Gregorio Caloprese, il cartesiano illuminatodi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XII num. 2 del 12/1/2013 |
Rende, 7/1/2013
Un personaggio eclettico: letterato e filosofo cartesiano, medico e matematico ebbe un ruolo molto importante nella vita culturale italiana.
Precettore di Gian Vincenzo Gravina, di Pietro Metastasio, Giovanbattista Vico e del principe di Scalea Francesco Maria Spinelli.
Gregorio Caloprese è stato un personaggio eminente della propria epoca, molto conosciuto e apprezzato. Un personaggio eclettico: letterato e filosofo cartesiano, medico e matematico ebbe un ruolo molto importante nella vita culturale italiana. A Scalea, suo paese natale, istituì una scuola nella quale inserì tutte le "moderne" tecniche didattiche basato sul coinvolgimento degli allievi, chiamati all'analisi dei testi e la discussione dei temi proposti, abbandonando il metodo autoritario di affidare al terrore del maestro la trasmissione del sapere. La sua influenza si estese fino a Napoli Roma e formò i più importanti uomini di cultura. Divenne, infatti, precettore di Gian Vincenzo Gravina, di Pietro Metastasio, Giovanbattista Vico e del principe di Scalea Francesco Maria Spinelli. La vasta cultura e l'incessante attivismo lo portò a partecipare attivamente alla vita dell'Accademia degli Infuriati e dell'Arcadia, che erano le più importanti in quel momento e raccoglievano i migliori esponenti dell'arte, della letteratura e delle scienze.
"Da onestissimi parenti, di condizione cittadina, nella terra di Scalea, posta nel paese dei Bruzii, trasse, nel 1650, i suoi natali Gregorio Caloprese, o Caroprese", scrive Accattatis. "Fu celebre pel suo ingegno, e per l'universale sua letteratura. Visse molto tempo in Napoli, e in Roma; finalmente tornato alla patria vi morì nel 1715 all'età di 65 anni", annota succintamente il Nuovo Dizionario (1796).
Prosegue l'Acccattatis. "Meravigliosa vivezza d'ingegno ed acume d'intendimento comparvero in lui sin dai più teneri anni, e gran diletto di apprendere; per cui gli avveduti genitori, solleciti di coltivare in lui si belle doti, apparati nella patria i primi rudimenti delle lettere lo inviarono di buon'ora in Napoli per imprendervi l'usato corso degli studii.
Ebbe da prima a maestro delle lettere umane Giuseppe Porcella insigne letterato a quel tempo, e non ignobil poeta. Sotto la costui disciplina molto si approfittò, congiungendo alla fertilità d'ingegno fervente non interrotta applicazione; di modo che egli fece la soddisfazione del Maestro e dei suoi genitori, e l'emulazione dei compagni.
Si inoltrò quindi nello studio delle superiori discipline, nelle quali fece rapidi e maravigliosi progressi, molto essendosi affezionato ai sistemi di Renato, la cui filosofia e quella di Pietro Cassendo, sgombre le nebbie del peripato, eran fra noi in quell'età celebrate. (Il riferimento è a Renato Cartesio, di cui era il più fedele e prestigioso seguace e interprete in Italia).
In breve termine tal fama si acquisto d'ingegno e di sapere, che non vi era accademia, od adunanza nella nostra città che nel novero dei suoi non gareggiasse di averlo,
Avendo dunque, D. Luigi della Cerda, Duca di Medinaceli, vicerè allora di Napoli, promossa quella celebratissima adunanza la quale nel suo palaggio si raccoglieva, fu il Caloprese dei primi ad esservi ascritto. Recitò in questa le sue rinomate lezioni per confutare il Principe del Macchiavelli, dettate con si fatta eleganza e ricolme di tanta dottrina e così profonda che riscosse universal plauso ed ammirazione.
Nella sua patria intanto per qualche tempo era egli stato, dove date avea le prime letterarie istituzioni al celebratissimo Giov. Vincenzo Gravina, suo cugino per madre, imbevendolo di quei dettami di peregrina pazienza, che produssero di poi sì prezioso frutto; dalla quale opera il Gravina gli serbò in tutta la sua vita nobile ed affettuosa riconoscenza.
