Angiolo Zavarroni, il primo critico letterario della Calabriadi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XII num. 5 del 2/2/2013 |
Rende, 22/1/2013
Nato a Montalto e formatosi a Napoli raccolse nella Bibliotheca Calabra le biografie le opere di tutti i poeti e letterati calabresi, includendovi per eccessivo zelo, anche personaggi di altre regioni, in particolare siciliani e lucani. Fu molto criticato dai contemporanei, anche per il gran numero di refusi presenti nell'opera scritta in latino. Resta tuttora la fonte documentara più preziosa per gli autori calabresi fino al Settecento.
Poche sono le notizie sulla vita di Angiolo Zavarroni, e in maggioranza desunte da quello che lui stesso ha lasciato scritto in maniera frammentaria nelle sue opere. Nacque agli inizi del Settecento a Montalto da una famiglia piuttosto in vista. Infatti, Mons. Antonio Zavarroni era vescovo di Tricarico e lo stesso Angiolo ebbe importanti incarichi in tutto il Regno, mentre il fratello Francesco viene menzionato con il titolo di "don" riservato agli ecclesiastici o alle persone di rispetto. Tuttavia le sue condizioni economiche non dovevano essere molto floride, poiché lamenta spesso lo stato di miseria in cui è costretto a vivere. Ebbe un ruolo importante nel panorama letterario dell'epoca, benché oggetto di molte critiche anche da parte dei suoi amici, che lo ferirono profondamente. Il suo libro più importante fu certamente la Bibliotheca Calabra, "opera pregevole per erudizione; ma degna di esser letta con la prevenzione, che l'autore soffriva la smania di strappare dalla Sicilia dotti personaggi, e presentarli come piante della Calabria. Il consigliere Salvatore Spiriti, nato a Cosenza nel 1710, e morto in Napoli nel 1776, accuratissimo autore delle Memorie degli Scrittori cosentini, dove con saggia critica all'opposto di quella del Zavarroni tolse dal numero de' Scrittori patrj alcuni, che erroneamente erano stati noverati fra essi". Questo il commento che si legge nella "Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli", vol. X, parte II, a cura di Nicola Morelli e Pasquale Panvini.
Con le "Epistolae apologetico-criticae", intervenne anche in difesa dei calabresi accusati di essere i crocifissori di Gesù Cristo, e per questo erano un popolo maledetto condannato a mantenersi in una condizione di miseria morale e materiale. Un quodlibet medioevale sempre confutato dagli scrittori calabresi, che veniva ripreso di tanto in tanto dando origine a dotte disquisizioni senza arrivare mai a una conclusione considerata definitiva per chiudere la questione.
Il suo terzo libro più importante è la ricostruzione storica della nascita del Collegio Corsini di San Benedetto Ullano, che in seguito diventerà il Collegio Sant'Adriano di San Demetrio Corone, una istituzione importante per la comunità arberesh della Calabria, che ha dato un contributo fondamentale per la crescita culturale di questa importante comunità.
Le poche note biografiche e la dissertazione sull'opera di Zavarroni sono contenute nelle "Memorie storico-critiche degli storici del regno di Napoli", vol. II di Francescantonio Soria (Napoli, 1781), qui riportate integralmente.
Angiolo Zavarroni nacque nella città di Montalto in Calabria Citra nel 1705, e soggiornò parecchi anni in Napoli, attendendo con profitto agli studj delle lettere e scienze, massime a quello delle Leggi, ed alla pratica delle medesime ne' nostri tribunali. Ottenuta che n'ebbe laurea dottorale, fe' ritorno alla patria, dove menò sua vita tralle letterarie occupazioni, e nell'uffizio di Governatore e Giudice in moltissimi luoghi del nostro Regno. Ma non lasciò intanto di far un viaggio a Roma, dove attesta di aver osservati parecchi antichi mss che gli facevano d'uopo. Finì di vivere in Montalto a' 16 di agosto del 1767 in età di 62 anni. La maggior sua applicazione si fu lo scrivere, e si servì di questo mezzo come di antidoto efficacissimo contra le passioni dell'animo, e le gravi avversità della fortuna. Nelle memorie, che registrò di sé medesimo in fondo alla Bibl. Calabr. ne favella così: In multis, quibus premor, aerumnis; infirma valetudo, dolor primogeniti morte sublati, summa ab iis, in quibus confideram, despectio, gravis et molesta rei familiaris sollecitudo; tristis et moerens unum reperi aerumnis ipsis meis solatium, unum jacentio animi mei levamen et oblectamentum, scribere*.
