OP

Mezzoeuro

Carroccio ladrone

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XII num. 2 del 12/1/2013


Rende, 7/1/2013


Liberarsi dalla farsa della Lega Nord

I cartelli "non si affitta ai cani e ai meridionali" erano già un segnale. La ricchezza del Nord è nata da uno sforzo di investimento in termini di capitale e di uomini di tutto il Paese, con il risparmio del Mezzogiorno, che è stato sacrificato perchè l'investimento nel triangolo industriale poteva produrre un effetto più diretto e immediato e trascinare il resto del Paese. Ma il momento del Sud non è mai arrivato, poiché vi era sempre qualche altra priorità, o emergenza che impediva la realizzazione di un piano razionale di investimenti. La speranza è che finalmente i meridionali capiscano che bisogna pensare ai propri interessi e difendere il proprio territorio.

Il cranio di Giuseppe Villella Ë conteso a suon di carta bollata e sentenze dei tribunali nei vari gradi di giudizio tra il sindaco di Motta Santa Lucia, un piccolo comune della provincia di Catanzaro, e il Museo Lombroso di Torino. Una disputa d’antan sui resti di un povero pecoraio morto in carcere da presunto brigante, che il grande scienziato ed antropologo Cesare Lombroso prese a paradigma del delinquente nato. L’“animus delinquenti” di ciascuno era, secondo le sue teorie, scritto nel suo DNA e si manifestava nelle caratteristiche somatiche, come la “fossetta occipitale mediana”, che avrebbero consentito di individuare immediatamente i criminali. Una delle ipotesi che si voleva sottoporre a verifica scientifica, è che il grado di devianza sia una caratteristica genetica di natura etnica. Da qui ad affermare che le “genti” meridionali hanno una naturale predisposizione alla delinquenza, il passo è molto breve, e certamente l’autorevolezza dello studioso ha dato un contributo decisivo alla formazione di una forte cultura antimeridionalistica. I cartelli “non si affitta ai cani e ai meridionali”, che apparvero nella Torino degli anni sessanta del secolo scorso, traevano il loro brodo di cultura nel residuo di quel pregiudizio. La stessa nascita della Lega Nord con il suo substrato culturale di un razzismo becero e mal dissimulato trova in quegli studi un’autorevole base teorica. In verità le ipotesi lombrosiane si riferivano alla sola “razza bruzia”, ma l’estensione della stessa carineria a tutti i cittadini del Sud è stata facile ed immediata.

Per troppo tempo si è voluto sottovalutare il carattere dirompente che può assumere una cultura xenofoba e razzista. La Lega è stata considerata come un accidente folkloristico, e il suo linguaggio sgrammaticato e volgare come una simpatica applicazione alla politica della sottocultura dominante nel sistema mediatico. Questo schema logico fornisce una comoda spiegazione non solo del brigantaggio, ma del successo e della proliferazione delle organizzazioni criminali del Mezzogiorno. Mafia, ‘ndrangheta, Nuova Corona Unita, camorra e le tanti altre formazioni come “i casalesi” sarebbero fenomeni connaturati non al territorio, o alle condizioni socio-economiche, allo sviluppo culturale, ma caratteri propri di una razza criminale.

A nulla è valsa la lezione balcanica, dove si è svolto sotto i nostri occhi lo spettacolo di una carneficina di milioni di uomini immolati ancora una volta sull'altare della purezza della razza, della pulizia etnica come unica difesa contro le tendenze criminali di particolari popoli come zingari, ebrei, albanesi, croati o semplicemente meridionali perché gli zingari nascono ladri, gli ebrei usurai, gli albanesi magnaccia, i meridionali sporchi ed arruffoni e via qualificando secondo un metodo strettamente “scientifico”. Bisogna ricordare che tutto è nato negli ambienti accademici dell’Università di Belgrado, sotto la spinta di un noto e apprezzato professore universitario quale era Milosevic, che si era formato nelle migliori università americane, e aveva sollecitato dotti studi sulle differenze razziali e la necessità di mantenere la purezza della razza per evitare una degenerazione dell'etnia serba, depositaria della cultura, dei valori e delle tradizioni balcaniche.