Luminosa pruova diede puranco del suo letterario valore nell'Accademia degli Intrecciati di Napoli, pubblicandovi per le stampe la rinomata lettera sulla concione di Marfisa a Carlo Magno, contenuta nel capitolo 38 del Furioso. Con sopraffino intendimento, ne va egli tutti i pregi svolgendo, e quindi passa ad esporre le bellezze della concione di Armida a Goffredo nella Gerusalemme Liberata del Tasso, rilevando da maestro perchè questi due sovrani poeti abbiano nei divisati luoghi diverso artificio adoprato, opera che fu ricolma di somme lodi dal Giornale dei letterati di Parma del 1692.
Avvenne ancora nel 1694, che Antonio Bulifon, produr volle alla luce le rima del Casa corredate dei commentarii di Sertorio Quattromani, e di Marco Aurelio Severino. Questi avea impiegato tutto l'acume del suo ingegno nel rilevar le bellezze di quell'altissimo lume della toscana eloquenza, scorrendo per tutti i campi della dialettica, e della Rettorica, con far veder l'uso e la pratica delle idee di Ermogene. Il Caloprese, onde far cosa grata all'erudito tipografo suo particolare amico, imprese da prima a commentarle sommariamente, come quelle del Petrarca fatto già avea il Castelvetro; supplendo solamente a quanto erasi dal Severino trasandato.
Inoltratosi però, incominciò tratto tratto ad esporre tutto l'artifizio di quelle mirabili Poesie. Questi bellissimi commentarii ebbero la sola eccezione che il Caloprese vi usò la dottrina del Cartesio, che sortì alla luce un secolo dopo del Casa; alla quale eccezione rispose eruditamente Francesco Antonio Gravina, nella sua dottissima prefazione, premessa alle prefate rime.
Nel 1691, era egli stato ascritto tra gli Arcadi, sotto il nome di Alcimedonte Cresio, e nello scisma avvenuto in quell'adunanza nel 1711, si tenne fedele al partito del Crescimbeni, comechè il suo cugino Giov. Vincenzo Gravina, fosse capo della contraria fazione, e ne prestò giuramento, il quale conservasi nel Cod.7 delle scritture originali dell'Archivio di Arcadia. Nota il Nuovo Dizionario: "Quantunque cugino del famoso Gravina, che il capo delle note dissensioni d'Arcadia nel 1711, pure sostenne egli sempre le parti della medesima, ed ebbe il vanto d'istruire nelle materie filosofiche, in cui era versatissimo, il gran Metastasio, che seco avea per ciò condotto alla sua patria, come attesta il Metastasio medesimo in una sua lettera scritta da Vienna nel 1769".
Altra opera di sommo nerbo andava il Caloprese componendo per confutare gli errori dello Spinoza, ma colto dalla morte, trarla non potè a compimento; e di questa parla il Metastasio in una delle sue lettere, e dice di averla egli medesimo veduta.
Si ritirò finalmente in Scalea sua patria, dove terminò i suoi giorni nel 1715, in età di anni sessantacinque.
Fu il Caloprese uomo nudrito nel seno della più colta sapienza; era non meno profondo ed erudito filosofo che legiadro e purgato scrittore, ed esimio amatore della purezza della toscana eloquenza.
Le sue prose risentono tutto il gusto delle scritture dei secoli migliori; e nelle rime che si trovano impresse nelle raccolte dell'Accampora ed in altre, rappresentò egli a maraviglia lo stile del Casa.
Non sara discaro ai leggitori, che noi nel sonetto che mettiamo qui appresso, diamo una idea del suo poetare.
Prendi in tua scorta omai celeste luce,
Alma infelice, e pensa a quai gran mali
gravata di terrene esche mortali
di falso ben vano piacer ti adduce.