Nel medesimo luogo fe' lista di coloro, che l'avevano onorevolmente commemorato, come il P. Calogerà Pref. al. t. 16 della sua Raccolta di Opusc., il P. Amato Episto. Polem., l'Aceti Not. ad Barr., il Lami Novell. Lett. Fior. 1741 col. 88 seq. l'autore del Supplimento al Moreri edit. Venet., Corfignami Reggia Marsic. t. 2, Gatta Mem. della Lucania t. 2, Tafuri Scritt. del Regn., Troyli Istor. Napol., Carlo Nardi nell'Ocia genial., ma questo libro non mi par che sia stampato; sì bene i Specim. Carm. p. 18 ove fa memoria dell'opere di esso Zavarroni, che poi ora registreremo, prendendo inizio dalla Storia Letteraria della Calabria.
1 - Bibliotheca Calabra, sive illustriorum virorum Calabriae qui literis claruerunt elenchus, Napoli 1753. Ella è scritta in buon latino, sebben deturpato da molti errori di stampa; e ne fu dato ragguaglio nelle Novell. lett. Fior. 1755, col. 8; nelle Venete dell'istesso anno, nella Stor. lett. d'Ital. t. XI ec. L'autore marcia per via cronologica, o cominciando dal Poeta e Filosofo Tersicoro, che visse secondo lui 591 anni prima di G. C., termina in se medesimo nel 1753, e così, quantunque gliene siano alcuni scappati, pure ci dà l'elenco di circa 700 valentuomini in lettere, che son fioriti nell'antica gran Grecia, e nella moderna Calabria per lo spazio di 2344 anni. Ma molti di costoro non si appartenevano certamente alla Calabria, e l'istesso Tersicoro, che è il primo in ordine, viene richiamato con qualche ragione da' Siciliani alle loro città di Himèra, o di Catania.
Il nostro autore aveala fortemente con questa nazione, riguardando forte al motivo addotto da Mons. Santoro in Hist. Carbon. Monast. p. 14, cioè plerosque Calabros insigni fama viros Siciliae ab scriptoribus Siculis attributos; ond'egli è per rendersi una giusta pariglia, ed anche per gir di accordo con Barrio, ed altri suoi nazionali, non dubitò di trarre sforzatamente qualche antico siciliano alla Calabria. Ma il fatto si è che stese anche le mani nella Lucania, e fe' divenir Calabresi, nativi del luogo detto Bonifati, i filosofi Parmenide, Zenone, e Leucippo, riconosciuti da tutto il mondo per Eleuti; vale a dire di Elea città marittima della meridional Lucania, la quale detta in prima Hylea, Helea et Elia, accepit δυγαμμον, et facta est Velia, dice Servio, ad Aeneid. 7 v. 366 e la quale già distrutta ne' secoli barbari, sorse poi col nome di Castellemmare della Bruca, oggi pure ito in rovina. Questo fallo per altro era originalmente del Barrio, contra cui il Quattromani in Anf. madr. si rivolse con isdegno: Quae affinitas Bonifato cum Hyela? ed il Zavarroni, tra gli altri piccoli miglioramenti, che intendeva fare nella ristampa della sua biblioteca (come vedesi in un esemplare della medesima posseduto dal Sig. D. Cono Capobianco) si ricordò anche, sebbene in parte solamente, di questo, ascrivendo i due ultimi nominati filosofi alla lor propria regione, e notando nel margine del suo libro: debeantur, quia non Calabri, sed Lucani. Ma qui sta lecito avvertir di passaggio un certo svarione del nostro Genovesi, il quale nella Disput. physico hist. t. 2 p, 6 che trovasi alla testa della sua Metafisica, o degli Elementi fisici di Musschenbroek e parlando della Setta Eleatica, andò a cercare la città di Elea o Velia in un angolo del'Asia: Fuit autem Ilea minoris Asiae urbs in Mysia majore, senza ricordarsi, che quella era fiorita nella moderna provincia di Salerno, in cui esso sortito aveva i natali.
