Si premette che con nota prot. 45/Segr. del 3 agosto 2010 e successiva nota prot. N. 50/Segr. Del 12 ott. 2010 (di riscontro alla nota prot. N. 770 del 31 agosto 2010 del Dipartimento “organizzazione del personale” della Regione Calabria), lo scrivente sindacato aveva già, a suo tempo, segnalato agli organi competenti (con espressa diffida e messa in mora) una serie di illegittimità ed irregolarità inerenti il reclutamento dall’esterno di personale per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti nell’ambito della dotazione organica della Giunta della regione Calabria, poiché effettuate sulla base della Deliberazione della Giunta Regionale (D.G.R.) della Calabria n. 440 del 7 giugno-12 luglio 2010, adottata in violazione dei principi stabiliti in materia di reclutamento e di accesso al pubblico impiego ed agli incarichi dirigenziali, assumendo provvedimenti di nomina e stipulando i relativi contratti anche in favore di soggetti privi dei requisiti di legge per il conferimento di un incarico dirigenziale esterno ovvero per assumerli in posizione di comando.
In particolare, per alcuni soggetti i concreto comandati, appartenenti all’Albo dei Segretari Comunali e al personale delle Prefetture, si è verificato un “anomalo” e illegittimo “avanzamento di carriera”, che ne ha consentito il transito dalla qualifica di funzionario direttivo a quella di dirigente, senza alcun concorso ed in violazione delle disposizioni legislative in materia di accesso al pubblico impiego disciplinato dal D.Lgs. n. 165/2001 (con riferimento alla dirigenza).
Già in precedenza, con nota prot. N. 39/Segr. del 16 giugno 2010, questo sindacato, tra l’altro, richiamava l’attenzione sul vincolo al rispetto dei principi stabiliti dagli artt. 19 (commi 1, 5-bis e 6) e 23 (comma 2) del D.Lgs. n. 165/2001, come modificati e integrati dal D. Lgs. N. 150/2009, che fissano i limiti massimi della dirigenza per soggetti “esterni” con contratto di diritto privato ed al 5% della dotazione organica della dirigenza per dirigenti di altre amministrazioni in posizione di comando, distacco o fuori ruolo, ponendo l’Amministrazione regionale in condizione di non poter ignorare l’esistenza e le modalità di applicazione della novella apportata dalla cd. “Riforma Brunetta”.
Con successiva nota prot. N. 65/Segr. del 22 novembre 2010, nel perdurare della situazione di grave illegittimità ed abuso da parte della Giunta Regionale e dei dirigenti preposti del dipartimento “Organizzazione del Personale” della Regione Calabria, questo sindacato presentava regolare esposto-denuncia alla Procura della Repubblica di Catanzaro, ed alla Procura regionale presso la Sezione Giurisdizionale per la Calabria della Corte dei Conti, informando il Presidente della Regione, l’Assessore al Personale e il Dirigente Generale del Dipartimento “Organizzazione e Personale” il ministro p.t. per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, nonché la Ragioneria Generale dello Stato (S.I.F.P.). In detto esposto venivano puntualmente evidenziate le illegittimità perpretate e continuate da parte della Regione e, in particolare, con riferimento alla violazione dell’art. 19, commi 5, 5-bis, 6. 6-bis e 6-ter del D.Lgs. n. 165/2001 e s.m.i., venivano espressamente segnalati i nominativi dei soggetti privi dei requisiti di legge per il conferimento dell’incarico dirigenziale esterno o in posizione di comando, nonché si evidenziava l’abbondante sforamento dei limiti percentuali di legge degli incarichi dirigenziali “esterni” e dei comandi, direttamente vincolanti per la regione in quanto stabiliti con norma dello Stato (art. 19 citato) adottato in materia di “ordinamento civile”, come confermato dalla Sentenza C. Cost. 3-12 novembre 2010, n. 324, richiamata nell’esposto-denuncia. Inoltre, nello stesso esposto-denuncia, per motivi suddetti, venivano indicate alla Procura della Repubblica di Catanzaro le ipotesi di reato di cui agli art. 323, 416 e 479 c.p.
Nonostante quanto sopra, la Giunta della Regione Calabria e il relativo Dipartimento “Organizzazione e Personale”, omettendo di uniformarsi alle pronunce della Consulta, della Corte dei Conti ed al dettato normativo della legge dello Stato, hanno posto in essere una serie di ulteriori provvedimenti, continuando a perpetrare le medesime illegittimità, con grave violazione di legge sanzionabile a norma dell’art. 126 della Cost.
In particolare occore segnalare quanto segue:
La giunta regionale ha adottato la delibera n. 339 del 22 luglio 2011, con la quale fissava i criteri di valutazione per l'affidamento degli incarichi dirigenziali ex art. 19, commi 1-bis, 5, 5-bis e 6 del D.Lgs. n. 165/2001), bensì ponendo in essere criteri e parametri irrispettosi del principio di trasparenza, arbitrari e comunque totalmente disancorati dalle previsioni delle norme dello Stato, che rientrando nella materia dell'ordinamento civile (disciplina del lavoro alle dipendenza della P.A.) ex art. 117, comma 2 Cost., è nella potestà legislativa esclusiva dello Stato e, come tale, è norma inderogabile e vincolante per tutte le amministrazioni, ivi incluse le regioni a statuto ordinario.
La stessa giunta ha illegittimamente ed immotivatamente recovato alcuni incarichi dirigenziali a dirigenti di ruolo, in violazione delle ipotesi tassativamente stabilite dall'art. 21, comma 1, secondo periodo, del D.LGs. n. 165/2001, rioccupando i medesimi posti con personale esterno o in posizione di studi e ricerche e, in altri casi, in incarichi dirigenziali di minore rilevanza. Il tutto è avvenuto senza alcuna procedura concorsuale o valutativa, senza considerare che alcuni dei soggetti nominati avevano (ed hanno) minori requisiti e titoli rispetto agli esterni, peraltro, continuando a non tenere conto del già avvenuto superamento dei limiti percentuali per l'assegnazione di incarichi dirigenziali esterni o in posizione di comando.