Le teorie lombrosiane sono state superate da lungo tempo, dai nuovi studi e dalla ricerche degli studiosi, per questo ricordarle ora sembrerebbe un esercizio inutile, un mero sfoggio di erudizione storica senza alcuna ricaduta sulla nostra realtà politica. Questo è vero solo se non si è avuto modo di ascoltare in questi giorni qualche sproloquio di Matteo Salvini, il che appare quasi impossibile, vista la sua onnipresenza televisiva, o quella dei numerosi leghisti che ancora hanno la spudoratezza di proporre soluzioni salvifiche dopo aver per anni provocato un vero e proprio disastro economico-sociale con l’ultimo sacco padano di Roma.

La loro campagna romana è miseramente fallita e le verdi truppe padane sono rimaste anche esse prigionieri della suggestione degli ori generosamente elargiti da Roma ladrona, vittime della sindrome degli “ozi di Capua”, già fatali ad Annibale. Se nella prima repubblica si rubava per il partito, o prevalentemente per quella nobile causa, nella repubblica B&B si è arrivata ai bagordi, alle feste carnascialesche, alle ammucchiate orgiastiche.

La nuova strategia leghista riparte dal federalismo dal basso, per approdare alla secessione di fatto con la creazione della macroregione del Nord. Ad ascoltare il piffero di Maroni, e la grancassa di Matteo Salvini, sembra di essere di fronte a due verginelli che si affacciano or ora al mondo della politica. Insieme a tutti gli altri sodali che in questi anni ci hanno regalato leggi vergognose e proposte oscene, che hanno stravolto il sistema istituzionale senza riuscire a produrre alcune modello che avesse un minimo di razionalità e funzionalità, oggi si ripresentano nel mercato elettorale a vendere la loro merce avariata, a riproporre le loro idee obsolete.

Uno dei motivi per i quali è maturata una vera e propria rivolta contro l'ultimo governo Berlusconi è stato il grande pateracchio del federalismo, che rischiava di produrre uno sconvolgimento istituzionale con ricadute sul debito pubblico di cui nessuno riusciva a valutare appieno le conseguenze. Questa spada di Damocle spaventava mercati e operatori, la stessa destra al potere e l’establishment economico-finanziario.

In tutto questo anno di governo Monti la problematica è stata semplicemente abbandonata, lasciata in oblio senza che vi fosse stato alcun partito, a parte l'abbaiar alla luna da parte della Lega senza però troppa convinzione, che abbia minimamente sentito il bisogno di completare quella sciagurata avventura.

La nuova questione federalista sotto forma della bufala leghista del 75% delle tasse da lasciare sui territori in cui Ë prodotto il reddito, è semplicemente il pedaggio da pagare alla Lega per il suo ruolo strategico che assume nelle regioni del Nord, dove potrebbe essere determinante nella formazione degli equilibri politici al Senato.

La candidatura di Roberto Maroni alla presidenza della Regione Lombardia acquista un valore di sopravvivenza per il movimento, poiché con essa raggiungerebbe l'obiettivo di governare le tre più importanti regioni del Nord, realizzando di fatto la macroregione ma solo da un punto di vista teorico poiché questo non modificherebbe affatto l'assetto istituzionale e l'equilibrio dei poteri. Nello stesso tempo potrebbe provocare il raggiungimento del premio di maggioranza al Senato per effetto dello scivolamento, nella convinzione che i due voti siano sostanzialmente coincidenti. Una ipotesi tutta da verificare, poiché l'elettorato si è mostrato molto più accorto e mobile di quanto non sia rappresentato nelle analisi politiche. Non vi è alcuna ragione valida che impedisce la scissione del voto, ammesso pure che dopo il fango di cui si è ricoperto vi Ë davvero ancora una maggioranza che possa portare Maroni al governo della regione più ricca, popolosa e industriosa del Nord, dove la ‘ndrangheta si è insediata sotto gli occhi benevoli dello stesso in versione guardasigilli: cieco, sordo, muto, indifferente, colluso, incapace? Chissà!

