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Mezzoeuro

Il gran botto delle parlamentarie

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XII num. 1 del 5/1/2013


Rende, 2/1/2013


Tra luminarie e panettoni, il PD ha organizzato le primarie per il rinnovo della rappresentanza parlamentare.
Un grande successo di immagine, per un futuro denso di nubi sulla evoluzione della nostra democrazia.

Nella generale confusione che regna nel sistema politico, le primarie del PD rappresentano un indubbio elemento di novità, qualunque siano le possibili obiezioni di metodo e di sostanza. Tuttavia sono solo un palliativo che non possono far dimenticare il comportamento omissivo della politica, incapace di assumere decisioni importante e attese dalla stragrande maggioranza dei cittadini.

Nell'ultimo messaggio di fine anno il capo dello Stato ha ricordato le gravi inadempienze del parlamento in tema di riforme istituzionali e di quella elettorale, in particolare. "Non si è, con mio grave rammarico", ha detto Napolitano, "saputo o voluto riformare la legge elettorale ; per i partiti, per tutte le formazioni politiche, la prova d'appello è ora quella della qualità delle liste. Sono certo che gli elettori ne terranno il massimo conto". Se è giusto ricordare che la responsabilità del porcellum ricadono tutte sul centrodestra che lo ha voluto, approvato e difeso in questi anni per assicurarsi un vantaggio nelle passate competizioni elettorali, non si può dimenticare l'arroccamento dello stesso PD a difesa delle liste bloccate, e il tentativo di voler trasformare il presumibile vantaggio elettorale in una solida maggioranza parlamentare con espedienti tecnici per supplire alla sua incapacità di allargare il suo consenso oltre i limiti del suo tradizionale elettorato.

Vi era un indubbio interesse del PDL a conservare questo sistema che consente al cavaliere disarcionato di conservare in Parlamento un drappello di fidati pretoriani a difesa dei suoi interessi. Il PD dal canto suo non si è stracciato le vesti, né ha cercato un accordo reale per un sistema elettorale che rispondesse ai desiderata della stragrande maggioranza degli elettori. L'impressione è che si è fatto finta di voler la riforma del sistema elettorale, ma, salva qualche lodevole eccezione, la grande maggioranza dei partiti e dei singoli parlamentari, era ben contenta di conservare questo sistema di protezione castale. Nella migliore, e più democratica delle ipotesi, tutti i partiti erano fermamente convinti di riservare un terzo dei rappresentanti a sé stessi e ai loro fedeli servitori, con liste bloccate, un ancora di salvataggio che non esiste in alcuna parte del sistema di rappresentanza. La giustificazione di voler rinnovare facendo ricorso alla società civile appare pretestuosa, perché a beneficiarne è quasi solamente la casta e i suoi protetti.

L'assenza di regole sta producendo una involuzione del sistema, travolgendo i principi fondamentali dell'ordinamento repubblicano. Il sistema giudiziazio, ad esempio, è minato dalla sua vorace aspirazione a tracimare in politica. Antonio Ingroia e Piero Grasso hanno tradito il loro impegno per la legalità caratterizzandolo politicatamente, rendendo evidente che non siamo più in presenza di una reale suddivisione di poteri. A posteriori tutto il loro operato rischia di essere considerato di parte, e vanificare l'operato di tanti onesti e corretti magistrati che si vedono etichettati politicamente svilendo il significato della loro azione. La magistratura deve godere di autonomia secondo il dettato costituzionale, ma soprattutto di indipendenza nei confronti della politica. Le troppe occasioni di commistione tra i due livelli costituiscono un vulnus costituzionale, sotto il profilo etico-morale.

In questo quadro alquanto desolante, cosa rappresentano le primarie? Un coup de génie, una furbata per vendere la caniglia per farina di prima scelta. Non bisogna dimenticare che siamo di fronte a un sistema approssimativo, senza regole né sistemi applicativi controllati, che consente una forte manipolazione di tutto il processo di selezione: un surrogato di un sistema che può essere accettato "una tantum" in una emergenza, ma che non può trasformarsi in un modello di democrazia. Si può sostenere che, nel complesso, tutto si è svolto con regolarità, che il risultato rispecchia la volontà degli elettori che hanno partecipato al voto, ma le contestazioni non sono state né poche, né insignificanti.

Inaccettabile appare la prassi consolidata di stabilire le regole, da parte del gruppo dirigente, alla vigilia di ciascuna competizione, rendendo plausibile l'accusa di manipolazione preventiva dei risultati attuata con la definizione di regole "ad circostantiam".