Sempre la giunta e il dipartimento “Organizzazione e Personale” della regione Calabria, sulla base della citata delibera n. 339/2010, hanno proceduto a indire (con delibere n. 339 del 31 maggio 2011, n. 276 del 21 giugno 2011 e n. 295 del 12 luglio ed altre successive) una serie di avvisi di mobilità interna per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti con personale di ruolo, senza tuttavia dare formale ed adeguata pubblicità e congrui termini per la partecipazione (da un minimo di 7 a un massimo di 19 giorni, senza pubblicazione neppure sul bollettino ufficiale) e ai quali, dopo sommaria valutazione, falsamente ed arbitrariamente è stata attestata l'inidoneità delle professionalità interne, al solo scopo di avviare, previa revoca delle selezioni di mobilità interna, altre procedure rivolte all'assunzione diretta di personale esterno (cfr. delibera 2 novembre 2011, n. 466, adottata in assenza del previsto parere di regolarità amministrativa; Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 149 del 16 settembre 2011), o alla selezione di personale di altre amministrazioni per posizioni di comando (cfr. delibera 26 aprile 2012, n. 171), anche stavolta senza darne alcuna pubblicità sul Bollettino Ufficiale della Regione o sulla G.U.R.I. e con termini del tutto inadeguati (appena 7 giorni, dalla pubblicazione sul sito istituzionale ed in area non pertinente). In proposito, la DIRER, con nota prot. 56/Segr. del 9 luglio 2011, rimasta senza riscontro, evidenziava ai competenti organi dell'Amministrazione che:
1) La mobilità del personale della P.A. (sia essa interna, sia esterna), è attualmente disciplinata in via quasi esclusiva, dall'art. 30 n. 165/2001, come modificato dall'art. 49 del d.lgs n. 150 del 2009, disciplina che vincola indistintamente tutte le amministrazioni pubbliche, come ha avuto modo di chiarire la Consulta (con sent. n. 324/2010), in quanto va ricondotta “alla materia dell'ordinamento civile” riservata dall'art. 117, comma 2, lett. m), Cost. alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, e non già a materie di competenza concorrente o residuale delle regioni, ovvero all'organizzazione amministrativa degli altri enti pubblici.
2) Il comma 2 dello stesso art. 39, D.Lgs. n. 165/2001, rinvia la regolamentazione della materia alla contrattazione collettiva, essendo espressamente previsto che “i contratti collettivi nazionali possono definire le procedure e i criteri generali per l'attuazione della mobilità volontaria, pertanto, in attesa della contrattazione nazionale, non può omettersi di fare precedere gli avvisi da una fase contrattuale o, quantomeno concertativa, in sede di contrattazione decentrata.
3) Non è dato rinvenire, nell'avviso di “interno per la procedura di conferimento dell'incarico di settore e di servizio” (ossia di mobilità interna), alcun richiamo ai titoli e requisiti necessari per ricoprire i posti disponibili ovvero a regolamenti o criteri e modalità di valutazione comparativa di requisiti e titoli e di formazione di eventuali graduatorie, secondo quanto stabilito dal comma 1, dell'art. 30 del D. Lgs, n. 165/2001, limitandosi al mero richiamo all'art. 19, comma 1-bis del D. Lgs. n.165/2001, come modificato ed integrato dal D.Lgs. n. 150/2009, e non anche il riferimento a criteri di scelta (art. 30 D.Lgs. 165/2001), che risultano essere ormai inderogabili, come ha avuto modo di chiarire da ultimo la Consulta con il pronunciamento n. 108 del 1 aprile 2011, al quale la fattispecie degli incarichi in oggetto deve fare espresso riferimento, ancorchè rivolti a personale interno. Inoltre, non si fa riferimento neanche al regolamento sulla mobilità interna, a suo tempo approvato dalla Giunta regionale e del quale questo sindacato ha fornito copia alla Dirigenza della regione in occasione del tavolo di concertazione del mese di febbraio/marzo 2012, allora vigente ancorchè disatteso dal competente settore del Dipartimento “Organizzazione e Personale” della regione.
4) Non è dato rinvenire nell'elenco, dei posti da conferire mediante le predette procedure, quelli che risultano non ancora ricoperti e quelli dei dirigenti nominati con contratto esterno, per i quali questo sindacato ha segnalato e denunciato il superamento del limite massimo dell'8% stabilito dall'art. 19, commi 6 e 6-bis, D.Lgs. n. 165/2001 (per complessivi massimi 13 posti riservati su un organico di 164 posizioni dirigenziali), anch'esso limite inderogabile in quanto fissato dalla legge dello Stato ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. l), Cost. (in quanto materia afferente l'ordinamento civile) e la presenza di soggetti privi di requisiti di legge per ottenere il conferimento delle funzioni dirigenziali, ed i cui incarichi e contratti accessori (tutti) devono ritenersi nulli di diritto, proprio per effetto delle richiamate sentenze della Corte Cost. Ed anche delle sentenze della Corte dei Conti a Sezioni Unificate n. 12-13-14 dell'8 marzo 2011 ed altre pronunce e pareri, ben note all'amministrazione regionale ed ai dirigenti del dipartimento della regione, poiché tutti conferiti successivamente all'entrata in vigore del D.Lgs. 150/2009 (14 nov. 2009) ed in violazione delle norme ivi contenute, con l'aggravante della dichiarazione, in atti, dei dirigenti proponenti, della inesistenza all'interno dell'ente di professionalità tali da ricoprire i posti conferiti agli esterni, al solo scopo di favorire l'adozione di provvedimenti rivolti al reclutamento all'esterno (tale da far sorgere il sospetto della presenza di un preordinato ed articolato disegno criminoso in concorso fra loro).
Lo scrivente sindacato DIRER, con successive note del 25 luglio 2011, prot. 62/segr. E del 3 settembre 2011, prot. 69/segr., dirette agli organi della regione, dapprima formulava una serie di dettagliate osservazioni alle deliberazioni della Giunta Regionale n. 276 del 21 giugno 2011 e n. 295/2011 e dei connessi e conseguenti avvisi di mobilità interna del 21 luglio 2011 e successivi, adottati dal dipartimento “Organizzazione e personale” e pubblicati sul sito web istituzionale delal regione Calabria, e successivamente diffidava la stessa, denunciando la palese violazione delal vigente normativa in materia di affidamento degli incarichi dirigenziali e ulteriori gravi illegittimità determinate dalla regione Calabria, poiché le decisioni assunte con le delibere citate, altro non sono che veri e propri vincoli, posti in essere al solo scopo di subordinare e condizionare l'intera procedura all'insindacabile decisione dei dirigenti generali dei dipartimenti (di appartenenza e di destinazione del dirigente interessato), mediante le previsioni di un generico parere non motivato e, conseguentemente, all'insindacabile volontà e discrezione del Presidente della Giunta, del quale i dirigenti generali sono espressione, poiché nominati “intuitu personae” proprio da quest'ultimo, con rapporto fiduciario vincolante.