Abbian già veduto nell'articolo di Pratilli, che costui in una dissertazione soggiunta al II tomo dell'Histor. Princ. Langob. Peregrini erasi sforzato dimostrare, che la patria di S. Tommaso di Aquino fosse stata Roccasecca nella Campagna Felice, non già Belcastro in Calabria; ed avealo fatto in una maniera così oltraggiosa per gli scrittori Calabresi, che Mons. Antonio Zavarroni, vescovo di Tricarico nel punto di dover entrare in difesa de' suoi connazionali con una lettera, niente più modesta di quella Dissertatione, che pubblicò in Napoli nel 1751, sotto il nome di D. Saverio suo fratello. Or di questa medesima contesa ne maneggiò di bel nuovo, e con ugual acrimonia l'argomento in favor di Belcastro, e de' suoi zii il nostro autore nella sua Bibliotheca p. 50 e 204. Ma questa non erasi appena pubblicata, che videsi nel Dicembre dell'istesso anno 1753 impressa una Lettera anonima (cioè del Pratilli) nella quale veniva tacciata la medesima di contenere soggetti estranei alla Calabria, e ripigliavasi con fracasso contro tutti i Zavarroni la controversia della patria di S. Tommaso di Aquino. Ma come in detta lettera o si attaccava la Bibliotheca Calabra, che generalmente, ed a colpi tirati in aria, non recandosi quasi che nulla di preciso, e di sussistente per iscoprirne i difetti; perciò un compatriota dell'autore, cioè il P. D. Carlo Nardi della Congregazione della Sacra Famiglia di Cristo, detta de' Chinesi, il quale ben conosceva essere effetivamente in quel libro de' grossi falli, si tolse la briga di farne una rettificazione e lavorò esso pure una giudiziosa lettera, che diede alla luce sotto il nome di D. Niccola Nardi suo nipote, col seguene titolo:
Lettera, con cui si risponde ad altra lettera d'incerto autore intorno alla Bibliotheca Calabra del Sig. Zavarrone, e si da una giusta e spassionata idea di ciò che debba togliersi, modificarsi, ed aggiugnersi ad essa Bibliotheca per renderla interamente compiuta e perfetta (Napoli 1754),
E così il P. Nardi lungi da ogni ingiuria di piazza, ma con gravità veramente letteraria sostiene il Zavarroni dove ragion gli assiste; dove no, si fa sinceramente dalla banda del Pratilli, e cancellando dalla Bibliotheca i personaggi, che non han che fare colla Calabria, supplisce con due cataloghi coloro, che vi mancano, e ve n'attacca un terzo de' nomi moderni delle patrie di que' letterati calabresi, i quali per essere stati latinizzati, o piuttosto coniati a capriccio dal Barrio, eransi renduti estremamente tenebrosi. V. Novell. Lett. Fior. e Stor. lett. d'Ital. l.c. Non lasciò il medesimo Nardi e suo Specim. carm. p. 55, 66, 219, e per riprendere il Zavarroni di essere andato rubacchiando qua e la i soggetti per intruderli nella sua regione; anzi alla p. 165 si dirà aspramente non solo con lui, e col P. Amato, ma anche coll'istesso Barrio che aveane dato loro il mal esempio: Quem (Barrium) sequuti Amatus, et Zavarronus, ambo Montaltini, hic in Bibliotheca Calabra, in Pantopologia item Calabria ille, ad eundem audaciae ineptiaeque scopulum apertis oculis offendere, certumque naufragium facere voluerunt. Or avendoci esso Nardi tanto nell'enunciata lettera, quanto nel Trionfo degli Accad. Inculti, che trovasi dietro allo Specim. carm. p. 30 avvisato di aver egli fatte notabili migliorazioni sulla Bibliotheca calabra; ed avendovi l'istesso Zavarroni, siccome abbiam detto, emendata qualche piccola coserella; potrebbe alcun dotto Calabrese unire insieme tutte queste fatiche, e formarne una nuova, e più plausibile storia letteraria della sua patria.
Ma veggiamo l'altre opere del nostro autore.
2 - Epistolae apologetico-criticae, quibus pro veritate, pro patria, proque Calabris scriptoribus, et alienigenis, nuperrimae dissertationes anonymi, De tortoribus Christi et c. in lucem editae cura et industria Genialis Posterarii, expenduntur, 4 Venezia 1738. Della quale opera ne dà un saggio, ed un giudizio poco vantaggioso per l'autore, il Cav. Rogadeo in una lunga nota posta alla p. 341 seg. del suo Dritt. pub. Napol. e conchiude, che il Zavarrone rigetta tutto il migliore, che può dirsi in difesa de' Bruzj, e si appiglia al più debole, e snervato, ed in vece di difendersi molto gli offende. Ma per intendersi meglio lo stato della questione, e conoscersi insieme da quanti scrittori ella sia stata trattata, uopo è, che mi dilunghi un pocolino, tanto più che la medesima ha molta relazione ad un intralciato punto dell'antica storia nostra.