C'è chi in Calabria, ad esempio, ha chiaramente messo in rilievo che avrebbero compromesso il risultato. Peccato che questo avvenga sempre e unicamente ex post, dopo una sconfitta considerata immeritata. Una notazione non di poco conto, se se fa mente locale all'aspetto numerico del problema. Si sono recati alle urne non più del 5% dell'elettorato che hanno determinato un risultato che ha una forte ricaduta sulla rappresentanza dell'intera regione. Per di più, il risultato delle urne ha un valore indicativo, poiché l'assetto definitivo sarà comunque determinato dalle scelte che verrano effettuate nel loft della direzione romana, che può disporre di larghi margini di manovra mediante la scelta dei candidati da inserire nella quota riservata al segretario.

L'assetto istituzionale è un mosaico complesso dove ogni tessera deve contribuire all'armonia dell'insieme, non è sufficiente un diamante a impreziosirlo. L'elevata partecipazione ha certamente nobilitato la consultazione, ma l'unzione popolare non cancella i gravi limiti del sistema. Nel passato più o meno recente, il consenso misurato attraverso i sondaggi o pseudo-consultazioni come le primarie, è valso a introdurre nel sistema istituzionale i correttivi perniciosi che oggi si ha molta difficoltà a modificare.

Il sistema delle primarie, se fosse generalizzato e normato, costituirebbe una modifica profonda dell'intero sistema istituzionale, e necessiterebbe di un contorno di norme che costituiscano un insieme coerente. Usato in maniera improvvisata è contrario allo spirito costituzionale, che con l'art. 49 vorrebbe che tutti i cittadini possano e debbano concorrere alla vita politica attraverso i partiti, che sono gli strumenti di partecipazione democratica. Essi si sono trasformati in lobby, dove si coagulano gli interessi dei rappresentanti nelle istituzioni pubbliche. Non vi è più alcuna distinzione tra l'attività politica e l'attività amministrativa e di governo. Il dato numerico di partecipazione è la più evidente dimostrazione del carattere clanico del metodo delle primarie: un perfetto sistema di autoconservazione della casta, attuato con un innesto controllato di nuovi virgulti da forgiare per la continuità del potere.

Al di là delle sottili questioni dottrinarie, i risultati calabresi delle primarie possono dare importanti indicazioni sulla validità del sistema. Si preannuncia un ricambio molto profondo, ma si tratta in gran parte di un rinnovamento castale, una continuazione del sistema di potere attuata con la consegna del testimone a una nuova generazione del clan dominante. Una importante affermazione dell'apparato, della burocrazia del partito, che ha accuratamente evitato di confrontarsi con la società, ma ha accuratamente limitato il diritto di voto agli iscritti, mentre i rappresentanti parlamentari dovrebbero essere espressione dell'intero corpo elettorale, dovrebbero esprimere i bisogni e le esigenze del territorio e non gli interessi di una sola parte.

Il voto di genere non ha portato alla ribalta figure femminili nuove e prestigiose, che si sono distinte per le loro capacità professionali, per l'impegno politico, per la forte personalità. Al contrario, è stato il metodo per premiare mogli e figlie, un comodo strumento per mantenere il potere all'interno del sistema. La discesa in campo di Rosy Bindi per superare il limite temporale previsto dallo statuto del partito, è una mortificazione per tutta la Calabria, ancora una volta considerata colonia, terra di conquista. Una presenza la sua, che non assicura alcuna forma di rappresentanza del territorio.