Nonostante le osservazioni e la denuncia di irregolarità e di illegittimità delle procedure formulate dal Sindacato DIRER, l’Amministrazione regionale, a suo dire “in adempimento a quanto previsto dall’art. 19, comma 1-bis e 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001”, sulla base della disposizione di cui alla delibera della giunta regionale n. 276 del 21 giungo 2011, ha disposto ulteriori avvisi di procedura rivolti a dirigenti esterni appartenenti ad altre Pubbliche Amministrazioni, per la presentazione della candidatura finalizzata al conferimento delle funzioni dirigenziali, per i quali la medesima giunta regionale, a conclusione dell’istruttoria di mobilità interna, non ha ritenuto conferire gli incarichi a dirigenti interni.
In proposito, peraltro è assai singolare che il dipartimento “Organizzazione e personale” con a nota prot. 82992/SIAR del 5 agosto 2011 invitava tutti i dirigenti generali di dipartimento di appartenenza, dei dirigenti interessati alla mobilità, ad esprimere entro un termine perentorio, il parere a destinare gli stessi dirigenti ad altro incarico, ed ancora più singolare l’espresso avviso che il decorso infruttuoso del termine indicato sarebbe equivalso a parere non favorevole”, determinazione in palese violazione delle disposizioni di cui all’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modifiche ed integrazioni.
Peraltro, già nella nota del 25 luglio, prot. 62/Segr., questo sindacato aveva paventato un comportamento strumentale, fazioso e non conforme, posto in essere dall’amministrazione regionale, con l’avallo dei dirigenti del dipartimento “Organizzazione e personale”, cosa in concreto verificatasi poiché sia nelle delibere della giunta regionale, sia negli avvisi, non è dato riscontrare elementi probatori di effettiva e puntuale applicazione dell’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, più volte richiamato, e dei criteri di scelta previsti dal successivo comma 1-bis, del medesimo articolo. In altri termini una vera “farsa strumentale finalizzata a dare copertura ad incarichi compiacenti, adottati in favore di … amici, parenti, portaborse, compagni di partito e sostenitori politici” oltre ogni regola di diritto ed anche in eccesso al limite dell’8% della dotazione organica complessiva dei dirigenti, entro il quale è possibile conferire incarichi di funzioni dirigenziali a soggetti esterni, abbondantemente superato e non ripristinato entro i predetti limiti, nonostante le pronunce della Corte Costituzionale con le sentenze n. 324/2010 e n. 108/2011 e della Corte dei Conti a sezioni unificate con le pronunce n. 12, 13 e 14 dell’8 marzo 2011, tale da poter ritenere configurabili, a carico del Presidente della Regione, le condizioni previste dall’art. 126, comma 1 della Costituzione.
Rileva, inoltre, che il limite del 3% dei “comandati” di cui all’art. 10.bis della legge regionale 11 agosto 2004, n. 18, richiamati negli atti della regione, risulta già coperto con altro personale attualmente in servizio, ancorchè tale norma debba ritenersi parzialmente abrogata dai pronunciamenti della Corte Costituzionale in materia di accesso al pubblico impiego e di potestà legislativa esclusiva, in materia di ordinamento civile, riservata allo Stato.
A quest’ultimo proposito, se le informazioni assunte da questo sindacato corrispondono al vero, sembrerebbe che la giustificazione addotta dall’Amministrazione regionale nei confronti della Procura della Repubblica di Catanzaro, con l’intento di forviare l’attenzione in ordine al procedimento penale R.G.N.R. 117/2011, circa il superamento della percentuale di dirigenti esterni incaricati e quella dei comandi sarebbe che tale ultima percentuale vada computata sul totale della dotazione organica del personale regionale, di qualsiasi qualifica e categoria, e non limitatamente alla sola dotazione organica della dirigenza, come stabilito dalla legge.
Tale giustificazione è ictu oculi falsa, assurda, tendenziosa e fuorviante, dal momento che l’art. 10 bis, comma 1, della Legge Regionale 11 agosto 2004, n. 18 recante “Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario” (pubblicato sul BUR Calabria n. 15 del 16 agosto 2004, supplemento straordinario n. 1), laddove applicato (ancorchè implicitamente abrogato dal d.lgs. n. 165/2001 come modificato dal d.lgs. 150/2009) stabilisce che “in deroga alla legge regionale 7 agosto 2002, n. 31, per motivate esigenze e/o per particolari professionalità, è consentito procedere a comandi e/o trasferimenti di personale proveniente da altri enti pubblici nel limite massimo del 3% delle dotazioni organiche del Consiglio e della Giunta regionale, con precedenza alle unità lavorative che abbiano prestato o siano i servizio, a qualunque titolo, presso il Consiglio o la Giunta regionale medesimi”, ma in proposito va tenuto presente che per la corretta applicazione della norma, considerato che, ai sensi dell’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001 la regione deve “attenersi” e non “adeguarsi” alle norme ivi contenute (ossia è tenuta a “rispettare le norme dello Stato” e non ad “adattare” le norme statali al proprio ordinamento) è evidente che occorre tenere distinte non solo “due” dotazioni organiche (una per la Giunta e una per il Consiglio), bensì diverse dotazioni organiche (una per il comparto o una per la dirigenza) per ciascuna delle due separate amministrazioni della regione.
A conferma di ciò rileva che, ai sensi dell’art. 19, comma 5-bis, del dl.lgs. n. 165/2001 e s.m.i. , gli incarichi dirigenziali “possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, entro il limite del 10% della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all’art. 23 e del 5% della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, anche a dirigenti non appartenenti ai ruoli di cui al medesimo articolo 23, purchè dipendenti delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, ovvero di organi costituzionali, previo collocamento fuori ruolo, comando o analogo provvedimento secondo i rispettivi ordinamenti”, per cui, ammesso e non concesso che la richiamata norma regionale non sia da considerare abrogata ed intenda solo “adeguare l’ordinamento regionale ai principi espressi dalla legge dello Stato”, in ogni caso i principi espressi dalla legge dello Stato sono due:
1. che per l’affidamento degli incarichi dirigenziali a soggetti in posizione di comando il limite percentuale non può essere superiore al 10% dei dirigenti diprima fascia ovver a 5% di quelli di seconda fascia (o, come chiarito dalla Corte dei Conti, comunque non superiore al 5% per gli enti che hanno un’unica fascia dirigenziale come le regioni e gli enti locali) e dunque la regione può ben determinare una percentuale inferiore (il 3% nel caso di specie), essendo la percentuale definita dalla legge dello Stato il “tetto massimo” e la norma regionale una ulteriore limitazione imposta al proprio ordinamento;
2. che la percentuale suddetta si calcola sulla base della “dotazione organica della dirigenza” e non su quella di tutti i dipendenti delll’ente (altrimenti, per assurdo, sarebbe ipotizzabile procedere alla copertura di tutti i posti di dirigente con soggetti in posizione di comando) eludendo il reclutamento mediane procedure concorsuali.