Intepretando A. Gellio in Noct. Attic. l. 10 c. quel frammento del libro "De falsis pugnis di Catone: Ducemviros Brutiani verberavere, venne a supporre, che i Bruzj in pena di aver abbracciato il partito di Annibale, fossero stati condannati da' Romani a far da carnefici per tutto il loro imperio: opinione seguita da qualche altro scrittore, e singolarmente da Festo in De vet. verb. signif. v. Bruttiani. Or come gli esecutori della morte di Gesucristo furono Gentili, cioè di gente Romana, ne inferirono quinci molti autori ecclesiastici, tra' quali il Baronio Not. ad Martyr. 27 Martii v. Officiales (sebbene in Annal. ad an. 4 n. 194 avesse tenuto contrario sentimento) che quelli fossero stati infallibilmente calabresi. Questa presunzione dunque, che è puramente congetturale, e su debolissimi fondamenti appoggiata, richiamolla in iscena circa i principj di questo secolo il P. Giacomo Giacinto Serry domenicano francese, professore di Teologia nell'Università di Padova, nelle sue Exercitat. Hist. Chtisto et c. Exerc. 61 n. 6 ed il fece quasi a sol fine di pungere il P. Giordano Pulisicchio o Pulicicchio Domenicano Calabrese, che ritrovavasi nella medesima città pure da professore di Teologia. Costui non potè udir l'affronto nuovamente fatto alla sua nazione senza gravemente commuoversi, e compilò tantosto in difesa di quella un'opera col titolo De tortoribus Christi Domini, quinam fuerit, et unde gentium exstiterint; ma non fu in istato di poterla dare alla luce, che molti anni dappoi, facendola comparire in Napoli nel 1731 sotto il nome di Geniale Posterario suo nipote. Contro di quest'opera per tanto indirizzò l'enunciate sue epistole il nostro autore, il quale volendo far vedere, che il Polisicchio non fosse che un plagiario, e che malamente trattata avesse la causa della Calabria, pensò di dar altro polso all'apologia con alcuni nuovi argomenti, e così felicemente vi riuscì, come poco innanzi ha giudicato il Cav. Rogadeo.
Ma per continuare la storia della questione, soggiugniamo, che il Polisicchio erasi per la sua tardanza fatto precedere da Mons. Giuseppe Maria Perrimezzi minimo della città di Paola colla dissertazione De natione tortorum Christi contra nuperum scriptorem Gallum, 4, Roma 1727, da Antonio Sandini Vicentino nel capo 14 dell'Hist. Famil. sacrae, e dal P. Francesco Zavarroni generale de' Minimi, e zio del nostro autore, coll'Apologia pro Brutiis contra calumnias erorum, qui Brutios tortores Christi fuisse asserebant, la quale nulladimeno restò manoscritta. Le sue ragioni però, e quelle de' Calabresi furono messe in maggior lume, e con più di vigore trattate da altri valentuomini porteriori, come da Tommaso Aceti nell'Excursus, quo Bruttii ab anili fabula, inustaque calumnia, quod Christum Dominum cruci affixerint, vindicantur, inserito tra' suoi prolegomeni all'Antiq, e sit. Calabriae del Barrio, ed Rom. 1737 e da Pietro Polidoro di Lanciano nella dissertazione Brutii a calumnia de inlatis Iesu Christo tormentis e morte vindicari, f. Roma 1737, la quale, a mio parere, è la più dotta di tutte, e trovasi ancora come appendice dietro all'indicata opera del Barrio. Ne disse altresì qualche cosa il P. Gio. Lorenzo Berti nel libro 29 Theol. discipl. c. ult. ed il P. Vincenzo Fasanelli min. oss. calabrese nella Verit. resurect. . C. t. 1 p. 78 . Ma è osservabile, che volendo il Sandini, e poi l'Aceti persuadere più diffinitamente al Francese Sorry, che non erano stati i calabresi i croficissori di Cristo, recarono in mezzo l'autorità di un antico libro intitolato Dicta et intepret. parabolar. S. script. presso S. Attanasio Oper. t. 2 quaesit. 76 il cui autore cercando cosa significassero le parole del salmo: Quare fremuerunt gentes? rispose: gentes dicit romanos, Francorum videlicet genus, qui Christum crucifixerunt.