MazzucconiNon bisogna risalire al baffone di Achille Occhetto per trovare illustri esempi della specie. Chi ricorda oggi Daniela Mazzucconi? Dalla scheda dei senatori della Repubblica troviamo che la sua regione di elezione è la Calabria, è nata il 16 maggio 1953 a Milano e residente a Usmate Velate (Monza e Brianza), professione: dirigente, docente universitario. E' stata una sola volta in Calabria, a quanto è dato di sapere, nel corso del suo "faticoso" giro elettorale, quando ha dovuto sforzarsi di stringere la mano di qualche servizievole dirigente locale del partito. Nella sua stressante attività la Calabria non appare mai. Ha ricoperto l'incarico di vicepresidente della 13ª Commissione permanente (Territorio, ambiente, beni ambientali) e membro della Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse. Ma la Calabria non ha registrato alcuna emergenza in questi settori per cui la sua iniziativa si è resa superflua. Per inciso, bisogna ricordare che la sua presenza nella regione è stata imposta da Rosy Bindi, per assicurarsi una sua minuscola pattuglia parlamentare. Sicuramente l'impegno diretta della leader ha un carattere risarcitorio per i torti subiti dalla regione, e si impegnerà strenuamente sulle problematiche del Mezzogiorno, ne terrà a cuore le emergenze per sopperire alla mancanza di memoria della senatrice Daniela. Qualche dubbio è legittimo, ma anche se così fosse, resta il rammarico di aver perso una ulteriore occasione per la formazione di una autentica classe politica calabrese. Abbiamo tante donne che potrebbero realmente svolgere la funzione di rappresentanza senza dover sempre ricorrere all'importazione intellettuale, proprio nella regione con il maggior flusso migratorio di laureati. Un altro grande vincitore è sicuramente Alfredo D'Attorre, un personaggio di alto profilo professionale e personale, ma estraneo a questa realtà. Non sarà certo in grado di incidere nel profondo nei meccanismi del potere locale, poiché i suoi interessi e il suo futuro sono senza dubbio altrove nei centri pulsanti del potere.

A questo risultato hanno ampiamente contribuito i nostri parlamentari uscenti, che si sono visti sfilare la poltrona da sotto il sedere, per non aver saputo creare alcun rapporto con il proprio elettorato, sicuri di non aver bisogno di confrontarsi con la realtà. Paradossalmente, ma non troppo, ha vinto la vecchia politica basata sul clientelismo e la capacità di mediazione nel soddisfacimento dei bisogni personali. Le due rappresentanti cosentine hanno un sapore antico, rappresentano la continuità di una politica che ha portato allo sfascio la regione.Non si può negare che sono espressione di un vasto elettorato, come tutti i notabilati che si nutrono della condizione di disagio di una parte importante e crescente della popolazione. Con loro ha vinto la capacità di stare tra la gente, di ascoltarne le ansie e trasformarle in illusioni. Sono le espressioni di una stagione politica fallimentare, che ha portato alla liquefazione della grande forza che il partito era riuscito a costruire in Calabria. Lontani sono i tempi della trionfale ascesa di Agazio Loiero al vertice della regione. Ora passeggiamo sulle nostre macerie e la classe politica responsabile di questo disastro ha ancora una volta in mano le chiavi del nostro futuro.

La grande voglia di partecipazione nasce dalle grandi manovre in atto per la definizione di una ipotesi per le elezioni regionali, nonostante l'importanza della posto in palio e il momento di grande sconvolgimento dell'assetto politico-istituzionale. La scadenza naturale del mandato del governatore appare ancora lontana, ma vi sono molte voci che vorrebbero che non si arrivi fino a quella data e i possibili protagonisti si preparano organizzando le truppe cammellate.

Il vero rischio è che l'ubriacatura delle primarie venga idealizzato, o meglio ideologicizzato, fino a trasformarla in una panacea di tutti i mali, e rallentare il processo di reale cambiamento politico-istituzionale indispensabile a far ripartire il Paese e costruire un futuro per la regione. È inutile fare uno sterile elenco di priorità, perchè le riforme necessarie sono tante, ma è importante incidere in profondità rompendo il velo di omertà che impedisce un reale cambiamento.

Un segno importante viene dalla Finlandia. Il Consiglio comunale di Helsinki ha votato un documento per impedire alle imprese che hanno sede nei paradisi fiscali di avere rapporti con la pubblica amministrazione, perché l'evasione fiscale impedisce alle municipalità di provvedere ai servizi sociali. In una regione come la nostra che è sotto la morsa della criminalità organizzata che si serve largamente di questi paraventi finanziari, questa rappresenta una vera rivoluzione. Piuttosto che accanirsi contro operai, impiegati e pensionati per impedire loro l'uso del contante per operazioni modeste, appare molto più opportuno impedire le transazioni finanziarie milionarie di queste società che sotto l'anonimato nascondono segreti inconfessabili, poiché possono operare sotto la protezione di governi compiacenti. Tra i dieci più importanti paradisi fiscali indicati nel provvedimenti nel comune di Helsinli vi sono elencati il Bahrain, le isole Cayman, Jersey, Singapore e la Svizzera.

Il reale segnale di cambiamento è che la politica ritrovi la capacità di gestire i processi economici e non essere succubi della speculazione. Per questo occorre ripristinare un reale processo democratico evitando le suggestioni di facili scorciatoie, utili solo per consolidare la casta al potere.


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