si aggiungesse tra il giorno 23 e 24 Febbraro un mese alternativamente composto di giorni 22 e 23- E questo mese fu chiamato Merhedinus, e da Plutarco Merhedonius, nome preso dalla Dea Mercedonia, perché in quel mese eran soliti di pagar le mercedi. Si conobbe però, che il supplemento alternativo del mese non era sufficiente. Quindi furono aggiunti altri 13 giorni, cioè sei nel mese di Luglio, quattro in Settembre, e tre in Novembre, chiamati pure dies Merhedini. La cura di eseguire tali intercalazioni fu demandata ai Pontefici, ma questi malamente eseguirono l'incarico loro addossato. Ecco perché ai tempi di Cesare, 668 anni dopo la riforma di Numa erasi ridotto ad una manifesta confusione. Egli dunque nell'anno 707 di Roma, come Pontefice Massimo cercò di riparare allo sconcio: adoperò l'astronomo alessandrino Sosigene e il romano Marco Flavio: abolì l'anno lunare; e vi sostituì l'anno solare, che compose di giorni 365 ed ore 6, e lo dispose per mesi, col giorno intercalare in ogni quadriennio, nel mese di Febbraio, come tuttora si pratica. Fu detto l'anno della confusione, per le tante intercalazioni, che si dovettero fare. E dall'anno appresso 708 di Roma di diede principio al Periodo Giuliano.

Ma il sole nel suo corso annuale impiega 365 giorni, cinque ore e minuti quarantanove: Giulio Cesare le contò per sei ore intere, quantunque il nostro Cicerone avesse sostenuto che vi era qualche cosa di meno alle ore sei. Quindi avvenne che la differenza di undici minuti, in progresso di tempo apportato avesse nuovo disordine. Difatti nel primo Concilio Niceno, l'equinozio di primavera anticipava dieci giorni, ma venne in quel Concilio emendato lo sconcio.

Nel 1582 ai tempi di Gregorio XIII i disordini si erano rinnovati e cresciuti; perciò oltre alle lagnanze degli oltramontani scrissero contro di questo disordine le migliori penne d'Italia. Quindi il gran Pontefice risolvette di riformare il calendario. Riuscirono vane tutte le operazioni e tentativi fatti dagli astronomi di quel tempo. Quando dagli estremi delle nostre Calabrie surse un genio, che a tutto rimediò con una operazione semplicissima. Progettò egli di togliersi dieci giorni nell'anno 1582; che il giorno susseguente alla festività di San Francesco, che cade ai 4 di Ottobre si contasse non come il quinto del mese ma come il 15 del mese, ed ottenne in tal modo, che l'equinozio di primavera, il quale con manifesto disordine sarebbe caduto agli 11 marzo, cadesse ai 21 dello stesso mese, com'era al tempo del primo Concilio Niceno. E per riparare in avvenire ad ogni altro simile inconveniente, progettò pure, che in ogni 400 anni si fossero tolti tre bisesti; e così lasciandosi correre il 1600 ch'era bisesto, non si fosse contato come bisesto il 1700, il 1800, ed il 1900, ma bensì il 2000; e quindi proseguendosi con tale metodo in avvenire. Il progetto fu esaminato da una Commissione de' migliori astronomi, fra i quali vi fu lo stesso Antonio fratello dell'inventore Luigi, e venne riconosciuto per eccellente. Fu subito approvato con Bolla pontificia, e la riforma seguì con successo, e rimase adottata in tutto il Cattolicesimo.

Gran laude adunque confessare deggiamo, che sia dovuta all'inventore Giglio, ed alla nostra patria".

"Logorata la sua salute dall'età presso che settuagenaria", prosegue il Pugliese, "e dalle profonde sue meditazioni fu in Roma sorpreso da grave infermità che lo trasse al suo termine. Antonio compagno ed erede del piano bello e fatto lo presentò. Il Papa istituì una congregazione di dotti astronomi per discutere tal piano: essi furono Il Cardinal Sirleto nativo di Stilo della nostra Calabria, Vincenzo Laureo nativo di Tropea anche nostro calabrese vescovo del Mondovì; il P. Domenicano Ignazio Danti da Perugia; ed il P. Cristofaro Clavio da Bamberga.

È bello anzi glorioso era il mirare che in una congregazione di cinque, tre, e se Aloisio viveva eran quattro figli di questa terra che produsse Filolao, discutere ragioni e calcoli, e coronare della loro approvazione il ben concepito e maturato sistema del nostro concittadino. Il Pontefice con bolla del 1 marzo 1582 approvò la riforma, e comandò di avere esecuzione, locché fu divulgato a 5 di quel maggio. Ed il calendario novello si disse Gregoriano, mentre anche potrebbe a tutta giustizia dirsi liliano, e come il cardinal Noris diceva Ciclo Ravennate, noi potremmo a giusta ragione dirlo cirotano".

Prosegue il Pugliese. "E l'accuratissimo Napoli Signorelli scrisse lo stesso nelle sue "Vicende della Letteratura delle Due Sicilie", aggiungendo solo che la congregazione degli Astronomi fu composta da:

  1. Cristofaro Clavio, gesuita di Bamberga;
  2. Pietro Giacomo Spagnuolo;
  3. Antonio Lilio di Cirò;
  4. Vincenzo Laureo di Tropea, Vescovo del Mondovì e poi di Perugia:
  5. Ed il Cardinal Sirleto;
  6. E che Giuseppe Moletti di Messina professore di Astronomia in Padova fu adoperato a distendere le tavole del Calendario.

Luigi Lilio non era compreso nel gruppo perché premorì all'esecuzione del suo progetto; ma anche il Pontefice nella Bolla di marzo 1582 ascrisse all'astronomo calabrese la gloria dell'invenzione:

Dum itaque nos quoque, credita nobis licet indignis, a Deo dispensatione freti, in hac cogitatione curaque versaremur, allatus est nobis liber a dilecto filio Antonio Lilio, artium et medicinae doctore, quem quondam Aloysius eius germanus frater conscripserat, in quo per novum quemdam epactarum cyclum ab eo excogitatum, et ad certam ipsius aurei numeri normam directum, atque ad quamcumque anni solaris magnitudinem accommodatum, omnia quae in kalendario collapsa sunt, constanti ratione et saeculis omnibus duratura, sic restitui posse ostendit ut kalendarium ipsum nulli umquam mutationi in posterum expositum esse videatur. Novam hanc restituendi kalendarii rationem, exiguo volumine comprehensam, ad christianos principes celebrioresque universitates paucos ante annos misimus, ut res quae omnium communis est, communi etiam omnium consilio perficeretur; illi cum, quod maxime optabamus, concordes respondissent, eorum nos omnium consensione adducti, viros ad kalendarii emendationem adhibuimus in alma Urbe harum rerum peritissimos, quos longe ante ex primariis christiani orbis nationibus delegeramus. Ii cum multum temporis et diligentiae ad eam lucubrationem adhibuissent, et cyclos tam veterum quam recentiorum undique conquisitos ac diligentissime perpensos inter se contulissent, suo et doctorum hominum, qui de ea re scripserunt, iudicio, hunc, prae ceteris, elegerunt epactarum cyclum, cui nonnulla etiam adiecerunt, quae ex accurata circumspectione visa sunt ad kalendarii perfectionem maxime pertinere.


Inter gravissimas pastoralis officii nostri curas

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