Ne consegue che laddove la regione insista a ritenere vigente l’art. 10-bis, comma 1, della legge regionale 11 agosto 2004, n. 18, allora la percentuale di comandati non può superare il 3% della dotazione organica della dirigenza regionale, ma se così è lo sforamento del limite percentuale si rivelerebbe ancora più grave.
Ancora, con delibera n. 255 del 22 maggo 2012, la Giunta della regione Calabria presentava al Consiglio regionale una proposta di legge regionale (iscritta al n. 340 1° e 2° Commissione Consiliare) che, in violazione di norme sull'accesso alla dirigenza pubblica stabilite dalla legge dello Stato, aggiunge allrt. 29 della Legge Regionale n. 7/1996 i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, con i quali rispettivamente:
1) Introduce la disciplina per una nuova procedura di "corso-consorso" selettivo per l'accesso alla dirigenza della Regione Calabria, demandando alla Giunta l'adozione di un regolamento che regola la "modalità di ammissione" al corso-consorso stesso e affidando contestualmente alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione l'attuazione della procedura, in forza della stessa legge regionale e non con accordo tra amministrazioni, la qual cosa è illegittima, non avendo la regione alcuna potestà normativa in materia;
2) dispone la copertura finanziaria del corso-concorso di cui alla proposta di legge regionale attingendo alle risorse del POR Calabria FSE 2007/2013 Asse VII, in totale violazione delle norme sull'affidamento dei servizi disciplinato dai vigenti regolamenti comunitari, palesando altresì l'assoluta transitorietà del provvedimento e l'oggettiva impossibilità di realizzare la procedura concorsuale in questione, stante il blocco delle assunzioni fino al 2014 e la possibilità di impegnare fondi del suddetto POR successivamente alla data del 31 dicembre 2013;
3) impone l'applicazione della procedura concorsuale testé proposta al Consiglio regionale ed agli enti sub-regionali aventi natura di P.A., nel limite massimo del 50% dei posti disponibili, laddove, al contrario, la Giunta ha mera "facoltà" di adottare tale procedura; il tutto in palese contrasto e difformità dalla legge dello Stato (in particolare art. 28 d.lgs. n. 165/2001) ed in assenza della potestà legislativa in materia (rimessa univamente allo Stato, ex art. 117, comma 2, Cost., trattandosi di "Ordinamento civile" come chiarito da numerose sentenze della Consulta).
Peraltro, rileva che l'art. 29 della Legge Regionale n. 7/1996 è da intendersi implicitamente abrogato dal combinato disposto degli artt. 1 (comma 3) e 28 del D.Lgs. n. 165/2001, che prevede che le regioni si "attengono" alle norme ivi contenute (e, dunque, si applicano direttamente) essendo norme di "Ordinamento vicile", di natura "imperativa" ed "inderogabile" come da ultimo chiarito dal D.Lgs. n. 150/2009, con la conseguenza che la Giunta, nell'adottare la proposta suesposta, ha commesso una ulteriore gravissima violazione di legge sanzionabile a norma dell'art. 126 Cost.
I due casi specifici, tra l'altro, (nomina dottoressa Alessandra Sarlo a Direttore generale del Dipartimento “Controlli” e nomina del dott. Prampolini Franco a dirigente del Settore “Attività produttive”, l'Amministrazione regionale:
1)nel primo caso, con estrema celerità ed efficienza, ha creato ad hoc un Dipartimento “Controlli” precedentemente inesistente, ha illegittimamente dichiarato privi di requisiti ben tre dirigente interni (dei 9 partecipanti alla selezione) che avevano già espletato funzioni dirigenziali di livello generale e i cui curricula, da un esame comparativo, risultano di gran lunga assorbenti e più adeguati per titoli, professionalità ed esperienza, rispetto a quella della persona in concreto nominata, procedendo, quindi (cfr Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 149 del 16 settembre 2011), alla nomina della dottoressa Sarlo (moglie del dott. Vincenzo Giuseppe Giglio, magistrato del tribunale di Reggio Calabria, attualmente agli arresti per fatti noti alla magistratura ed alle cronache) in soprannumero rispetto ai limiti percentuali, per gli esterni e i comandati, già raggiunti e abbondantemente superati in precedenza, nonché assegnandole tale incarico in posizione di comando, laddove per la dirigenza Generale il combinato disposto dagli artt. 25 e 26 della Legge regionale n. 7/1996 stabilisce tassativamente che l'unica tipologia di rapporto ammessa, per la copertura dei posti di dirigenza generale, è il “contratto di diritto privato”, con collocamento fuori ruolo per i dipendenti della P.A., ed anche a carico degli stessi dirigenti di ruolo dell'Amministrazione regionale (dunque fattispecie rientrante sempre e comunque nell'art. 19, comma 6, del D.lgs. n. 165/2001 e s.m.i. - esterni – e non in quella del precedente comma 5 – comandati – dimostrando il tal modo la messa in atto di un organico ed unitario disegno criminoso, atto a condizionare l'attività dell'amministrazione, al solo scopo di conferire illegittimamente l'incarico a suddetta persona. In proposito, con noto prot. n. 87/Segr. Dl 23 novembre 2011, questo sindacato, nel segnalare le ulteriori illegittimità in materia di personale non di ruolo della regione Calabria, aveva intimato (senza esito) l'annullamento in autotutela della procedura e della nomina stessa, richiamando anche il contenuto delle proprie precedenti note.
2)Nel secondo caso, sono stati illegittimamente esclusi (con la stessa metodica) i dirigenti interni, mentre il dott. Prampolini, esaminato dall'apposita commissione di valutazione, è stato dichiarato privo dei requisiti, ma, nonostante ciò, l'Assessore al personale Domenico Tallini proponeva l'atto di nomina alla Giunta che ha proceduto al conferimento dell'incarico senza la sussistenza dei presupposti di legge e senza alcuna motivazione (un vero e proprio uso privato della cosa pubblica).
Ancora più grave, per violazione di legge, si palesa la situazione che riguarda la riassunzione dell'Avv. Valeria Fedele e del dott. Giorgio Margiotta in qualità di dirigenti esterni, per i quali, il sindacato, con nota prot. n. 087/2011, aveva già segnalato e denunciato l'assoluta carenza di requisiti e titoli minimi per l'affidamento di incarico e funzioni dirigenziali.