Il vero nodo da sciogliere è la verifica rigorosa di quelli che sono state le conseguenze della nascita delle regioni, la cui istituzione ha provocato l'esplosione di un debito pubblico incontrollato, la proliferazione ingiustificata di spese inutili, una frantumazione della legislazione in spazi di arbitrio e di disorganizzazione che ha provocato un permanente conflitto di competenze tra i vari livelli di potere, ed ha impedito la realizzazione dei grandi investimenti pubblici, che hanno un carattere strategico per la qualità della vita e per lo sviluppo. Il mancato sviluppo è da addebitare alla crisi, ma soprattutto a una gestione scellerata, all’incapacità di formulare una corretta politica industriale, una pianificazione impedita dai lacci e lacciuoli di una pseudo-federalismo d’accatto.

Per poter ripartire il Paese ha bisogno di uno shock che solo un grande piano di investimenti statali in settori strategici come il trasporto e l'energia possono provocare. Questo significa che si ha bisogno di un ritorno alla centralizzazione della legislazione, e delle competenze nelle materie strategiche per lo sviluppo. Se le regioni hanno ancora un senso, debbono avere solo una funzione di gestione, di governo locale in una cornice normativa nazionale che costituisca un punto di riferimento per gli investitori. Una politica che è l’esatto contrario di quanto va nuovamente blaterando la Lega. Quando si ricorda il disastro della Sicilia, si dovrebbe aggiungere che è il disastro delle idee federalista, la sconfitta della decentralizzazione senza controlli. La soluzione sta nell’abolizione delle regioni a statuto speciale e nella normalizzazione del Paese, che ha bisogno di maggiore coesione di capacità di gestire i grandi investimenti per rilanciare l’economia.

E bisogna aggiungere che per una volta il Sud dovrebbe valutare il proprio tornaconto e punire pesantemente la Lega e i loro alleati, che in tutti questi anni hanno praticato un antimeridionalismo militante.

L'idea di trattenere sul territorio una quota consistente delle imposte raccolte su di esso, non solo non è realizzabile, ma è contrario a qualsiasi principio economico razionale. Il cranio di Giuseppe Villella grida ancora vendetta, perché da povero contadino è morto per difendere la propria terra da una colonizzazione forzata. La ricchezza del Nord è nata da uno sforzo di investimento in termini di capitali e di uomini di tutto il Paese, con il risparmio del Mezzogiorno, le rimesse degli emigrati e il sudore degli operai meridionali strappati dalle proprie terre per andare a lavorare nelle fabbriche del Nord, sacrificando le proprie vite, la propria famiglia, e depauperando i propri paesi delle forze più dinamiche. Il Mezzogiorno è stato sacrificato perché l’investimento nel triangolo industriale poteva produrre un effetto più diretto e immediato e trascinare il resto del Paese. Ma non il momento del Sud non è mai arrivato, poiché vi era sempre qualche altra priorità, o emergenza che impediva la realizzazione di un piano razionale di investimenti.

