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Mezzoeuro

Prima che vada tutto a Monte

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XII num. 5 del 2/2/2013


Rende, 30/1/2013


Spot elettorale a parte (anche se è innegabile il coinvolgimento a pieno del Pd) il caso Monte Paschi di Siena può essere l'ultima occasione utile per affrontare una volta per tutte, e con spirito costruttivo, la deriva criminogena della finanza

Che ha il dominio totale sull'economia e sulla politica

Il caso del Monte dei Paschi di Siena è finito per diventare soltanto uno spot elettorale, come era inevitabile essendo capitato nel bel mezzo di una complessa campagna elettorale a polarità multipla. Fin qui si è persa l'occasione per una seria riflessione sul credito, che gioca un ruolo fondamentale nell'attuale fase di recessione, poiché le restrizioni imposte alle imprese sono tra le cause più evidenti della crisi. Per questo occorrerà aspettare la bonaccia dopo la bufera delle urne, quando forse si inizierà a formulare qualche seria proposta di rimodulazione del sistema bancario e delle sue regole. Il dubbio nasce dall'acuirsi della polemica che costringe i partiti ad assumere posizioni strumentali che successivamente è difficile correggere per non doversi smentire di fronte ai propri elettori, anche se ciò è avvenuto molto di frequente. Il valzer del pensiero perduto è un motivo molto popolare tra i nostri politici, i quali amano nascondere dietro gli slogan i loro inconfessabili desideri. Il mondo del credito è una foresta incantatrice dove si intrecciano interessi ed ambizioni che non hanno un monocolore politico. Cambiare qualche tassello, può modificare l'intero mosaico, per cui è molto più facile tutto si risolva in quattro accuse reciproche per lasciare immutato il quadro generale in cui ci sguazzano un po’ tutti.

Molto efficace, e in piena sintonia con lo stile marketing che l'accompagna fin dalla sua nascita, lo slogan del PDL costruito su due pilastri: la filiera della responsabilità e il teorema della contiguità. Il primo assunto parte dalla individuazione certa di un colpevole, il PD, che per responsabilità oggettiva risponde dell'operato dei suoi rappresentanti nelle varie sedi in cui operano. Una responsabilità che affonda le sue radici nella notte dei tempi, e segue la sua evoluzione a partire dalla nascita come Pci fino allo stadio attuale fino ad arrivare alla logica conclusione che chi non ha saputo governare una banca non può candidarsi alla guida di un Paese.

La semplificazione ha l'indubbio fascino di un teorema di facile comprensione, un messaggio immediato e martellante che finisce per prevalere su argomentazioni più complesse che richiedono un elevato tasso di noia per poter essere illustrate. Assistiamo a edificanti spettacoli di virginee dame, innalzate per “grazia posseduta” ai massimi scranni della Repubblica, ripetere con diligenza scolaresca la lezioncina imparata a memoria di indubbia efficacia comunicativa. Volutamente si ignora la complessità della situazione. Una difesa documentata appare debole perché provoca una condizione di rigetto da parte di chi si vede costretto a sorbirsi astrusi ragionamenti tecnici. Troppo facilmente, ad esempio, ci si dimentica che per un buon decennio e forse più il credito è stato governato dal ministro Tremonti, il divo Giulio che oggi pontifica e ha ricette per qualsiasi evenienza, mentre da ministro del Tesoro non ha fatto nulla per governare il sistema.

L'avv Mussari è stato nominato dal “PCI”? Ma con la benevolenza e il beneplacito del Tesoro che pure qualche voce in capitolo l'aveva di sicuro. Lei dove era signor Ministro, quando lo hanno nominato? Se oggi è per lei così evidente che nel Monte succedevano cose inconfessabili, perché gli ha concesso un piccolo prestito di quasi due miliardi di euro?

Bisogna cercare di stabilire un minimo di verità basata sul buon senso. Chiamare in causa il PCI in questa situazione è del tutto fuori luogo, tanto per la profonda trasformazione che ha interessato quel partito, quanto per la profonda differenza di comportamento dei suoi rappresentanti: i vecchi quadri di quel partito potevano essere accusati di tutto, tranne di essere disonesti. Per rimanere nell'ambito locale, è un po' come confondere Nicola Adamo con Umile Peluso: sono legati da un sottile filo storico, ma stanno su due piani diversi, lontani come il sole e la luna, questo è il punto. Un Giuseppe Mussari, per intenderci, non avrebbe mai trovato spazio in quel partito. Non si può immaginare un Enrico Berlinguer sporcato dal fango schizzato da un Penati qualsivoglia. Mettere insieme queste storie è una offesa per tutti i militanti, per tutti coloro che hanno creduto in una idea e ancora oggi rimpiangono la perduta diversità. La filiera della responsabilità PCI-PDS-DS è una bufala.