3 - Epístola de duabus Antiquis Inscriptionibus , seu Aris votivis repertis prope Fluvium Crathidem in Agro Montaltino. Fu impressa dal P. Galogerà nella sua raccolta t. 16.
4 - Opuscula varia, sive Epistolae genialis, tomi II, Napoli 1740 - 741. Contengono 20 lettere. Dietro il primo tomo avvi:
5 - Dissertatio de antiqua sepulcrali inscriptione Montalti reperta in colle Serronis, e fu dato conto nelle citate Novell. fior., 1741.
6 - Historia erectionis Pontificii Collegii Corsini Ullanensis Italo-Graeci, et deputationis Episcopi titularis graeci ritus ad Italo-Epirotas eodem ritu instruendos, sacrisque initianos, ad Benedictum XIV. P. M., Napoli 1750, scritta colla pulizia di lingua solita del nostro autore, ed è molto lodata da Carlo Nardi nello Specim. incript. p. 136. L'utile erezione di questo Collegio nel luogo detto Ullano, due miglia vicino a Montalto, devesi al Sommo Pontefice Clemente XII.
Lasciò inedite: Dissertatio historico-apolegetica de Vita Cl. viri Eliae Astorini Carmelitae Calabri, la quale insieme coll'Ars magna dell'istesso P. Astorini, fu dall'autore trasmessa in Venezia al P. Calogerà, perché le pubblicasse nella sua Raccolta; ma poi non avvenne. Epistolae geniales 80 che unite alle 20 già impresse, avrebbero formata una Centuria Epistolarum genialum, il Ms della quale, secondo che ragguagliommi D. Francesco Zavarroni figlio dell'autore, erasi mandato in Napoli, perché si desse alle stampe; ma per la morte del medesimo ultimamente avvenuta, non so come la sia per riuscire. Iconae Calabrae, sive de illustribus Calabriae viris, qui pietate, armis, et artibus claruerunt, apparatus. Florus Calaber, sive universae Historiae Calabriae, Epitome. Epistola ad Thomam Acetum Episcopum laquedoniensem de Vita Francisci Nardo montaltini.
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*Molte le tribolazioni, che mi opprimono; la salute malferma, il dolore del primogenito rapito dalla morte, il disprezzo, sommamente da quelli, nei quali confidavo; i gravi e molesti affanni della vita familiare; un solo conforto ho trovato alle mie tristi e dolenti tribolazioni, unico sollievo e diletto dell'animo mio triste e oppresso, lo scrivere.
Note autobiografiche in appendice alla "Bibliotheca Calabra"
Montaltinus, qui in multis, quibus premor, aerumnis; Infirma valitudo: Primogeniti morte sublati: summa ab Iis, in quibus consideram, despectio: gravis, et molesta Rei familiaris sollicitudo; Tristis et moerens unum reperi aerumnis ipsis meis solatium: unum jacentis Animi mei levamen, et oblectamentum Scibere; quando etiam Ovidius i v. Trist. ajebat:
Detineo
Studiis animum: falloque labores,
Experior Curis, et dare verba meis.
Et Paulo post:
Carminibus
quao (ait) miserarum oblivia rerum
Praemia si studio consequar ista: Sat est.
Scribere, igitur, unum reper solatium: et unum quidem, quia Uni, Mihi, scilicet, soli; Neque enim delectare quenquam, neque omnino cuiquam prodesse possunt, quae qualiacumque conscribebam: partim adita, partim edenda.