In proposito, con la delibera n. 466 del 2 novembre 2011, adottata su proposta diretta dell'Assessore al personale Domenico Tallini, in assenza del prescritto parere di regolarità amministrativa, la Giunta ha riassunto i predetti soggetti ulteriormente aumentato il numero di dirigenti esterni, inseriti nella propria struttura organizzativa, aggravando lo stato di persistente e conclamato superamento dl limite massimo dell'8% della dotazione organica della dirigenza che l'art. 19, commi 6 e segg., D.Llgs. n. 150/2009, ha stabilito come tetto massimo ai contratti dirigenziali esterni.
Peraltro, la suddetta deliberazione sembra essere stata adottata sulla scorta del parere del Comitato di Consulenza giuridica della Giunta regionale, poiché lo stesso viene assunto e fatto proprio dalla Giunta regionale come parte integrante e sostanziale del medesimo atto. Il parere, sottoscritto dall'Avv. Alfonso Mezzotero dell'avvocatura distrettuale dello Stato di Catanzaro, il quale, in qualità di relatore del suddetto comitato, pronunciandosi in maniera assai parziale, si è limitato ad esaminare e trattare il solo aspetto delle durata del contratto, di fatto accogliendo pressoché in maniera acritica le osservazioni presentate in via stragiudiziale dai legali di parte dei sig.ri Margiotta e Fedele.
Invero, non solo il suddetto componente il Comitato di Consulenza giuridica, ma anche tutto il Comitato di Consulenza giuridica della Giunta regionale, prima ancora di esaminare la validità della singola clausola contrattuale, che limitava a un anno la durata dell'incarico (anziché i tre minimi previsti dalla legge), avrebbero dovuto esaminare la validità degli stessi atti e contratti in cui detta clausola era contenuta, giacché, essendo stati stipulati quando le nomine di direttori generali della regione erano già intervenute, e dunque quando ormai il tetto dell'8% di dirigenti esterni era ormai esaurito, gli stessi si palesano integralmente nulli per contrasto con la disposizione imperativa di legge di cui all'art. 19 comma 6, del D.Lgs. n. 165/2011, che dispone chiaramente tale tetto alla dirigenza pubblica, poiché gli interessati risultano privi dei requisiti di legge per l'accesso all'incarico e lo svolgimento di funzioni dirigenziali, nonché assunti intuitu personae e senza alcuna procedura selettiva pur non essendo dirigenti apicali di nomina fiduciaria, come più volte fatto presente dal sindacato DIRER, anche con il citato esposto-denuncia.
Tale omissione e parziarietà si rivela ancor più grave se si tiene conto della circostanza che il parere è rilasciato da un avvocato dello Stato, che si contrappone nella sostanza alle tesi propugnate con forza dall'Avvocatura dello Stato a difesa dell'interesse nazionale e più volte accolte dalla giurisprudenza, anche costituzionale, in particolare, da ultimo, con la sentenza della Corte Costituzionale n. 124 del 3-12 novembre 2010, ma anche con la sentenza n. 108 del 1 aprile 2011 della stessa Corte Costituzionale, riguardante la legge regionale 26 febbraio 2010 n. 8, con il che si palesa che: o il parere sarebbe da ritenere manipolato politicamente (cosa ampiamente sospettabile), oppure che l'estensore non ha tenuto la necessaria diligenza poiché rientra nel dovere di diligenza dell'avvocato medio non solo l'esame della specifica questione indicata dal committente (Giunta regionale), ma altresì, il dovere di informare il committente nel modo più completo ed esaustivo circa tutte le implicazioni giuridiche inerenti la vicenda al suo esame e le soluzioni prospettabili, dopo di che spetta al committente decidere quale percorso seguire e se avviare o desistere da un'azione, tenuto conto altresì che il dovere di informazione deve accompagnare il rapporto professionale in tutte le sue fasi al fine di porre il committente sempre nella posizione di piena consapevolezza.
Nel rendere il parere richiesto, tanto l'estensore quanto il Comitato di Consulenza Giuridica, infatti, avevano anche il dovere di effettuare un diligente studio del caso e di informare il proprio committente in modo da metterlo in condizione di assumere le decisioni sulla vicenda più opportune e rispettose della legge, con la conseguenza che l'aver omesso di rilevare la palese nullità totale dei contratti dirigenziali de quo, nozione che rientra nella perizia e capacità professionale dell'avvocato medio, ha comportato l'inadempimento contrattuale del legale in relazione alla richiesta di parere che ha altresì cagionato danno erariale costituito dalla spesa che la regione si è accollata per il pagamento degli stipendi a seguito della riassunzione, oneri che non sarebbero mai stati sostenuti laddove, usando l'ordinaria diligenza, l'estensore (avv. Mezzotero) avesse rilevato la nullità degli originari provvedimenti di affidamento degli incarichi e dei contratti accessori, alla stregua dei suoi colleghi romani che hanno assistito la Presidenza del Consiglio dei Ministri nei giudizi innanzi alla Consulta avverso diverse leggi regionali (compresa quelle della Calabria) riguardanti l'argomento.
Da ultimo, rileva che con la sentenza del novembre 2011, n. 310, la Corte Costituzionale ha, tra l'altro, dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 15 della legge della regione Calabria 29 dicembre 2010, n. 34. In particolare, detto articolo (il quale stabiliva che “per eccezionali ragioni di continuità nell'azione amministrativa restano validi gli incarichi dirigenziali conferiti, per la copertura dei posti vacanti. In data anteriore al 17 novembre 2010, ai sensi dell'articolo 10, commi 4 e 4-bis e 4-ter, della legge regionale 7 agosto 2002, n. 31 nonché i conseguenziali effetti giuridici”) era stato impugnato dal Presidente del Consiglio dei Ministri per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto tale norma si poneva in contrasto con l'art. 40, comma 1, lettera f) del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150. Ebbene, secondo la Consulta, la norma regionale impugnata è costituzionalmente illegittima, poiché l'art. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dal D.Lgs. n. 150/2009, al comma 6-ter, dispone che i commi 6 e 6-bis si applicano alle amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del medesimo decreto e dunque anche alle regioni. Tale norma non è derogabile dalle regioni trattandosi di regolamentazione di fattispecie “riconducibile alla materia dell'ordinamento civile di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost, poiché il conferimento di incarichi dirigenziali ai soggetti esterni, disciplinato dalla normativa citata, si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato”, come peraltro già statuito con la sentenza C. Cost. n. 324 del 3-12 novembre 2010, dovendosi ivi comprendere anche tutto ciò che attiene la “durata massima dell'incarico e, dunque, anche del relativo contratto di lavoro”.