Altrettanto assurdo appare il richiamo al modello Siena, come una dimostrazione della contiguità e della sostanziale identità delle gestioni amministrativa del comune, provincia e Regione Toscana. Che vi sia stata una prossimità, una affinità elettiva è indubbio. E questo ha prodotto un lungo periodo di indubbio successo, perché il sistema ha funzionato benissimo, e la sua attuale degenerazione non può certo cancellare un passato costellato da indubbi successi politici e amministrativi. Il modello amministrativo regge tutt’ora, ma questo è ancor di più vero parlando del Monte dei Paschi, un istituto che ha alle spalle cinque secoli di storia con può essere infangato da un manipoli di mascalzoni che si sono impadroniti della gestione e lo hanno utilizzato per scopi personali, in un gioco perverso di manipolazioni finanziarie.

Soprattutto la dirigenza del Monte non può essere criminalizzata in toto, poiché costituisce un formidabile patrimonio di cultura bancaria, con una esperienza secolare, e una professionalità testimoniata dalla sua longevità di esercizio. Essi sono i testimonial di una lunga storia di successi che hanno portato Siena e la Toscana a diventare uno dei simboli del nuovo Rinascimento Italiano. Questa brutta storia mortifica tutti noi, poiché l'attività di MPS travalica i confini locali e la sua storia costituisce una parte importante della storia del Paese, ma mortifica soprattutto loro, le migliaia di dipendenti dell'istituto che non hanno alcuna colpa di quanto si è verificato sulla loro pelle. Sicuramente, come in tanti altri casi similari, saranno chiamati a sopportare dei sacrifici per potere risollevare le sorti del “loro” istituto.

Il richiamo ai dipendenti non è una masturbazione mentale per una operazione di “captatio benevolentiae”, ma è un modo per richiamare l'attenzione su di un importante aspetto della legislazione bancaria che ha prodotto guasti forse irreparabili nel sistema: l'affidamento della loro governance a personaggi esterni, o per meglio dire estranei, a quel mondo, che non hanno la cultura, la professionalità, e l'esperienza per gestire istituti di una tale complessità. E spesso non hanno neanche la necessaria autonomia ed indipendenza, vuoi per un palese conflitto di interesse, come succede ai tanti industriali diventati banchieri di sé stessi (il caso Verdini docet), o per rispondere alle logiche di chi li ha portati a quel posto per presidiarlo a vantaggio dell'organizzazione di cui sono espressione (partito, o altra forma più o meno occulta come possono essere organizzazioni come Opus Dei, massoneria e simili). È un metodo che non riguarda il solo Monte dei Paschi, ma l'intero sistema bancario.

Lo stesso Mussari non si è mai considerato un banchiere, poiché con quel mondo non aveva nulla in comune, ma ha mantenuto la sua natura di avvocato e di mediatore di interessi vari e diversificati. Come presidente del Monte prima e dell'ABI dopo, non si è mai realmente occupato di credito e delle sue problematiche, ma di affari, di gestione di legami clientelari, di intrecci politico-amorosi. Diciamo che il “PCI” lo ha portato alla guida del Monte per difendere gli interessi dei compagni. Ma chi ha portato alla guida dell'ABI, dell'Associazione che rappresenta tutte le banche d'Italia, un “comunista”, per riprendere lo slogan del Cavaliere? A difesa di chi e di quali interessi? Non è forse che in quel mondo si aggirano solo pochi burattinai che dispongono a loro piacimento le loro pedine?

Questa è la vera essenza del problema. Siamo partiti da un sistema ingessato, imbalsamato, una “foresta pietrificata”, come veniva qualificato il sistema bancario italiano tutto imperniato sulle banche pubbliche per costruire un sistema concorrenziale, efficiente, sofisticato, moderno, e bla, bla, bla. Siamo arrivato a un sistema oligarchico costituito da poche grandi banche, dietro le quali si muovono un manipolo di famiglie e famigli. Un capitalismo amorale che ha creato un mercato “negoziato”, dove dominano quelli che una volta si chiamavano cartelli, o accordi più o meno confessati e confessabili per spartirsi la propria sfera di influenza. L'unico mercato concorrenziale è il poker della speculazione, dove i grandi professionisti del rischio si divertono in “jocarielli” sulle spalle della gente. I grandi manager che si autoattribuiscono compensi milionari (in euro ovviamente) non hanno nulla a che vedere con il credito, con i problemi delle aziende e delle famiglie, non sono preoccupati del margine margine finanziario e dei problemi del personale. Il focus dei loro interessi sono le oscillazioni di borsa, le operazioni overnight, le scommesse sui derivati: la montagna di carte “virtuali” che sconvolgono la vita della gente comune vittima inconsapevole di una partita giocata sulla loro testa.