Atque edita quidem haec sunt: = Epistolae Apologetico-Criticae, quibus pro veritate, pro Patria, proque Calabris Scriptoribus, et Alienigenis Nuperrima Dissertationes Anonym De Tortoribus Christi et in lucem editae, cura et industria Genialis Posterari, expendutur. Venet. Apud Johannem Manfrè MDCCXXXIV in 4. = Epistola de duobus Antiquis Inscriptionibus seu Aris Votivis repertis Fluvium Crathidem in Agro Montaltino, ab Franciscum Venturam Regium in Sacro Neapolitani Regni Senatu Consiliarium, etc. Prodiit in Tom. XVI Variorum Opusculorum, quae collegit P. Angelus Calogerà Camaldulensis, Venetus, Ediditque Venetiis aput Christophorum Zanem MDCCXXXVIII, in 8°. = Historia erectionis Pontificii Collegii Corsini Ullanensis Italo-Graeci, et Deputationis Episcopi Titularis Graeci Ritus ad Italo-Epirotas eodem Ritu instruendos, Sacrisque initiandos, ad Benedictum XIV Pont. Max. Neap. apud Josephum Severinum MDCCL in 4°. = Dissertatio Historico-Apologetica de Vita Cl. Viri Eliae Astorini Carmelitae Calabri. Hanc, una cum Arte Magna ejusdem Astorini, quam M.S. invenimus, Venetias ad dictum P. Calogerà, in opuscularum Tom. II, continentes totidem Epistolarum Genialium Decades. Addita in primo Tono Disertatione de Antiqua Sepulcrali Inscriptione Montalti reperta in Colle Serronis. Tom. prior. prodiit Neapoli apud Mutium MDCCXL posterior vero Ibid. aput Severinum MDCCXLI, excusus est, uterque in 8°, caeterum, tum hi duo priores Opusculi, tum reliqui octo, uno Volumine in 4° comprehensi, sub prelo sunt apud dictum Severinum.
Jam vero edendo sunt haec: = Icones, sive de illustribus Calabriae Viris, qui Pietate, Armis, et Artibus claruerunt, Apparatus. Tom. I in fol. = Florus Calaber, sive Universae Historiae Calabriae Epitome, Tom. in 8°. Epistola ad Thomam Acetum Episcopum Lacedoniensem de Vita Fraancisci Nardo Montaltini. Et alia quaedam incompleta.
Haec, igitur, qualiacunque, ut dicebam, mihi uni conscripta, pro sua quisque humanitate, et benignitate memorant plure, et sunt: Autor Operis inscripti: Novelle Letterarie quae prodeunt Florentiae. Vid. Tom. An. MDCCXLI, pag. LXXXVIII e LXXXIX, Murer. in Dictionar. Tom. VII Edit. Venet. in Syll. Fet, Antonius Corfignanus Episc. Sulmonen. in sua Reg. Marsic. Tom. II, Constantinus Gatt. in sua Lucania Tom. II, Joh. Benardinus Tafurus in Script. Regni, Angelus Calogerà in Praefat. dicti Tom. XVI Opusc. Thomas Acetus in Annot. ad Barr, Elias de Amat. in Episco. Pole., Carolus Nardi in Ociis genial., et Placidus Troylus Abbas Cisterciensis in sua Hist. Regni Neap., Tametsi postremus hic in ejus Epistol ad Patrum meum, de qua in Josepho Palemerio dictum, hoc mihi tanti extrudat, quanti equidem non essem ipse mercatus: Ut tibi placerem (hoc dicit in summa ad cura scribens) Nepotem tuum in Historia nostra nominavi.
Scilicet:
Laudat venales, qui vult extruere merces.
Graeci in Dypticis fuit Sacris conscripsisse aliquem tanti non venditabant: in Saliari Carmine Nonem tonasse tuum tanti Ancyliorum fictor Mamurius non fecit, et in Minervae Clypeo Nomen suum, cum Phidia inculpltum legisse tanti antiquitus quisque non emit. Usurpasse liceret Persianum illud: Reculo Euge tuum et Belle quando, ut Venusinus vates ajebat:
Res me urget nulla: meo sum pauper in aere.
At redeamus in orbitam. Illorum, ergo, quos modo recensui, Scriptorum tanta fuit benignitas, et humanitas, ut nequicquam de mea tenuitate meminisse vererentur. Sed ita se res habet: Hi dum mea omnis laudis expertia scripta commemorant, interim Scriptoris, utcumque irritos, nec tamen omnis omnino laudi exortes, inspexere conatus; Nam, ut bene Apulejus in IV Florid. In omnibus bonis rebus, ait, conatus in laude, effectus in casu est, ita ut contra in maleficiis etiam cogitata scelera, non perfecta, adhuc vindicantur, cruenta mente, pura manu. Ergo sicut ad poenam sufficit meditari puntenda, sic ad laudem satis est conari praedicanda.
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