Con riguardo ad una delle succitate pronunce, va sottolineato che con la sentenza della Corte cost. n. 108/2011, veniva dichiarata l'illegittimità costituzionale, tra l'altro, dell'art. 16, comma 2, della Legge Regionale della Calabria n. 8/2010, in forza della quale “I dipendenti in servizio al 1 gennaio 2010 in posizione di comando presso gli uffici della Giunta regionale proveniente da enti pubblici, che abbiano maturato in tale posizione almeno quattro anni di ininterrotto servizio, sono trasferiti, a domanda, nei ruoli organici della Regione, nei limiti della dotazione organica prevista nella programmazione triennale del personale e delle risorse disponibili. Dal trasferimento è escluso il personale in atto comandato ai sensi delle leggi regionali 13 maggio 1996, n. 7 e 26 maggio 1997, n. 8 e s.m.i. Alla relativa copertura finanziaria si provvede con le risorse allocate all'UPB 1.2.01.01 dello stato di previsione delle spese di bilancio 2010, evidenziando che tale norma autorizzava la stabilizzazione di tutto il personale comandato da più di quattro anni, senza limitazioni percentuali e senza predeterminazione dei requisiti attitudinali, con ciò violando il principio dell'accesso agli uffici pubblici mediante pubblico concorso, di cui all'art. 97 Cost. (anche con riferimento al necessario carattere aperto dello stesso), sia per l'assoluta irragionevolezza della disparità di trattamento che si veniva a creare tra soggetti sostanzialmente nella medesima posizione giuridica e differenziati solo per la mera circostanza fattuale di prestare servizio presso un ufficio piuttosto che presso un altro (la Giunta, piuttosto che il Consiglio regionale), in violazione dl principio di cui all'art. 3 della Cost.
Sempre con la medesima sentenza della Corte Cost. n. 108/2011, veniva dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, commi 1, 3, e 5 della L.R. n. 8/2010 che, in sintesi, disponevano illegittimamente la trasformazione ex lege del rapporto di lavoro del personale stabilizzato (ex LSU/LPU) assunto a tempo indeterminato alle dipendenze della regione ai sensi e per gli effetti del Decreto del Dirigente n. 20267del 4 dicembre 2008, da un contratto part-time verticale a 24 ore settimanali in rapporto di lavoro full-time a 36 ore settimanali; prevedeva un concorso riservato ai dipendenti interni della regione per la progressione di carriera, in contrasto, tra l'altro con il d.lgs. n. 165/2001, come modificato dal d.lgs. 150/2009; estendeva fuori termine la stabilizzazione degli ex LSU/LPU e il passaggio da 24 ore a 36 ore settimanali dei relativi contratti di lavoro.
La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale riferita all'art. 15, comma 1, della L. R. calabrese n. 8/2010, in quanto la norma incideva illegittimamente sulal materia di potestà esclusiva del legislatore statale dell'ordinamento civile e, nel contempo, si poneva in contrasto con alcuni principi fondamentali della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, ex art. 117, comma 3 Cost, nonché con l'at. 76, comma 6, del D.L. n. 112/2008, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 comma 1, legge 6 agosto 2008, n. 133, che, al comma 6, prevede l'adozione di un D.P.C.M. Per la riduzione delle spese del personale, e, al comma 7, vieta esplicitamente agli enti locali nei quali l'incidenza delle spese del personale è pari al 40% di procedere ad assunzioni con qualsivoglia tipologia contrattuale.
La stessa Consulta ha altresì cancellato i commi 3 e 5 del medesimo art. 15:
- il primo perchè violava i principi di uguaglianza e buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 3 e 97 Cost) che, materia, sarebbero stati garantiti solo dal rispetto dell'art. 24 del d.lgs. n. 150 del 2009 e dell'art. 5 della legge n. 15 del 2009 i quali stabiliscono, anche per le progressioni di carriera, l'obbligo di pubblico concorso, riservando al personale interno fino alla misura massima del 50% dei posti disponibili.
- l secondo perchè avrebbe consentito di stabilizzare senza concorso tutti i lavoratori socialmente utili già impegnati dalla regione, senza porre limiti percentuali al ricorso a tale tipo di assunzione, ponendosi in contrasto con le nuove previsioni recate dall'art. 17, commi 10-13, del D.L. n. 78/2009, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 comma 1, legge 3 agosto 2009, n. 102 che, con riferimento alla generalità delle Amministrazioni pubbliche, stabilisce nuove modalità di valorizzazione dell'esperienza professionale acquisita dal personale non dirigente, attraverso l'espletamento di concorsi pubblici con parziale riserva dei posti, configura una modalità di accesso riservato agli uffici pubblici, ritenuta costituzionalmente illegittima dalla costante giurisprudenza della Corte. Quest'ultima, infatti, nella prospettiva di valorizzare le professionalità maturate all'interno dell'amministrazione, ha ammesso la stabilizzazione di contratti di lavoro precario, i deroga al principio del concorso pubblico di cui all'art. 97 della Cost. solo entro limiti percentuali tali da non pregiudicare il prevalente carattere aperto delle procedure di assunzione nei pubblici uffici.
Ebbene, nonostante l'eliminazione dal mondo giuridico delle succitate norme, a distanza di oltre un anno la citata sentenza della Consulta non solo non è stata eseguita (nonostante sia notoria l'immediata esecutività delle sentenze della Corte Costituzionale), ma la Giunta regionale della Calabria e il Dirigente Generale del Dipartimento Presidenza, dott. Franco Zoccali (la cui posizione e nomina è altrettanto illegittima come già più volte denunciato da questo sindacato, perché privo dei requisiti di legge), hanno strumentalmente ed illegittimamente “preso tempo”, adottando una serie di atti volutamente dilatori con i quali si limitavano:
- a prendere atto della sentenza, senza provvedere direttamente in merito, ma demandando al Dirigente Generale del Dipartimento Presidenza della regione Calabria di provvedervi entro il termine di 120 giorni (delibera n. 127 del 12 aprile 2011)m circostanza del tutto singolare, visto che la competenza in materia di personale spetta al Dipartimento “Organizzazione e personale”;
- a costituire un Tavolo Tecnico per gli adempimenti conseguenziali (Decreti del dirigente generale del Dipartimento Presidenza n. 3842 del 26 aprile 2011 e n. 8477 del 12 luglio 2011);
- a prorogare di ulteriori 60 giorni il termine per provvedere ai suddetti adempimenti (delibera n. 114 del 4 maggio 2012) nonostante detto termine fosse scaduto circa 9 mesi prima, senza che ad oggi sia stato adottato alcun provvedimento per eseguire la sentenza; il tutto con la più logica conseguenza che persistono sia l'inquadramento illegittimo nei ruoli regionali di Dirigenti comandati da più di quattro anni, sia l'illegittima estensione da 24 a 36 ore settimanali dei contratti di lavoro degli ex LSU/LPU stabilizzati, i quali ancora (altrettanto illegittimamente) mantengono la loro posizione ed esercitano le funzioni loro assegnate all'interno della regione Calabria.