Mira il cielo com'ei splende e riluce
di stelle adorno e forme altre immortali,
e qual da si gran moti ai sensi frali
dell'immensa virtù raggio traluce.
Ivi dolce è veder tra le opre sue
l'altro poter di lui che solo è immoto,
dà vita al mondo, e porge ampio restauro.
E qual virtù potea di azzurro e di auro
ornar le sfere, e legge imporle e moto,
eterno Dio, se la tua man non fue?
Il suo nome fu chiaro non solamente nella sua patria, o per l'Italia tutta, ma oltremonti ancora. Onoratissima menzione fan della sua persona e dei suoi scritti molti valent'uomini, dei quali fu la delizia e l'amore. Egli ebbe ancora in Napoli moltissimi allievi, che si dilettava istruire, e nelle lezioni e nei famigliari discorsi; molto amò Giambattista Vico, compiacendosi del sublime intendimento di quell'uomo immortale, che in esso ancor da giovanetto traspariva, e soleva normarlo con voce greca maestro di sé medesimo, siccome il Vico afferma nella sua vita scritta da lui stesso.
Quello però che risulta in sua maggiore gloria, si è di avere avuto parte nella istituzione del nostro celebratissimo drammatico Pietro Metastasio, che il Gravina, allorchè fu l'ultima volta nelle Calabrie, volle affidargli. In Scalea mostrasi ancor la stanza nella quale il Metastasio, non sentendosi d'improvvisare dinanzi al principe della Scalea e ad altri signori, mortificato dal Maestro, prorompendo in dirotto pianto, cantò all'improvviso sul pianto di San Pietro con gran sodisfacimento e maraviglia di quei nobilissimi signori, il qual tema trovasi ancora notato sulla parete di quella stanza!
Sarà cosa grata udire lo stesso Euripide Italico in ordine a questa sua dimora presso il nostro autore, il qual ne rende nobile e grata testimonianza in una lettera indirizzata al nostro chiarissimo Consigliere Mattei, ripiena di vivissima poetica immaginazione, la quale torna in sommo pregio del nostro esimio filosofante.
Scorro in barca colla fantasia le spiaggie vicine alla Scalea. Mi son tornati in mente i nomi, e gli aspetti di Cirella, di Belvedere, del Cetraro e di Paola. Sento di nuovo venerata voce dell'insigne filosofo Gregorio Caroprese, che adattandosi per istruirmi alla mia debole età, conduceva quasi per mano fra i vortici dell'allora regnante Renato, di cui era egli acerrimo assertore, ed allettava la fanciullesca mia curiosità, or dimostrandomi colla cera quasi per giuoco, come si formano fra' globetti le particelle striate, or trattandomi in ammirazione colle incantatrici esperienze della diottrica. Parmi ancora di vederlo affannato a persuadermi che un suo cagnolino non fosse che un orologio, e che la trina dimensione la definizione sufficiente dei corpi solidi, e lo veggo ancora ridere, quando dopo avermi per lungo tempo tenuto immerso in una tetra meditazione, facendomi dubitar di ogni cosa, si accorse che io respirai a quel suono: Io penso, dunque esisto etc".
I costumi di questo inclito uomo andaron del pari col suo sapere, dappoichè congiugneva a profondo e sublime intendimento anima grande, modestia e rettitudine senza pari. Scevro egli era d'ogni ambizione, e pago di quell'aurea mediocrità, che necessita a chi tra i nobili ozii delle lettere ridursi vuole. Ottimo egl'era e soave parlatore, cortese con tutti, e ad ogni tratto in lui si discopriva quell'armonia di mente, che avea acquistato mercé la conoscenza del bello e del sublime nelle lettere, e per via di quella profonda meditazione della verità; doti che gli attirarono la benevolenza di tutti quelli i quali ebbero contezza di lui, siccome la sua dottrina gli meritò uno dei più sublimi seggi della scuola di Renato (Cartesio)". (La biografia di Caloprese scritta da Andrea Mazzarella da Cerreto è inserita ne "Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie" di Luigi Accattatis, Cosenza 1869).
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