Un paese moderno è un sistema complesso che deve realizzare una sinergia tra i vari componenti territoriali e sociali, poiché ciascuna parte è funzionale all'altra. Non c'è bisogno di Menenio Agrippa e l'apologo del corpo umano per capire che, ad esempio, un’area come un Parco Nazionale non può essere valutata sulla base del reddito che produce, perché l'equilibrio ecologico non si può tradurre in valore monetario. Ancor di più difficile appare oggi la quantificazione della ricchezza prodotta dai territori in un momento di profonda trasformazione dell'economia reale e dei processi produttivi che sono stati delocalizzati nei mercati più lontani. La componente immateriale ha assunto un peso preponderante e nella produzione del profitto il fattore territoriale ha una importanza nulla. In particolare il sistema finanziario e i servizi assicurativi sono dei canali che drenano miliardi di risorse dal Sud, poiché il sistema bancario e ancor di più quello assicurativo sono costituiti da società che hanno sede legale al Nord, dove vengono naturale convogliati tutti i capitali meridionali che sono poi impiegati sui mercati internazionali.

Si può ragionevolmente sostenere che i profitti realizzati dalle grandi banche aventi sede a Milano con operazioni speculative sui mercati borsistici asiatici appartengono a quel territorio? Cosa fare delle aree come quella dell’Italsider di Taranto, o di Bagnoli, o della aree industriali di Crotone, Augusta, Gela completamente inquinate dai veleni di produzioni industriali che hanno generato profitti alle loro case madri del Nord? Dove vanno i miliardi di euro delle RCA pagate dai meridionali con tariffe da strozzino legalizzato?

La nuova politica economica dell’ineffabile Roberto non può essere realizzata con una leggina regionale, ma richiede una profonda modifica costituzionale, un ulteriore stravolgimento del sistema istituzionale, poiché occorre riformulare completamente gli articoli 116, 117 e 119 ed alla trasformazione delle regioni leghiste in altrettante regioni autonome. Ma come sarà possibile per la Lega realizzare in pochi mesi quello che non sono riusciti a realizzare quando erano in una maggioranza stratosferica, che non ha uguali nella storia della Repubblica?

“Il principio che le tasse dei cittadini restino lì dove sono pagate è un principio di equità”, dichiara trionfalmente Roberto Maroni. Così come è un principio di equità che provvedano ad accollarsi il debito pubblico nazionale che in gran parte è stato investito per la creazione di una delle più ricche zone industriali d’Europa.

La speranza è che le prossime elezioni ci liberino finalmente da questa farsa leghista, e che finalmente i meridionali capiscano che bisogna pensare ai propri interessi e difendere il proprio territorio.

Le insidie si nascondono persino nei provvedimenti in apparenza neutri, come il principio di voler premiare le scuole più virtuose, le più efficienti.

Un principio sacrosanto che vuole premiare le competenze e le capacità della dirigenza scolastica, facendo ricadere le conseguenze sugli studenti e loro famiglie che si vedono scippate del diritto allo studio. Di fronte a un istituto che non funziona, occorre individuare le cause dell’inefficienza e rimuoverle, e effettuare gli opportuni correttivi con gli investimenti adeguati per portare quel istituto al livello di quelli migliori. Il comportamento ipotizzato dal Ministero non fa altro che acuire il problema, condannando le aree più povere all’arretratezza cronica ed irredimibile.

Un altro esempio è quello dell’IMU, che penalizza fortemente i piccoli paesi interni soggetti a un progressivo spopolamento. Si dovrebbe fare qualsiasi sforzo per incentivare i proprietari a difendere un patrimonio immobiliare che rischia il completo abbandono. Sottoporti all’IMU rende quelle proprietà immobiliari un onere gravoso, poiché non si tratta di seconde case suscettibili di una utilizzazione economica, ma di valori affettivi, di immobili che hanno un carattere storico-documentale. Vi sono problemi simili in tutto l’arco alpino e il versante appennico, ma in Calabria il fenomeno assume un carattere patologico per la teoria di esodi che hanno interessato la regione a partire dall’Unità.

Il gran problema politico è quello di un riequilibrio economico, dell’attenuazione della forbice di sviluppo e delle enormi differenze nella distribuzione della ricchezza e dei redditi. Abbiamo bisogno di rappresentanti che sappiano esprimere idee e progetti che possano stimolare la crescita nel Mezzogiorno.


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