A riprova dell'assoluta inerzia e persistenza nell'illegittimità, sta il fatto che nell'albo della dirigenza regionale, pubblicato sul sito internet istituzionale della regione Calabria (area Trasparenza) e aggiornato, all'inizio del corrente mese di giugno 2012, tuttora figurano i seguenti nominativi e dati informativi:
- Marasco Rosalia, Dirigente del Settore Organizzazione del personale, interno;
- Giovinazzo Giacomo, Dirigente del Settore Agricoltura, Foreste e Forestazione, Interno;
- Zinno Luigi, Dirigente del Settore Programmazione, interno;
ciò nonostante costoro (unici effettivi beneficiari della norme di legge regionale sopra citata, dichiarata incostituzionale) siano ormai privi sia della copertura legislativa della norma di legge regionale che disponeva il loro trasferimento, sia del provvedimento di comando (ormai scaduto e non rinnovato) che ne giustificherebbe in via transitoria la loro permanenza, subordinatamente al rispetto del limite di cui al richiamato art. 19, comma 5-bis, d.lgs. 165/2001, ma non sussistendo dette condizioni, gli stessi, già da tempo, avrebbero dovuto riprendere servizio nelle Amministrazioni di provenienza (le quali, peraltro, nell'inerzia degli stessi, sembrerebbe che abbiano proceduto a cancellarli dai rispettivi ruoli).
Da ultimo la Giunta regionale ha proceduto all'adozione di un "Regolamento per la mobilità esterna", contraddistinto con il n. 2 del 26 aprile 2012, approvato con delibera n. 180/2012 e pubblicato sul BURC suppl. str. N. 4 del 10 maggio 2012, il quale, già in prima lettura si palesa illegittimo sotto numerosi profili, il principale dei quali è rappresentato dall'assoluto "difetto di attribuzione" del potere regolamentare in materia in capo alla Giunta regionale.
Come è noto, infatti, la principale (ed al momento unica) fonte di regolamentazione dell'istituto della "Mobilità Volontaria" è costituita, in via quasi esclusiva, dall'art. 30 del D.Lgs. n. 165/2001, nel testo vigente, norma che vincola indistintamente tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, .Lgs 165/2001, poichè la disciplina della mobilità del personale tra amministrazioni diverse, come ha avuto modo di chiarire la Consulta, va ricondotta "alla materia dell'ordinamento civile", riservata dall'art. 117, comma 2, lettera m), Cost. alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (cfr. C. Cost., 3-12 novembre 2010, n. 324), e non già a materie di competenza concorrente o residuale delle regioni, e dunque non è riconducibile al "principio di autonomia ordinamentale ed organizzativo dell'ente" (cfr. art. 1 "Finalità" dl Regolamento sulla mobilità) come invece sostiene l'amministrazione regionale.
L'unica fonte ulteriore deputata a regolamentare la materia, come stabilito dalla stesso art. 30, comma 2, D.Lgs. 165/2001, è costituito dalla contrattazione collettiva, essendo espressamente previsto che "i contratti collettivi nazionali possono definire le procedure e i criteri generali per l'attuazione" della mobilità volontaria.
Ne consegue che, in materia di mobilità, non c'è spazio per una autonoma legislazione regionale (costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 117, comma 2, Cost. e come tale non applicabile in luogo della disciplina statale), né residua alcuna "potestà regolamentare" dei singoli enti pubblici, con la conseguenza che vertendosi in materia di "rapporti civili", regolati dalla sola legge dello Stato e dell'autonomia contrattuale, qualsiasi regolamento adottato da un ente diverso dallo Stato è da considerarsi a origine nullo per violazione di norma imperativa di legge e, come tale, a disapplicare in toto in favore di legge statale e i eventuali norme contrattuali collettive.
Peraltro, a quanto sopra si aggiungono altre illegittimità, già oggetto di segnalazione da parte di questo sindacato con nota prot. n. 27/Segr. del 31 marzo 2012, la principale delle quali consiste nel fatto che il suddetto regolamento prevede correttamente una selezione, ma in proposito, all'art. 3, comma 1, lett. d), prevede una "prova" da svolgersi sotto forma di "colloquio e/o test attitudinale", senza disciplinarne i contenuti minimi (rimessi integralmente al singolo bando, dunque variabile e fonte di plausibili disparità di trattamento di volta in volta).
In proposito, peraltro, si palesa illegittima la stessa previsione di una selezione sotto forma di colloquio e/o test attitudinale, poiché, una cosa è fare riferimento alle "procedure di reclutamento" necessarie per l'accesso alla P.A. mediante concorso pubblico (artt. 35 e 70 D.Lgs. n. 165/2001), cosa in parte diversa è riferirsi alle "procedure comparative", di natura para-concorsuale, necessarie per il conferimento di incarichi professionali a soggetti esterni all'amministrazione, (art. 7, commi 6 e 6-bis, D.Lgs. n. 165/2001). altra cosa ancora, diversa dalle prime due, è il riferimento a "criteri di scelta" (art. 30 D.Lgs n. 165 in materia di mobilità) per il quale va rigorosamente applicato il principio "lex tam dixit quam voluit". Pertanto, se nel caso delle "procedure di reclutamento" è abbastanza evidente il totale rinvio (operato dal D.Lgs. n. 165/2001) alle procedure concorsuali disciplinate in buona parte dal D.P.R. n. 487/1994 (concorso pubblico per titoli ed esami o per soli esami) e se ben diverse sono le "procedure comparative", evidentemente consistenti in un "minus" rispetto alle prime, per cui in tal caso dovrà attuarsi una procedura "para-concorsuale" (con valutazione dei candidati "per titolo e colloquio" o "per soli titoli"), allora la "fissazione dei criteri di scelta" per le procedure di mobilità deve intendersi come qualcosa di ancora più ristretto, giacché, vertendosi in materia di "rapporti di lavoro già costituiti con le garanzie di cui all'art. 97 Cost. (ossia attraverso il pregresso superamento di un pubblico concorso già espletato), la norma di cui all'art. 30D.Lgs. n. 165/2001, anche alla luce dei principi in materia di accesso al pubblico impiego rinvenibili nella sentenza C. Cost. n. 108/2011, deve essere applicata secondo una stretta interpretazione letterale, ossia deve essere intesa come la previa indicazione di criteri oggettivi (plausibilmente "meccanici") che consenta al massimo una "valutazione comparativa per soli titoli" (titoli di servizio, titoli di studio, anzianità di servizio, esperienza professionale maturata, età anagrafica, carichi di famiglia, ecc.), eventualmete (e più correttamente, in ossequio al principio di buon andamento) stabilendo distinte "aree professionali" per le quali la mobilità può essere esperita, ma senza che la stessa possa essere soggetta a ulteriore discrezionalità (o, peggio, al mero arbitrio) nella valutazione di ciascun candidato, o peggio lasciata all'insindacabile giudizio di "gradimento", espresso dal dirigente generale di turno, su input del Presidente della Giunta o dell'Assessore di turno.