E pensare che le nostre banche non hanno ancora raggiunto la dimensione ottimale per competere sui mercati mondiali, ma saranno ancora costrette a ricercare nuovi partner a ingoiare altri istituti per entrare nel ristretto circolo delle grandi istituzioni finanziarie mondiali. Di fronte all'evidente crisi del gigantismo finanziario, la ricetta che si propone è quella di favorire la nascita di istituti ancora più grandi, ancora più mastodontici: dagli elefanti ai mammuth. Ma se già oggi nessuno è più in grado di governare questi mostri, cosa succederà domani?

Vincenzo Visco, ad esempio, si preoccupa di creare un sistema di vigilanza internazionale per mettere sotto controllo le grandi banche internazionali. È senz'altro ragionevole pensarlo, rebus sic stantibus. Ma é questa la via da perseguire, o non piuttosto pensare a una legislazione antitrust che obblighi questi istituti a ritornare in dimensioni più gestibili, a occuparsi dell'economia reale, a distinguere nettamente tra finanza, intesa come la gestione dei jocarielli ( o speculazione di borsa che dir si voglia), e credito, inteso come l'attività di concedere credito alle imprese a sostegno degli investimenti?

Nessuna istituzione internazionale sarà mai in grado di controllare seriamente degli istituti che operano al di fuori della legislazione di qualsiasi paese, che possono nascondere la proprie operazioni in paradisi fiscali dispersi in ogni angolo del globo, che sono saldamente controllati da organizzazioni trasversali in grado di addomesticare qualsiasi governo e autorità di controllo, con attività di lobbying o convincenti strumenti persuasivi.

Inoltre non si può e non si deve confondere la responsabilità individuale, soprattutto di natura penale, con il comportamento del gruppo. Da quello che emerge, il Monte è stato occupato “manu militari” da una vera e propria banda che lo ha utilizzato per propri interessi. Questo non significa che vi sono stati secoli di malversazione. Il Monte continua ancora oggi a costituire un sano esempio di gestione, un caso esemplare di successo di una iniziativa he ha avuto origine in un contesto locale, ma è riuscita a espandersi in tutto il Paese.

È compito della magistratura individuare le responsabilità individuali e perseguire i reati che sono stati commessi nella gestione, ma è compito della politica di avviare una seria di riflessione sulle cause che hanno provocato questo disastro che avrà comunque un impatto sull'intera economia per le dimensioni che ha assunto. Sembra che lo si voglia considerare come un caso di devianza, una anomalia in un sistema sostanzialmente sano e il pericolo maggiore è la convinzione che non sia necessaria una profonda rimeditazione dell'impianto normativo del credito, né riflettere sulle condizioni di operatività che hanno provocato l'ingessamento del sistema.

La crisi ha messo in chiara evidenza che questo sistema non è in grado di governare la fase di recessione e la vigilanza “prudenziale” si è dimostrata inefficace proprio nel momento in cui avrebbe dovuto entrare in funzione per impedire che le difficoltà dell'economia si riversassero sulle banche. Nella realtà le banche non sono state in grado di affrontare la crisi, ma hanno agito in maniera fortemente prociclica contribuendo ad acuire le difficoltà e hanno finito per tirarsi addosso gli effetti peggiori di questa difficoltà generalizzata. L'opera di Vigilanza non si può limitare al controllo dei parametri, ma richiede un esercizio dinamico del potere di controllo, attuato attraverso le visitte ispettive e gli interventi gestionali in grado di correggere le deviazioni rispetto a comportamenti di sana condotta aziendale.

La storia attuale del Monte e quelle più o meno recenti che hanno interessato i grandi istituti meridionali sono una chiara dimostrazione del grande pericolo rappresentato da un cedimento dai principi di rigorosa scelta della classe dirigente. Istituti secolari messi in ginocchio da un pugno di persone, che riescono a vanificare secoli di nuova gestione. La loro caduta rappresenta una perdita incalcolabile non solo per il governo dell'economia, ma come grande occasione di formazione di una classe dirigente.

Funzionari e dirigenti della banca senese, come ieri quelli del Banco di Napoli, sono una grande risorsa, un patrimonio personale di incalcolabile valore che ha contribuito alla crescita economica e sociale del territorio e oggi potrebbero dare un contributo decisivo per uscire dal tunnel della crisi.


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