Tale interpretazione restrittiva trova conferma nel dato letterale fornito dallo stesso art. 30 del D.Lgs. n. 165/2001 che, al comma 2-ter, stabilisce espressamente che "l'ammissione in ruolo di cui al comma 2-bis, limitatamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero degli Affari Esteri, in ragione della specifica professionalità richiesta ai propri dipendenti, avviene previa valutazione comparativa dei titoli di servizio e di studio, posseduti dai dipendenti comandati o fuori ruolo al momento della presentazione della domanda di trasferimento, nei limiti dei posti effettivamente disponibili.
Ebbene, se per la "peculiare natura" dei rapporti di lavoro alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri e per il Ministero degli Affari Esteri, nel caso di mobilità volontaria, la natura privatistica della cessione dl contratto trova la sua massima espressione nella "previa valutazione comparativa dei titoli di servizio e di studio" che è, evidentemente, un criterio trasparente, assolutamente meccanico ed oggettivo, privo di qualsiasi valutazione discrezionale, a maggior ragione trale meccanismo non può essere difforme, o arricchito da altre forme valutative, per procedure di mobilità afferenti amministrazioni diverse dalle due soopraindicate.
Ne consegue che in nessun caso le "procedure di mobilità" possono dar luogo ad un "nuovo concorso pubblico" ("per esami" o "per titoli ed esami") o ad una procedura comparativa para-concorsuale ("per titoli e colloquio" o "per colloquio" o per "test attitudinale"), essendo tale procedura relativa alla copertura di un posto equivalente a quello per il quale i dipendenti/dirigenti che chiedono la mobilità hanno già superato la relativa procedura concorsuale e per il quale essi sono già stati giudicati idonei allo svolgimento delle relative mansioni e/o funzioni, conseguendo il corrispondente status giuridico (qualifica o categoria).
Quanto sopra esposto, è avvenuto nonostante sia ancora valida ed efficace una graduatoria di concorso pubblico per dirigenti, per titoli ed esami e successivo corso di formazione dirigenziale annuale obbligatorio presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, alla quale a Regione Calabria aveva già attinto in più occasioni, dandosi indirizzo per il suo pieno utilizzo, rendendo palese la volontà dell'Amministrazione stessa di coprire i posti tuttora vacanti in organico attraverso lo scorrimento della graduatoria della procedura concorsuale già espletata, con la conseguenza che gli atti ed i provvedimenti da ultimo adottati, oltre che illegittimi, si palesano contraddittori rispetto agli indirizzi che la stessa Amministrazione si era data procedendo con gli scorrimenti di graduatoria, rendendo evidenti le finalità di effettuare le nomine illegittime per condizionare "ad usum delphini" non solo ogni attività degli stessi dirigenti "esterni" e "comandati" per la loro posizione "precaria".
In relazione agli argomenti sopra esposti, sulla base delle combinate statuizioni della Corte Costituzionale di cui, in particolare, alle sentenze nn. 324/2010, 108/2011, e 310/2011, ne deriva la nullita radicale, ad origine, dei provvedimenti e dei contratti di affidamento degli incarichi dirigenziali esterni (e a soggetti in posizione di comando) stipulati in violazione dell'art. 19, commi 5-bis, e 6 D.Lgs. n. 165/2001, come modificato dal D.Lgs. n. 150/2009, assunti dall'attuale Giunta regionale a decorrere dalla data del suo insediamento, per il mancato accertamento dell'esistenza delle professionalità interne per ricoprire i posti di livello dirigenziale vacanti, per l'assenza della corretta verifica della sussistenza dei requisiti di legge per procedere alle nomine e per il superamento dei limiti del 5% e dell'8% rispettivamente previsti dai citati commi 5-bis e 6, per dirigenti comandati e per gli esterni.
Quando esposto nei punti che precedono, infine, comporta gravissime conseguenze di ordine non solo penale (integrando inevitabilmente i reati di cui agli artt. 81, 328, 323, 416, 479 e 65 c.p., con le aggravanti di cui all'art. 61, comma 1, nn. 2, 7, 8, 9, e 11 c.p.) e contabile (cagionando un pesante danno erariale pari all'ingiustificata corresponsione della differenza del trattamento economico dovuto per i contratti degli ex LSU/LPU nel passaggio dal part-time al full-time; per gli emolumenti erogati ai dirigenti "comandati" e trasferiti nei ruoli regionali con norma dichiarata illegittima; per gli emolumenti erogati a dirigenti "esterni" e "comandati" nominati in assenza di requisiti e/o in soprannumero rispetto alle percentuali massime consentite dalla legge), ma anche di carattere costituzionale, nonché una gravissima, plurima e continuata violazione di legge e, in particolare, di un Presidente e di una Giunta Regionale che agiscono in totale dispregio delle norme fondamentali dello Stato, e fanno di tutto per condizionare illegittimamente l'operato dell'Ente per occupare sistematicamente le "posizioni strategiche" dell'amministrazione con soggetti al loro compiacenti, e che restano inerti (o, peggio, "fingono di agire") per non eseguire concretamente le sentenze della Consulta, tutti fatti che, per la loro gravità, rendono necessario l'avvio di un procedimento di accertamento da parte dell'autorità competenti (anche attraverso la nomina di una "Commissione di Accesso") al fine di applicare le sanzioni previste, anche ai sensi dell'art. 126 Cost.
La presente viene inviata al Presidente della Repubblica ed al Presidente del Consiglio dei Ministri affinché, ove ne ravvisino la necessità, ciascuno per la parte di propria competenza, dispongano quanto necessario per il ripristino della legalità e per l'eventuale attivazione dei procedimenti previsti dall'art. 126 Cost.
Alla Procura della Repubblica del Tribunale di Catanzaro ed alla Procura regionale della Corte dei Conti per la Calabria, per l'avvio dei rispettivi procedimenti di legge, ove ravvisino ipotesi di reato.
Con riserva di esibire e/o consegnare copia della documentazione prodotta dallo scrivente sindacato e citata nel testo, a richiesta dei soggetti in indirizzo e della competente autorità giudiziaria.
In fede.
DIRER
Segreteria Regionale
Dott. Giovanni Manduca
Vibo Valentia li, 25 giugno 2012